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Autore: alecter    02/01/2014    0 recensioni
Ispirata alla 3x01 di Sherlock
Ricordo ancora vividamente il giorno in cui Sherlock Holmes scomparse dalla mia vita. Un attimo. Così come vi era entrato, immediatamente ne era uscito, con colpi di scena improvvisi, come piaceva a lui. Anche la sua morte doveva essere un grande spettacolo.
Eppure era di nuovo lì, Di fronte a me.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Note autrice: dopo aver visto l'episodio di Sherlock in diretta, ieri notte, ho avuto così tanti ripensamenti, pensieri, e ho fangirleggiato così tanto, che alla fine non sono riuscita a trattenermi e ho dovuto scrivere questa sorta di mini fanfiction. L'episodio in sè sia stato interamente una fanfiction a suo modo, ho voluto quindi scrivere qualcosa di più introspettivo, scavare nei pensieri di John. Spero di esserci riuscita discretamente. Grazie a chiunque leggerà!



"Rimani fermo lì John"
"Addio John"
"Per piacere, non essere morto"

 
Mi svegliai all'improvviso, la fronte madida di sudore ed il cuore che pulsava a mille. Sentivo il sangue scorrere rapidamente nelle vene, le tempie pulsare all’impazzata.
La mia mano corse rapidamente sul materasso alla ricerca di quell’appiglio di cui necessitavo per tornare a galla e respirare di nuovo normalmente. Scivolò sotto le lenzuola, fino a trovare un corpo caldo. Strinsi le dita di Mary, racchiusi la sua piccola mano nel mio palmo. Il respiro iniziò a regolarizzarsi ma il mio cuore continuava a battere impetuosamente.
Non riuscivo a smettere di ripercorrere quei pochi istanti che avevano interrotto ogni mio equilibrio, ogni obiettivo raggiunto nei due anni precedenti.
Era bastato incrociare quei due pozzi di ghiaccio, leggermente socchiusi per la soddisfazione nel vedere la mia faccia sconvolta, vedere i suoi zigomi taglienti, per riportarmi in quel buco nero in cui ero rimasto per mesi dopo la sua scomparsa.
La mia mente non era riuscita a formulare un pensiero ragionevole, avevo solamente così tante domande, una rabbia impellente che sembrava crescere man mano, assieme ad un forte dolore al petto.
Ricordo ancora vividamente il giorno in cui Sherlock Holmes scomparse dalla mia vita. Un attimo. Così come vi era entrato, immediatamente ne era uscito, con colpi di scena improvvisi, come piaceva a lui. Anche la sua morte doveva essere un grande spettacolo.
Eppure era di nuovo lì, Di fronte a me.
Più volte nei mesi successivi, avevo sognato che Sherlock tornasse da me. Sarebbe entrato nell'appartamento, mi avrebbe guardato con quel suo sguardo da saccente psicopatico, e tutto sarebbe tornato come prima.
Conoscendolo, sapevo che uno scenario del genere era plausibile; non riuscivo a darmi per vinto quando la possibilità di poterlo riavere al mio fianco era così realistica.
Il mio ottimismo andò affievolendosi con il passare dei giorni e poi delle settimane, finché non passarono mesi, e di Sherlock non c'era alcuna traccia.
Egoisticamente, pensai che Sherlock non poteva essere vivo a quel punto, altrimenti si sarebbe palesato, se non ad altri, almeno a me. Ero suo amico, in fin dei conti.
Il suo unico amico.
Fu questo ciò che più mi ferì nel momento in cui lo trovai di fronte a me, nel assurdo tentativo di sorprendermi, convinto che la sua semplice presenza avrebbe rimediato a ciò che aveva fatto. Sherlock non mi riteneva sufficientemente importante, non aveva pensato fosse necessario informarmi del fatto che fosse ancora vivo.
Mi aveva lasciato soffrire, da solo, a cercare di rimarginare le mie ferite che ancora pulsavano la notte, non appena chiudevo gli occhi.
Era come essere tornato a prima del suo arrivo nella mia vita. Incubi, notti insonni, avevo addirittura iniziato di nuovo a zoppicare.
E poi era riapparso, così, dal nulla, nel momento in cui ero finalmente pronto a mollare il passato, a vivere una nuova vita, una vera vita.
Mi alzai dal letto, mi avvicinai alla scrivania e silenziosamente mi sedetti sulla poltrona accanto alla finestra.
Fissai la sagoma addormentata di Mary, raggomitolata nelle coperte. Ero stato così fortunato ad averla trovata. Mi aveva accolto nella sua vita, mi aveva accettato, con tutti i miei danni irreparabili, ed io ero finalmente stavo iniziando a rinascere.
Anche se lo sentivo quel vuoto. E lei ne era consapevole. La amavo con tutto me stesso. Eppure, in quel momento, mi chiesi se ci fosse mai stata possibilità per noi ora che Sherlock era tornato.
Continuavo a negarlo, ma Sherlock era parte di me, quella parte che tentavo di nascondere a chiunque, anche a Mary, che pure ormai sapeva tutto di me. Avrei potuto amare lei, come negli anni precedenti avevo amato Sherlock? Provavo ancora per Sherlock gli stessi sentimenti che sentivo due anni fa? Avrei mai perdonato Sherlock?
Conoscevo la risposta alle prime due domande, ma cercai di non pensarci. Avrei provato con tutto me stesso a rendere Mary la donna più felice del mondo, perché lei mi aveva reso un uomo nuovo, mi aveva salvato dal baratro, da me stesso.
Per quanto riguardava la terza domanda, avevo perdonato Sherlock nel momento in cui era saltato da quel edificio, e lo avevo perdonato di nuovo non appena i nostri occhi si erano incontrati nel momento preciso in cui avevo riconosciuto l'uomo che aveva sconvolto la mia vita. Sconvolto in senso positivo. Avevo spesso rischiato la vita, molte volte avrei voluto ucciderlo, ma era pur sempre il mio migliore amico. L'unico uomo che io abbia mai amato. L'unico che non avrei mai smesso di amare.
   
 
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