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Autore: mitchiewrites    03/01/2014    0 recensioni
Il sole mattutino mi picchiava sulle palpebre per farmi aprire gli occhi. Non riuscii a resistere.
Vidi i suoi, blu come il cielo estivo, accompagnavano un grande sorriso. Arrossii. Mi saltò addosso bloccandomi le braccia. Sospirai.
Avvicinò il viso al mio e chiuse le labbra. Chiusi gli occhi e increspai le labbra. Sfioravano le sue.
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Katherine Pierce, Stefan Salvatore | Coppie: Katherine/Stefan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Old romance never dies.
 
 
 
Ero grondante di sudore. La mia fronte era bollente. Il candido viso mostrava preoccupazione. Vedevo le palpebre aprirsi e richiudersi. Si metteva le mani nei capelli. La sua mano si posò sul mio viso, mi toccava con uno sguardo che mi faceva venire da piangere. Dovevo essere realmente in pessime condizioni per averla fatta preoccupare.
Sapevo di avere gli occhi vuoti. Si capiva da come cercava di farmi reagire guardandomi ripetutamente dentro di essi e muovendo le mani davanti ad essi per riuscire a percepire un mio minimo movimento. Probabilmente era solo il normale comportamento di Elena Gilbert, la ragazza che aveva perso l’umanità e non poteva permettermi di buttarla via così. Era frustante essere diventata una bambola. Forse si sarebbe messa a giocare con me da un momento all’altro in ricordo della sua patetica e schifosa infanzia di quando aveva ancora i genitori al suo fianco. Non sapeva che essere senza una famiglia era molto meglio che essere circondati da gente che dice di amarti e volerti bene comunque pretendendo qualcosa. Non poteva immaginare che io, cinque secoli fa, nella mia “adorata” Bulgaria correvo per i prati con la prole del panettiere. Uno dei due, il maschio, era figlio di una prostituta locale che, vedendo il povero uomo soffrire per la moglie morta di parto, gli aveva offerto uno dei suoi servizi, una notte per dimenticare. Quella donna lasciò il piccolo a suo padre per tornare a Valencia, la sua città natale, ed espresse un unico desiderio : chiamare suo figlio Javier, ovvero come il suo fratello perduto in battaglia.
Javier mi capiva, mi amava per ciò che ero.
 
Il sole mattutino mi picchiava sulle palpebre per farmi aprire gli occhi. Non riuscii a resistere. Vidi i suoi, blu come il cielo estivo, accompagnavano un grande sorriso. Arrossii. Mi saltò addosso bloccandomi le braccia. Sospirai. Avvicinò il viso al mio e chiuse le labbra. Chiusi gli occhi e increspai le labbra. Sfioravano le sue.
“Katerina svegliati!” La voce di mio padre. Le mie braccia vennero liberate e mi venne un groppo in gola. Quando il mio mondo tornò colorato e vidi mio padre furioso sulla soglia della porta che mi guardava con rabbia desiderai di essere una colomba e poter volare da lui, dal figlio del panettiere. Volevo solo piangere. Scesi dal letto e corsi ad abbracciare il mio vecchio sperando si addolcisse, ma la stretta non fu ricambiata. “Mi dispiace, padre. Avevo dimenticato l’arrivo del conte di Scozia. Perdonatemi se sono così maldestra.” Feci una sorta di inchino. Sentii il suo odore nell’aria, il profumo di rose. Mio padre si sporse per guardare dentro la stanza ed io sperai che non lo vedesse, anche se non avevo idea di dove si fosse nascosto. “Katerina, ti aspetto nel salone fra non più di mezz’ora.”
“Ma padre, il salone è dalla parte opposta del castello!”
“Troverai un modo.”
“Ma…” Sentii la sua mano infrangersi sul mio viso, poi il freddo pavimento sotto le mie mani leggermente ferite per la caduta.
Abbassai lo sguardo. “Arrivo, padre.”
Sentii che se ne allontanava a passo svelto. Le lacrime avevano già cominciato a rigarmi gli occhi. Iniziai a singhiozzare. Le sue braccia mi strinsero calorosamente.
“Ora tu vieni, con me, noi scappiamo insieme.
 
Stefan aveva cominciato a parlare da ore, ma non capiva che io stavo letteralmente sognando ad occhi aperti. I ricordi sfrecciavano nella mia mente senza darmi tregua. Lui mi toccava il viso e le braccia e continuava a ripetermi che sarebbe andato tutto bene e poi mi parlava di quando aveva pensato di essere morto, dopo che gli avevano sparato. E dopo mi cercava di far reagire ai ricordi della nostra storia. Io stringevo sempre più i denti per trattenere le lacrime e lui pensava che fosse un segno che stavo capendo.
Non sapeva che avevo perso l’amore della mia vita e odiavo me stessa, che il mio carattere era colpa di ciò che era successo quando ero umana.
 
La mia testa era posata sul suo petto. Mi stava cantando una canzoncina in spagnolo che sua madre gli aveva fatto sentire una delle poche volte che era tornata a fargli visita con soldi e doni. Mi domandavo perché non se lo fosse preso con se. Io se avessi avuto un figlio in circostanze sbagliate lo avrei tenuto con me lo stesso.
Mi accarezzava i capelli mentre cercava di pronunciare bene le parole. Io sorridevo ogni volta che sbagliava. Avevo un lontano amico di famiglia che era spagnolo e sentivo il suo accento molto evidente quando parlava la mia lingua.
“Dove vuoi andare, principessa?” Mi domandò con la sua affascinante voce profonda.
Sbuffai. “Oh, basta. Non chiamarmi principessa, ne ho abbastanza di conti, re, principi e cose del genere.”
“Allora, dove vuoi andare, mia futura sposa?”
A quelle parole mi si illuminò il volto e un sorriso mi si allargò sul viso. Pensai subito a una risposta e me ne uscii con quella che avevo meditato per tutta la mia vita.
“Voglio andare in Italia, in Spagna, forse anche in Francia e Inghilterra, ma solo per brevi periodi. La mia vera destinazione è il cielo.”
“Il cielo?” Domandò con curiosità guardandomi come fossi la cosa più bella che ci sia al mondo.
“Il grande cielo blu, voglio viaggiare sulle stelle e addormentarmi sulla luna accanto a te, mio amore. Voglio che il sole ci sposi, ci renda uniti e per sempre destinati e vivere l’uno accanto all’altra.”
Mi strinse e sentii il suo corpo nudo addosso al suo. Ero sorpresa di non essermene pentita. La mia virtù l’avevo data via all’uomo che amavo. Forse non era una vergogna se ci fossimo sposati al più presto. Mi misi su di lui.
“Però devi essere uno sposo buono, devi amarmi e rispettarmi come se fossi l’unica cosa che possiedi, la più bella al mondo.” Dichiarai accarezzandogli la guancia. Mi mandò un bacio.
“Non sarà un problema, perché tu sei già l’unica cosa che ho, la più preziosa che il mondo abbia la possibilità di vedere.”
Posai le mie labbra sulle sue e lui mi strinse facendo unire i nostri corpi come se fossero fatti per stare insieme.
 
Damon mi guardava e rideva facendo battute sul mio aspetto per poi girarsi facendo il suo sguardo di quando la tristezza lo catturava, quando teneva anche pochissimo a qualcosa e questa gli veniva strappata via con forza. Aveva avuto quello sguardo quando Alaric era sul punto di morte, ma amava quel professore come un fratello, forse stato era ciò che desiderava Stefan fosse.
“Mi amavi, Stefan?” Sussurrai con tristezza nel mio tono. Si voltò di scatto. Mi sorrise.
“Quando mi hai trovato eri la cosa più bella che ci fosse al mondo, la cosa più preziosa che avevo.”
Scoppiai a piangere. Sembravano le parole di Javier.
 
“Brutto bastardo non ti devi nascondere!” Era la voce di mio padre che veniva da fuori la capanna. Javier si vestì frettolosamente. Lo fermai mentre si precipitava fuori. Mi fece segno di stare in silenzio e mi diede un bacio sulla fronte. Lo tira a me. Lo baciai con passione. Piangevo. Sapevo quale sarebbe stato il suo destino.
“Eccomi!” Urlò mentre ancora mi guardava. Uscì camminando all’indietro mandandomi sguardi malinconici.
Non feci in tempo a voltarmi che vidi una spada trafiggergli il ventre e del sangue uscire dalla sua bocca.
Lanciai un urlo con tutta la voce che avevo in gola.
 
“Tu? Mi amavi?” Mi domandò.
“Io non provo sentimenti. Ho perso il mio amore cinque secoli fa. Per te provavo qualcosa, o almeno così ricordo. Non so cosa fosse, ma ricordo di essere stata crudele ed egoista. E…” Non ce la facevo. Era come se ci fosse ancora speranza per me e non ero pronta a dire una cosa del genere, rendermi vulnerabile. Non mi usciva un filo di voce.
“Ti dispiace?”
Mi girai dall’altra parte mentre la sua mano si allontanava dalla mia spalla, dove era stata posata per tutto quel tempo.
 
 
 
 
 
 
  
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