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Autore: Danielle_Way    03/01/2014    3 recensioni
«Noi siamo un po’ come le stelle» affermò Frank, interrompendo il corso dei suoi pensieri. Stava indicando con il braccio alzato due punti luminosi proprio sopra le loro teste. «Da qui sembrano tutte vicine, ma in realtà sono distanti anni e anni luce.»
Cosa avrebbe voluto dire?
“Noi siamo come le stelle. Possiamo stare vicini quanto vogliamo, ma non lo saremo mai davvero.”
Gerard sentì rimbombare dentro di sé quella amara sentenza prima che potesse rendersene conto.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Un po' tutti | Coppie: Frank/Gerard
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Happy New Year, Frankie”
 

La stanza era molto calda e silenziosa, tranne per lo scoppiettare allegro del fuoco nel camino.
Gerard poteva udire il chiacchiericcio concitato proveniente dalla cucina, riconosceva la voce della sua adorata bambina e di sua madre e suo padre. Si trovava nella casa in cui era cresciuto, nel buon vecchio New Jersey.
Lynz era ai fornelli, aveva insistito tanto perché fosse lei a cucinare per quella sera, e perché Donna si riposasse.
Non face neanche in tempo a lasciare andare la testa sulla spalliera del divano, che Bandit arrivò correndo dall’altra stanza.
«Papà, guarda!» esclamò saltellando, mentre stringeva fra le mani un foglio leggermente stropicciato.
Gerard lo prese con calma e lo osservò: era un disegno fatto da lei. Ritraeva l’albero di Natale che troneggiava lì in salotto, loro tre e una montagna di regali tutti sormontati da fiocchi enormi e colorati.
«E’ bellissimo» Gerard sorrise e abbracciò la sua piccola, e a lei si illuminarono gli occhi.
Bandit si sciolse piano dall’abbraccio e ritornò in cucina, dove i nonni la stavano aspettando, sotto lo sguardo attento e orgoglioso del padre.
Era così felice che la sua bambina stesse seguendo il sentiero dell’arte. Una volta cresciuta, si sarebbe resa conto davvero di ciò che significava e della sua importanza.
Gerard si passò una mano fra i capelli scombinati e si lasciò sfuggire un piccolo sbuffo, mentre i suoi occhi vagavano per tutta la stanza.
Din don.
Squillò il campanello, facendolo sussultare dalla sorpresa.
Sentì Lindsay urlare qualcosa e il suo nome, così intuì che toccava a lui andare ad aprire, perciò strisciò di malavoglia i piedi fino all’ingresso. Sbirciò dallo spioncino, cosa che faceva davvero raramente, e tutto ciò che riuscì a vedere fu una montagna di ricci.
Sorrideva già tra sé e sé quando aprì la porta per dare il benvenuto al suo migliore amico, presentatosi lì all’improvviso, senza alcun preavviso. Con lui c’era anche la moglie, Christa.
Non si scambiarono una sola parola di saluto, si strinsero soltanto in un abbraccio affettuoso. Ray gli diede una pacca sulla spalla.
«Cosa porta qui il mio afro preferito?» domandò l’altro, facendo accomodare entrambi dentro.
«Passavamo da queste parti, sai com’è … non disturbiamo mica, vero?» l’afro gli fece l’occhiolino mentre appendeva il pesante cappotto all’attaccapanni.
Gerard capì che in realtà aveva programmato quella visita da diverso tempo. Ah! Però era sempre un incredibile piacere quando ci si ritrovava Ray Toro davanti la porta di casa. La serata si prospettava più interessante di quanto avesse immaginato.
«La famiglia Toro non disturba mai» disse, strizzandogli l’occhio a sua volta.
Christa aveva salutato tutti e si era diretta in cucina, dove Lynz l’aveva accolta con gioia. Probabilmente si era unita a lei nella preparazione della cena- anche perché avevano due invitati in più.
Bandit si precipitò all’ingresso non appena sentì ch’era arrivato lo “zio Ray”, e questi la prese in braccio e le fece fare qualche giravolta in aria prima di rimetterla a terra ridendo. Anche Donna e Donald, i genitori di Gerard, vennero a salutare, e poi si ritirarono in salotto con la bambina, che aveva una parlantina irrefrenabile e monopolizzava l’attenzione dei nonni.
Gerard e Ray, finalmente liberi, si diressero verso l’altro salottino di casa Way.
«Ma il nerd?» chiese il chitarrista a un certo punto.
L’amico scrollò le spalle. «Lui e Sarah dovrebbero essere qui tra poco.»
«Ah, quindi c’è anche lei.»
«Beh, non poteva di certo lasciarla a casa. Tanto sai che la nostra sopportazione si deve limitare al semplice gesto di salutarla o di passarle l’acqua a tavola» Gerard lo tranquillizzò.
Sarah, la fidanzata di suo fratello Mikey, non andava molto a genio a nessuno. Rimpiangevano tutti la sua ex-moglie, Alicia, ma ad amor non si comanda, giusto? Lui sembrava felice ed era sul serio innamorato, quindi avrebbero dovuto sopportare in silenzio e provare ad “accoglierla” in famiglia per quanto potevano.
La meno propensa alla convivenza era Lindsay: non riusciva proprio a sopportare quella ragazza. Neanche a vederla. Più volte si era intravista l’ombra minacciosa di una lite familiare a causa di ciò, ma negli ultimi tempi sembrava essersi un po’ calmata, per fortuna.
La cosa riguardava direttamente lui e la sua famiglia, comunque, perciò alla fine Ray non aveva molto a che fare con la faccenda. Certo, era ovvio che gli interessasse, ma, fortunatamente per lui, non doveva fare da mediatore fra la propria moglie e la fidanzata del proprio fratello.
«Già, immagino sia così. Per il resto va tutto bene?» la voce di Ray lo raggiunse mentre apriva l’alta credenza alla ricerca di qualcosa.
«Tutto bene» confermò, mostrando la bottiglia di vino che teneva in mano.
L’afro emise un fischio d’ammirazione.
«Vedo che siamo ben forniti qui nella novella casa Way, eh!» Ray accettò volentieri il bicchiere che l’amico gli porgeva, e per qualche minuto rimasero in silenzio, assaporando la bevanda appena aperta.
Gerard si sentì strano, perché quando era con i ragazzi bevevano quasi sempre birra o diet coca e robe simili. Quel vino non gli riportava alla mente alcun ricordo degli anni passati, anzi, lo faceva immergere ancora di più nella realtà in cui si trovava, in quella stanza vuota della sua casa, appoggiato alla credenza e con il suo migliore amico che di tanto in tanto gli lanciava delle occhiate in tralice.
Sentì un forte senso di mancanza avvolgerlo. Ma cos’era? Cos’altro c’era che non aveva ancora? In quel momento non riuscì a trovare alcuna risposta.
E allora come poteva spiegarsi quel buco nel cuore che andava ingrandendosi sempre più?
Inspirò profondamente con la bocca aperta, sfuggendo agli occhi attenti di Ray. Per un attimo pensò addirittura che il vino fosse andato a male, ma era impossibile- l’aveva acquistato il giorno stesso, e poi l’amico sembrava assolutamente deliziato.
Voleva tanto uscire di lì e correre in bagno, chiudersi dentro, abbandonarsi contro la parete e tirare un sospiro di sollievo. Poi si rese conto che stava ragionando come una fottuta ragazzina, si maledisse tre o quattro volte e ingerì a fatica gli ultimi sorsi.
«Ho sentito che sei diventato un gattofilo, comunque» fece l’afro divertito.
Gerard trovò -non si sa come- il modo di mandare giù il groppo in gola che aveva fino a un attimo prima.
«I gatti sono la vita!» dichiarò, un po’ sulla difensiva.
Ray scoppiò a ridere, e Gerard lo seguì subito dopo. Non si poteva non essere allegri con lui, proprio no. Tutto il malessere che il più grande aveva avvertito prima sciamò nel giro di pochi secondi, lasciando soltanto il sapore di quell’allegra risata.
Avere il suo migliore amico a casa e festeggiare con lui e la famiglia l’arrivo del nuovo anno gli avrebbe fatto bene, decisamente.
Suonarono nuovamente alla porta.
«Mio fratello» Gerard tornò all’ingresso con Ray che gli stava dietro per andare ad aprire, ma sua madre andrò prima di lui.
«’Sera a tutt--- ehi, quanta gente!» Mikey rimase stupito vedendosi davanti la chioma riccia dell’afro. «E tu cosa ci fai qui?»
«Ho sentito che ci sarebbe stata una festa, così ho deciso di imbucarmi e mangiare a scrocco.»
Mikey gli rivolse una delle sue più espressive poker-face. «Tipico di te, Toro.»
«Non rivolgerti a me con quel tono, Way Junior» Ray scosse i voluminosi ricci, tentando in qualche modo di apparire minaccioso.
Gerard alzò gli occhi al cielo e poi sorrise: quanto diavolo gli erano mancate queste discussioni prive di senso e questi finti battibecchi?
«Okay, bambini, basta così. Adesso fate la pace e tutti amici come prima, altrimenti il pannolino ve lo cambierete da soli» si intromise il più grande, posizionandosi proprio tra i due.
Il fratello gli rivolse un’occhiata preoccupata. «Sei inquietante, lo sai?»
Gerard fece una smorfia buffa con la bocca e poi li lasciò per andare a salutare cordialmente Sarah, che si era fermata a parlare con Donald.
Si sentiva un buon marito e un bravo fratello, in quel momento. E poco dopo si sentì ridicolo per averlo pensato.
«Zio Moikey!» Bandit salutò con grande enfasi Mikey, così come aveva fatto con Ray poco prima. A lui mostrò anche il disegno, dopo che ve lo ebbe aggiunto in fretta per “non farlo diventare triste”.
«Mia nipote diventerà un artista» commentò con non poco orgoglio il piccolo dei Way.
«Lo è già» lo corresse il fratello maggiore.
«Oh, sono d’accordo. Ti ha persino disegnato con la poker-face, Mikes» lo prese in giro Ray.
«Fottiti, nerd» borbottò Mikey.
«Da che pulpito» tossì l’altro.
«NON RICOMINCIATE!» si intromise ancora una volta Gerard, «se avete intenzione di cominciare il nuovo anno bisticciando come due mocciosi, fatelo in giardino, per favore. Al freddo e al gelo, sì. E prendete esempio da Bandit, che non ha mai litigato con alcun bambino dell’asilo.»
«Sì, mammina» chiocciarono all’unisono i due, facendo la vocina.
Gerard preferì ignorarli e decise di dirigersi verso la cucina, per capire un po’ come se la cavava Lynz.
«A proposito, notizie di Frank?» domandò Mikey a Ray, come se avesse colto l’occasione vedendo il fratello allontanarsi.
«Nulla di nuovo o di indicativo. L’ho sentito quando l’hai sentito anche tu l’ultima volta, per parlare del Greatest Hits» rispose l’afro.
Gerard si bloccò di colpo sull’uscio dell’altra stanza.
Frank.
Ma certo. Era ovvio. Perché diavolo non ci aveva pensato prima?
Idiota, idiota, idiota.
Sia Mikey che Ray avevano avuto modo di parlargli, in quell’ultimo periodo. Dopotutto il GH li riguardava tutti e quattro, era normale che se ne discutesse insieme. Gerard ne aveva parlato molto con suo fratello e aveva anche avuto una lunga telefonata con Ray, e loro stessi avevano sentito Frank. Gerard no, invece.
Era soddisfatto degli accordi raggiunti con gli altri, ma si era dimenticato completamente del chitarrista. Anzi, più che dimenticato, l’aveva rimosso.
In quei giorni si era sempre sentito come se qualcosa di importante non tornasse, come se ancora dovesse aspettare qualcosa. Era di questo che si trattava, dunque?
Che coglione che era stato. Forse aspetta ancora la mia telefonata, e io me ne sto qui a piangere sul latte versato.
Davvero, non poteva credere di essersi sul serio dimenticato di lui. Era più probabile che il suo cervello si fosse rifiutato di risentire Frank.
Di sentire la sua voce, la sua risata contagiosa, i suoi sbuffi, gli schiocchi che faceva quando si stava scocciando di parlare di un certo argomento.
Non sarebbe più riuscito a scappare da lui, e al momento gli riusciva troppo bene per lasciar perdere. Più avrebbe sentito Frank, e più avrebbe avuto voglia di sentirlo.
Però non poteva fare finta che non esistesse, che non avesse mai fatto parte del gruppo.
Cosa cazzo doveva fare per togliersi da quell’impiccio?
«Tesoro, qualcosa non va?»
Gerard si accorse che Lynz si trovava esattamente davanti a lui, e lo fissava preoccupata.
“Merda” pensò mentre si mordeva il labbro inferiore.
«Non è niente, mi ero perso un attimo nei miei pensieri. Da te come va? La cucina è ancora integra?» buttò lì per togliersi d’impiccio, tirando fuori anche un sorriso alquanto convincente.
«Mooolto spiritoso, Way» sbuffò la moglie, ritornando ai fornelli, e si avvicinò anche lui per dare un’occhiata.
L’odore pungente delle spezie del curry gli solleticava piacevolmente il naso.
Gli venne un’idea.
«Beh, sembra che te la cavi. Io torno di là» annunciò, sperando che la donna non facesse altre domande o cose del genere.
Lindsay si voltò, gli lasciò un bacio sulle labbra e poi si volse nuovamente verso pentole e padella.
Gerard sgattaiolò in salotto, contento di averla fatta franca, e acchiappò al volo fratello e amico per trascinarli al piano di sopra con una scusa qualsiasi.
«Ragazzi, devo chiedervi un favore» esordì, un po’ a disagio.
«Spara» lo incalzò Ray, impaziente.
L’altro tacque. Non sapeva da dove cominciare, a dire il vero.
Mikey lo fissava, in attesa.
«Non ho ancora parlato con Frank per il Greatest Hits. Possiamo chiamarlo adesso, tutti insieme?» disse infine, diretto.
«Gerard» il fratello sospirò, «ti sembra una cosa carina da fare? Chiamarlo mentre noi siamo tutti qui a divertirci?»
«Adesso non darmi dell’insensibile» sbottò il maggiore.
«Io gli avevo chiesto se gli sarebbe piaciuto passare il Capodanno da me, ma ha rifiutato. Non se la prenderà, vedrete» intervenne l’afro.
«Perfetto, allora. Mikes, il tuo cellulare.»
«Cosa? E perché?» si oppose Mikey.
«Perché così capirà che non possiamo stare troppo tempo a parlare, ecco» spiegò velocemente Gerard.
«Prendi il mio, ragazzina» Ray gli ficcò in mano il suo.
L’altro lo ringraziò e compose il numero con mani un po’ tremanti. “Datti una calmata”, si disse.
Tu. Tuu. Tuuu.
Squillò ben tre volte, poi finalmente sentì rispondere.
Era lui.
«Pronto?»
Quella voce. Quella fottuta voce.
Gerard inspirò. «Sono io.»
Si rese conto soltanto qualche secondo dopo di quanto ridicola fosse stata quell’affermazione, perlopiù detta dal telefono di Ray.
«Gerard? Come mai chiami dal numero di Ray?»
«Ah … beh, ho avuto un problema con il mio iPhone. Avevo bisogno di parlarti -sai, per il Greatest Hits- , così ho preso in prestito quello di Ray, che stasera si è autoinvitato da me» spiegò l’altro.
«Capisco» fece il chitarrista dopo qualche secondo di silenzio, come se avesse voluto soppesare le sue parole per decidere a quali credere e a quali no, «dimmi tutto, ti ascolto.»
«Per quanto riguarda la copertina e tutto- mi chiedevo se per te andasse bene.»
«Ne avevo discusso una settimana fa con Mikey e Ray, non te ne hanno parlato? Comunque, per me è okay. Mi piace molto la copertina che hai realizzato» la sua voce suonava così atona che a Gerard fece quasi male a livello fisico.
Forse avrebbe fatto meglio a non chiamarlo affatto. Probabilmente era questo che voleva davvero, non aveva avuto alcun interesse a contattarlo e non ne aveva una volta ch’era stato contattato lui stesso.
«Me l’hanno accennato, sì. Però volevo accertarmene, sai com’è: ci siamo dentro tutti in questa cosa, no?» azzardò poi.
«Immagino di sì. Forse sarebbe meglio parlarne con più calma, allora?» propose il chitarrista.
«Ma quando?»
Ecco, quello sì che era un problema.
Din don.
Gerard si guardò attorno, come per controllare che ci fossero tutti. Chi poteva essere?
Mikey scrollò le spalle, rispondendo alla sua occhiata interrogativa.
Si ricordò che suo padre era uscito per andare a comprare qualcosa che serviva a Lynz, forse al supermarket, così si fiondò giù dalle scale, immaginando che gli altri non sarebbero andati ad aprire.
Nel frattempo, non sentì più nulla arrivare dall’altro lato del telefono.
«Ehi? Ci sei ancora?» domandò mentre saltava l’ultimo gradino e correva all’ingresso. Arrivò trafelato davanti la porta, si aggiustò il maglione, che era salito durante la corsa ed era andato per i fatti suoi, e riprese finalmente fiato. Abbassò la maniglia della porta.
«Sono proprio qui» il tono di Frank preannunciava una risata.
A Gerard vennero una serie di colpi l’uno dopo l’altro, a raffica.
Il primo, perché quella voce divertita gli aveva riempito il cuore. Il secondo, perché quel nano bastardo si trovava sull’uscio, davanti ai suoi occhi, con il telefono ancora accostato all’orecchio e un sorrisino divertito stampato in faccia.
«Uh … ? C- cosa … ?» balbettò.
Frank non riuscì più a trattenersi, e scoppiò in una sonora risata.
«Ho pensato che sarebbe stato carino farti questo piccolo scherzetto. La telefonata non era messa in conto, comunque, hai fatto tutto tu.»
Gerard rimase con una faccia da pesce lesso per due minuti buoni, incapace di credere ai suoi occhi. Frank si trovava lì, si era autoinvitato così come Ray, e l’aveva preso in giro per tutta la durata della telefonata. Sicuramente se l’era risa sotto i baffi, già pronto davanti la porta, mentre lui cercava di articolare una conversazione di senso compiuto.
«Mamma, credo che avremo bisogno di un posto a tavola in più» riuscì a dire soltanto.
«Frank, ma che bella sorpresa! Vieni, vieni, entra» Donna lo accolse con gioia e lo fece accomodare, sotto gli occhi spalancati del figlio, che non riusciva a scindere tra sogno e realtà.
«Grazie, Donna, ma non mi fermerò molto. Come vedi ho lasciato moglie e prole a casa» disse il chitarrista, sorridendo gentile.
«Oh, certo, capisco, tesoro. Jamia e i bambini stanno bene, quindi?»
«Bene, bene.»
Anche Mikey e Ray erano scesi, dopo aver sentito tutto quel movimento di sotto, e stavano salutando il nuovo arrivato.
Gerard era rimasto in piedi davanti la porta, immobile.
Da quanto tempo non lo vedeva? Quanti mesi erano passati? Ma, soprattutto, quanto diavolo gli era mancato?
Era un po’ più paffuto e portava la barbetta, ma per il resto era rimasto lo stesso. O almeno, fisicamente e nei gesti, nel modo di fare. La sua risata era allegra, contagiosa e piena di vita come sempre; i suoi occhi vispi e, allo stesso tempo, incredibilmente dolci.
Lindsey arrivò dalla cucina per salutarlo, poi urlò qualcosa riguardo il timer, che forse era suonato, e sparì di nuovo. Però c’erano già Donald, Bandit e Christa e Sarah che giungevano dalle altre stanze, generando ancora più confusione.
Gerard si passò una mano sulle tempie, avvertendo già qualche fitta di mal di testa. Sospirò e si diresse verso il giardino sul retro, attento a non farsi notare da nessuno. Aveva bisogno di qualche minuto di tranquillità.
Appena uscito avvertì subito la differenza di temperatura. Il freddo era pungente, nonostante non nevicasse da quasi una settimana.
Si strinse nel pesante maglione nero che aveva addosso e frugò nelle tasche alla ricerca di una sigaretta e di un accendino funzionante; trovò anche una banconota da cinque dollari. Quelli erano dei vecchi jeans che usava per uscire da ragazzo, e anche allora gli capitava piuttosto spesso di ritrovare soldi, cartacce varie, scontrini e sigarette schiacciate all’interno delle tasche di pantaloni o giubbotti. Era un classico.
Espirò piano, facendo uscire lentamente il fumo dalla bocca appena schiusa.
Si sentiva già meglio. Gli piaceva stare con la sua famiglia, gli piaceva rivedere gli amici, però ogni tanto sentiva il bisogno di isolarsi. Di confinarsi in un angolino tranquillo, dove ci fosse silenzio, e di stare un po’ per i fatti suoi. Era sempre stato così, e non sarebbe cambiato, lo sapeva già.
Era arrivato a metà sigaretta, quando sentì la porta venire scossa: qualcuno stava uscendo.
I suoi passi vennero attutiti dall’erba umida.
«Sapevo che ti avrei trovato qui.»
Il tono di Frank era compiaciuto. Ci aveva visto giusto.
«Vuoi?» Gerard non si mosse. Afferrò soltanto il pacco di sigarette e allungò il braccio all’indietro, invitandolo a prenderne una.
«No, grazie. Ne ho già fumate un paio mentre venivo qui» rifiutò l’altro, scuotendo leggermente la testa. Poi si abbassò e si sedette sul prato, incurante dell’umidità che gli avrebbe impregnato i jeans nel giro di poco.
Il più grande gli lanciò un’occhiata in tralice; buttò quel che restava della sigaretta nel bidone dell’immondizia e, pensatoci su un attimo, decise di fregarsene e anche lui si accomodò sull’erba bagnata. Adesso sentiva ancora più freddo, ma non vi fece caso sul serio. Perché non era più solo.
«Allora … Allora hai detto che sei d’accordo per il Greatest Hits, no?» chiese.
«Mmh» Frank emise un grugnito affermativo, mentre faceva vagare lo sguardo sulla via deserta e sulle finestre illuminate delle altre villette di Belleville.
Rimasero in silenzio.
Tutto qui? Non aveva nient’altro da dirgli? Si era presentato davanti  a quella porta soltanto per creare un po’ di scompiglio e salutare tutti? Non era una cosa molto da lui.
«Frank. C’è qualcosa che devi dirmi?» domandò infine, non riuscendo a sopportare ancora quel silenzio.
Il chitarrista teneva la testa rivolta verso il cielo, le labbra incurvate verso l’alto in un sorriso; con le mani si circondava le ginocchia, e, di tanto in tanto, si dondolava leggermente.
«Non trovi che siano bellissime?» disse a un tratto.
Gerard lo guardò perplesso, poi spostò anche lui lo sguardo verso l’alto.
Il cielo, che fino alla tarda mattinata era solcato da una cappa di grosse nuvole grigie, si era ormai schiarito del tutto, lasciando visibili gli astri.
A Los Angeles, dove grandi strutture e grattacieli raggiungevano altezze eccezionali, questo spettacolo era raro da vedere persino in estate. A Belleville, invece, era possibile ammirarlo la notte dell’ultimo giorno dell’anno, dal giardino sul retro di una normale abitazione.
A Gerard venne in mente come, quando erano ancora dei bambini, lui e suo fratello sgattaiolavano fuori dai letti nelle notti più calde d’estate e si venivano a nascondere in quel giardino; o si addormentavano così, sdraiati su di una tovaglia stesa sul prato, mentre ammiravano il cielo stellato, oppure, quando l’aria era troppo umida, dentro la piccola tenda che si trovava proprio in quello spazio d’erba sul retro.
«Noi siamo un po’ come le stelle» affermò Frank, interrompendo il corso dei suoi pensieri. Stava indicando con il braccio alzato due punti luminosi proprio sopra le loro teste. «Da qui sembrano tutte vicine, ma in realtà sono distanti anni e anni luce.»
Cosa avrebbe voluto dire?
“Noi siamo come le stelle. Possiamo stare vicini quanto vogliamo, ma non lo saremo mai davvero.”
Gerard sentì rimbombare dentro di sé quella amara sentenza prima che potesse rendersene conto.
Provò a convincersi che fosse sul serio così. Non poteva essere altrimenti: dopotutto, il loro rapporto non era mai diventato una vera relazione, no? Si era sempre aggirato fra la più salda delle amicizie e il più passionale degli amori. Sembravano due cose completamente diverse, ma in realtà la linea di confine era abbastanza sottile. Tutto ciò che avevano fatto era stato perlopiù giocare con le reti e le barricate che li dividevano, con un piede da una parte e uno dall’altra. Non si erano mai spostati del tutto da una parte, non c’era mai stato un momento in cui entrambi si erano trovati esattamente al centro o esattamente a destra o a sinistra.
Avevano giocato? Per tutti quegli anni, fino alla fine della band, avevano soltanto giocato?
Era stato lui a sposarsi per primo, era stato lui a insistere più volte perché la smettessero di dormire sempre nella stessa stanza d’albergo nonostante ne prenotassero una a testa ogni volta, era stato lui a cadere in depressione tanto che non si era più sentito di andare avanti con la band e aveva deciso di chiuderla lì, era stato lui a sparire dalla circolazione subito dopo. Tra i due, Gerard era stato fin dall’inizio colui che aveva tentato di porre un freno.
E adesso, Frank gli si presentava davanti come se nulla fosse. Come se nulla fosse mai accaduto tra di loro, come se in quei mesi avessero mantenuto normalmente il loro rapporto, senza mostrare un minimo di rancore o risentimento. Gerard si era aspettato sguardi gelidi, distacco, rabbia; forse, dentro di sé, sperava in qualche modo di essere insultato, rifiutato, ricambiato del suo atteggiamento.
Perché sapeva di meritarselo. Sapeva che era stato uno stronzo, soprattutto con lui. Un codardo. Un vigliacco. Un vile che non aveva mai trovato il coraggio di affrontare sul serio i suoi stessi sentimenti in passato, e che in seguito aveva cominciato direttamente ad evitarli, per non portare alla luce una verità scomoda, che avrebbe potuto sconvolgere lui e la sua vita.
Si trattava di questo. Capire cosa provasse realmente per Frank, lo spaventava. Dentro di sé lo sapeva già da un pezzo, da anni, ma non aveva mai voluto ammetterlo, né a se stesso, né a lui, né a nessun altro.
Suo fratello, che lo conosceva fin troppo bene, se n’era accorto prima di lui, e glielo aveva anche fatto notare. Da lì aveva preso a rifletterci su, per poi sfuggire alle conclusioni quando si era reso conto che Mikey aveva probabilmente ragione.
Come un fottuto vigliacco. Ecco cosa sono.
«Gerard, io non sono qua per rinfacciarti qualcosa, né tantomeno per chiederti cosa pensi realmente dentro quella testolina complicata che ti ritrovi.»
«E allora cos’hai da dirmi? Perché sei qui?» Gerard si voltò verso di lui, e i loro sguardi si incrociarono.
«Volevo soltanto che tu sapessi» Frank lasciò scivolare le parole tranquillo, come se avesse scritto il copione della loro conversazione tempo prima e l’avesse studiato così bene da riuscire a prevedere le risposte e i toni di entrambi, «che ti amo» sorrise.
Ed era un sorriso così triste, che l’altro dovette trattenersi dal voltare la testa dalla parte opposta.
Per Gerard era insostenibile. Quella conversazione era insostenibile per lui, la presenza, la vicinanza di Frank lo erano.
Era insostenibile la sua voglia di rispondergli chiaramente. Sentiva che avrebbe dovuto dirlo, che se fino a quel momento l’aveva detto soltanto a Lynz, c’era qualcosa di sbagliato. Sì, c’era di sicuro qualcosa di sbagliato in tutto questo. 
“Ti amo”.
Gerard si morse il labbro fino a quando non sentì il sapore del sangue in bocca. Se avesse potuto, ciò che avrebbe scelto di fare sarebbe stato rimanere in silenzio; restare lì senza scambiarsi una parola, ma anche senza perdersi fra i suoi pensieri. In un limbo dove avrebbe potuto evitare tutto ciò che non aveva voluto mai affrontare, dove avrebbe potuto ignorare ancora la verità davanti alla quale aveva sempre abbassato ostinatamente la testa e chiuso gli occhi.
Ma per una volta -per una buona volta-, avrebbe dovuto dire qualcosa.
«Lo so.»
Sentì di aver raggiunto il limite del ridicolo, e sperò con tutto il cuore che Frank lo picchiasse con tutte le sue forze. Così forse sarebbe rinsavito un po’.
Non lo raggiunse alcuna risposta, così trovò il coraggio di spostare lo sguardo su di lui.
Frank era sempre stato il suo punto debole. Non c’era una cosa che non gli piacesse di lui; no, Frank era perfetto così, al contrario di lui stesso, che passava la giornata a maledirsi mentalmente per qualsiasi cazzata facesse o dicesse.
Gerard si accorse troppo tardi di essere vicino a fare qualcosa che in realtà non voleva. E che non sarebbe stato coerente con la sua risposta precedente.
Ma ‘fanculo la coerenza! Quando mai sono stato coerente, in vita mia?
Allungò un braccio, afferrando quello del chitarrista e costringendolo a spostarsi fino a quando non furono seduti tanto vicini che le loro spalle quasi si toccavano.
Le labbra sottili di Gerard si posarono su quelle carnose di Frank, dapprima in un tocco delicato, per poi rapirle, seviziarle, accarezzarle con la lingua fino a quando non si schiusero e il bacio si fece tanto intenso da stordire tutti e cinque i sensi contemporaneamente.
La barbetta del più piccolo solleticava le guance lisce dell’altro, e questo contatto lo manteneva con i piedi per terra, gli faceva capire che non aveva raggiunto il paradiso terrestre o il Nirvana.
Semplicemente perché ciò che sarebbe venuto dopo sarebbe stato amaro tanto quanto quel bacio era dolce.
Frank si era staccato per riprendere fiato, ma aveva catturato nuovamente le labbra di Gerard, mentre affondava le mani fra i suoi capelli arruffati, cosa che gli era mancata in modo assurdo.
«A- aspetta» boccheggiò il più grande, scostandosi. Il battito cardiaco era sfrecciato alle stelle, lo sentiva rimbombare così forte dentro di sé che gli impediva di pensare a mente lucida. «Non possiamo.»
«Cosa?» l’espressione del chitarrista cambiò all’istante. Non era quello che si sarebbe aspettato.
«Non possiamo, Frank» Gerard scosse la testa, evitando di guardarlo in faccia.
«E me lo dici adesso. Dopo aver preso l’iniziativa per primo, dopo quel bacio. Quando cazzo farai luce fra quei fottuti pensieri contrastanti? Quando ti deciderai a prendere una cazzo di posizione? Non sono soltanto io a ritrovarmi in questa situazione. Ci siamo dentro in due, Gerard. Tutto questo riguarda noi due, non solo me, non solo te, non qualcun altro. Noi due.» Frank si mise in piedi. Il suo tono non era esattamente arrabbiato; più che altro, deluso. Deluso dal quel suo comportamento tanto infantile.
Era stanco di sentirsi ripetere sempre bugie, era stanco di pensare al loro rapporto come una grande, grandissima bugia. Voleva la verità, e la voleva una volta per tutte.
L’altro trattenne il respiro. Si sentiva la più grande merda vivente mai esistita nella storia dell’uomo. E, nonostante ciò, non riusciva ad aprire la bocca e parlargli.
Il chitarrista gli voltò le spalle, poiché ancora una volta non aveva ottenuto alcuna risposta, e se ne andò, sbattendo abbastanza forte la porta.
Gerard rimase al silenzio per diversi minuti, con gli occhi chiusi, cercando di cogliere quanto più poteva delle voci concitate che provenivano dall’interno. Capì che l’altro stava salutando tutti, e ne ebbe la conferma quando lo vide sbucare dall’angolo opposto della strada, probabilmente diretto verso casa sua.
«Tutto bene?» Mikey fece la sua comparsa all’improvviso, facendogli prendere un bel colpo.
«La prossima volta fa’ un minimo di rumore, dannazione!» esclamò irritato.
Il fratello lo fissò con lo sguardo di chi aveva risolto un puzzle bianco di 1000 pezzi. «Avanti, sputa il rospo: cosa vi siete detti con Frank tanto da farti smuovere così?»
«Non ci siamo detti niente, abbiamo parlato del più e del meno. Della famiglia e del tempo.»
«Come due bravi pensionati che si incontrano al parco e si siedono sulla stessa panchina ogni domenica mattina, dopo la messa. Bravi, così si fa» le parole uscite dalla bocca di Mikey erano sarcasmo allo stato puro. «Ricorda quello che ti ho detto anni fa, comunque» aggiunse infine, prima di andarsene ancora più silenzioso di come era arrivato.
Gerard scattò in piedi poco dopo, come colto da una specie di illuminazione.
Aveva deciso cosa fare. Aveva scelto il suo posto, aveva deciso dove poggiare il secondo piede.
«Mikes! Ehi, Mikes!» lo raggiunse urlando, fino a quando non si ritrovò davanti a lui. «Sento dire che la cena è quasi pronta. Per favore, di’ agli altri che sto portando il cellulare a Frank perché l’aveva lasciato qui.»
«Eh?» fece l’altro, lì per lì non capendone il motivo.
«Grazie, Mikes. Ti voglio bene» il fratello gli sorrise, poi si voltò dalla parte opposta e uscì dal giardinetto; una volta fuori, cominciò a correre a rotta di collo, inciampando un passo sì e l’altro pure, sapendo bene che l’indomani si sarebbe risvegliato con la febbre, il raffreddore, il mal di gola e Dio solo sa cos’altro, ma decidendo che in quel momento non gliene poteva fregare di meno.
Poteva farcela. Se non fosse caduto o avesse vomitato, ce l’avrebbe sicuramente fatta.
Ripensò alle parole di Mikey, poco prima dell’inizio del suo matrimonio. Riusciva ancora a ricreare quella scena così bene nella sua mente.
Quelle parole non l’avrebbero mai abbandonato.
 
«Gee, pensi sul serio che sia una buona idea ciò che stai per fare?Hai passato la notte del tuo addio al celibato con Frank, dopotutto.»
«Mmh.»
«Di’ la verità, non ne sei sicuro. Non sai ancora cosa e chi vuoi sul serio. Potresti pentirtene in futuro, Gee.»
«Non preoccuparti, Mikey. Non sono esattamente un bambino che non sa scegliere tra un lecca-lecca alla fragola e uno alla coca-cola.»
 
No.
La verità è che lo sapeva. Ne era sicuro: se Frank fosse tornato da lui, avrebbe ceduto.
Ogni volta avrebbe ceduto completamente, innamorandosi di quell’uomo altre dieci, cento, mille volte. E niente e nessuno avrebbe mai potuto cambiare tutto ciò.
Non c’era nessuno con cui avesse mai avuto un rapporto simile, non c’era nessuno che gli faceva provare tante emozioni contrastanti quanto lui. Era inutile, era del tutto inutile fuggire; era inutile ignorare quei sentimenti, perché non sarebbero spariti con un puf, come per magia. Non era qualcosa che fosse in grado di domare o di controllare, doveva soltanto accettarlo.
Altrimenti, probabilmente sarebbe morto continuando a ignorare cosa provasse. Si sarebbe ritrovato a voltare le spalle alla verità anche in fin di vita, anche quando ormai non avrebbe avuto più nulla da perdere ad ammettere qualcosa a se stesso.
Si era già pentito troppe volte e di troppe cose in vita sua. Aveva trentasei anni, si supponeva che fosse adulto, perciò avrebbe dovuto comportarsi come tale, almeno per una volta.
Mentre correva, si sentiva le mani e il viso congelare per il freddo, ma dentro sentiva caldo, e il maglione gli dava un fastidio tremendo.
Devo resistere ancora.
C’erano dei ragazzini sul marciapiede con dei ancora chiusi in mano, che stavano cercando già un posto dove farli esplodere; Gerard li vide in tempo, ma non riuscì a rallentare, e quasi ne buttò a terra uno nel tentativo di scansare tutti gli altri. Non si voltò nemmeno, non gli importava nulla.
Era da un bel po’ che non attraversava Belleville a piedi, e si domandò quanto mancasse, e cosa avrebbe fatto se non fosse riuscito ad arrivare in tempo.
Finalmente intravide una figura piuttosto bassa camminare con passo misurato due marciapiedi più avanti. Realizzò che ce l’avrebbe fatta, e questo lo motivò per uno sprint finale.
«Frank!» la sua intenzione era quella di chiamarlo a gran voce, ma gli uscì soltanto un grido strozzato. Piantò pesantemente i piedi per terra e si chinò in due, ansimando.
Frank, che ormai stava per giungere a casa, si voltò per vedere cosa stesse succedendo, e si avvicinò alla figura piegata in due che si trovava dall’altro lato del marciapiede.
«Gerard? E’ successo qualcosa?» domandò subito, con espressione preoccupata.
Si abbassò, facendo strisciare l’orlo del cappotto che indossava per terra, e cercò di guardarlo meglio, ma il volto era nascosto dai capelli, che avevano preso una strana piega e ricadevano tutti in avanti.
Quando il più grande alzò la testa, non era quasi più paonazzo; il sangue alla testa sembrava essere sceso un po’, il respiro si era regolarizzato quasi del tutto e le gambe avevano ripreso la loro sensibilità.
Gerard si passò una mano fra i capelli, portandoli all’indietro e sistemandosi per comodità qualche ciocca dietro le orecchie. Poi spostò lo sguardo sul chitarrista, che ancora lo fissava vagamente preoccupato, in attesa di sentirgli dire qualcosa.
«Anche io» disse semplicemente.
«Anche tu cosa?»
«Sai benissimo di cosa sto parlando. E’ la mia risposta a ciò che hai detto prima.»
L’altro ammutolì, stupito. Non sapeva cosa dire o come comportarsi. Non riusciva a credere che Gerard avesse preso una posizione; non riusciva proprio a crederci.
«Frank» Gerard gli passò una mano sul viso, fino a portargli due dita sotto il mento. Ammirò la bellezza dei suoi grandi occhi per diversi secondi. «Non c’è proprio un modo per far avvicinare due stelle?»
L’espressione del più piccolo si addolcì, e non riuscì ad evitare di aprirsi in un largo sorriso. Sembrava che la felicità avesse deciso di manifestarsi attraverso il suo viso, sembrava che avesse deciso di incarnarsi in un umano, e quell’umano era lui.
Anche lì, sotto la luce sbiadita di un lampione, risultava così bello e raggiante che Gerard decise di voler rimanere lì, in quel punto esatto, con Frank e quel suo incredibile sorriso, per il resto della sua vita.
«Certo che c’è. Sta a te scoprirlo, Gee» il tono del chitarrista si era fatto più giocoso e furbetto. Niente avrebbe potuto rovinare quella serata, a nessuno dei due.
Perché si amavano, e lo sapevano fin troppo bene entrambi. Forse non sarebbero mai diventati una vera e propria coppia agli occhi di chi li osservava da fuori, ma per loro, nel loro piccolo mondo, lo erano sempre stati, e lo sarebbero stati.
Gerard poteva anche essere un grande stronzo, poteva anche essere stato quello che aveva ignorato i propri sentimenti per diversi anni, ma per Frank non sarebbe cambiato ciò che provava per lui. Potevano anche non vedersi, non sentirsi per mesi, litigare, avere di continuo discussioni o cercare di dedicare più tempo alle mogli e alle famiglie, ma sarebbero tornati l’uno dall’altro, prima o poi.
Avrebbero cominciato a camminare e si sarebbero incontrati a metà strada; tutti e due avrebbero poggiato i loro piedi al centro, consapevoli di tutto ciò che questo comportava, e sarebbero rimasti lì. Si sarebbero allontanati, e poi riavvicinati di nuovo, in una danza infinita che andava bene a entrambi, perché stavano bene finché sapevano che esistevano, e che il loro strano rapporto, il loro particolare amore, esisteva.
Sentirono dei botti, probabilmente causati dai petardi che i ragazzini di pochi minuti prima stavano aprendo, e subito dopo videro anche un fuoco d’artificio lanciato un po’ in anticipo. Era verde e luminoso.
La mano di Gerard cercò quella di Frank, e la strinse.
«Felice anno nuovo, Frankie.»
 
 
 
 

Ma buonasssera, pipol! *palla di fieno che rotola*
Vi ricordate ancora di me? Lo spero. çwç
Lo so, lo so. Non mi sono più fatta viva per mesi. PARDON. PARDONATEMI---
Tra l’altro mi ripresento con un’os di Capodanno tre giorni dopo Capodanno (perché sono anti-convenzionale e mi piace postare quando voglio), e che fa anche abbastanza pena. Yuppie.
Giuro che non intendo accampare scuse, so di essere una persona orribile, ma sappiate soltanto che questo ultimo periodo è stato pieno per me, tra scuola, impegni vari (stranamente ho avuto un briciolo di vita sociale), e COSPLAY YESS---
Per quanto riguarda questa cacca di cane os, volevo scrivere qualcosa con lo scenario del Capodanno e dove ci fossero un po’ tutti i nostri stronzi-sciogli-band  ragazzuoli. E così mi è venuta fuori questa.
Essendo un’os da postare per una festività (ormai passata), non volevo che fosse una dove si sbattono come se non ci fosse un domani, né qualcosa di angst e drammatico (a far soffrire anche a Capodanno ci pensa la mia cara collega Sara, leggete tutti la sua os e piangete per sempre <3). C’è forse un po’ di malinconia, ma quando si parla dei My Chem e del Frerard c’è un po’ sempre. Forse. O forse sto cominciando a sparare balls, lasciatemi perdere.
Chiedo ancora perdono per questa ridicola figura, ma un giorno riuscirò a diventare una che rispetta le consegne, non si riduce all’ultimo per finire di scrivere qualcosa, e giuro che diventerò una persona migliore (oppure la versione femminile di Usagi-san di Junjou Romantica ED E’ PREOCCUPANTE---).
La smetto di annoiarvi, basta. Ringrazio in anticipo tutti coloro che leggeranno e recensiranno, e a questi ultimi taaaaanti cupcakes. <3 Se poi volete evitare di scrivere roba troppo offensiva su EFP, cercatemi pure su Twitter. Mi prenderò tutti gli insulti che mi merito senza fiatare.
Alla prossima! <3
*scompare in una nuvola di fumo*
 
xx,
Danielle.
 
P.S. Angolo della pubblicità occulta: per gli appassionati di anime e manga che shippano a volontà, sto scrivendo anche una raccolta di os natalizie (non per il Natale dell’anno prossimo, purtroppo--- Mi odio) yaoi/shonen’ai con quattro diverse coppie rispettivamente da No.6, Death Note, 07-Ghost e Kuroshitsuji. Finora ne ho postate due, ma la prossima è quasi pronta (forse parlo troppo, vedrete che Word mi si impallerà e cancellerà tutto per punirmi) e l’ultima è in lavorazione *coff coff*. Ecco il link: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2350252&i=1

 
   
 
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