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Autore: Dzoro    04/01/2014    0 recensioni
Gesù gli domandò: «Qual è il tuo nome?» 
Egli rispose: «Il mio nome è Legione, perché siamo molti». 
Cosa fareste se vi svegliaste una mattina senza ricordare nulla delle vostre ultime 24 ore? E se trovaste sulla vostra porta le foto di degli uomini che non avete mai visto, e la scritta "stanno per morire?" 
Per fan di: Death Note, Twin Peaks, Dylan Dog, Dario Argento, Una Notte da Leoni, Il Grande Lebowski, il rock psichedelico e la crostata di ciliegie.
 
Genere: Horror, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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For We Are Many

Stagione 1

Capitolo 8: la capanna dello zio Charlie

Lunedì 24 ottobre, 08:00

 
20 ore dopo circa, mi trovai di nuovo sulla strada nella foresta, vicino alla mia Polo. Ma ora avevo degli scarponi, una giacca a vento e tutte le intenzioni a scoprire qualcosa di più sul tornado di assurdità che aveva travolto la mia vita neanche una settimana prima. Mi aspettavo di tutto, tranne un jamaicano nudo che compare in mezzo ad una bufera di neve. Ma andiamo con ordine.
Ripercorsi il sentiero fino al prato, e lì trovai un indicazione per un altro sentiero, che mi avrebbe portato un po’ alla volta in quota. Iniziai a camminare, ricordandomi troppo tardi che la mia ultima gita in montagna era stata in seconda media. I polpacci erano tesi e rigidi come se dovessero scoppiarmi da un momento all’altro, e il fiato iniziò a mancarmi. E stavo camminando da solo mezz’ora. Guardai l’orologio: da venti minuti. Inghiottii un groppo di saliva, e riprese a scarpinare sul sentiero ricoperto di ghiaia. Mi accorsi ben presto che, con un modesto allenamento fisico, quel tratto sarebbe stato la proverbiale passeggiata. Il sentiero saliva dolcemente lungo un fianco della montagna, regalandomi nel giro di un ora anche un discreto panorama. Da lì era visibile il prato vicino al bosco dove avevo parcheggiato, e mi fermai anche un attimo a controllare che dall’alto non si vedesse nulla di interessante, invisibile da valle. Intorno ai sassolini del sentiero, si era accumulata una discreta quantità di neve sporca. Fu in quel momento che ricordai il mio capo reparto degli scout che mi istruiva su quanto fosse pericoloso imbarcarsi in escursioni in autunno inoltrato, dato che questo è il periodo in cui iniziano le prime nevicate. Mentre me ne ricordavo, iniziò a nevicare. La cosa non mi spaventò, era neve sottile e ghiacciata, il classico fuoco di paglia, probabilmente il sole sarebbe tornato da un momento all’altro. Proseguii per il sentiero, che venti minuti dopo mi lasciò scorgere una forcella, un passo montano chiuso tra due picchi. Capii che stavo andando in quella direzione.
Quaranta minuti dopo, i miei scarponi stavano sprofondando in trenta centimetri di neve, soffice e gelida, mentre ero circondato da fiocchi grandi e pesanti come palle da bowling. Cercai di farmi forza fischiettando la colonna sonora de Il signore degli anelli, ma subito dopo iniziò addirittura a fischiare un vento gelido e denso, che sembrava volermi strappare di dosso i vestiti. Mi misi in testa il cappuccio e strinsi il cordino della giacca a vento più che potevo.
“Tu non puoi passare!” dissi tra me e me, cercando di interpretare il freddo ululato che mi avvolgeva, e sembrava volermi respingere a valle. Da uno spuntone di roccia sopra la mia testa calò un cumulo di neve fresca, aggiungendo un'altra analogia tra quello che mi stava succedendo e la compagnia dell’Anello. Era il momento di andare nelle miniere di Moria, che per me corrispondevano alla hall dell’Hotel Girasole. Feci dietrofront, frustrato e nervoso, e ripresi la strada che avevo fatto per arrivare fin lì. Camminai un attimo, ma mi voltai subito: la forcella non distava molto. Un quarto d’ora, al massimo. Strinsi i denti.
“Avanti, brutto culo molle, un piccolo sforzo per diventare il re della montagna.”
Ripresi a salire, con il vento che mi investiva come un fiume in piena. Iniziai a guardare solo per terra, in modo da appoggiare sempre il piede dove non potevo scivolare. Un passo dopo l’altro.
Mi accorsi di aver raggiunto la forcella solo quando le ombre nere dei due picchi fecero sparire la mia ombra già sbiadita dalla tormenta. Guardai l’orologio: era passata un ora, altro che quindici minuti. Dio benedica la mia scarsa capacità di pianificazione, mi dissi, non ci avrei mai provato se avessi saputo che ci avrei messo tanto tempo. Feci ancora qualche passo, mentre la breve esaltazione conferitami dal raggiungimento della meta iniziava a scemare, lasciando il posto alla consapevolezza che i miei testicoli si stavano tramutando in un semifreddo di dna. Oltre la forcella, c’era un sentiero sassoso, che scendeva ripidamente fino ad un pianoro. Una casa. C’era una casa laggiù, un rifugio. Forse era solo la tormenta a farmelo pensare, a confondere le immagini, ma mi sembrava che le assi che la andavano a comporre fossero storte e sbilenche, come la prima costruzione di lego di un bambino di quattro anni. Sperai ardentemente che fosse aperta. O perlomeno, chiusa dal lucchetto di cui possedevo la chiave. Scesi a precipizio giù per il declivio, rischiando di inciampare almeno dieci volte. La tormenta ora era densissima, mi sembrava di nuotare nella panna montata più fredda della mia vita. Con un braccio davanti agli occhi, mi spinsi fino al rifugio. Fu allora che dalla tempesta comparvero come due gemme d’ebano le natiche del nero. La sua comparsa mi fece immobilizzare, perlomeno per darmi il tempo di chiedermi se non fossi in realtà svenuto dal freddo, e in preda al delirio. Ma lui era davvero lì, con la sua pelle nera e raggrinzita esposta alla bufera. Teneva le braccia alzate verso il cielo, e appena fui abbastanza vicino, mi accorsi che stava sorridendo con i suoi denti giallastri e storti, nascosti da una barba riccioluta e grigia che gli arrivava fino al petto. Si voltò verso di me, e mi guardò.
- Man, devi essere bello picchiato per farti una passeggiata con questo tempo!- mi disse, in un italiano impeccabile.
- Sei nudo.- gli feci notare.
- Sì.- fece lui. Mi accorsi che non c’era da aspettarsi una risposta diversa.
- Sto morendo di freddo, non è che posso entrare nella tua capanna?-
- Coola, man!-
- Cosa vuol dire?-
- Vuol dire che la casa di Zio Charlie è la casa di tutti! Entriamo, ho assorbito abbastanza vibrazioni per oggi.-
Il nero andò fino alla porta del capanno, la aprì, e mi fece segno di entrare. Non me lo feci dire due volte.
 
La casa di Zio Charlie sembrava uscita da una vacanza in Jamaica di Salvador Dalì. Sulla parete davanti a me si trovavano una selva di crocifissi e rosari, appesi a chiodi, che attorniavano un enorme poster che raffigurava un leone, con sotto la scritta Bad Brains. Il pavimento era coperto da vestiti, asciugamani e tappeti, illuminati da un soffitto dal quale pendeva una selva di lampadine, alcune delle quali colorate. Le pareti ondeggiavano per il vento, e le lampadine di conseguenza si esibivano in una psichedelica luminosa, chiazze colorate oscillavano per la stanza, dando quella sensazione che si ha quando ci si trova nei pressi di un grosso acquario. In un angolo giacevano uno scafandro e degli attrezzi di metallo, simili a pinze per il caminetto. Vicino, si trovava un fornelletto elettrico, e un piccolo frigorifero.
- Siediti man, che Zio Charlie prende qualche cosa per scaldarci!- disse il nero, avviandosi verso il frigo. Mentre lo apriva e vi frugava dentro, notai che era pieno esclusivamente di barattoli di metallo, privi di etichetta. Dei barattoli simili, ma vuoti, si trovavano anche in un sacchetto verde chiaro accanto al frigo.
- Grazie.- dissi io – Hai anche un bagno per caso?-
- In fondo a destra.- rispose lui automaticamente, mentre sembrava aver trovato il barattolo che voleva. In effetti, in un angolo si trovava una porta, dietro alla quale brillava un intensa luce elettrica. Mi avvicinai e la aprii, accorgendomi che non era fissata a nessun cardine. La spostai sul muro lì vicino, ed entrai nel bagno. Ai miei piedi si trovava un pavimento piastrellato sporco di terra, in mezzo al quale spiccava una turca, la più lurida che avessi mai visto. Di fianco, si trovava una vasca da bagno sollevata da terra da quattro piedini di metallo arrugginito. All’interno si trovava una selva di piante di Marijuana, che crescevano in uno strato di terriccio adagiato sul fondo della vasca, formando un unico impenetrabile cespuglio. Erano illuminate da due lampade sul soffitto grandi come i fari di una locomotiva, che mi costrinsero a chiudere gli occhi e a spargere diverse gocce della mia pipì sui miei bei scarponi nuovi. Appena ebbi sgocciolato l’annaffiatoio, mi catafottei fuori: la dentro faceva un caldo infernale. Zio Charlie era chino sul fornelletto acceso, intento a rimestare quello che sembrava spezzatino. Si era infilato una lunga camicia, che lo copriva fino alle ginocchia. Mi sedetti vicino a lui.
- Ti sei sistemato bene.- dissi.
- Si tira avanti man, finché il cuore di questo vecchio pianeta continuerà a battere gli uomini vivranno liberi, e lo Zio Charlie vivrà felice.-
- È da tanto che sei qui?-
- Almeno duemila barattoli.-
- Oh.- decisi di smettere di fare domande.
- Grazie ancora, si gela la fuori.-
- Lo so bene, non hai visto che ero la fuori con il culo all’aria?-
- Sì, pensavo lo facessi per… piacere?-
- Lo faccio per sopravvivere. Ci sono ottime vibrazioni qui, nel terreno. Ti entrano nelle palme dei piedi, e risalgono su per le gambe come una famiglia di scoiattoli risalirebbe una sequoia. Poi, senti questa energia incredibile nel basso ventre, roba che potresti sparare raggi laser dall’ombelico. Sono le cose per le quali va la pena vivere, man.-
- Devo provare.-
- Certo che devi. Allora, quanta te ne serve?-
Una domanda molto vaga, abbastanza per far tentennare perfino il mio moderato intuito da segugio. Poi la mia mente tornò alle piante nel bagno, e capii a cosa si riferiva.
- No, non sono qui per comprare. Stavo semplicemente passeggiando, quando è iniziato a nevicare.-
- Man, io prima scherzavo, ma tu hai davvero il mumbo jumbo nel cervello!-
- Immagino di sì.-
- Meglio così d’altronde. Mi rimaneva solo la mia riserva personale. Quindi vuoi dire che sei arrivato al capanno del vecchio Charlie per pura coincidenza?-
- È una storia così assurda?-
- Coola man, la vita è assurda. Pensa, tremila barattoli fa insegnavo fisica in un università.-
- Beh, direi che è abbastanza assurdo.-
- Ma è vero.-
- Eri un professore universitario?-
- A contratto. Ma poi hanno scoperto cosa stavano coltivando dietro ai gerani vicino al campo da football, e lo sai che negli states sono dei moralisti da far paura.-
- E quindi sei venuto qua?-
- Oddio, non subito. Sudamerica, Africa, Sud est asiatico… bisogna muoversi, man, se ti fermi muori. Sono qui da un annetto, ormai.-
Il cambiare la sua unità di misura temporale da barattoli a anni mi fece sperare di aver fatto spostare la conversazione su toni amichevoli.
- Quasi tutte le persone hanno una storia assurda alle spalle, talmente assurda che non la raccontano a nessuno per paura di essere presi per fessi. Pensi che io sia un fesso?- mi interrogò Zio Charlie all’improvviso.
- No, certo che no.-
- Tu invece lo sei parecchio. Andare in gita a ottobre inoltrato. Tieni.-
Zio Charlie versò il contenuto del pentolino nei due barattoli di latta vuoti dal quale l’aveva in precedenza estratto, e ci infilò dentro dei cucchiai di plastica.
- Grazie, che cos’è?-
- Stufato di manzo di Kobe in birra doppio malto di abbazia.- Le parole del jamaicano mi lasciarono basito. Non pensavo nemmeno facessero del cibo così costoso in scatola.
- Tutto bene? Non ti piace?- fece Zio Charlie, notando la mia perplessità.
- No, è perfetto…-
- Ho anche della crema di patate e tartufo bianco, se preferisci.-
- Va benissimo, adoro lo spezzatino.-
- Coola man.- fece quindi lui, prima di avventarsi sulla sua porzione con straordinaria ferocia. Anche io ci diedi dentro, e tutto il mio colpo venne pervaso da una sensazione di calda, densa delizia. Sarei quasi potuto tornare a camminare nella bufera.
- Buonissimo.- dissi.
Zio Charlie, finita la sua porzione, buttò la scatoletta dietro la schiena, ruttò sonoramente e si distese per terra. Iniziò a battere sul pavimento, finché non trovò un asse che suonava a vuoto. La alzò, svelando un piccolo vano. Dentro si trovava una scatola di plastica trasparente, di quelle per alimenti, con un coperchio azzurro. Era, ovviamente, piena di ganja.
- Ne vuoi un po’? Prima che la tormenta passi ci vorrà qualche ora. E sono un conversatore incredibilmente noioso senza fumare qualcosa.- Con una destrezza impressionante, prese dalla tasca della camicia una cartina, e la imbottì e arrotolò in un battito di ciglia, non avevo nemmeno visto la lingua uscirgli di bocca.
- Beh, se insisti…- dissi. Zio Charlie mi porse la canna insieme ad un accendino, anche quello tirato fuori dalla tasca della camicia. Avevo intenzione di tirare solo qualche boccata, per cortesia. Mi infilai la canna in bocca, la accesi, ed aspirai a pieni polmoni. Un’ondata di fumo caldo e denso mi invase le vie respiratorie: quella era il Mike Tyson della ganja, non avevo mai provato nulla di così potente. Trattenni a fatica la tosse, e ripassai la canna a Zio Charlie.
- Buona, eh?-
- Favolosa!- risposi con voce da malato di cancro ai polmoni.
- Merito del clima. Basta illuminarle a dovere, e crescono dei gambi spessi come la caviglia di un neonato. Non ti parlo poi delle foglie.- Inalò, e lasciò uscire il fumo da naso e bocca. Poi mi ripassò. Il secondo tiro fu meno traumatico, e perfino piacevole. Non era l’erba puzzolente delle feste al liceo, quella con un odore a metà strada tra il mestruo acido e una foresta che va a fuoco. Quella era roba di prima classe.
- Pensavo che il clima di montagna ostacolasse la crescita delle piante, non il contrario.-
- Man, il clima di montagna è tremendo per le mie piantine. Ma lo Zio ha il pollice verde, e sa come fare. Ho creato dei semi hardcore grossi come nocciole, germoglierebbero anche nel culo di un rinoceronte.-
- Semi hardcore?-
- Giuro man, gli x-men dei semi di ganja. Sono così grossi che a natale li ho caramellati e ci ho fatto del croccante.-
- Era buono?-
- Terribile man, terribile! Ma vedessi che autostrade cosmiche mi si sono srotolate davanti dopo!-  
Mentre riporgevo lo spinello al mio compagno di fumata, iniziai a sentire un piacevole formicolio lungo tutta la spina dorsale, seguito da una sensazione di rilassamento profonda e invadente. I miei muscoli si stavano ammollando come cachi maturi.
- Sono un caco.- dissi ridacchiando.
- Sì, non è la prima volta che lo sento dire.- rispose Zio Charlie.
- Come sto bene, posso restare qui?- mi ridiede la canna, e io mi ci attaccai come ai capezzoli di mamma.
- Coola man, tutta la vita.-
- Non mi caccerai fuori, vero?- sentì le lacrime uscirmi dagli occhi. Improvvisamente, ero diventato tristissimo.
- Credo di no, è una domanda difficile… tu che dici, cosa dovrei fare?-
- Credo che non dovresti farlo.- gli ridiedi la canna.
- Mah, ci penso. Quindi tu cosa fai nella vita?-
- Vendo aspirapolveri per corrispondenza.- Il volto di Zio Charlie si ricoprì di fumo, ebbi persino l’impressione che gli stesse uscendo da ogni foro, orecchie comprese.
- Man, questo si che è lavoro hardcore! Come fai a spedire un aspirapolvere per posta?-
- No, non lo so, li vendo e basta…-
- Non pensarci, bene così.- mi ridiede la canna. Io aspirai, poi mi lasciai cadere per terra. Prima che la schiena toccasse terra, mi sembrò che fossero passati secoli. Vidi intorno a me sfrecciare gli universi e le stelle, e i mondi nascere e morire. Ma forse era solo la polvere alzata dalla mia schiena che si abbatteva a tutta potenza contro le assi di legno.
- Tutto coola, man?-
- Una favola.- risposi, restituendo la torcia.
- Non ti sei fatto male?-
- Vuoi farmi del male?- fu quello che capii.
- Chi vuole farci del male?-
- Non voglio morire.- piagnucolai. I miei sensi si erano fatti potentissimi. Improvvisamente quel luogo era diventato una sinfonia di scricchiolii, provenienti da ogni direzione, dal soffitto, dal pavimento, dalla porta. Mi concentrai su quest’ultima.
- Qualcuno sta tentando di entrare…- mormorai. Zio Charlie scattò in piedi.
- Chi? Chi è?-
- Sst, fai piano! Potrebbe sentirci!- Zio Charlie si chinò su di me e, sottovoce, chiese:
- Chi vuole entrare?-
- Non lo so. Ho paura che mi abbiano seguito fino a qui.-
- Chi?-
- Gli alieni gamberetto. Vogliono farmi l’amore controvoglia.- non so perché mi ero espresso in quel modo, ma lo trovai immensamente divertente. Scoppiai a ridere. Zio Charlie si sedette.
- Oh, man, è terribile! Come possiamo fare?-
- Fare cosa?-
- A difenderci!-
- Perché difenderci?-
- Man, l’hai detto appena te dai… cosi.-
- Non ricordo.-
Zio Charlie si grattò la testa, e rifletté qualche secondo, cercando nel vuoto davanti a se una risposta.
- Nemmeno io. Un altro tiro?- afferrai la torcia, e la aspirai finché non sentii caldo alle labbra. Volte di fumo avevano invaso tutta la stanza. Improvvisamente, gli scricchiolii si guadagnarono di nuovo la mia attenzione.
- Zitto! Li senti?-
Zio Charlie si guardò intorno:
- Man, se li sento! Sono dappertutto!-
Mi alzai in piedi di scatto, barcollai, e una volta di nuovo fisso sui piedi, osservai la stanza: era piena di fumo. Rabbrividii.
- Stanno facendo entrare del gas! Vogliono ucciderci asfissiati!-
- Maledetti, sapevo lo avrebbero fatto prima o poi!-
- Chi?- chiesi.
- Loro!- mi urlò in faccia.
- Ah, giusto, scusa.-
- Dobbiamo fare qualcosa!-
- Potremmo sparargli con le vibrazio-o-oni!- proposi, ponendo una strana enfasi sull’ultima parola.
- Sì, è l’unica soluzione. Presto, togliti tutti i vestiti.-
Obbedii subito all’ordine, senza chiedere nemmeno il perché. Nel giro di un minuto, eravamo entrambi nudi come vermi, vicino alla porta, io bianco latte e cicciotto, lui color ebano e scheletrico.
- Okay man, al tre saltiamo fuori e iniziamo a friggergli il culo con la nostra energia cosmica!-
- Va bene! Ma io non ho mai assorbito energia, come faccio?-
- Man, è da quando sei nato che assorbi energia! Quando sarà il momento capirai e… sarà bellissimo.- Charlie, piangendo, mi abbracciò, per qualche lunghissimo secondo.
- Adesso basta, andiamo.- disse infine.
- Sì!-
Aprimmo la porta, e ci catapultammo fuori, urlando come ossessi.
- Fatevi sotto!- gridò Zio Charlie.
- Vi ammazzo-o-o…- dissi io, prolungando la “o”, ma arrivando alla fine dell’urlo a bassa voce. Ero perplesso.
- Charlie! Ma in che lingua parleranno? Non è che non ci capiscono?-
Zio Charlie si voltò di scatto verso di me:
- Hai ragione! Hai detto che sono gamberetti?-
- Sì.-
- Beh, allora parleranno… giapponese. Come la tempura.-
- Dio, è vero! Banzai!- urlai io al cielo, con tutto il fiato che avevo nei polmoni.
- Ikebana-a-a-a!- si sgolò Zio Charlie.
- Esseri della terra, datemi la vostra energia!- dissi io, alzando le mani verso il cielo.
- Riempiteci di figate cosmiche, esseri!- mi fece eco Charlie, imitandomi.
Sentii le mie mani formicolare.
- Ecco, la sento! La grande sfera di energia è pronta!-
- Friggiamo questi gamberetti figli di una geisha!-
- Dove sono?-
Zio Charlie rimase un attimo sconcertato. Poi, si voltò verso la forcella.
- Oh mio Dio…- mormorò. Mi voltai anch’io, sempre tenendo le braccia tese verso il cielo, non volevo che tutta l’energia donatami dagli esseri viventi si disperdesse.
Era davanti a noi. Era un unico, enorme alieno gamberetto, appollaiato sulla cima della montagna. Potevo vedere la sua ombra scura, confusa tra le nubi.
- È il momento! Colpiamolo! Uno…- urlai
- Due!- mi fece eco Zio Charlie.
- Tre-e-e-e-e!- urlammo insieme, puntando i palmi delle mani verso la sagoma scura. Continuammo a gridare, mentre sentivamo l’energia che si riversava contro l’odioso nemico.
- Perché non muore?- chiesi, angosciato.
- Perché è giapponese!- rispose Zio Charlie.
- Musogiallo di merda!-
- Sporco cagariso!-
- Urliamo più forte!-
- Sì!-
Insieme, urlammo come ossessi. L’ombra nera, dopo un po’ scomparve. L’avevamo ucciso. Ci ritrovammo ansimanti, l’uno di fianco all’altro.
- Man, mi si sta gelando il culo qui fuori. Andiamo a farci dello stufato?-
- Sì, ho una fame nera!-
 
Dopo aver svuotato due scatolette di stufato da venti euro a testa, fredde di frigo, ci buttammo per terra esausti.
- Zio Charlie, perché siamo nudi?- feci ad un tratto io.
- Ma che cazzo ne so, sono strafatto come una scimmia scozzese.-
La mia mente si stava schiarendo. Iniziai a rivivere gli ultimi attimi passati in brevi flash. Era strano come tutto mi sembrasse ancora perfettamente logico e coerente. Sentii un conato assalirmi.
- Devo vomitare.- dissi.
- Bagno.- mi rispose Zio Charlie, mentre cercava di infilare la testa nella manica della sua camicia. Barcollai fino al bagno, e iniziai subito a dialogare con la turca. Il vomito più costoso della mia vita scivolò lungo la ceramica, e fece plof quando il grosso di esso cadde nell’acqua, poi fece ciak ciak ciak gocciolando dal buco. Mi alzai, senza le forze per muovermi. La mia attenzione venne di nuovo attirata dalla vasca da bagno. Le foglie di marijuana erano grasse e lucide come quelle di un ficus beniamino. Non riuscivo quasi a credere fosse possibile essiccarle e fumarle, nonostante io in quel momento ero la prova vivente del contrario.
Avrei voluto sciacquarmi la bocca, ma non c’era un rubinetto. Sputacchiai qualche grumo rimastomi in bocca, e tornai nella stanza principale. Zio Charlie era finalmente riuscito a infilarsi la camicia, e stava seduto per terra, a gambe incrociate. In mano aveva qualcosa, lo teneva vicino all’orecchio. Era il mio samsung. Stava chiamando con il mio telefono.
- Ehi, che fai?- gli chiesi.
Lui non rispose. Chiuse la chiamata, e appoggiò il telefono per terra. Poi mi guardò e disse:
- Nasolini è stato mangiato dai maiali.-
- Eh?- feci io. Poi le gambe cedettero, e caddi disteso per terra. Mi addormentai all’istante.
____________
Siamo quasi alla fine della prima stagione, il prossimo capitolo sarà l'ultimo, e sarà puntualmente online domenica prossima. Al momento mi sto concentrando su un altro progetto, che forse avrete scorto sempre nella sezione noir, che si sta rivelando piuttosto impegnativo: per un po' pubblicherò solo quello, sento il bisogno di scrivere qualcosa di più serio. Grazie a tutti per il supporto, e che ci crediate o no non sono mai arrivato alla fine di una canna in vita mia, anche se adoro vederne gli effetti sulle persone. Saludos!
Dzoro

 

   
 
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