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Autore: Maddy Pattz    03/01/2014    1 recensioni
One-shot ambientata prima della puntata pilota racconta di Blair, distrutta dalla partenza del padre e della sua migliore amica, e di Chuck, che in qualche modo le sta accanto. Qui non sono né fidanzati, nemici o amanti, ma solo e semplicemente amici, prima che tutto iniziasse. Due amici poco convenzionali che si ricordano perché lo sono fra feste opulente, vestiti firmati e vendette, com'è tipico dell' Upper East Side. Spero che vi piaccia e che lascerete un segno, magari lieve, del vostro passaggio.
xoxo Maddy
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Blair Waldorf, Chuck Bass, Nate Archibald
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
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“Così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato”, Il Grande Gatsby, Francis Scott Fitzgerald
 
Blair Waldorf salì i gradini della Costance con la sua innata eleganza, seguita a pochi passi dalle sue minions, che Chuck adorava vedere costantemente giudicate dagli occhi severi e dalle battute carezzevoli e taglienti di quella che era, a tutti gli effetti, la Regina dell’Upper East Side. Tutto il bel mondo newyorkese si aspettava, alla partenza di Serena Van der Woodsen, di vederla crollare miseramente, come un castello di carte, ma Blair aveva disatteso le speranze collettive con uno sguardo carico di sfida e un sorriso angelico ed altezzoso, splendente di Dior Rouge. Niente aveva saputo incrinarlo, neanche la fuga del padre in Francia con un modello, e ancora una volta l’elite di Manhattan l’aveva guardata con occhi ammirati, stupendosi del suo contegno. Era stata tanto impeccabile che, perfino la pungente Gossip Girl, che aveva scommesso su un inevitabile declino della sua monarchia, aveva dovuto ammettere la superiorità della propria avversaria e conferirle l’elegante soprannome di “Regina di Ghiaccio”. Chuck, tuttavia, aveva la presuntuosa certezza di conoscere Blair meglio di chiunque altro e sapeva che, abilmente celato dietro modi raffinati e sorrisi smaglianti, tutto aveva un aspetto ben diverso e lei non era affatto di ghiaccio.
<< Bass>> esordì una voce familiare con una nota sprezzante.
<< Waldorf>> rispose risvegliandosi dai suoi pensieri e voltandosi verso Blair, che aveva lasciato le sue minions per raggiungerlo. La scrutò con uno sguardo lascivo, soffermandosi sulle gambe lunghe fasciate da un paio di deliziose calze nere. << Cosa posso fare per la mia Regina preferita?>> indagò curioso schioccandole un sorriso accattivante, che le fece alzare gli occhi al cielo.
<< Accompagnarmi a scegliere in quale locale festeggiare il mio compleanno>> rispose tranquillamente Blair, il cui tono sembrava più impartire un comando piuttosto che avanzare una richiesta. Chuck soffocò quasi una risata al pensiero che fosse l’unica persona a rivolgersigli con tanta impertinenza e, contrariamente a quanto sarebbe accaduto con chiunque altro, la cosa non lo irritava minimamente. Forse perché era una delle pochissime persone che reputasse al suo stesso livello: aveva una classe fuori dal comune, una particolare predisposizione per il complotto e la distruzione sociale e, a differenza di ogni ragazza della Costance, non gli si era mai concessa. La prospettiva di trascorrere un pomeriggio diverso dal solito con una compagnia interessante come la sua lo allettava, ma non era nel suo stile cedere tanto in fretta e soprattutto senza prendersi il piacere di stuzzicarla o metterla in imbarazzo, per cui le chiese: << Come mai è richiesto il mio aiuto? Il caro Nathaniel o le tue ancelle non possono accompagnarti? O vuoi forse sedurmi lontano da sguardi indisturbati?>>.     
<< Sedurti, Bass? È più probabile che Georgina Sparks diventi suora>> rispose sarcastica e, visualizzando per qualche secondo l’immagine di Georgina nella propria mente, Chuck dovette ammettere che la risposta di Blair non era poi così lontana dalla realtà e concederle un punto, con ben celata ammirazione. << Nate mi direbbe che qualsiasi locale è perfetto pur di mettere fine rapidamente alla scelta e in quanto alle mie minions secondo te possono aiutarmi quando non distinguono neanche il crema dall’ecru??>> domandò retoricamente e il suo tono si fece scandalizzato e sprezzante nel parlare delle sue ancelle e un delicato moto inorridito le scosse i boccoli perfetti.
<< Quindi fammi ben capire ti serve il mio eccellente gusto?>> le chiese, con un’aria che avrebbe voluto apparire innocente, ma come poteva un Diavolo esserlo?
<< Di tutto ti si può  accusare Bass, ma il non avere classe o gusto non rientrano nella categoria>> rispose lei con aria di sufficienza.
Chuck sentì le labbra curvarsi in un ghigno compiaciuto. << Era un complimento, Waldorf?>>.
<< Affatto>> rispose. << Semplice constatazione>> aggiunse allisciando un’immaginaria piega della gonna di raso rosso.
<< Ti vengo a prendere alle quattro>> acconsentì. Gli parve di scorgere un sorriso vittorioso sulla bocca piena e sensuale di lei mentre si voltava, ma non poteva esserne certo.
 
<< Oh Mr Chuck, che piacere vederla!>> esclamò calorosamente Dorota prendendo in consegna il suo cappotto. Ricambiò il calore della donna con un lieve sorriso, declinando l’offerta di qualcosa da bere.
<< Blair?>> domandò alla cameriera.
<< La signorina è pronta, scenderà fra qualche istante>> rispose, proprio mentre Blair faceva la sua comparsa in cima alla scalinata. Era avvolta in un vestito dalla scollatura media e dalle maniche lievemente gonfie, ogni singolo bordo era ricamato in nero, che riprendeva il colore delle calze ed intensificava il rosso porpora della seta. A giudicare dallo stile un po’ imperiale doveva essere certamente firmato Eleonore Waldorf.  I superbi ricci castani erano raccolti in alto sulla nuca da un fermaglio di rubini.  La sua mise era completata da un paio di Alexander Beerman rosse e da uno pochette, Louis Vuitton, nera. 
<< Incantevole>> si complimentò facendole un elegante baciamano quando giunse al termine della scalinata.
<< Inutilmente lusinghiero Bass, ma devo ammettere che neanche il tuo completo è male>> commentò Blair algida, ritraendo la mano con un accenno di palese superiorità negli occhi. Chuck ghignò, amando eccedere e sorprendere pur rimanendo un indiscusso maestro di eleganza, aveva scelto un completo Trussardi dalla linea semplice, ma abbinato a una camicia di un acceso viola.
<< Che tipo di festa vorresti?>> indagò, facendo scorrere il morbido tessuto della sua sciarpa di patchwork fra le dita. Le lanciò un’occhiata di sottecchi e vide, solo per qualche istante, un’ombra fosca velarle il viso, rivolto verso le strade affollate. Non seppe stabilire con precisione cosa fosse, forse tristezza, ma, nonostante le numerose crepe nella sua maschera, Blair non ne aveva mai dimostrata. Tuttavia quando puntò gli occhi sul suo viso erano sicuri e animati quasi da una luce bellicosa, così come la sua voce, neanche lontanamente titubante. << Voglio una festa elegante, di classe, originale. Voglio una festa che nessuno potrà dimenticare. Voglio una festa che mostri che sono la Regina e lo sarò sempre>> rispose.
<< Ambizioso>> commentò lui con un sorriso intrigato. Se conosceva Blair c’era qualcos’altro oltre al desiderio di dimostrare al mondo di essere infinitamente superiore a muovere quella sua caccia al locale perfetto e si dava proprio il caso che lui morisse dalla voglia di scoprire cosa fosse.
<< Sono Blair Waldorf>> replicò con uno sguardo colmo di superiorità ed orgoglio. Già era Blair Waldorf, il suo rompicapo preferito e la donna più complessa che avesse mai avuto occasione di conoscere, ma era in questo che consisteva il suo essere diversa e migliore, perlomeno ai suoi occhi, di tutte le altre.
<< Che ne pensi?>> gli domandò Blair, mentre camminava per un locale sulla settantaquattresima strada, esaminando il tutto con occhi critici ed esigenti. Il direttore del locale, che conosceva bene entrambi, li guardava con un misto di febbrile aspettativa celata da un sorriso ossequioso. 
<< Scontato>> rispose. Il locale era certamente elegante, ma mancava di personalità e gusto. Mancava di quei piccoli dettagli che avrebbero reso la festa di Blair straordinaria.
<< Sono d’accordo. Passiamo al prossimo?>> chiese lei voltandosi con aria interrogativa. Fece un cenno affermativo con la mano e, mentre uscivano, per dirigersi al locale di fronte, le tenne la porta.
<< Abbiamo ripassato il galateo prima di uscire, Bass?>> gli domandò sarcastica Blair con un sorriso dolcemente tagliente sulle labbra perfette.
<< Tutto pur di non sentirti lamentare>> replicò con tono fintamente morbido lanciandole un’occhiata di scherno, che solitamente piegava chiunque senza alcun problema, ma ovviamente non lei, che sorrise angelicamente, con un luccichio malizioso negli occhi, dicendo: << Attento potrei sempre iniziare>>.
“ Avvistati Blair Waldorf e Chuck Bass passeggiare per Manhattan. A quanto pare la Regina ha chiesto aiuto al Diavolo per scegliere il locale per la festa del suo compleanno. Non sembrerebbe niente di insolito,  ma nulla rispetta la banale normalità se si parla di C e B. Fatemi divertire.”.
<< Iniziavo a chiedermi se si fosse scordata della nostra esistenza>> commentò Blair infastidita scorrendo il blast della blogger con occhi astiosi.
 
<< Ho un favore da chiederti in cambio del mio aiuto>> esordì tranquillamente Chuck mentre la riaccompagnava a casa dopo un pomeriggio passato a visitare locali di lusso, di cui avevano fatto una prima selezione. Blair si voltò verso di lui con uno sguardo circospetto, dopotutto era pur sempre Chuck Bass, il cavaliere nero, che aveva stretto un patto con il diavolo, dell’Upper East Side.
<< Ovvero?>> chiese Blair, celando il lieve nervosismo che era serpeggiato in lei dietro un tono di voce saldo, quasi beffardo.
<< Una distruzione sociale>> rispose Chuck con un ghigno malizioso e un luccichio diabolico negli occhi di tenebra.
<< Sembra interessante>> commentò guardandosi con finta noncuranza le unghie innegabilmente perfette.
<< Oh andiamo Waldorf nessuno adora gli scandali e la distruzione sociale più di te>> la lusingò lui con un sorriso perfidamente consapevole. << Tranne me, ovviamente>> aggiunse con uno sguardo serafico ed arrogante.
Finse di pensarci qualche istante, prima di dire con un sorrisetto perfido: << Chi è la nostra vittima, Bass?>>.
<< Robert Lively, capitano della squadra di football del Saint  Jude>> rispose Chuck, pregustando probabilmente con infinito piacere il momento in cui sarebbe miseramente caduto schiacciato dalle sottili trame, che le abili dita di entrambi gli avrebbero tessuto attorno.
<< Cosa ha fatto per meritarsi la tua ira?>> indagò curiosa, scrutandolo.
<< Ha insultato la mia sciarpa e il mio Lost-weekend>> disse lui assottigliando gli occhi e stringendo le labbra, stizzito, mentre si sistemava la suddetta sciarpa al collo. Certamente a qualcun altro le motivazioni di Chuck sarebbero parse vuote e ridicole, ma lei era Blair Waldorf e sapeva bene cosa significava dover difendere, a qualsiasi costo e con qualsiasi mezzo, il proprio potere.
<< Perché hai bisogno del mio aiuto?>> lo interrogò sinceramente curiosa. Chuck era abile quanto lei nell’ordire complotti e nessun scrupolo nell’attuarli, avrebbe potuto distruggere Robert Lively senza alcuna difficoltà.
<< Non sei forse la Regina della Costance, Waldorf? Nessuno ha più servigi di te da riscuotere>> replicò Chuck con un sorriso affascinante e uno sguardo lascivo, che fece impudicamente scivolare sulle sue gambe.
<< Vedrò cosa posso scoprire>> concesse magnanima con finta aria annoiata, ma sapeva che gli occhi le stavano luccicando maliziosi e perfidi. 
 << Ne discutiamo domani a pranzo?>> le domandò lui.
<< No, domani pranzo con Nate>> rispose con un sorriso allegro. Lei e Nate, la cosa più simile al principe azzurro che si potesse trovare a Manhattan, uscivano insieme da tempo ormai immemore ed erano la coppia più invidiata dell’Upper East Side. La coppia perfetta. Troppo perfetta, le suggerì una vocina maliziosa nella sua testa.
<< Oh cielo, preferisco starvi lontano>> esclamò Chuck arricciando il naso, con aria spontaneamente terrorizzata.
<< Non sia mai che diventi monogamo>> replicò lei divertita, lasciandosi scappare un sorriso genuino e spontaneo. Si irrigidì improvvisamente, non era da lei essere così … spontanea, non a caso la chiamavano “la Regina di Ghiaccio”.
<< Non ci contare, Waldorf>> replicò lui, dedicandogli un lieve e rapido sorriso.
 
<< Bass>> lo salutò Blair, la mattina dopo, andandogli incontro con un sorriso fieramente soddisfatto e uno sguardo maliziosamente diabolico. La sua camminata era, come sempre, decisa ed elegante, nonostante i tacchi alti delle sue Jimmy Choo nere. << Dileguatevi>> intimò con un sorriso carezzevole e uno sguardo imperioso ai ragazzi che lo seguivano, ammaliati dai suoi racconti. Quelli sbirciarono, probabilmente intimoriti dalla fama di Blair, nella sua direzione quasi a chiedergli il permesso di ubbidire alla Regina. Chuck fece un annoiato cenno con il capo e quelli sparirono, lasciandoli soli nel corridoio ormai deserto.
<< Hai allontanato i miei “amici” per farmi una proposta sconcia, B?>> gli domandò malizioso, godendo del broncio irritato, che sfiorò quelle labbra perfette, e del lampo di esasperazione negli occhi di lei, che, contrariamente a tutte le ragazze della Costance, pareva immune al suo fascino.
<< Affatto, sono qui per la vendetta, che avevamo in programma>> rispose lei, ignorando completamente la sua affermazione. Parlava di vendicarsi come se fosse una cosa perfettamente normale ed era spietata quanto lui, il che, inevitabilmente, lo affascinava.
<< Hai trovato qualcosa, Waldorf?>> domandò con occhi luccicanti di cattiveria, che, istantaneamente, vide riflettersi anche negli occhi di lei, mentre un sorriso angelico tagliava quelle sue labbra di porpora.
<< Molto più di qualcosa, Bass>> .
<< Esaminiamo il materiale in limousine mentre continuiamo a vistare Manhattan alla ricerca del locale perfetto?>> domandò interrogativamente, pregustando intimamente il piacere sottile che avrebbe tratto dal distruggere quell’insignificante ragazzo. Lei sorrise, annuendo con un cenno affascinante e distratto del capo, prima di girare elegantemente su se stessa e sparire, lasciandosi dietro una scia di peonie e Chanel no5.
 
Il West Edge sorgeva sulla statale per Long Island, appena fuori da Manhattan ed offriva, grazie a delle immense vetrate, una vista spettacolare su questa. Aveva inoltre un qualcosa di retrò, che gli regalava una classe e un eleganza fuori dall’ordinario.
<< Direi che l’abbiamo trovato>> disse Chuck, dopo che ebbero fatto un lungo giro panoramico. << È perfetto, sembra uscito da un romanzo di Fitzgerald>> aggiunse soddisfatto, osservando il tutto.
<< Fitzgerald, Bass?>> chiese Blair voltandosi verso di lui, con un sopracciglio inarcato ed un’aria curiosa ed intrigata negli occhi.
<< Si, perché?>> chiese, inclinando il viso di lato, carico di aspettative. Sapeva che lei non l’avrebbe deluso.
<< Il tema della mia festa sarà la New York degli anni trenta in stile Grande Gatsby>> rispose Blair con un sorriso, consapevole del totale successo, che la sua idea era destinata ad avere.
<< Eccessivo, ma con gusto e classe. Elegantemente fuori dall’ordinario>> replicò, cedendole ammirato l’ennesimo punto. Difficile comprendere come una simile creatura tanto raffinata e machiavellica potesse stare con un santarellino come Nate. << La tua festa sarà l’evento della stagione>>.
<< Lo so>> rispose lei con un sorriso vittorioso, ma un che di lontano nello sguardo.
Poco dopo erano seduti a uno dei tavolini del locale, sorseggiando tranquillamente i rispettivi drink, uno scotch lui e un Martini lei.
<< La nostra distruzione sociale?>> domandò, sorseggiando con indolenza il liquido ambrato nel suo bicchiere. Blair sorrise maliziosamente divertita, sfilando dalla sua Kelly Bag azzurra, di uno o due toni più chiari rispetto al vestito, una busta di pregiata carta, che poggiò sul tavolo. Chuck la afferrò, trovandosi ad osservare una serie di foto molto interessanti, che ritraevano Robert Lively in atteggiamenti decisamente inequivocabili con una biondina, che gli era vagamente familiare.
<< Quella sul tavolo è coca, o forse i miei occhi mi ingannano?>> domandò con un ghigno compiaciuto.
<> rispose lei con un sorriso, facendole scivolare delicatamente un dito, smaltato di rosso sangue, sul bordo del suo bicchiere.
<< Chi è la biondina?>> chiese interessato.
<< La sua sorellastra, Helen Carter. È il capitano della squadra di hokey su prato>> rispose Blair, con aria quasi annoiata. << Un’ochetta senza cervello, che tenta di entrare nella mia cerchia da mesi>> aggiunse sprezzante, arricciando il nasino aristocratico con disgusto.
<< Oh abbiamo fra le mani un grosso scandalo. Cosa proponi, Waldorf? Ricatto o completa distruzione sociale su Gossip Girl?>> domandò, intrigato, sporgendosi verso di lei con un luccichio totalmente perfido negli occhi, sapendo già quale sarebbe stata la sua risposta.
<< Completa distruzione sociale, ovviamente>> rispose lei, con un sorriso incredibilmente diabolico. Non importa quanto camminiamo sulla retta via, l’Inferno ci tenterà sempre e cedervi, di tanto in tanto, non è poi così scandaloso, perché, nonostante tutto anche il buio fa parte di noi.
<< Come hai avuto queste informazioni?>> indagò intrecciando le mani e posandovi il mento.
<< Come hai detto ieri, sono la Regina. Se esigo di sapere qualcosa, lo ottengo>> replicò con alterigia superiorità, alzando il mento, fiera. Chuck conosceva lo sguardo che albergava negli occhi di lei, era quello di chi è conscio del proprio potere.
<< Una temibile Regina>> commentò, divertito, pensando a come tutti le ubbidissero e la riverissero, temendo di scatenare le sue ire.
<< È dura essere una Regina e i segreti sono un’arma potente, ma a doppio taglio>> disse lei, mentre i suoi occhi si spostavano sull’orizzonte nebuloso dell’oceano, macchiato da qualche nave.
<< Solo se i segreti sono i propri>> replicò Chuck, con un’occhiata penetrante. Blair riportò lo sguardo su di lui, tentando di celare quanto quel suo commento apparentemente casuale l’avesse in realtà turbata. Cosa nascondeva Blair dietro quella patina perfetta? Dolore? Rancore?
<< Qual è il tuo segreto, Blair?>> le domandò a bruciapelo. La vide impallidire un poco, nonostante il phard, che le deliziava le guancie di un’ombra rosata.
<< Se te lo dicessi non sarebbe più un segreto>> rispose lei con nonchalance. Un sorriso enigmatico sulle labbra, che aveva il familiare sapore di una verità inconfessabile e di una solitudine latente.
 
La pausa pranzo giungeva al termine ed il cortile della Costance – St. Jude era affollato di studenti, quando un trillo acuto, quasi unanime, si diffuse nell’aria, mettendo a tacere ogni chiacchiera.
“Non così in fretta Upper East Siders, il pranzo non può considerarsi concluso fino a che io non vi servo il dessert. Pare che recentemente Robert Lively abbia sviluppato interessi molto diversi dal football  e che vertono su uno scandaloso spettacolo di burlesche, in compagnia di una magica polverina bianca, e sulla condivisione degli spazi domestici con la sua sorellastra, Helen Carter. Quello in cui sono maggiormente in sintonia? La camera da letto, naturalmente. Anche se riescono a fare scintille anche sul bancone di uno squallido club di Brooklyn. Oh, oh sembrerebbe proprio che la brillante vita del nostro capitano sia appena stata annientata. Non te l’hanno detto, R? Mai sfidare Chuck Bass, soprattutto se il suo alleato è Blair Waldorf. Nessuno li può vincere. Guarda ed impara Manhattan perché pare proprio che i tuoi sovrani siano più forti che mai. Xoxo Gossip Girl”.
Gli occhi dell’intera scuola si puntarono su Robert Lively ed Helen Carter, agghiacciati e scioccati, prima di spostarsi su di loro, in piedi sulla cima della scalinata. Dominavano la scena dall’alto e parevano davvero due sovrani, che avevano appena fatto tagliare la testa a un disertore dinanzi a un popolo entusiasta e riverente.
<< Una vittoria sublime, è proprio vero che la vendetta è un piatto che va servito freddo>> commentò Chuck, soddisfatto, sfoderando un ghigno malizioso e compiaciuto.
<< Sono d’accordo, Bass. Siamo stati davvero straordinari>> replicò Blair, con un sguardo carrezzevolmente perfido, mentre i suoi occhi si posavano sui due malcapitati, a cui sorrise. In quel momento sembrava davvero una Regina, con quei suoi boccoli fitti e scuri, che le contornava il viso pallido, su cui, come due fari, brillavano di cattiveria e trionfante orgoglio gli occhi scuri di lei, e con quelle sue labbra, incendiate di rosso e tagliate da un sorriso perfido e fintamente angelico. Ogni cosa in lei sembrava emanare grazia, determinazione ed eleganza. In Blair niente era lasciato al caso, anche il più insignificante dei dettagli era trattato con estrema cura.  La guardò era così crudelmente bella vestita dello stesso pregiato abito del potere che indossava lui e pensò che Gossip Girl in fondo aveva ragione erano destinati a vincere e a regnare.
 
Chuck camminava per la 5th Avenue, quando si imbatté in Blair, seduta sul più alto dei gradini del Metropolitan, con il consueto barattolo di yogurt magro fra le mani. Improvvisamente Penelope, in quello che Chuck reputò un gesto profondamente sconsiderato, si sedette al suo fianco. L’unica ad aver mai avuto quell’onore era stata Serena, ma, da quando era partita, quel posto era rimasto perennemente vuoto. Si avvicinò, curioso di sentire la reazione di Blair e fingendo indifferenza si sedette a poca distanza da loro.
<< Penelope da quando ti avrei concesso l’onore di sederti accanto a me?>> sibilò Blair gelida, con occhi duri. L’insignificante ragazza, che tentava palesemente di imitarla senza alcun successo, divenne scarlatta, ma non si mosse. << L’unica ad aver mai avuto tale privilegio è Serena>> aggiunse con tono tagliente. Era la prima volta che Chuck la sentiva nominare Serena da quando si era dileguata in qualche sperduto e lussuoso collegio del Connecticut mesi prima.
<< Ma Serena se né è andata, B>> osservò Penelope con fare ovvio, tentando di non farsi intimorire.
<< Perspicace, Penelope, sul serio, ma questo non cambia le cose. Serena era l’unica che potesse anche solo lontanamente pensare di essere una mia pari, tu no. Quindi se lei non c’è questo posto rimane vuoto>> rispose Blair fredda, con il suo miglior sguardo sprezzante, facendo un gesto aggraziato della mano verso il basso. Penelope, rossa di umiliazione, si sedette appena due gradini più in basso accanto alle minions.
<< Oh no, P. Oggi pranzerai con le reclute>> mormorò dolcemente Blair, con un sorriso intriso di tenera vendetta. Penelope sgranò gli occhi e si sedette fra quelle del primo anno, che guardavano la Regina fra l’ammirato e il terrorizzato.
 
<< Povera Penelope, l’hai proprio annientata>> mormorò roca una voce alle sue spalle, mentre apriva l’armadietto.
<< Nessuno osa sfidarmi a quel modo>> replicò, algida e sicura, voltandosi ed incrociando gli occhi scuri come la notte di Chuck Bass. Si sentì improvvisamente nuda sotto quegli occhi  così intensi da farla rabbrividire. Perché sembravano leggerla? Erano così vicini che i loro nasi quasi si sfiorarono.
<< Nessuno osa toccare ciò che è stato di Serena Van der Woodsen>> replicò quasi a correggerla. Blair si sentì impallidire. Come aveva fatto a capire che non era solo la gerarchia ad averla spinta ad umiliare Penelope in quel modo? Come aveva fatto a capire che le mancava la sua miglior amica?
<< Serena se ne è andata, Chuck e a me non potrebbe importare di meno>> sbottò sicura, sfidandolo con lo sguardo. Non poteva permettersi che qualcuno dubitasse di quello, perché avrebbe aperto uno squarcio nella gabbia di ghiaccio in cui aveva congelato i suoi sentimenti e lei si sarebbe mostrata nella sua più profonda e completa debolezza al mondo. Aveva bisogno di convincere il mondo di non aver bisogno di Serena per brillare, era soprattutto per questo che voleva che la sua festa fosse un successo. Non poteva permettersi che qualcuno vedesse qualcosa di più della perfetta Regina B.
<< Puoi ingannare le tue minions, il mondo, tua madre, Dorota e perfino il caro Nathaniel, Blair, ma non me. Serena ti manca terribilmente. Ti manca quando vai a fare shopping da sola; quando vai a fare colazione con Nate fuori la domenica mattina, invece di rimanere a casa a vedere “Colazione da Tiffany” come avete sempre fatto; ti manca andare a scuola, scegliere il vestito per una festa o semplicemente parlare con lei. Ti manca tua sorella e sei arrabbiata con lei, perché è partita senza una spiegazione o un saluto>> sbottò, quasi esasperato ed arrabbiato. Il tono secco e duro. Blair arretrò sotto il peso di quelle parole, perché era inutile fingere e lui, come sempre, aveva capito. Serena le mancava come l’aria che respirava, perché, semplicemente, era un pezzo di lei.
<< Tu non sai niente, Chuck>> mormorò sentendo gli occhi farsi umidi. Si voltò scappando dall’unica persona che avesse capito, dall’unica che sarebbe sempre riuscita a leggerla.
 
Il ticchettio delle sue Mary Jane sembrò rimbombare nel silenzio, che avvolgeva il suo attico, schiaffeggiandola silenziosamente. Non c’era nessuno, un sorriso carico di derisione verso se stessa le affiorò alle labbra. Che cosa si aspettava con Eleonore a Milano per la fashion week e Dorota con la giornata libera? Perché quel giorno avrebbe dovuto essere diverso da quelli che lo avevano preceduto e da quelli che sarebbero seguiti? Avrebbe potuto chiamare Nate, ma quella sera non avrebbe retto il peso del suo sguardo assente, perso a sognare una chioma bionda e due oceani azzurri, perso a sognare la sua migliore amica. La stessa migliore amica che l’aveva abbandonata senza una spiegazione, senza una parola, senza un perché. Faceva così male e non capiva, dannazione era sempre stata il suo dannatissimo baricentro. “Ti starò sempre accanto, B”. Serena gliel’aveva promesso in una notte stellata di tanti anni prima, quando erano poco più che delle bambine, niente di più che una bugia. “Ti amo, Blair”. Parole che Nate le diceva più volte al giorno, ma con gli occhi che raccontavano l’amore per qualcun altro, qualcuno che non era lei. Un’altra bugia. “Qualsiasi cosa accada papà ti amerà per sempre Blair – bear e non ti abbandonerà mai”. Il suo papà glielo diceva ogni sera prima di addormentarsi, ma era ancora una bugia. “Sei perfetta tesoro, non devi dimagrire”. Eleonore gliel’aveva detto in una mattina di dicembre, ma ogni giorno le riservava uno sguardo indifferente e critico prima di rivolgere uno sguardo  pieno di apprezzamento alle curve di Serena. L’ennesima bugia. Tutto ciò che la circondava non era niente di più che un’orribile bugia, a cui credeva, perché farlo era più semplice che affrontare la realtà. Le persone che amava si eclissavano dopo averla illusa di quel meraviglioso “per sempre”, a cui il suo sciocco cuore non riusciva a rinunciare. Perché tutti la abbandonavano? Quella domanda incrinò qualcosa in lei: la calma gelida, il ferreo controllo, la maschera perfetta. Era così maledettamente difficile, così terribilmente doloroso, perché se ne erano andati senza una parola, una spiegazione, un abbraccio. Si ritrovò davanti al frigo con una mano protesa verso la maniglia. Non si ricordava di esserci arrivata. Scosse la testa, questa volta non sarebbe successo, questa volta sarebbe stata forte. I suoi occhi si posarono, quasi per caso, su una foto, che Dorota doveva aver salvato dalla gelida calma con cui aveva fatto sparire in settembre le fotto che la immortalavano con la sua migliore amica. Quella le ritraeva il Natale dell’anno prima, sorridenti e brillanti nei loro Prada rossi, ammiccavano all’obbiettivo, ridendo spensierate. Improvvisamente quella maschera di ghiaccio che aveva indossato per tutto quel tempo si frantumò e le schegge appuntite le si conficcarono nel cuore, le parve quasi di udirlo andare miseramente in pezzi insieme ad ogni brandello della sua anima. Si sentiva così terribilmente vuota, inutile, sbagliata e si odiò. Odiò il suo corpo così palesemente pieno di difetti, così tondo, grasso. Odiò il suo carattere spigoloso, odiò la sua innocenza perduta, odiò se stessa. Profondamente, completamente e desiderò semplicemente sparire, desiderò terribilmente riempire quel vuoto, perché la Regina B forte e sicura non esisteva, esisteva solo una fragile ragazzina che era incapace di affrontare la vita senza la sua migliore amica, senza suo padre. Conosceva solo un modo per sopprimere il vuoto: il cibo. Cedette, perché essere un guerriero talvolta è insopportabile, perché essere forti, sempre e comunque, a prescindere da tutto è terribilmente difficile. Mangiò, mangiò, mangiò come mai aveva fatto, ingozzandosi fino a sentire il suo stomaco gonfio premere contro la camicetta a pois che indossava. Si vide riflessa vagamente nel lucido marmo del pavimento e il suo riflesso la disgustò a tal punto che corse in bagno. Di Blair non c’era più niente, dei vecchi tempi non c’era più niente, l’unica cosa che rimaneva era l’acidità del vomito nella gola, le sue dita sporche della sua stessa debolezza e il suo corpo martoriato, né vuoto, né oppresso, semplicemente inesistente. Una lacrima le ferì lo zigomo, ma sapeva che non avrebbe lavato via la vergogna intensa e bruciante che provava.
 
Il silenzio, quasi innaturale, che accolse il suo arrivo nell’attico dei Waldorf  lo riempì di una sottile ed indefinibile angoscia. Risalì con passo felpato la scalinata e, giunto dinanzi alla porta della camera di Blair, sentì il rumore familiare dell’acqua della doccia che scorreva. Gli parve che quel suono gli riempisse la testa di un eco doloroso e straziante, forse perché sapeva bene che cosa significasse. Non si curò affatto di bussare prima di aprire la porta del bagno. La stanza era dolcemente soffusa di luce calda. Blair stava seduta sul pavimento. Il viso, innaturalmente pallido e segnato, era rivolto verso il soffitto; i boccoli scuri, scomposti, chiazzavano le mattonelle rosa antico della parete; le labbra struccate e quasi esangui erano socchiuse e soffiavano aria al ritmo lento e cadenzato del suo respiro; le palpebre chiuse e tremolanti rivelavano, nell’ombra umida al di sotto, lacrime trattenute. Non era la prima volta che la vedeva così, eppure in qualche modo era, come la prima volta, pieno di dolorosa incredulità e attonito sconvolgimento. Si sedette accanto a lei, incapace di dire anche solo una parola. Blair voltò il capo verso di lui, socchiudendo gli occhi, che si richiusero bruscamente, pieni di indicibile vergogna, quando lo riconobbero. Si rannicchiò su se stessa abbracciandosi le ginocchia, quasi volesse impedirsi di andare miseramente in pezzi. 
<< Cosa vuoi, Bass?>> domandò con un tono che voleva essere brusco, ma che a Chuck parve pieno di paura e vergogna. Rimase alcuni secondi in silenzio, soppesando con cura la risposta.
<< Mi dispiace Blair>> disse sincero, abbassando ogni suo difesa. Non aveva mai detto quelle parole prima di quel giorno, perché lui era un Bass e, per quanto avesse sbagliato, non sarebbe mai stato di ammettere il suo errore dinanzi a nessuno. Blair però non era nessuno, era un pezzo di quella che, con il passare degli anni, aveva imparato a considerare la sua famiglia. Lei abbandonò improvvisamente la posizione di difesa guardandolo dritto negli occhi, stupita ed incredula.
<< Per cosa? Stranamente non è colpa tua>> disse, recuperando un po’ della sua abituale tempra.
<< Per non averti chiesto come stavi e se ti andava di parlare in questi ultimi mesi>> rispose serio e vide i grandi occhi scuri di lei, privi di difese, fissarlo disarmati ed innocenti. Sembrava così sconvolgentemente pura.  
<< Potresti farlo adesso>> mormorò lei, distogliendo lo sguardo e puntandolo dinanzi a sé. Chuck la guardò sorpreso, si aspettava che la mano di lei gli si abbattesse sulla guancia in uno schiaffo, che lo accusava, silenziosamente, di aver invaso la sua vita, in cui non aveva alcun diritto di entrare.
<< Come stai?>> le chiese in un sussurro morbido osservandola di sottecchi.
<< Per quanto la facciata possa essere impeccabile e luccicante, il mio mondo sta crollando Chuck ed io non posso fare nulla per impedire la disfatta. Serena se ne è andata senza una telefonata, un saluto o una ragione valida. Si è eclissata in un collegio in Connecticut, tagliando i ponti con tutti. Fingo che non mi importi, che non mi manchi, che la sua assenza sia stata una benedizione, perché ora che lei non c’è le luci della ribalta sono tutte per me. Ma la sai una cosa? Preferirei che ci fosse lei con cui dividere il palcoscenico, perché da sola non ce la faccio. Diceva di essere la mia migliore amica, ma allora perché mi ha abbandonato? Vogliamo poi parlare di mio padre?>> disse Blair, appoggiando il capo sulla sua spalla, stremata e piena di una stanchezza troppo gravosa per le sue esili spalle. Lacrime silenziose le solcarono impertinenti le guancie di fine porcellana. Non seppe cosa rispondere e il silenzio alleggiò per diversi istanti nell’aria.
<< Forse se ne vanno tutti perché non sono abbastanza. Non lo sono mai stata. Non sono abbastanza alta, disinvolta, comprensiva, folle, allegra, spigliata, sensuale, magra, bionda. Non sono stata abbastanza perché Serena mi rimanesse accanto, perché Nate mi guardasse almeno una volta come ha sempre guardato lei, perché mio padre non scappasse in Francia>> aggiunse con tono amaro e pieno di un tale disprezzo di sé, che gli fece stringere tristemente il cuore.
In quel momento il peso del segreto di Nate e Serena, che lui condivideva, fu semplicemente troppo gravoso da sostenere ed ebbe voglia di raccontarle la verità, perché non meritava di vivere in quella menzogna. Non meritava di essere l’ignara protagonista della rappresentazione del cliché più comune e squallido di sempre: il fidanzato e la migliore amica. Si sentiva incredibilmente in colpa, ma al tempo stesso non poteva essere sicuro che la verità avrebbe permesso a Blair di essere felice. Lei sembrava così fragile e delicata, che temeva che persino un alito di vento potesse spezzarla. Scelse di tacere, perché, benché dire la verità sia sempre la cosa giusta da fare, spesso prima di dirla dobbiamo assicurarci che gli interessati siano pronti ad ascoltarla ed abbastanza forti da sopportarla. Blair non era nessuna delle due cose, perlomeno non in quel momento in cui la sua vita, programmata a tavolino e perennemente sotto il suo ferreo controllo, la stava schiacciandola sotto il suo reale e drammatico peso. La sua omissione non significava però che non avrebbe tentato di aiutarla in un altro modo.
Chuck si alzò e le tese la mano per aiutarla a fare altrettanto. Blair osservò incerta la sua mano per qualche secondo prima di decidersi ad afferrarla. La aiutò con delicatezza e, una volta in piedi, le dita aggraziate e fresche di lei non abbandonarono le sue, al contrario vi si intrecciarono. Avevano superato quel confine oltre il quale non erano Blair Waldorf, l’algida e casta Regina della Costance, e Chuck Bass, il diavolo dell’Upper East Side, ma solo Chuck e Blair, due amici qualunque. Nel loro tenersi per mano non vi era niente di più che un buon riassunto della loro amicizia, una lotta continua, ma anche un braccio a cui appoggiarsi, di tanto in tanto, nel scendere milioni di scale.
Si sdraiò sul letto, mettendosi di fianco in modo da poterla osservare meglio, mentre lei si accomodò a poco distanza da lui, i boccoli di cioccolato che si aprivano a ventaglio sul morbido guanciale di seta.  La guardò seriamente negli occhi e, accennando con un lieve gesto della mano alla porta del bagno, lasciata socchiusa, le chiese: << Perché ti fai del male in questo modo, Blair?>>. 
Lei abbassò gli occhi, vergognosa. << Ho iniziato perché mi sentivo grassa ed inadeguata e pensavo di riuscire a cambiare le cose in questo modo. Poi è diventata l’unica cosa che per un po’ riempie il mio vuoto, ma ben presto diviene opprimente e devo liberarmene. Perfino rimettere un pasto è una valida alternativa al nulla. A volte vorrei semplicemente sparire, Chuck>> confessò a voce così bassa che inizialmente Chuck stentò a credere che avesse parlato. Si sentì improvvisamente furioso. Era furioso con Serena ed Harold per averla abbandonata, privandola di due dei più grandi punti fermi della sua vita. Era furioso con Nate e con Serena che l’avevano tradita ed umiliata nel modo peggiore. Era furioso con Nate che era incapace di amarla per ciò che era e di mostrarle quanto fosse perfetta, ma soprattutto era furioso con se stesso per non esserle stato accanto, incapace di penetrare la sua corazza di ghiaccio, e non averla protetta dal suo più grande nemico: se stessa.
<< Ti prego non giudicarmi>> aggiunse gli occhi nuovamente pieni di lacrime. Ancora una volta avrebbe voluto trovare le parole giuste, ma non seppe farlo. Fece l’unica cosa che in quell’istante sentì che era giusto fare: stringerla fra le braccia. Le mani di Blair si aggrapparono ai risvolti della sua giacca firmata, poggiando la guancia sul suo petto mentre lacrime lievi le solcavano dolorosamente il viso.
<< Blair spesso non è colpa nostra se le persone che amiamo ci abbandonano. Amare qualcuno e stargli accanto, sempre e nonostante tutto, è difficile e complicato, bisogna essere incredibilmente forti e coraggiosi per farlo. Scappare è più facile. Non sei tu ad essere sbagliata o debole, sono loro>> le sussurrò contro i morbidi boccoli, che gli accarezzavano dolcemente il braccio con cui la stringeva. << In quanto a Nathaniel se preferisce Serena a te è davvero un’idiota, incapace di distinguere un diamante puro da un volgare zircone>>. A Blair scappò un lieve sorriso fra le lacrime. << Non devi punirti in quel modo orribile per l’idiozia altrui>> concluse, mentre lei faceva scivolare le sue mani dietro la sua schiena stringendosi maggiormente a lui. Quel contatto, insolitamente intimo, gli fece accelerare pericolosamente il battito cardiaco e si ritrovò a deglutire a vuoto. Scacciò quelle emozioni con un sospiro profondo, tentando di concentrarsi solo sul viso di lei e non sul suo delizioso corpo, che stava risvegliando in lui fantasie decisamente poco opportune.
<< Non lo faccio solo per punirmi. A volte mi sembra che il cibo sia l’unico antidoto alla mia solitudine>> confessò nascondendo il viso fra le lievi pieghe della sua camicia firmata.
<< Devi combattere questa cosa, Blair>> proruppe in tono deciso e quasi ansioso.
<< Da sola non ci riesco. È troppo grande per me>> mormorò con le lacrime agli occhi. Chuck in quell’istante si chiese dove fosse la superba Regina, che, seduta sul più alto dei gradini del Metropolitan, annientava con carezzevole perfidia le nuove reclute per il suo gruppo. Blair era una complessa sfinge di fragilità e forza, di cattiveria e dolcezza, di sicurezza e insicurezza. Era come un vulcano innevato, gelido fuori e bollente dentro, con una vitalità celata, ma pronta ad esplodere in qualunque momento.
<< Combatterò con te>> rispose sicuro prima ancora di rendersene realmente conto. Ascoltò quasi stupito il suono delle sue stesse parole declinare nel silenzio della stanza. Il desiderio genuino di aiutarla ed esserle accanto aveva vinto, ancora prima di ingaggiarla, la lotta con il suo orgoglio e la sua ragione.
<< Perché dovresti farlo?>> sussurrò teneramente stupita lei, scostandosi un poco e scrutandolo con quegli enormi occhi, incredibilmente innocenti in quell’istante.  
Perché ti voglio bene dannatissima stronza rompipalle”, pensò ed avrebbe davvero voluto dirlo, ma non lo fece, perché era troppo introverso per farlo. Però voleva davvero farle comprendere quanto tenesse a lei.
<< Il Non Juding Breakfast Club, ricordi Blair? Abbiamo promesso che ci saremo aiutati in qualsiasi momento o situazione>> rispose, alludendo a quella promessa che tanti anni prima avevano siglato su  un foglio del voluminoso diario di Blair.
<< Avevamo sei anni Chuck. Credevamo che saremo stati amici per sempre>> sospirò Blair, abbassando gli occhi con il sorriso malinconico ed amaro di chi ricorda i propri sogni infantili e si ritrova a rimpiangere la propria ingenuità ed incrollabile fiducia nel “per sempre”. Forse anche lei, come lui, stava ricordando tutti i momenti che da bambini avevano trascorso insieme e che si erano promessi che sarebbero sempre stati una famiglia. Chuck si chiese che fine avessero fatto quei bambini, forse erano cresciuti troppo in fretta fra le spire di quel mondo dorato sulla superficie e dolorosamente amaro al di sotto.
<< Ci eravamo promessi che saremo sempre stati una famiglia e, nonostante tutto, lo siamo ancora. Per questo voglio combattere al tuo fianco Blair, perché, per quanto possiamo litigare, tu sarai sempre un pezzo della mia famiglia>> le sussurrò e sentì di essere raramente stato più sincero nella sua vita. “Talaltro siete l’unica e la migliore che io abbia mai avuto”, aggiunse mentalmente. Lei lo guardò gli occhi colmi di gratitudine ed affetto, come chi, dopo aver brancolato allungo nelle tenebre, vede finalmente la luce.
<< Ti voglio bene, Bass>> sussurrò insonnolita, abbandonando nuovamente il viso sul suo petto. Rimase quasi boccheggiante a quelle parole ed abbassò lo sguardo incredulo sul viso di lei, che, con espressione finalmente rilassata, dormiva.
<< Ti voglio bene anch’io, Waldorf>> sussurrò altrettanto piano, consapevole di quanto fosse un gesto decisamente poco da Chuck e Blair, ma quella notte forse potevano concedersi il lusso di far decadere un po’ di quelle maschere, che il mondo aveva cucito loro addosso.
Sprofondarono entrambi in un sonno profondo, cullati dai bagliori tenui della città che non dorme mai. Forse immaginando  di essere ancora dei bambini e che il sonno, proprio come quando lo erano davvero, riuscisse a portare via i loro dolori, i loro rimpianti, i loro errori, le loro debolezze. Chuck dormì con Blair fra le braccia, convinto che insieme avrebbero vinto.
 
Il West Edge quella notte offriva loro una splendida vista di Manhattan. Chuck con indosso uno smoking sorseggiava champagne, osservando con voluta malizia i corpi delle donne presenti, fasciati in costosi abiti che sembravano direttamente usciti dagli anni trenta, mentre un pezzo jazz riempiva soffusamente la stanza.
L’intera festa sembrava essere uscita dalle pagine del Grande Gatsby di Fitzgerald e Blair, che sorrideva radiosa al braccio di Nate, avvolta nel suo vestito di pailette d’oro brunito, gli parve irraggiungibile ed eterea come il ricordo di Daisy lo era stato tutta la vita per Jay Gatsby.     
<< Temo di doverti ringraziare, Bass>> sospirò teatralmente Blair, andandogli incontro poco più tardi.
<< Blair Waldorf che ringrazia?>> replicò assecondando il suo fare teatrale, benché una parte di lui fosse davvero sorpresa.
<< Se questa festa è eccezionale e Gossip Girl l’ha già ribattezzata la festa dell’anno, è soprattutto grazie a te>> rispose Blair con un sorriso soddisfatto ed orgoglioso scrutando le facce per metà invidiose e per metà totalmente ammirate dei suoi invitati.
<< È stato un piacere aiutarti mia Regina>> sussurrò sensuale e lascivo, lanciandole un sorriso accattivante. Lei alzò gli occhi al cielo, esasperata, ma un sorriso lusingato e divertito si aprì sulle sue labbra colorate di Chanel Rouge.
<< Come vanno le sedute dall’analista?>> le chiese, facendosi improvvisamente serio ed abbassando la voce perché nessuno li sentisse, benché la loro postazione appartata e le voci intense di Liza Minnelli e Frank Sinatra che cantavano “New York” impedissero a chiunque di sentirli. Dopo qualche giorno di lotte continue e silenzi offesi, era riuscito finalmente a convincerla a chiedere aiuto a uno specialista.
<< Bene, adesso le cose vanno meglio. Credo di stare finalmente iniziando a fare pace con me stessa>> rispose lei sicura. << Grazie per avermi convinto a combattere e per farlo al mio fianco, Bass>> aggiunse con un lieve sorriso e uno sguardo intenso. Nelle ultime settimane le era stato vicino, a modo suo, ma lo aveva fatto. Avevano trascorso del tempo insieme perlopiù ordendo complotti e battibeccando, ma se Blair aveva bisogno seriamente di parlare allora era capace di ascoltarla per ore. Talvolta lei aveva bisogno solo di un buon amico a cui andassero bene i suoi silenzi e se ne stavano diverso tempo in silenzio, seduti a Central Park, ognuno perso nei propri pensieri. Benché fosse tempo tolto alle sue conquiste di donnaiolo, non lo riteneva affatto tempo sprecato.
<< Di niente Blair>> mormorò con uno dei suoi sorrisi più rari. Forse perché era un vero sorriso.
<< Hey voi due state avendo una conversazione civile?>> chiese Nate sorpreso facendo la sua comparsa con un bicchiere di scotch fra le mani.
<< Affatto, stavamo litigando come al solito>> rispose pronta Blair lanciandogli un sorriso di sufficienza.
<< La tua fidanzata è simpatica come al solito Nathaniel, oltre che incapace di apprezzare il mio umorismo>> disse Chuck con un sorriso pigro e malizioso.
<< Le tue battute, Bass, sono degne di un depravato>> commentò sarcastica e sprezzante lei con un sorriso adorabilmente stronzo sulle labbra.
<< Per l’amore del cielo! Voi due riuscirete mai a smettere di stuzzicarvi??>> esclamò esasperato Nate.
<< Assolutamente no>> risposero all’unisono, scambiandosi un’occhiata ironica di sottecchi. Dopotutto Chuck Bass e Blair Waldorf non avrebbero mai potuto essere amici senza litigare almeno una volta al giorno o senza il piacere di stuzzicarsi ed irritarsi reciprocamente. Eppure si sarebbero sempre capiti a vicenda, come nessuno sarebbe stato in grado di fare, perché, per quanto Nate e Serena li conoscessero, non avrebbero mai neanche lontanamente sfiorato quel lato oscuro, fatto di solitudine e rabbia, che loro conoscevano così bene.
 
“Perfino io sono costretta ad ammettere che la festa di compleanno di Blair Waldorf è un vero successo e tutti gli occhi sono puntati sulla nostra Regina, radiosa e sorridente al fianco del suo principe azzurro, Nate Archibald. Pare che, nonostante la partenza della nostra bionda preferita, la monarchia di B non abbia subito il minimo declino. Al contrario sembra brillare di una nuova luce. Che l’Upper East Side abbia finalmente trovato la sua nuova cometa?  Alziamo in alto i calici signori e brindiamo! Buon compleanno Queen B e lunga vita al tuo regno. Xoxo Gossip Girl”.
 
Angolino autrice:
 
Sono davvero molto nervosa ed insicura su questa one-shot. Scriverla è stato difficile, negli ultimi mesi l’ho mollata e ripresa diverse volte. Ambientata prima della puntata pilota e completamente incentrata su una Blair senza Serena e senza suo padre e un Chuck che vede il suo dolore e tenta di penetrare le sue difese, il tutto condito da feste, opulenza e vendette, in perfetto stile Upper East Side. Qui Chuck e Blair non sono niente di più che semplici amici. Ho sempre scritto sulla loro tormentata storia d’amore e questo è il primo lavoro in assoluto in cui tento di raccontarli sotto un’ottica diversa. Non è stato facile. Nell’ultima parte soprattutto mi sono addentrata in un argomento oltremodo delicato: la bulimia. Ho tentato di raccontarla nel modo più delicato possibile e spero di non aver offeso o ferito nessuno. Se così dovesse essere mi scuso profondamente con chiunque possa ritenerlo inopportuno, indelicato o offensivo.
Spero di non annoiarvi.
Mi piacerebbe molto sapere cosa ne pensate, indipendentemente dal fatto che il vostro parere sia positivo o negativo, e ringrazio in anticipo chi recensirà o anche solo chi leggerà senza lasciare un segno del proprio passaggio. Xoxo Maddy
 
Note (ovvero le solite ed inutili precisazioni):
  • “un braccio a cui aggrapparsi nel scendere milioni di scale” è una rielaborazione di un verso di una bellissima poesia di Montale “Ho sceso dandoti il braccio almeno un milione di scale”
  • “Il Grande Gatsby” (The Great Gatsby) è un romanzo di Francis Scott Fitzgerald
  • Daisy e Jay Gatsby sono i protagonisti di suddetto romanzo, ambientato nella New York degli anni Trenta
  • Non so se esista davvero un locale che si chiami West Edge, ma tale è il nome dell’isolotto dove vive Jay Gatsby nel romanzo
  • La Kelly bag è una borsa disegnata da Hermes e resa celebre da Grace Kelly, a cui poi si deve il nome con cui è nota 
  
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