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Autore: Acinorev    04/01/2014    34 recensioni
"A quel punto Harry rise. Rise con le fossette accentuate ai lati della bocca e facendo un passo indietro, con una mano tra i capelli e gli occhi praticamente chiusi. «Ragazzina», esclamò affievolendo la risata. «Ragazzina, rallenta», ripeté.
Ed Emma assunse un’espressione un po’ più seria, mentre sentiva l’eco di quelle parole nella sua testa.
Ragazzina.
«Ascolta», ricominciò Harry, frugando nella tasca dei suoi pantaloni stretti e tirandone fuori un contenitore di metallo sottile dal quale estrasse una sigaretta, probabilmente confezionata da lui. Continuò a guardarla, però, senza lasciarla libera nemmeno per un istante. «Apprezzo l’intraprendenza, ma andiamo… Mi sentirei una specie di  pedofilo», aggiunse, scuotendo di nuovo la testa mentre una ciocca di capelli gli ricadeva sulla fronte."
Spin-off di "It feels like I've been waiting for you", da leggere anche separatamente.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Little girl'
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Disclaimer: con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste persone, né offenderle in alcun modo.
 

Capitolo uno - High
 

 

Con uno sguardo al cielo di quel lunedì pomeriggio, Emma espirò profondamente solo per creare una piccola nuvola di condensa davanti al suo viso pallido. Calciò un sassolino che si era trovato sui suoi passi e tirò su con il naso, abbassando il capo nella sciarpa in lana grigia. «Prima o poi la pagherai per questo» borbottò rabbrividendo.
Pete, che le passeggiava di fianco, liberò una risata nell'aria. «Il mio amore non ti basta?» Le chiese, cingendole le spalle con un braccio e lasciandole un veloce bacio sulla guancia fredda.
Lei se lo scrollò di dosso con un sorriso accennato e le palpebre che si abbassavano sugli occhi scuri, di un blu sporco. «No» lo contraddisse. «Anzi, ora che mi ci fai pensare, mi servono dei soldi per comprare quel maglione che ho visto in centro l'altro giorno».
Era colpa di Pete se stavano passeggiando per Bradford – una città nella regione inglese di Yorkshire ed Humber - con una temperatura che forse era scesa al di sotto dello zero: lui amava il freddo, così come il paesaggio gelato ed i piccoli cristalli di ghiaccio che si creavano sull’asfalto, ma non amava immergersi in tutto quello da solo, perché odiava la solitudine con la stessa intensità, nonostante i suoi modi di fare suggerissero il contrario nella maggior parte delle volte.
«Ah, allora non guardare me» sospirò quello, stringendosi nelle spalle. «È Dallas che si occupa della contabilità, di solito» spiegò, indicando con un cenno del capo il ragazzo alla destra di Emma.
Lei alzò un sopracciglio e scosse la testa. Dallas, al posto di rispondere con una delle sue solite battute, si schiarì la voce ed ammise volgarmente l’unico bisogno che in quel momento lo preoccupava: «Devo pisciare».
«E comunque, se proprio dobbiamo essere pignoli, anche tu sei in debito con me» continuò Pete, puntandole un dito contro. «Oggi ho dovuto sopportare da solo quella stronza di matematica: mi ha chiamato quattro volte per correggere i suoi stupidi esercizi e tu non c'eri per suggerirmi, quindi immagina quanto sia stato piacevole».
Emma rise di gusto nell'immaginare la scena, con gli occhi assottigliati ed una mano davanti alla bocca. «Avanti, sai bene che non devi contare su di me in giorni come questi» si scusò. In effetti il primo giorno di scuola dopo le vacanze invernali - o qualsiasi altra vacanza - non era esattamente il suo preferito: non che disdegnasse le lezioni, anzi, le erano indifferenti né le costavano particolare fatica, ma era l'atmosfera a non essere di suo gradimento. I corridoi finivano per essere sempre pieni di studenti frustrati per la fine delle vacanze, eccessivamente entusiasti nel rivedere i loro compagni di sventura oppure ingenuamente terrorizzati se frequentavano il primo anno. Emma preferiva evitare tutto quel caos di prima mattina e rientrare il giorno dopo, quando le acque erano più calme e la fine delle vacanze meno eclatante.
Persino sua madre si era arresa a quella sua abitudine, tanto che anche quella mattina non aveva insistito né con le buone né con le cattive maniere affinché si alzasse dal letto. La ragazza si era semplicemente voltata verso la parete, quando si era sentita richiamare, e poi aveva aspettato di riaddormentarsi con le chiacchiere della sua famiglia al piano di sotto, grata di non dover correre per non arrivare in ritardo.
«Sì, intanto stavo per beccarmi un'insufficienza e tu sai che un'insufficienza non la recupero nemmeno con l'aiuto di qualche angelo benedetto» commentò Pete, facendo schioccare la lingua sul palato.
«Ragazzi, forse non mi sono spiegato bene» si intromise Dallas. «Devo pisciare» ripeté, fermandosi sul marciapiede.
«Trova un angolo e falla» fu la pragmatica soluzione offerta da Pete.
«Sì, ti conviene, anche perché il damerino, qui, non ne vuole proprio sapere, di posti caldi, quindi scordati un bagno» spiegò Emma in un’esagerazione amichevole.
«Non ci penso neanche. Troviamo un bar o una qualsiasi bettola e la faccio lì» rispose Dallas con decisione.
«Ci risiamo» mormorò l'altro, scuotendo la testa.
«Qui non ne vedo» gli fece presente lei, guardandosi intorno. Quella via sembrava piena zeppa di librerie ed appartamenti, persino fiorai e gioiellerie, ma niente che potesse offrire loro un bagno.
«Allora andiamo più avanti».
Emma alzò gli occhi al cielo e storse la bocca di lato, saltellando impercettibilmente sul posto per difendersi dal freddo mentre si strofinava le mani sottili coperte dai guanti.
«Non puoi farla dietro un cespuglio, in un angolo buio o anche in mezzo alla strada, come tutte le persone normali?» Domandò di nuovo Pete, sbuffando e aggiustandosi il cappello di lana verde petrolio sulla testa.
«Si dà il caso che le persone normali, come dici tu, non piscino in mezza alla strada, ma in un gabinetto. Ed è quello che farò anche io» ribatté Dallas, alzando un sopracciglio saccente.
«Sei una rottura».
«Ti ricordo che siamo gemelli omozigoti, fatti due domande».
«Ragazzi?» Si intromise Emma pacatamente. Camminando faceva ancora più freddo, perché l'aria gelida si infrangeva sul viso e sembrava accanirsi contro la pelle, ma nemmeno stare fermi sul marciapiede era una grande idea: le sembrava di congelarsi sempre di più, un centimetro alla volta ed inesorabilmente.
«Infatti vorrei proprio capire come abbiamo fatto a condividere il grembo materno per nove mesi, se tu sei così stupido».
«Perché parli di te in seconda persona?»
«E tu perché non riesci nemmeno a capire che era di te che parlavo?»
«Perché non la piantate?» Sbottò Emma con un sospiro annoiato, portandosi un ciuffo di capelli mori dietro l'orecchio.
«Non è colpa mia se mio fratello ha tutte le fisse di questo mondo!» Si difese Pete, alzando le braccia al cielo molto teatralmente e riferendosi alle numerose e particolari abitudini di Dallas, tra le quali l'espletare i suoi bisogni all'aperto non era di certo un'opzione.
«E avete intenzione di discuterne ancora per molto?» Esclamò lei, recuperando il cellulare dalla tasca del giubbotto in tessuto verde militare. Ormai non si impegnava nemmeno più a fondo nel rimproverarli, proprio come una madre che conosce sin troppo bene i capricci dei propri figli: a volte si spaventava persino di quanto fosse diventata simile alla sua, in un certo senso, soprattutto quando li sgridava usando il plurale, come se fosse sempre colpa di entrambi.
«No, anche perché sto per farmela addosso» fece notare Dallas, portandosi una mano sul cavallo dei pantaloni scuri. Aveva il viso contratto in un'espressione a dir poco impaziente e gli zigomi arrossati dal freddo, anche se la carnagione olivastra non li faceva risaltare più di tanto. Gli occhi cerulei si spostarono sul fratello, quasi in una tacita supplica, e quelli dell'altro - identici - si alzarono al cielo in segno di resa.
Emma ripose il cellulare in tasca dopo aver dato un'occhiata alla casella dei messaggi vuota e sorrise nell'assistere alla piccola scenetta.
«Avanti, muoviti» borbottò Pete, infilando le mani callose nelle tasche dei jeans ed incamminandosi.
Dallas ridacchiò inarcando le labbra in un largo sorriso, le uniche cose che lo distinguevano dal fratello gemello agli occhi degli estranei: le sue erano leggermente più carnose, ma si notavano soprattutto per la cicatrice che le spaccava verticalmente nell'angolo destro, guadagnata da una caduta durante il primo anno di asilo. Pete, invece, aveva una bocca più lineare ed anche meno facilmente suscettibile, dato che erano più le volte in cui si contraeva per il fastidio derivante da qualcosa che per ilarità.
«Quando la smetterai di farlo incazzare?» Chiese Emma, sorridendo a Dallas e scompigliandogli i capelli castani e leggermente più lunghi di quelli del fratello.
«Vuoi forse dirmi che Pete riesce anche a non essere incazzato?» Fu la risposta che seguì, con tanto di gomitata scherzosa.
«Vi sento» precisò Pete qualche passo più avanti, senza voltarsi a guardarli. E meno male, perché se avesse visto Dallas scimmiottarlo senza riserva, di sicuro sarebbe nato l'ennesimo battibecco.
«Smettila» lo ammonì Emma con un sorriso, prima di guardarsi intorno per avvistare un qualsiasi locale in cui il suo amico avrebbe potuto soddisfare quel suo impellente bisogno.
 
«Possiamo entrare lì» propose Emma, dopo qualche metro percorso in una via secondaria di Bradford. I piedi nelle Converse bianche iniziavano a perdere di sensibilità.
Dall'altra parte della strada, c'era un bar del quale aveva sentito spesso parlare, ma che non aveva mai frequentato. L'insegna in caratteri color panna ed in un corsivo dalle linee morbide racchiudeva il nome del locale – Rumpel - e le grandi finestre erano più scure del normale, rendendo più difficile spiare all'interno.
«Stai scherzando? Come minimo incontriamo Kol e compagnia bella e sinceramente preferirei evitare di dover fingere ancora una volta che le sue battute siano divertenti» protestò subito Pete, tirando fuori dal giaccone blu il pacchetto di Marlboro rosse. Era vero, Kol non era il massimo della compagnia: frequentava il terzo anno e tutti loro l'avevano conosciuto ad una festa tenutasi dopo l'ennesima partita di pallacanestro, una di quelle organizzate ogni ultimo venerdì del mese dalla loro scuola. Non che fosse la feccia del pianeta, ma con i suoi modi esasperanti ed in costante richiesta di attenzioni impediva di scappare a chiunque facesse l'errore di fermarsi a parlare con lui. Nel caso in cui qualcuno avesse osato dimostrargli anche solo una nota di fastidio, si cimentava in una litania sofferente e teatrale che finiva per essere peggio delle sue chiacchiere.
«Non rompere» borbottò Dallas, guardando a destra e a sinistra prima di attraversare a passo svelto la strada.
«Kent, lo sai meglio di me: io dovrò anche fingere di averlo in simpatia, ma tu dovrai di nuovo accettare i suoi viscidi complimenti» puntualizzò Pete, cercando di convincerla con ogni carta a sua disposizione. In effetti Kol non aveva mai nascosto le sue tecniche di seduzione - per quanto discutibili - e lei, d'altra parte, non aveva mai dato loro tanta importanza da ritenere necessario che cessassero. Pete, comunque, stava solo esagerando come al solito: non era nemmeno sicuro che avrebbero incontrato qualcuno in quel bar, nonostante si sapesse che quello era il punto di ritrovo di Kol e dei suoi sventurati amici.
«Sei paranoico» si limitò a dire lei, imitando Dallas ed immaginando il gemello alzare gli occhi al cielo. «E tu sbrigati. Tutte queste storie solo perché devi andare in bagno. Devo ancora capire chi sia peggio, tra voi due» commentò rivolta all’altro suo amico, mentre anche Pete li raggiungeva non senza borbottare contrariato.
«Io vi aspetto qui» annunciò quest'ultimo, appoggiandosi alla parete del bar con la schiena e premurandosi di accendere la sua preziosa sigaretta.
«Va bene» acconsentì Emma, annuendo. «E smettila di chiamarmi Kent».
 
Dallas era appena scomparso in un corridoio che presumibilmente portava ai bagni per la clientela ed Emma si guardava intorno, allibita da quanta gente fosse presente anche alle cinque del pomeriggio di un noioso lunedì - e sì, Kol c'era davvero, ma almeno non si era accorto di loro. L'interno era molto più spazioso e colorato di quanto avesse immaginato: ogni parete era dipinta di un colore diverso, che spaziava dal giallo ocra ad un brillante porpora, ed il pavimento in mattonelle nere faceva risaltare più del dovuto l'immancabile sporcizia che cadeva dai tavoli. Dietro al lungo bancone laccato, un uomo sulla quarantina d'anni, di bell'aspetto e ben rasato, serviva un anziano signore che alzava l'età media del bar, evidentemente frequentato per la maggior parte da adolescenti.
Emma comprò una bottiglietta d'acqua solo per mascherare la loro presenza opportunista, poi aspettò in disparte godendosi le canzoni che gli altoparlanti agli angoli del soffitto riproducevano in sottofondo, ma alla fine, quando vide Kol ed i suoi capelli ramati dirigersi nella sua direzione senza averla ancora riconosciuta, decise che era giunto il momento di andare a cercare Dallas.
Percorse il corridoio che aveva imboccato l'amico, soffermandosi sull'intonaco rovinato e sul vociare chiassoso del bar che si faceva sempre più ovattato. Dopo qualche metro si trovò dinanzi ad una parete con due porte: nessuna indicazione suggeriva quale delle due portasse ai bagni, quindi avrebbe dovuto scoprirlo da sola.
Si mordicchiò l'interno della guancia, ma prima che potesse effettivamente prendere una decisione, la porta alla sua sinistra si aprì, lasciando entrare un insistente alito d'aria gelida che la investì senza alcun indugio: evidentemente era un'uscita sul retro del locale.
Emma rabbrividì inevitabilmente, ma non ci fece caso, impegnata com'era a studiare il ragazzo che le stava di fronte: teneva la mano sinistra, quasi il doppio della propria, sulla superficie grigia della porta per tenerla aperta e l'altra nella tasca dei jeans neri e stretti, leggermente consumati sulle ginocchia. Ai piedi indossava un paio di Vans altrettanto scure e rovinate e la maglietta bianca poco aderente era coperta da un giaccone in velluto color pece, che gli arrivava a metà coscia. Dallo scollo sul suo petto fuoriuscivano incompletezze di alcuni tatuaggi.
Quando il ragazzo fece un passo avanti, spostando la mano dalla porta e facendola richiudere bruscamente e con un sonoro rumore metallico, Emma sobbalzò.
«Che c'è? Ti sei spaventata?» Chiese quello, con un sorriso beffardo a decorargli il viso pulito. Era seriamente impossibile ignorare quanto il verde dei suoi occhi fosse simile a quello delle acque più torbide, o quanto le sue guance fossero arrossate, quasi del colore delle labbra dalle curve morbide. I capelli ricci e disordinati erano di sicuro freddi come lo erano stati i suoi fino a poco prima e quei lineamenti erano di sicuro frutto della sua immaginazione, perché non potevano riuscire ad ammaliarla in modo così totalizzante senza alcuno sforzo.
Emma alzò un sopracciglio, cercando di registrare il timbro roco della sua voce, poi aprì la bocca per rispondere qualcosa.
«Somigli a qualcuno che conosco» la precedette lui, avvicinandosi lentamente con lo sguardo a scrutarle il volto. E a quel punto le possibilità erano due: o lei era davvero terribilmente bassa come Pete si divertiva a ripetere oppure quel ragazzo era esageratamente alto. A quella distanza le sembrava di essere minuscola, se paragonata alla sua altezza.
«Sei strafatto» fu il solo commento di Emma, schietta come al suo solito. Non era un rimprovero, ma una semplice constatazione indiscutibile. Effettivamente quelle iridi tanto verdi e racchiuse da ciglia lunghe erano rovinate dal rossore che le contornava, che conferiva al ragazzo un'aria assente e al tempo stesso spensierata. Sembrava che nulla potesse scalfirlo o che comunque non gliene importasse. E se qualunque adolescente sognatrice nella sua situazione avrebbe voluto percepire un profumo dolciastro ed accattivante, Emma dovette accontentarsi della fragranza di erba e fumo proveniente dalla sua figura.
Era altamente probabile che in lei non ci fosse nemmeno un particolare simile a chiunque quello sconosciuto avesse in mente.
«Abbastanza» confermò lui, scandendo bene la parola ed accompagnandosi con una risata debole e bassa, con tanto di occhi che si assottigliavano e piccole rughe che si formavano ai loro lati. Le fossette sulle guance gli davano un'aria infantile in contrasto con le sue espressioni e i denti erano più bianchi del cielo di quel pomeriggio, che minacciava una forte nevicata. Emma non riuscì a trattenere un sorriso, sia perché diamine, quella che era una risata, sia perché quel ragazzo aveva risposto senza alcuna traccia di indignazione: dare dello strafatto ad un completo estraneo non era di certo un'idea saggia, per cui ottenere una reazione civile restava un sollievo.
«Ci si vede, eh?» Biascicò lui poco dopo, senza soffermarsi oltre su di lei e superandola con passi lenti e una mano tra i capelli arruffati. Proprio mentre in Emma si stava delineando un sottile desiderio di sfiorargli la mascella poco squadrata, lui se ne era andato senza troppi complimenti, quasi ignorandola: intrattenere una conversazione in quel luogo e con una persona che ha appena fumato non dà il massimo delle aspettative, però lei aveva ancora quel timbro di voce in testa o forse anche nelle ossa e di certo non le bastava. Inoltre, ad Emma non piaceva quando qualcosa che bramava, più o meno intensamente, le scivolava via dalle mani in modo così semplice.
Lo osservò allontanarsi, reprimendo la voglia di seguirlo e di fargli una qualsiasi domanda solo per avere di nuovo l'opportunità di cogliere nuovi particolari del suo viso, ed una manciata di secondi dopo fu la porta alla sua destra ad aprirsi.
«Ah, eccoti» esclamò nel riconoscere Dallas, che si stava strofinando le mani sui pantaloni. «Avevo iniziato a darti per disperso».
«Non trovavo lo scarico, senza contare che lì dentro è tutto uno schifo. E indovina un po'? Non c'è nemmeno la carta per asciugarsi le mani» si giustificò - lamentò - scuotendo la testa.
«Andiamo, o tuo fratello ci lascia qui» sorrise Emma, mettendogli una mano sulla schiena ed incamminandosi al suo fianco.
«Non gli farebbe male far prendere un po' d'aria a quel cervello bacato che si ritrova» fu la risposta, in pieno stile gemelli Butler.
Proprio mentre rientravano nel locale principale del bar, Emma ebbe l'occasione di intravedere il ragazzo di poco prima seduto ad un tavolo circondato da coetanei: non aveva più il giaccone addosso e le spalle risaltavano attraverso il tessuto fine della maglietta bianca, mentre le braccia nude si mostravano piene di tatuaggi che da quella distanza non riusciva a distinguere. Sentì qualcosa muoversi dentro di sé, fremere affinché potesse riprovare la sensazione opprimente e allo stesso tempo piacevole provata in quel corridoio.
«Mi piace questo posto, sai?» Commentò Dallas, facendo un cenno di saluto al barista, che rivolse ad entrambi un sorriso cordiale. «Bagni a parte».
«Sì, anche a me» concordò lei, dando un'ultima occhiata al motivo di quella sua affermazione. Ovviamente lui non l’aveva vista e questo la innervosiva, perché sapeva che sarebbe stata in grado di farsi notare.
Fuori l'aria era di nuovo gelida e Pete era alla seconda sigaretta, o forse alla terza. «Dovevi pisciare o ricreare le cascate del Niagara?»






 


SORPRESA!
Ok, magari non frega a nessuno, ma sono dettagli ahahah
Come promesso, ecco lo spin-off di "
It feels like I've been waiting for you" su Emma ed Harry! (Per chi non ha letto quella storia, non c'è alcun problema: questa si svolgerà in parallelo e i contatti con gli altri personaggi saranno davvero pochi, e quando ci saranno verranno spiegati nel dettaglio!) Avevo detto che lo avrei pubblicato alla fine di "Unless...", ma stanotte (stamattina alle 5, in realtà) ho scritto questo...capitolo - se così può essere chiamato -, e non ho resistito!
Poche parole veloci che poi devo cucinare hahaha La storia è narrata in terza persona e al passato, cosa che ho sperimentato solo una volta, quindi spero che non esca una schifezza: confido nel vostro giudizio! Emma si conoscerà meglio già dal prossimo capitolo, così come gli altri personaggi, ma spero comunque che non vi sia dispiaciuta :)
Per chi ha letto "It feels...": la storia inizia esattamente nello stesso giorno e voi ne sapete di sicuro qualcosina in più! (A chi somiglierà Emma? :))
Detto questo, lascio a voi i commenti, che spero saranno positivi ahhaha Fatemi sapere cosa ne pensate!

Vi lascio tutti i miei contatti:
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E qui c'è quello della gentilissima ragazza che mi ha fatto il banner: Dalilah efp su facebook

Un grazie immenso a tutte voi che avete letto, e a Caterina, che come sempre mi appoggia in tutto!
Spero vivamente di non avervi deluse!
Un bacione,
Vero.
  
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