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Autore: BlackDawn    24/05/2008    0 recensioni
One Shot ispirata dalla canzone 'River Flows In You' di Yiruma. Scritta in mezz'ora, di getto, una di quelle ispirazioni che arrivano ocme una ventata d'aria fresca. Spero sia di vostro gradimento.
Genere: Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rapida e commovente.
Come una ninna nanna al pianoforte, quando hai tutto ciò che puoi desiderare, e anche di più.
Come il chiaro di Luna, che inonda tutto di una bellezza accecante, ma con la calma e la delicatezza che solo l'amore sa generare.
Pericolosa, come quella musica che ti penetra nel cuore, che ti brucia, che ti fa pizzicare il naso dalla commozione.

Volteggiava, scattante, seguendo note immaginarie che vibravano nella sua testa, e non guardava dove camminava, sentiva solo i rintocchi della sua vita scandire il ritmo.
Piangeva, gridava, si feriva.
Viveva.

Come un fiore appena sbocciato, la sua libertà la sconcertava, e la rendeva viva più che mai.
Le mani volavano, aggraziate, leggere, sopra di lei, nell'aria, nel mondo, nelle leggi delle cose.
Nessuno avrebbe potuto fermarla, nessuno avrebbe osato arrestare quel magico dipinto d'armonia.
Le punte saltavano, disegnavano storie infinite, decoravano il terreno di arabeschi magici e leggende dimenticate, e crescevano con la musica, scivolavano come le dita di un abile pianista sui tasti avorio di un pianoforte.

Le lacrime le offuscavano il volto pallido, ma non le importava, così persa nei suoi sogni, a viaggiare sopra una nuvola, a scrutare i palazzi d'Oriente, ora nei prati d'Irlanda, ora su una barca nel Pacifico.
Era pura e semplice magia, un incantesimo fatato dettato da qualche fata, commossa dalla grazia di quel piccolo esserino.
Piccola e fragile, un puntino insignificante nel mondo.

Eppure si sentiva grande, e potente, e libera. Libera come nessuno era mai stato prima, libera come il vento in una notte di mezz'estate, libera come l'acqua che scorre tra le dita, senza fermarsi mai, mai, mai.
Lenta, veloce, non le importava.

Le importava solo del cielo che la proteggeva, del cuore che le pulsava in quattro pareti di carne, e della musica.
Dell’'energia che potevano trasmettere quattro note, del magico ardore che le bruciava nell'anima ogni volta che ascoltava la sua canzone preferita.
Se gli angeli l'avessero vista, sarebbero impalliditi.

Lei non era un angelo, non era un diavolo.
Era una creatura bella e dannata, maligna e celestiale, danzava sulle ali del vento di canzoni pagane, e volava, lontano, in un regno accessibile solo a pochi eletti, solo a chi sarebbe riuscito a capire il vero significato della vita.

Ancora un rintocco.
La vita scorreva, imprevedibile, e lei continuava a danzare, figlia dell'aria, figlia della poesia.
Le note si rincorrevano, e fuori dalla sua finestra, il mondo cambiava.
Un fiore sbocciava, un albero moriva; il fuoco bruciava, il cielo uccideva, e qualche anima pia avrebbe trovato voglia di morire in qualche nuovo romanzo d'autore.
Anche le stelle, lassù, vivevano la loro vita.

Lei aveva vissuto la sua come il più prezioso dei doni; aveva spiegato le sue ali da subito, e quando il Sole l'aveva accecata, aveva accolto i suoi raggi.
Decisa, aveva danzato per tutti quegli anni, senza un lamento, ingoiando il dolore e il bisogno di sentirsi meglio, calpestando i sentimenti per essere vuota, ed essere riempita ancora di musica e amore e vita.
Aveva catturato le note dolci, le più soavi, quelle che le imperlavano il volto radioso e scintillavano nella sua mente come candidi diamanti.

E le note gravi, dolorose, le aveva custodite nel suo cuore, segrete, preziose, per un ricordo lontano, per serbare una memoria del dolore.
Perché sapeva che quando sarebbe rinata, non avrebbe conosciuto il male.
Avrebbe sperato ogni giorno di rivedere la luce, e ogni giorno l'avrebbe persa, per poi ritrovarla nei suoi sogni.

Continuamente, danzava, creava giochi di luce e ombra, sognava e faceva sognare, brillava e dava vita a nuova luce.
La pelle, le ossa, i capelli; erano solo una prigione temporanea per la sua anima, una casa in affitto prima del sogno; sarebbe volata via, a far compagnia alle stelle, a danzare ancora sulla cima della Luna.
Non più lacrime, né grida né furore; solo la vera e pura libertà, libertà di vivere, di assaporare ogni momento, di baciare il cielo e tornare giù. Libertà di sentirsi viva, libertà di sognare, libertà di conquistare una meta che nessuno mai conoscerà.

Era semplicemente un sentimento, che pian piano cresceva, prendeva posto tra le vene di lei, nel suo sangue, le riempiva i polmoni, gli occhi vitrei, le labbra rosse d'amore.
Mai nessuno le aveva sfiorate, nessuno mai aveva accarezzato quella pelle, nessuno.
Era votata al suo dio personale, che non prometteva regni celesti al di là della vita, né vendetta ai blasfemi.
Il suo dio era come lei.
Danzava.
E prometteva solo vita al di là della vita.

Un fulmine le squarciava l'anima, un lampo le annebbiava la vista; era tutto parte del gioco, di quella fulgida danza di poesia, pura e semplice sensazione.
I piedi continuavano a girare, immuni al dolore, alla stanchezza, vincevano il sudore e continuavano a veleggiare, leggeri, con il pudore delle fanciulle.

Pur con la veste più bella del mondo, lei si sentiva nuda; solo quell'insieme di note soavi riusciva a rivestirla completamente, a permetterle di essere ciò che voleva, a lasciarla in braccio ai suoi sogni.

Il vento entrava lento, dalla finestra.
Gli occhi vuoti della ballerina volarono al mondo; vide la Luna, alta e sfavillante.
Vide il lupo, alto sulle rocce, lontano e maestoso.
Vide gli occhi di un gufo sull'albero, nascosti dalla Natura.

Le lacrime sgorgarono, felici, scivolando sulle gote di porcellana, danzando come lei stessa continuava a fare.
I passi rallentarono, infine.
La danzatrice ballava, vibrava, amava, e lentamente moriva.
Il tallone si appoggiò a terra.
Toccò il suolo con violenza, il ginocchio si piegò, e il corpo della danzatrice si riversò a terra , vuoto.
La ragazza volse l'ultimo sguardo alla luna.
L'ultimo passo di danza, e nascose la testa tra le braccia gelide.

La danzatrice restò ferma, la veste candida a ricoprire il suolo, mentre la musica attorno finiva.
Le note scomparvero, tornò il rumore, tornò il caos.
Il mondo riprese a girare, gelido e minaccioso, mentre una ballerina moriva d'amore.
Moriva d'amore per un desiderio, per il futile destino di un accordo su un pianoforte, moriva di dolore, di struggente bellezza.

Raccolta nel suo mondo di Suoni, persa tra la velocità del suono e la grandezza della Luce, la ballerina non si svegliò mai più.

E ancora oggi c’è una canzone, lontana, un’eco distorta, che suona e vive solo per lei, e per far danzare il suo ricordo, per proteggerla dal caos e per farla vivere tra le stelle.
  
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