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Autore: nitidi sogni    02/01/2014    0 recensioni
“E allora ce la farai. Perché se è vero che la forza per noi stessi non è mai abbastanza, quella per le cose che amiamo di più è sempre sorprendente.”
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La pioggia cade fitta. Non lascia alcuno spazio per altre cose. E’ la sola adesso a dominare il cielo, la terra e qualunque cosa ci sia di mezzo. Un po’ come i miei pensieri che si sono annullati completamente, quando mi è stata fissata la data dell’operazione. Tutte le parole, le risate, le lacrime e le paure sono state conservate in un cassetto lontano. Lontano da me, dalla mia mente, lontano dal mio cuore, lontano e trasparente. Non lo riesco neanche più a vedere. Come se fosse sprofondato. Ucciso dal peso di questo nuovo pensiero. Ucciso dal peso delle preoccupazioni invincibili.
La mia vita è appesa ad un filo e stranamente mi sento leggera. Privata di qualunque emozione. Certe volte mi sorprendo di non riuscire neanche a piangere, o peggio a non avere neanche paura. Come se fossi già morta dentro, come se quelle scarpette rosa chiuse nell’armadio siano già un’arma sufficiente a trafiggermi il cuore.
“La tua vita non finisce qui”.
L’sms di Sara che rileggo quando mi sorprendo sul ciglio di un burrone, senza paura e anche forse con un po’ di voglia di buttarmi giù. Di fare il volo più alto. Di cadere felice.
Come quando sai che stai sbagliando, come quando sai che ti farai un male enorme, ma lo fai lo stesso. Ti ci butti in pieno in quell’emozione nitida e sincera, perché sai che sarà una caduta orribile, ma sarà preceduta comunque da un volo fantastico.

Sara ci crede. Nelle rinascite. Nei miracoli.
Crede in Dio e in quelle cose lì, beata lei!
Crede anche in me, nella mia forza, nei piedi che ricominceranno a fare l’unica cosa che so fare bene nella mia fottuta vita: ballare.
Ma io non ci credo nei miracoli, nelle rinascite. E sono atea, quindi non credo neanche in Dio. E peggio ancora, io non credo in me stessa.

Sono sempre stata troppo fragile, tranne quando mi muovevo su quel palco. Tranne quando la danza mi portava via. Via dalla pioggia, via dalle voci. Via da qualunque cosa che mi fosse troppo familiare, da qualunque cosa potesse opprimermi, e occupare spazi solo miei. Spazi liberi, come quei giardini che si vedono nei telefilm americani. Quelli che la mamma ama tanto.

La mia vita non è nelle mie mani, e questo dovrebbe consolarmi, o quanto meno tranquillizzarmi, ma non è così. Perché qui non sto lottando per una cosa mia, ma per una cosa che amo. Per la cosa che amo. Per l’unica cosa in grado di rendermi felice. La mia danza.

“Tesoro è ora di andare”, la voce di mia madre che mi sussurra all’orecchio è dolce e serena, come se dovessimo andare ad una festa, o al mio primo appuntamento, e non a decidere della mia vita, del mio futuro.
“Ci credi? No, perché sai, Sara ci crede. In me. Nella mia danza. E nelle mie gambe che fra poco verranno tagliate da quei chirurghi. Non crede in quei medici, ma nella mia forza d’animo. Mamma, tu ci credi? Perché io non sono forte abbastanza, se si tratta di me.”
“Oggi vai a lottare per te stessa, o per la tua danza?”
“Per la danza, mamma. Per la mia danza.”
“E allora ce la farai. Perché se è vero che la forza per noi stessi non è mai abbastanza, quella per le cose che amiamo di più è sempre sorprendente.”
Mi alzo dal letto, trafitta dalla potenza di quelle parole.
Mamma, quanto sei brava con le parole.
Mi vesto, e la paura mi assale. E’ la prima vera emozione che provo dopo mesi, e la cosa mi fa ridere e piangere insieme. Ridere per la “me stessa” ritrovata. Piangere per la paura che adesso sale, scende e si capovolge nel mio corpo, come su una grossa montagna russa.
Ci dirigiamo verso l’ospedale, e i miei mi sembrano spaventati. Spaventati e travolti da una paura che m’han sempre cercato di nascondere. Scendiamo dall’auto e li fermo davanti all’entrata.
“Non abbiate paura per me. Credo che alla fin fine ce la farò”, dico con una voce strozzata che non convince neanche me. Ma sembra convincere loro, visto l’abbraccio in cui adesso mi trovo avvolta.
E capisco che la mamma aveva ragione. Se c’è da avere la forza per le cose e le persone che ami, questa sarà sempre più grande di quanto immagini.
I miei genitori mi salutano prima che i medici mi accompagnino nella sala operatoria.
Il corridoio davanti a me si svuota, o meglio io lo vedo vuoto. Somiglia alla passerella che devo attraversare prima di raggiungere il palco del teatro. E mi viene voglia di correre. Correre e ballare. Correre e ritrovarmi avvolta tra gli applausi scroscianti.

Ma dentro me, fortunatamente, la consapevolezza di dove sono e cosa sto per fare, non svanisce.
Mi ritrovo sul lettino della sala operatoria, e prima che mi addormentino chiedo solo una cosa. Mi giro lenta e vigile verso il chirurgo e gli dico: “Non si tratta delle mie gambe. Non si tratta di riprendersi. Operi come se ci fosse in gioco la mia vita.”
“Lo faccio sempre” mi risponde lui diretto, e concentrato. E io mi addormento con la vista della passione che sbrilluccica nei suoi occhi giovani, e so di essere in mano a qualcuno che ama qualcosa quanto me, e questo mi fa sentire al sicuro.
Mi risveglio in una stanza piena di fiori e regali. Apro gli occhi con cautela. Cosa mi aspetterà? Cosa sentiranno le mie orecchie? Voglio davvero saperlo?
Quando finalmente riesco ad aprirli, vedo mia madre, mio padre e Sara. Mi guardano con un sorriso da rompere l’anima. E so che inevitabilmente lo porterò dentro gli occhi e la testa per tutta la vita.
Mamma mi porge una scatolina rosa.
“Un regalo?”
“Molto di più, tesoro. Molto di più”.
La apro con cautela, come se volessi ricordare ogni minimo movimento che faccio adesso, per poterlo descrivere al meglio, quando lo racconterò. Magari ai miei figli.
Dentro ci trovo le mie scarpette. Le abbraccio, e inizio a piangere di gioia.
In quel momento entra il chirurgo, che davanti alla scena si appresta ad uscire, fermato da una mia parola, strozzata in queste lacrime di gioia.
“GRAZIE!”
Lui si gira compiaciuto e mi sorride.
E con gli occhi che brillano, aggiungo: “Mi hai ridato la vita”
“E tu l’hai ridata a me. Buona fortuna!”
E in questo momento le parole di mia madre si fissano in me con una forza devastante.
Perché se non credo in me, nei miracoli o in Dio, credo ancora in qualcosa.
Io credo nella forza e nel coraggio che si presentano come una grossa sorpresa, quando si tratta delle cose e le persone che ami.
  
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