Fanfic su artisti musicali > Blink-182
Ricorda la storia  |       
Autore: Layla    03/01/2014    2 recensioni
Lui sta per sedersi a un tavolo quando la porta si apre violentemente e due rapinatori entrano nel locale puntando la pistola su di noi.
“Consegnaci l’incasso!”
Mi urlano, io corro al ricevitore di cassa, prelevo i soldi e schiaccio l’allarme, poi consegno tutto ai banditi che iniziano a far passare i clienti.
Arrivati a Tom lui si rifiuta di collaborare e tenta di disarmare uno di loro.
È questioni di attimi, il rapinatore – troppo teso ed eccitato, forse un eroinomane – perde il controllo e gli spara. L’altro impreca e lo trascina via, lasciando Tom steso a terra.
Dovrei aspettare l’ambulanza, ma i miei piedi si muovono da soli e con un unico movimento mi inginocchio accanto a lui e gli premo la mano dove è stato colpito.
Mi concentro e una leggera luce scaturisce dalla mia mano, fortunatamente nessuno lo nota e io continuo fino a quando non sento tutti i tessuti e gli organi tornare normali e la pallottola svanire completamente.
Genere: Generale, Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mark Hoppus, Nuovo personaggio, Tom DeLonge, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

1)Amori e sparatorie.

Non mi è mai piaciuto il “Blue moon” come bar, è frequentato da brutta gente a mio parere e per brutta gente intendo fighetti e giocatori di basket e saltuariamente da qualche nerd o skater arrapato.
Le divise corte del locale sono la cosa più conosciuta e sono la cosa che odio di più, ma lavorare qui è la punizione per aver perso un anno al liceo.
Avrei potuto non perderlo e tenere una media eccellente come gli altri anni, ma durante lo scorso anno scolastico sono stata impegnata in cose più importanti e precisamente capire da dove vengo.
Non sono di qui di sicuro e con qui non intendo Poway o San Diego, intendo questo pianeta.
Sì, sono un’aliena. Mi hanno trovato che avevo cinque anni a vagare nel deserto e mi hanno portato in un orfanotrofio. Non ho detto a nessuno da dove venivo per puro istinto di sopravvivenza, avevo come l’impressione che dire che ero appena uscita da un bozzolo completamente formata non fosse una buona idea.
All’orfanotrofio mi hanno chiamata Chiara, ma ormai mi chiamano tutti Chia, compresa la mia famiglia adottiva che mi ha fornito di un cognome: Malone.
Guardata da vicino non sembro aliena, forse solo un po’ più dark degli altri: ho gli occhi azzurri, la pelle chiara che non si abbronza nemmeno d’estate e i capelli neri striati di verde. Ho un piercing al naso e uno al labbro e un tatuaggio sulla schiena che è apparso intorno ai quattordici anni.
Sono strani segni che non sono in grado di decifrare anche se una parte di me li sente come familiari, forse sono la lingua del pianeta da cui provengo.
Chissà perché sono qui poi…
Nessuno sa cosa sono, solo Johnny che è alieno anche lui, solo che è stato all’orfanotrofio fino all’anno scorso visto che a causa del suo caratteraccio nessuno ha voluto adottarlo.
La porta del locale si apre con uno scampanellio, io guardo chi sia il nuovo cliente e il mio cuore salta un battito: è Thomas DeLonge, il mio amore del liceo.
Ha un anno meno di me, ma vista la mia bocciatura l’anno  prossimo ci vedremo a parecchi corsi e questo non va bene.
Johnny dice che non avrei potuto scegliermi un tizio peggiore per cui prendermi una cotta e ha ragione. Tralasciando che cambia ragazza ogni due settimane è anche un tizio fermamente convinto che gli alieni esistano e se lui scoprisse cosa sono probabilmente mi mostrerebbe come prova agli altri. Meglio stargli alla larga!
Lui sta per sedersi a un tavolo quando la porta si apre violentemente e due rapinatori entrano nel locale puntando la pistola su di noi.
“Consegnaci l’incasso!”
Mi urlano, io corro al ricevitore di cassa, prelevo i soldi e schiaccio l’allarme, poi consegno tutto ai banditi che iniziano a far passare i clienti.
Arrivati a Tom lui si rifiuta di collaborare e tenta di disarmare uno di loro.
È questioni di attimi, il rapinatore – troppo teso ed eccitato, forse un eroinomane – perde il controllo e gli spara. L’altro impreca e lo trascina via, lasciando Tom steso a terra.
Dovrei aspettare l’ambulanza, ma i miei piedi si muovono da soli e con un unico movimento mi inginocchio accanto a lui e gli premo la mano dove è stato colpito.
Mi concentro e una leggera luce scaturisce dalla mia mano, fortunatamente nessuno lo nota e io continuo fino a quando non sento tutti i tessuti e gli organi tornare normali e la pallottola svanire completamente.
Con la stessa rapidità con cui mi sono abbassata mi rialzo con aria spaventata, come se temessi per la salute di Tom.
Poco dopo arrivano due poliziotti e io lo lascio perdere per parlare con loro, descrivo loro i rapinatori e cosa è successo.
“E il ragazzo?”
“Gli hanno sparato!”
Esclamo concitata.
“Sembrava ferito gravemente, invece devono averlo solo sfiorato per fortuna.”
Lui annuisce e guarda Tom in piedi, mezzo rintronato che rifiuta di andare all’ospedale e guarda me, sono nei guai.
All’arrivo del proprietario sono in doppi guai perché vengo licenziata a causa della condotta che ho adottato con i rapinatori.
Con rabbia vado nello spogliatoio, mi metto i miei shorts, la mia canottiera viola sfumata e i miei anfibi e lascio per terra la divisa, afferro la mia borsa militare e me la filo.
La mia destinazione è l’appartamento in cui vive Jhonny, lo avviso telepaticamente del mio arrivo in modo che possa cacciare eventuali ragazze e quando arrivo vedo una ragazza bionda che scende velocemente le scale esterne che portano a casa sua.
Se non mi sbaglio è Anne Hoppus, la sorella del migliore amico di Tom.
Johnny mi apre la porta con un espressione accigliata e con i capelli nero viola scompigliati.
“Si può sapere cosa succede?
Anne ci stava!”
“Pensavo non ti piacessero le terrestri!”
“Ho anche io dei bisogni!”
Io scuoto la testa, lui mi fa entrare.
“Ho appena fatto una cazzata!”
Urlo lanciandomi sul suo divano, poi gli racconto succintamente quello che è successo, alla fine è furioso.
“Stasera andrò personalmente dallo sceriffo per accertarmi che insabbi questo strano incidente, tu dovrai sistemare DeLonge.”
io sospiro.
“E… E se tenesse il nostro segreto?”
“Sì, certo e gli asini volano. Chia devi andare da cui e modificargli la memoria o fare qualcosa per cui stia zitto.”
“Sì, hai ragione Jo. Farò qualcosa.”
“Perché l’hai salvato?”
La sua domanda cade come un sasso in uno stagno calmo, io abbasso gli occhi e fisso le punte dei miei anfibi.
“Semplicemente perché lo amo.”
Lui si piazza davanti a me e mi alza il mento con le dita.
“Potresti amare me, siamo due rinnegati, gli unici che si possono capire.
Non lo sa nemmeno tua sorella cosa sei.”
Io lo guardo.
“No, ne abbiamo già parlato, lo sai.
Ti voglio bene, sei il mio migliore amico, mio fratello, ma non ti amo.”
Lui sbuffa.
“Ti piace complicarti la vita Chia o meglio Ava.”
“Non usare quel nome, lo sai che non mi piace.”
“È il tuo vero nome.”
“Datomi da qualcuno che non si è premurato di farmi sapere chi è e chi sono io e da dove vengo e perché sono qui.
Non voglio usare il nome che mi è stato dato da qualcuno che mi ha abbandonato qui senza difese, ho solo quello stupido tatuaggio e né io né te sappiamo cosa voglia dire!”
Lui sbuffa platealmente, perché aspetta che qualcuno venga a prenderci, pia speranza visto che nessuno si è mai fatto vivo in nessun modo.
“Chia, vai a casa. I tuoi saranno preoccupati, a quest’ora la notizia della rapina si sarà diffusa.”
Io tiro fuori il cellulare dalla borsa e noto che c’è una chiamata senza risposta che viene da casa mia.
“Hai ragione, meglio che vada. Ricordati…”
“E tu ricordati DeLonge.”
“Ok.”
Me ne vado, pregando mentalmente che questo casino si risolva presto.

 

Arrivata davanti alla mia villetta trovo mia madre e mia sorella sul portico.
Mia madre è una donna dai lunghi capelli castani che ama vestire abiti da casa a fiori, mia sorella invece si chiama Isabel, ha un anno meno di me e lunghi capelli ondulati di un rosso scuro ereditati da qualche nonna irlandese insieme agli occhi verdi.
Non appena mi vedono varcare il vialetto di casa mi saltano in braccio tutte e due.
“Oh, tesoro! Ho avuto così paura per te quando ho saputo della rapina. Hai lavorato abbastanza, la punizione è finita, io e tuo padre ti pagheremo quello che ti serve per la scuola.”
Ha sempre avuto il vizio di parlare come una mitraglietta quando è nervosa.
“Grazie, mamma.”
“Come stai e dove eri?”
Mi chiede Isabel.
“Sto… Non lo so come sto, sono contenta di averla scampata, spaventata per quel che è successo e arrabbiata con il proprietario del locale che mi ha licenziata.
Ero da Johnny, avevo bisogno di parlare con qualcuno.”
Mia sorella annuisce, mia madre invece fa un lieve cenno di disprezzo, non le è mai piaciuto Johnny, ma dopo anni di tentativi andati a vuoto per dividerci ha deciso di lasciar perdere.
“Spero sia riuscito a calmarti.”
“Beh, non ci è riuscito in pieno, una rapina non si dimentica facilmente. Anche se tu e papà aveste voluto punirmi ancora avrei dovuto cercarmi un altro lavoro: lo schiavista mi ha licenziato.”
La bocca di mia madre si tende in una linea dura.
“Dopo quello che hai passato ti ha licenziato?”
Io annuisco.
“La volta che passa in macelleria gliene dico quattro a quel messicano avido di merda.”
Io e Izzie la guardiamo sconvolte, deve essere fuori di sé, è una donna decisamente contraria al turpiloquio in situazioni normali
“Forza, ragazze entriamo.”
Io e mia sorella ci buttiamo sul divano a guardare la tele.
“Chia, posso chiederti una cosa.”
“Vai, spara.”
“Tu e Johnny state insieme?”
“No, ma in passato lo siamo stati, poi ci siamo accorti che funzionava. Lui per me è come se fosse un fratello, perché me lo chiedi?”
Lei scuote le spalle.
“Niente, vi vedo così uniti.”
“Ti piace Johnny?”
Lei arrossisce.
“No, una volta mi piaceva. Adesso c’è qualcun altro che mi interessa, ma non speranze.”
“Chi?”
“Mark Hoppus, il fratello maggiore di Anne.”
“Oh.”
Effettivamente lui ha tre anni più di noi e potrebbe non essere interessato a ragazzine come noi.
“Magari possiamo provare a convincere la mamma a mandarci al Soma, lui ci va spesso, sento spesso Anne e DeLonge parlare di serate trascorse sì.”
“Ti piace Tom, eh?”
“Sì, ma non ho nessuna speranza e poi non credo mi piacerebbe essere un nome in una lista di conquiste.”
E poi sono un’aliena, sorellina, e lui cerca le prove della nostra esistenza con troppo ardore, sarei in pericolo.
Questo mi riporta al fatto che stasera devo sistemare a dovere la sue memoria o potrei essere nei guai.
Poco dopo la porta si apre con furia, mio padre fa irruzione nel salotto spaventandoci, a Izzie cade addirittura il telecomando di mano.
“Chia, stai bene, piccola?”
Mi chiede, scrutandomi attentamente.
“Sì, non sono stata ferita, sono solo spaventata.
Non è stata un’esperienza gradevole e poi mi ha licenziato.”
Mio padre borbotta imprecazioni a bassa voce.
“L’importante è che tu stia bene, quando ho sentito la notizia alla radio mi sono spaventato da morire.”
“Non preoccuparti, va quasi tutto bene.”
Poco dopo mia madre ci chiama a tavola, annunciando che la cena è pronta. Io ho un peso sullo stomaco che mi rende difficile mangiare: come farò a fare qualcosa a Tom?
Lui è sempre stato il ragazzo che mi piaceva e mi sembra orribile usare i miei poteri su di lui, per la prima volta in anni sento tutto il peso di essere un’aliena senza nessuno che la faccia da guida.
Sono solo Chia, la bambina uscita dal bozzolo per ritrovarsi in un mondo potenzialmente ostile senza nessuno che le desse una mano.
Ho il sospetto che questa sensazione sia stata molto familiare a Johnny in questi diciotto anni di vita.
Con la scusa della sparatoria vado a dormire presto, in realtà il mio cervello è ossessivamente concentrato su come usare i miei poteri su Tom. Alla fine dovrò usare il solito modo – imporre le mani – che è pericoloso sia per me che per lui, se si dovesse svegliare e reagire potrei danneggiargli irrimediabilmente alcune zone del cervello e la mia presenza lì sarebbe difficile da spiegare.
Sospirando mi metto in ascolto di tutti i rumori della casa, alle due di notte arriva l’agognato silenzio, visto che dormono tutti.
Con calma, stando attenta non fare rumore, infilo un paio di short di jeans sopra la maglia nera e lunga che uso da pigiama, infilo un paio di calzini e degli anfibi. Apro con cautela la finestra della mia camera, ha sempre un piccolo scricchiolio quando la si apre e stanotte devo fare in modo che sia ridotto al minimo per non farmi scoprire.
Esco, mi metto a cavalcioni sulla finestra e con un po’di fatica raggiungo il ramo del melo che c’è in giardino, ci striscio sopra come un verme e poi scendo.
Scavalco il cancello di casa mia e via, sono libera.
La casa di Tom dista due vie dalla nostra, non siamo mai stati amici, ma avremmo potuto perché ai tempi delle elementari  nelle nostre due vie si era creato un unico supergruppo di bambini; Tom era stato accettato subito, io no perché, nonostante avessi superato le prove di coraggio, rimanevo pur sempre una femmina. Le femmine sono pappamolle per natura – diceva il capo del gruppetto – così lui era dentro e io fuori.
Amen.
È inutile rivangare il passato, inoltre stanotte tira un vento gelido che mi fa rabbrividire nella mia maglietta leggera, forse avrei dovuto prendere una felpa, ma di solito non giro nel cuore della notte nel mio quartiere.
Arrivo alla casa di Tom e – dopo aver individuato la sua finestra – salgo su un albero che è praticamente davanti alla stanza di Tom. La luce è ancora acceso, nonostante l’ora tarda e lui sta sfogliando un libro – sicuramente non di scuola – in maglietta e mutande.
Basta già questo a mandarmi in panico, da una parte devo aspettare che lui dorma prima di fare qualsiasi cosa, dall’altra devo contenere la bava che minaccia di annegarmi da un momento all’altro.
Cerco di mantenere la calma e mi acquatto nascosta tra i rami in modi che io lo veda senza che lui se ne renda conto.
Legge ancora un po’ – le mie gambe si addormentano – poi si alza, si stiracchia pigramente e si toglie la maglia, lasciandomi davanti allo spettacolo di un DeLonge mezzo nudo che mi manda fuori di testa.
È muscoloso per essere così pigro, è alto, è bellissimo e mi fa – letteralmente – perdere il controllo. Le mie mani, improvvisamente scivolose, perdono presa e contatto e mi fanno cadere dall’albero, fortunatamente cado in un cespuglio che mi attutisce la caduta e mi permette di nascondermi.
Tom infatti, sentito il rumore si affaccia alla finestra e fortunatamente non mi vede.
Ok, stasera è meglio rinunciare.
Non appena si ritira e spegne la luce sgattaiolo via tutta dolorante e me ne ritorno sconvolta in camera mia.
L’ho visto mezzo nudo!

 

La mattina dopo è il primo giorno di scuola, mi sveglio di malumore e mi metto le prime cose che pesco dall’armadio: un vestitino nero con dei fiorellini rossi sull’orlo.
Mangio e poi io e Izzie ce ne andiamo a scuola con la nostra macchinetta, anche lei non ha molta voglia di andarci.
Parcheggiamo e ci uniamo alla moltitudine degli studenti, ritiriamo il nostro orario in segreteria e poi ci salutiamo.
Lei ha inglese, io spagnolo.
Mentre mi avvio verso l’aula vedo Tom con la coda dell’occhio tentare di avvicinarsi a me, io aumento l’andatura e mi infilo nel locale poco prima che arrivi la profe.
Ce l’ho fatta.
Anche durante il resto del giorno, Tom tenta di parlarmi, ma io gli sfuggo sempre per fortuna.
Mi sento al sicuro quando con Izzie arrivo alla nostra macchina: niente di più sbagliato, Tom ci aspetta dentro.
“Cosa ci fai qui, DeLonge?”
Gli chiede mia sorella.
“Devo parlare con Chia e  credo che anche tu dovresti sapere quello che lei mi dirà.”
Complimenti, Chia! Ti sei messa da sola con le spalle al muro.
“Non ho voglia di parlare con te, Tom e non mettere in mezzo mia sorella che non c’entra niente.”
Lui scende dalla macchina e si avvicina a me, è imponente visto da vicino, torreggia su di me senza nessuno sforzo.
“Io invece penso di sì.”
“Ti sbagli.”
Gli mollo un poco caritatevole calcio nelle palle e faccio segno a mia sorella di entrare in macchina, lei esegue molto perplessa.
“Ma perché?”
“Perché lui vuole parlare con me e io non voglio. Semplice, no?
Non è colpa mia se lui non sa rassegnarsi.”
“Ma ti piace!”
Io rimango in silenzio, cosa potrei dirle?
Sai Izzie non volevo parlargli perché ho un segreto da proteggere a costo della vita. C’è una cosa che non sai dopo tredici anni di convivenza con me: sono un’aliena, sorellina.
Curioso, vero Izzie?
Probabilmente penserebbe che sono matta e poi una gran bastarda dopo che avrà capito che non scherzavo affatto né ero impazzita.
No, certi segreti vanno per sé.
La verità profonda deve rimanere nascosta  e io non posso dire a Izzie cosa sono, la metterei in pericolo.
“Chia, sei strana. Prima lo ami,poi lo prendi a calci nelle palle.”
Io non dico nulla, arriviamo a casa e io mi chiudo in camera mi, quella di matematica ci ha già assegnato dei compiti.
Sono china su una parte particolarmente difficile quando una voce mi fa saltare dalla sedia: guardo chi sia e sgrano gli occhi.
“Beh, la cara vecchia abitudine di bussare alle porte invece di entrare dalle finestre si è persa?”
“Quando si vuole fare un lavoro rapido e pulito, sì.”
Io alzo un sopracciglio.
“Beh, Clyde, hai sbagliato casa, non siamo poi così ricchi.
Come ti chiami, a proposito?”
“Mark Hoppus.”
“Piacere, Chiara Malone.
Come mai sei qui?”
Lui scuote le spalle.
“Volevo vedere di persona e fare i complimenti alla ragazza che ha rifiutato Tom DeLonge e l’ha steso con un calcio alle palle.”
Lo guardo come se l’alieno fosse lui, non erano amici quei due?
“Ma non siete amici tu e DeLonge?”
Lui si siede tranquillamente sul mio letto, molleggia persino un paio di volte, quanta disinvoltura!
“Prego fai come se fossi a casa tua, eh!”
“Sì, siamo amici, ma tu sei la prima ragazza che lo rifiuta così.
Boh, volevo farti  i miei complimenti perché ogni tanto lui ha bisogno di qualcuno che gli faccia abbassare la cresta.”
“Oh! Ehm, bene. Non so se essere onorata o cosa, sinceramente mi sento tanto perplessa.”
“Non ci badare, sono le nostre stranezze.”
Io annuisco.
“Cosa stai facendo?”
Mark si alza e sbircia da sopra le mie spalle.
“Matematica. Vuoi aiutarmi?”
Lui impallidisce vistosamente.
“No, grazie. Ti lascio alla matematica.”
Detto questo se ne va e mi lascia da sola a fare i compiti, come una brava alunna dilegente.
Il resto della serata trascorre tranquillamente, il giorno dopo vado a scuola senza sapere cosa aspettarmi.
Tom avrà lasciato perdere o sarà ancora più determinato di prima a capire cosa sono?
Prima delle lezioni vado in bagno e  nemmeno un minuto dopo la porta del bagno si apre ed entra Anne Hoppus.
“Ciao, Chia. Volevo parlare con te.”
“Dimmi.”
Ha una brutta faccia, sembra abbia pianto tutta la notte.
“Sei la ragazza di Johnny?”
“Chi? Io?
No, assolutamente no. Lo so che sembriamo fidanzati, ma non lo siamo, lo siamo stati e, credimi, non ha funzionato.
Lui è come un fratello per me e viceversa.”
Lei sospira sconsolata.
“Beh, è persino peggio di quello che mi aspettasi, per lui sono solo una bambola gonfiabile umana.”
Lei esce, trattenendo le lacrime ed entra un’altra persona.
Una persona che vorrei evitare, ma che mi blocca le vie di fuga.
Thomas Matthew DeLonge.

Angolo di Layla

Ok, questa fanfiction è vagamente ispirata alla serie televisiva "Roswell", se qualcuno non l'ha vista e ama la fantascienza la guardi perché merita.

 

   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Blink-182 / Vai alla pagina dell'autore: Layla