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Autore: Mellis_    02/01/2014    3 recensioni
Aveva passato quattro anni della sua vita a nascondere sé stesso.
Ma quel 29 Maggio 2001 aveva trovato le labbra giuste. Aveva trovato Peter.
PS: L'omofobia non è accetta qui, mi spiace.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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UN SEGRETO PER DUE.
 
“Salve, mi chiamo Johnatan, e adoro la cioccolata.”
E’ questo che continuava a dire ogni volta che cambiava scuola. Perché lui di scuole ne aveva cambiate tante. C’era sempre qualcosa che non andava.
I professori, la struttura, i compagni, gli orari scolastici. Ecco cosa raccontava al padre quando gli diceva di voler cambiare scuola, o addirittura città.
“Non mi piace! Non riesco a sostenere i ritmi” e andava avanti così, anno dopo anno.
C’era un unico problema.
Lui aveva un segreto. Un segreto che nessuno conosceva. E  magari avrebbe continuato a trasferirsi per poter conservare al meglio ciò che solo lui sapeva di sé stesso. Era l’unica certezza che aveva.
Se n’era accorto quattro anni prima, così per caso, quando guardando Peter, il capitano della squadra di basket, il cuore iniziò a palpitargli fino a farlo sentire male. Avvertiva una strana sensazione allo stomaco, come se stesse per scoppiare a causa del troppo cibo. Ma quella mattina lui aveva mangiato solo una merendina, non poteva essere già sazio.
Le guance iniziarono ad arrossire. Divenne un pezzo di legno in preda ad un incendio.
Ma lui l’incendio ce l’aveva dentro; non riusciva a capire bene dove, però si sentiva divampare, dappertutto.
Ogni particella del suo corpo danzava in quel calore assurdo che solo lui poteva percepire.
Forse era la febbre?. Eppure la fronte non scottava. Era il suo interno che stava bruciando dolcemente.
Aveva paura. Per questo iniziò a cambiare scuola.
Aveva paura di essere “diverso”. In realtà già lo sapeva, se ne stava rendendo conto piano piano, ma non voleva che gli altri se ne accorgessero. Era un segreto che doveva restare rinchiuso in sé stesso, insieme a quel fuoco che si accendeva ogni volta che pensava a Peter.
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29 Maggio 2001.
Il sole batteva sulle strade di Parigi. Era passato tanto tempo da quell’incontro, e lui intanto stava imparando a parlare il francese velocemente, e abbastanza bene per giunta. Era lì da quasi un anno, e aveva stretto molte amicizie, ma il suo pensiero era ancora fisso su Peter.
Gli aveva scattato una foto di nascosto che aveva ancora conservata sul cellulare.
Datava dodici settembre 1997. Chiunque vedesse quella foto, con occhi spalancati gli domandava: “Come si chiama questo bel giovanotto?” e Johnatan si limitava a rispondere “E’ mio cugino”.
Già, suo cugino.
Lo aveva visto una sola volta nella vita e tutto era, tranne che suo cugino. Ma questo nessuno dove a saperlo. Faceva parte del suo segreto.
Si avviò verso l’uscita della scuola, guardando le panchine colme di ragazzini che scattavano foto per celebrare gli ultimi minuti di libertà prima di ritornare a casa. Il profumo dei croissant invadeva le vie.
Place De La Concorde era sempre piena zeppa di turisti, e la fila per la Tour Eiffel? Infinita.
Parigi era un covo di profumi tutti diversi, persone e lingue che si mescolavano tra loro. Folle multicolori.
Era più che felice di essersi trasferito lì, dove riusciva a malapena a farsi capire, e dove poteva tenere al sicuro il suo “essere diverso”.
Aveva gli occhi puntati a terra; camminava con fare distratto avvolto da mille pensieri.
Così distratto da sbattere contro un ragazzo alto e dal viso luminoso.
«Scusa, mi dispiace, ero troppo sovrappensiero! –i suoi occhi si illuminarono– Peter? Ma… ma…»
«Tu mi conosci?»
«Io, cioè sì, no. Non lo so!»
«Come sarebbe a dire non lo sai?»
Johnatan rimase lì in silenzio, un po’ imbarazzato e pentito di aver parlato. Doveva continuare dritto e fare finta di niente, lasciare che il tempo cambiasse le cose e vaporizzasse quell’incontro.
Tirò un sospiro, e proseguì.
«Io frequentavo la tua stessa scuola, a Boston. Eri il capitano della squadra di basket.»
«Io frequento ancora quella scuola ma, come fai a conoscermi?»
Johnatan chiuse gli occhi, e senza proferire parola si allontanò.
«Aspetta! –sentì Peter rincorrerlo– voglio sapere come fai a conoscermi!»
Si sentì tirare per un braccio, da Peter in persona. Un paio di occhi color ambra lo fissarono per un secondo e mezzo, che durò più di quanto possa sembrare. Quel ciuffo castano scuro ogni tanto gli finiva sugli occhi, e con un movimento della mano se lo riportava su, dietro la testa.
«Voglio soltanto sapere chi sei. Non ti mangio mica!»
«Io… venivo a vedere le partite. Mi piace molto il basket, sì.»
Lo sguardo del ragazzo s’intensificò.
«Johnatan, vorrai mica credere che io non sappia chi sei?» ammiccò.
«Ma se fino a pochi minuti fa hai fatto finta di nulla! –stava iniziando ad innervosirsi– senti, io non posso perdere tempo qui. Devo tornare a casa, mi sembrava finalmente di aver trovato un posto sicuro dove stare e poi arrivi tu!»
«Vuoi forse dire che ti dispiace la mia presenza?»
«Puoi andare via da qui e lasciarmi il braccio? Grazie.»
«Io non ti lascio andare. Vieni con me.»
E prime che Johnatan potesse accorgersene, Peter strinse ancor di più la presa, come se avesse paura che potesse fuggire via da lui.
Lo portò con sé, in un posto che pochi conoscevano. Era un vicolo stretto, dietro un bar a pochi metri dalla scuola. Nessuno mai aveva provato ad avvicinarsi, circolavano strane “leggende” riguardo quel vicoletto.
Erano tutti presi da quelle false storielle urbane di uomini scomparsi lì dietro, e mai più ritrovati. Le classiche storie che si raccontano ad Halloween attorno al focolare.
«Perché cavolo mi hai portato qui? Lasciami o giuro che ne pagherai le conseguenze!»
«Tu non vuoi davvero che ti lasci, Johnatan Sorensen. Ho passato quattro anni della mia vita a cercarti, senza mai riuscire a trovarti davvero. Ho passato quattro schifosissimi anni della mia vita ad immaginare dove potessi essere, e quando ho scoperto che eri qui, beh, mi è sembrato di poter toccare l’arcobaleno con le dita.»
«Cosa vuoi dire?»
Peter afferrò il cellulare e aprì le foto. Ce n’era una in particolare che ritraeva un ragazzo seduto sugli spalti, a studiare. Lo stesso ragazzo che in quel momento si trovava lì con lui.
«Cosa vuol dire tutto questo?»
«Chiudi gli occhi.»
«Ma…»
«Chiudi gli occhi e ascolta!»
Johnatan obbedì. Eccola di nuovo, quella sensazione di calore. E di nuovo lo stomaco era in subbuglio, e con lo stomaco anche l’intestino, la milza, il fegato, il cuore, il cervello. Ogni singolo muscolo era lì che danzava in silenzio, le orecchie completamente rosse, come il fuoco. E poi ci fu il tocco.
Si ritrovó la bocca tappata da qualcosa di morbido.
Aveva paura di aprire gli occhi, ma già sapeva cosa stava accadendo.
Affondò le dita nei capelli del ragazzo, mentre le loro lingue non la smettevano di girare, l’una contro l’altra.
Il respiro si faceva sempre più affannato, e le guance di Johnatan aveva acquistato un colorito rosso che quasi faceva impressione. Si trovava in paradiso, oltre le nuvole, oltre qualsiasi altra cosa visibile all’occhio umano.
Era tra le braccia del ragazzo che per quattro anni di fila era il centro dei suoi pensieri.
Aprì gli occhi istintivamente, scrutando quelli di Peter. Un verde così intenso, lucido, profondo. Erano una voragine. Sembravano delle biglie. Le più belle. Quelle che tutti i bambini vorrebbero, quelle che costano di più, quelle che fanno invidia se le tiri fuori dalla tasca.
E Peter quelle biglie ce le aveva infilate sotto le palpebre.
«E ora?»
«E ora che ti ho trovato difficilmente ti permetterò di andare via da me.»
«Io non ho mai detto di voler andare via.»
 
Sembravano tanto due bambini che avevano appena ricevuto dei giocattoli nuovi. Si erano ritrovati, guardati, innamorati, appartenuti. Ora Johnatan non era l’unico ad avere un segreto. Ora il suo non era nemmeno più un segreto. Aveva trovato le labbra giuste, e non voleva più lasciarle.


SPAZIO DELL'AUTRICE: Come abbiate potuto intuire sono "pro" l'omosessualità, como sono pro a tantissime altre cose riguardo questo argomento.
Dall'introduzione si può ben capire che gli omofobi qui non sono accetti, se avete qualche offesa da fare pensateci due volte, poi chiudete la pagina e andate in bagno a fare cacca. Magari vi verrà qualche idea più produttiva.
Con affetto, Mel.
​PS: Questa storia non è delle migliori purtroppo, ma spero vi sia piaciuta ugualmente.


 
   
 
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