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Autore: Marti Lestrange    03/01/2014    3 recensioni
Questa Ariel|Peter raccoglie la sfida lanciata da Erin00 sul gruppo FB di OUAT.
Dal testo:
{No, non poteva essere la sua immaginazione: soltanto due persone al mondo lo chiamavano per nome, e una era Wendy. L’altra era Ariel.
Ariel. Era davvero fuori dalla sua porta, in quel vecchio quartiere fumoso immerso nella nebbia? Aveva davvero lasciato la sua casa, il suo rifugio, il suo mondo, per venire a cercarlo? Non poteva crederci.}
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Altri, Ariel
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: “Carry you home”.
Rating: verde.
Personaggi: Ariel, Peter Pan.
Pairing: Ariel|Peter.
Avvertimenti: crack pairing, what if?.
One shot.

 
 


~
Carry you home ~
 
 
 
“Ogni volta che lo riterrai opportuno,
accendi un sogno e lascialo bruciare in te.”
— William Shakespeare
 
 
 
*Londra
La pioggia batteva ritmicamente sui vetri sporchi. Pioveva ormai da giorni e l'acqua non accennava a smettere di inondare la città. I londinesi quasi annegavano sotto i loro ombrelli scuri, mentre camminavano per il centro come una compagine fitta e stretta di guerrieri in marcia. Le loro vite scorrevano, giorno dopo giorno, ignare. Nessuno di loro conosceva - o aveva mai conosciuto - la magia. Nessuno di loro viveva con addosso un carico di ricordi talmente pesante da renderti quasi schiavo dei tuoi pensieri, e di te stesso.
Peter dormiva a intermittenza da quasi cinque giorni, ormai. Non si rendeva conto dello scorrere del tempo, ma i tramonti e le aurore scandivano il suo sonno. Aveva abbandonato tutto. Per lei. E Wendy non lo aveva nemmeno riconosciuto, quando quella mattina l'aveva incrociata sotto casa sua, a Bloomsbury. Era uscita di corsa, i capelli biondo scuro legati in una coda bassa con un nastro azzurro, i libri stretti al petto, la borsa di cuoio a tracolla. Gli aveva lanciato un solo sguardo, distratto, per poi incamminarsi precipitosamente lungo la via affollata. Sparendo dalla sua vista. E Peter si era riappoggiato al muro della casa di fronte, dal quale si era rapidamente scostato alla vista della ragazza. Aveva sospirato, sconsolato.
Aveva pensato che Wendy lo avrebbe riconosciuto ad un primo sguardo. Lo avrebbe riconosciuto e gli sarebbe corsa incontro, abbracciandolo, dicendogli che non lo aveva dimenticato, che lo aveva atteso per tutti quegli anni e che era felicissima di averlo lì, con lei, adulto. Finalmente cresciuto. Proprio come lei aveva sempre sperato.
Peter aveva poi ripreso la via di casa e non ne era più uscito. Soltanto pochi giorni prima, durante una serata limpida e serena, aveva osservato la finestra di Wendy e aveva confidato nel mattino, con speranza e ottimismo. Tutto era crollato, però, come un castello di carte sotto i colpi di un debole vento.
E se Wendy non lo avesse più voluto vedere? Se non gli avesse più voluto parlare? Se gli avesse detto che ormai aveva la sua vita, che non le importava più di lui e del passato che avevano condiviso tanto tempo prima, che era felice e che lui avrebbe finito solo per rovinarle l’esistenza? E se Wendy non lo avesse amato più?
 
 
*
 
 
Peter non distinse subito i colpi alla porta. Pensò che quel rumore molesto arrivasse dai suoi sogni, da quella dimensione a metà tra il mondo onirico e la veglia in cui si trovava da giorni. Invece, i colpi si fecero presto insistenti, accompagnati ad una voce, una voce che non sentiva da tempo, una voce che mai avrebbe pensato di sentire ancora.
« Peter! Peter, lo so che sei lì dentro. Aprimi subito! »
Ariel? Che diavolo ci faceva Ariel a Londra? Ma era davvero la sua voce o se la stava immaginando?
No, non poteva essere la sua immaginazione: soltanto due persone al mondo lo chiamavano per nome, e una era Wendy. L’altra era Ariel.
Ariel. Era davvero fuori dalla sua porta, in quel vecchio quartiere fumoso immerso nella nebbia? Aveva davvero lasciato la sua casa, il suo rifugio, il suo mondo, per venire a cercarlo? Non poteva crederci.
I colpi continuavano, anche piuttosto violenti. « Andiamo, Peter Pan, alzati da quel letto e vieni ad aprire. Non sono venuta fin qui per tornarmene indietro a mani vuote, okay? »
Peter si alzò a sedere. Evidentemente, Ariel aveva mantenuto il suo caratterino, anche se l’ultima volta in cui l’aveva vista era una sirena appena undicenne, curiosa del mondo e desiderosa di libertà e di avventure. Percorse i pochi metri che lo separavano dalla porta, il passo barcollante. Strinse gli occhi e se li stropicciò con le dita. All’improvviso, il suo stomaco borbottò indispettito. Da quanto tempo non metteva sotto i denti qualcosa di solido?
Aprì la porta proprio nel momento in cui la sua vecchia amica attaccò con una filippica piuttosto seria e piena di invettiva, condita da un tono di voce minaccioso.
« Peter, lo so che l’approccio con questo mondo deve essere stato atroce – per me è stato così, non ero pronta, nonostante lo desiderassi da sempre. Deve essere stato- »
Si interruppe quando se lo ritrovò di fronte. Sbarrò gli occhi, la bocca ancora aperta, un dito sollevato a mezz’aria.
« Ariel » la salutò lui.
La ragazza richiuse la bocca e abbassò la mano, in silenzio. Indossava una gonna nera, una camicetta azzurra, un paio di stivaletti scuri e un pesante cappotto grigio, per difendersi dal freddo londinese. I suoi capelli erano quelli di sempre, proprio come Peter li ricordava: lunghi, rossi, ondulati, lucenti. Il suo sorriso, però, quello si rivelò essere ancora più bello di come lo rammentava. Riuscì a rischiarare quella giornata grigia.
« Peter … » cominciò lei, titubante ora che se lo ritrovava davanti, faccia a faccia. Tutta la sua baldanza sembrava evaporata.
« Entra, dai » disse lui scostandosi e facendole cenno di entrare nel piccolo monolocale. Ariel annuì e Peter richiuse poi la porta dietro di lei.
La ragazza si guardò intorno e Peter ne approfittò per guardarla meglio. Era passato tanto tempo da quando si erano visti, l’ultima volta, a Neverland. Ariel aveva nuotato fin lì da Atlantica, soltanto per salutarlo e dirgli addio. La partenza di Peter era stata improvvisa, ma il ragazzo non aveva potuto fare a meno di salutare la sua migliore amica, colei che gli era rimasta vicina nonostante tutto. Colei che, forse, lo capiva meglio di chiunque altro al mondo. Ariel aveva pianto. Aveva pianto e lo aveva pregato di non andare, ma non gli aveva chiesto di portarla con sé. Aveva capito che quel viaggio era per lui solo, che soltanto attraverso la solitudine Peter avrebbe potuto ritrovare se stesso. Dopo quelle parole profonde, gli aveva dato un leggero bacio sulle labbra ed era sparita, inghiottita dal mare. Peter non l’aveva mai più rivista. Fino a quel giorno.
Ariel si girò verso di lui e intercettò il suo sguardo. Rimasero fermi immobili al centro della stanza sudicia, persi l’uno negli occhi dell’altra, per dei minuti. O delle ore. Il tempo perse improvvisamente importanza, per loro. Poi, Ariel abbassò lo sguardo e lo puntò al paesaggio che si scorgeva dalle finestre. Peter ne approfittò per avvicinarsi di qualche passo.
« Ariel » cominciò, e lei si girò a guardarlo, la sua solita e inseparabile borsa rossa a tracolla, le mani ancora immerse nelle tasche. « Come sei arrivata qui? Come mi hai trovato? »
Lei gli sorrise. « Prima di qualsiasi spiegazione, che ne dici di lavarti, vestirti e scendere a mangiare qualcosa? C’è un ristorante molto carino, qui vicino. Sembra che preparino cose buone… »
Peter le sorrise a sua volta. « Mi hai convinto. »
 
 
*
 
 
« Quindi si chiama “caffè” » disse Ariel, per altro senza la minima vergogna di farsi udire dai tavoli vicini. « Mi piace! »
Peter le sorrise. Erano seduti al tavolino di un piccolo pub in fondo alla via, con i divanetti neri, le pareti ricoperte da pannelli di legno e quadri che raffiguravano una lontana Londra cinquecentesca, e un’ampia collezione di boccali appesa dietro il bancone. Avevano mangiato fish and chips e Ariel sembrava aver gradito il menu. Infine, Peter aveva ordinato due caffè lunghi con tanto zucchero e un po’ di panna per Ariel. Quest’ultima ne aveva un piccolo sbuffo proprio sul naso e Peter si sporse oltre il tavolo per aiutarla a pulirsi, mentre entrambi ridevano come matti.
« Anche questa pamma è piuttosto buona » aggiunse lei leccandosi le labbra.
Peter scoppiò a ridere. « Panna, Ariel. Si chiama panna, non pamma. »
Ariel si unì alla sua risata. La sua allegria gli aveva cambiato improvvisamente umore, raddrizzando la giornata. Ariel sapeva portare con sé tanta positività e magia. Peter ne era sempre stato affascinato, fino a quando Wendy non era piombata nella sua vita, monopolizzando il suo cuore e le sue attenzioni. Dannazione, aveva perso davvero qualcosa di grande, per tutto quel tempo. E se Ariel fosse sempre stata quella giusta? Proprio lì, accanto a lui, vicina ma distante. In quel momento però non era lontana. Era davvero lì con lui, a Londra, perduti nel mondo ma non nell’animo. Erano insieme, però.
All’improvviso, Peter allungò una mano e prese quella della ragazza, carezzandole il dorso. Ariel rimase in silenzio, limitandosi a guardarlo.
« Grazie per essere venuta a cercarmi » le disse. « Come hai fatto? Ora lo posso sapere? »
« È stato mio padre » rispose lei. « Gli ho spiegato la situazione. E mi ha fatto dono delle gambe. Per venire a cercarti. Per assicurarmi che stessi bene. »
Peter le sorrise. Era stupito dall’inaspettato gesto di Re Tritone.
« Ora come stai? » gli chiese.
« Ora bene » rispose lui sorridendole. « Ora bene. »
 
 
*
 
 
La giornata stava ormai volgendo al termine, per Ariel e Peter. I due vecchi amici avevano esplorato Londra e Peter aveva mostrato ad Ariel alcuni luoghi nascosti e magici, magnifici scorci incantati e angoli suggestivi e per lui carichi di significato. Peter aveva pensato pochissimo a Wendy: la dolcezza di Ariel sapeva curare le sue ferite.
Camminando per Kensington Gardens, Peter si fece coraggio e prese Ariel per mano. La pelle della ragazza era calda, liscia e morbida e lei ricambiò la stretta, ma il sorriso che gli rivolse era intriso di malinconia e tristezza e vaghi rimpianti.
« Hey » esclamò Peter fermandosi. « Cosa succede? »
Ariel stava continuando a camminare lungo il viale, ma lui la trattenne, facendola tornare sui suoi passi. Gli occhi della ragazza adesso erano lucidi.
« Ariel » cominciò lui. « Ho detto o fatto qualcosa di sbagliato, per caso? »
Lei scosse la testa, le labbra tremanti, prossima al pianto.
« Stai per piangere, qualcosa deve essere successo… »
« Non è colpa tua » iniziò Ariel, la voce tenue e sottile, pronta ad incrinarsi. « È che non sarei dovuta restare qui così a lungo. Sarei dovuta tornare ad Atlantica subito dopo pranzo. Così farà soltanto più male. »
« Tornare ad Atlantica? » ripeté Peter scuotendo la testa, confuso. « Io pensavo… pensavo che saresti rimasta. Hai le gambe, ora. Hai ciò che hai sempre sognato, no? »
Ariel alzò gli occhi su di lui. Distolse poi lo sguardo, puntandolo agli alberi lontani, le lacrime che scorrevano copiose sulle sue guance.
« Ho soltanto ventiquattro ore, Peter. »
« Ventiquattro… » Peter si portò una mano alla bocca, sconvolto. « Ventiquattro ore. E poi… E poi? »
Ariel si limitò a guardarlo, in silenzio.
« Poi diventerai schiuma, non è vero? Morirai se non riuscirai a tornare in tempo ad Atlantica. »
Ariel si abbandonò completamente alle lacrime, cadendo a sedere su una panchina lì accanto. Si nascose il viso tra le mani, le spalle scosse dai singhiozzi. Peter la guardò, per un momento troppo sconvolto per fare alcunché, poi si precipitò accanto a lei, abbracciandola.
« Troveremo un modo, vedrai. Non morirai, Ariel. »
La ragazza si liberò dalle sue braccia e lo guardò in viso. « Allora non hai capito. Io so come tornare. Il problema è che non voglio. Non voglio, Peter. »
Ariel intrecciò le dita alle sue, singhiozzando leggermente. Allora Peter le sollevò il mento e la guardò negli occhi, prima di chinarsi su di lei e baciarla lievemente sulle labbra. Fu un bacio leggero, al quale seguì un secondo bacio, al quale Ariel rispose con trasporto. Peter sentì sulle labbra il sapore delle sue lacrime. Sapevano di mare. Proprio come lei.
« Tutto questo tempo ho aspettato di ritrovarti, Peter Pan. Tutto questo tempo ho sognato di rivederti. Ho sempre sognato che un giorno avresti dimenticato Wendy e ti saresti ricordato di me. »
« Io non ti ho mai dimenticata, Ariel. Mai. Ero soltanto cieco. E stupido. Poi sono cresciuto. Ora sono diverso. Ora ho capito ciò che è davvero importante per me. Tu. Soltanto tu. »
Ariel gli si buttò addosso, abbracciandolo, baciandolo, carezzandogli i capelli. Peter la strinse, passando le mani sui suoi fianchi morbidi e aspirando il suo dolce profumo.
« Troveremo un modo » disse Peter, risoluto. « Adesso l’importante è farti tornare a casa sana e salva, okay? Dopo decideremo cosa fare. »
« Decideremo? Insieme? Questo vuol dire… »
« Vuol dire che tornerò indietro » concluse lui. « Tornerò a casa. Dovunque essa sia. »
Ariel gli strinse una mano. « Sei davvero cresciuto, Peter. »
Lui annuì. « Sono cresciuto perché tu potessi ritrovarmi. Perché è sempre stato destino. Molto probabilmente era scritto nelle stelle, solo che sono stato troppo stupido per interpretarle. »
« Non eri stupido, eri soltanto troppo focalizzato su te stesso. Ora sei davvero tu. Ora il Peter che conoscevo è tornato. »
 
 
 


NOTE
  • Il titolo è lo stesso dell’omonima canzone di James Blunt.
  • Le vicende si possono collegare alle altre shot riguardanti Peter e Wendy, che trovate sul mio profilo Efp.
 
 
Che dire… in estremo ritardo, eccomi qui con questa prima sfida lanciata da Erin00 riguardante un pairing crackissimo ma bellissimo, cioè Peter|Ariel. Devo ammettere che mi è piaciuto molto scrivere di loro. Ormai queste shot tutte collegate si stanno trasformando in una long XD
Alla prossima!
 

Marti
 
 
   
 
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