Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: QueenRhaella    04/01/2014    1 recensioni
Questo racconto narra di un cavaliere coraggioso e impavido, di un principe pronto a tutto pur di ottenere ciò che gli spetta. Narra di una fanciulla dell'estate la cui famiglia è affamata di giustizia e vendetta. Narra di una guerra che sembra non voler vedere la fine, di battaglie senza onore e di intrighi e bassezze.
Genere: Guerra, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Oberyn Martell, Tommen Baratheon, Tyrion Lannister, Un po' tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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All’orizzonte l’imponente struttura della residenza di suo padre sembrava quasi brillare sotto il Sole cocente di Dorne. Candida e piena di finestre da cui si potevano vedere persino da quella distanza le tende di finissima seta colorata d’arancione, d’oro e di rosso brillante volare nella lieve brezza del mattino. I Giardini d’Acqua erano, per suo padre, il luogo più confortevole al mondo. Regnava la pace e il vero sovrano della villa era il riso.
« Sorridi, principessa. Sei a casa,» esclamò Aero dolcemente, posando la mancina, grande e sicura, sulla sua spalla destra. Aero era un uomo gentile e sempre onesto, dalla folta barba poco curata e grigia con alcuni fili d’argento. Proveniva da Norvos, terra di orsi, di campane e di stupefacenti arazzi, ma il suo accento poteva essere scambiato per un uomo di Westeros. Non aveva più dell’età di Trystane quando Aero le aveva raccontato di essere stato allevato presso i Preti Barbuti, uno degli ordini principali di Essos. Era un buon guerriero e un buon amico.
Sybille si affidò a lui per mitigare quel senso di smarrimento che sentiva. Tornare nel Continente Occidentale, spezzato da guerre e battaglie, le faceva rimpiangere la pigra pace che aveva sempre percepito ad Essos. Le guerre nelle Città Libere non necessitavano di armi e spargimenti di sangue, bensì di un sacchetto di monete sonanti. Qualcuno avrebbe anche potuto appellarli codardi o approfittatori, ma Sybille, che aborriva qualsiasi tipo di violenza, riteneva che era preferibile sanare un conflitto con l’oro piuttosto che con il ferro.
« Mia madre non tornerà ai Giardini d’Acqua, nevvero, Aero?» sussurrò la principessa gentile. A Dorne era conosciuta con quell’aggettivo che ben si confaceva alla sua essenza. L’apprezzavano per il suo sorriso dolce, i modi pacati e gli occhi buoni. Suo zio Oberyn, durante il ricevimento per il sedicesimo compleanno di Arianne, aveva danzato con lei e le aveva detto con quell’espressione seria e quasi minacciosa, quell’espressione che lo faceva apparire più vecchio dei suoi anni effettivi, quell’espressione che incuteva timore e rispetto, che Sybille era Elia da giovane. Sybille ricordava di essere arrossita e di aver visto nello sguardo blu oltremare di suo zio un lampo di mestizia che poco era adatto alla sua natura.
« Non lo so, Sybille,» replicò il capo delle guardie mesto per lei. Tutti sapevano quanto il matrimonio dei suoi genitori era stato triste, ma Sybille sapeva che si amavano. L’aveva sempre saputo. Il divario, però, tra Norvos e Dorne era troppo incommensurabile per poter essere colmato e Lady Mellario non aveva potuto sopportare di lasciar andare i suoi figli, i suoi bambini, in modo che altre famiglie potessero allevarli. Non era giusto e Sybille stessa riteneva fosse una consuetudine assurda, ma l’offerta degli Yronwood era stata quella e suo padre non aveva potuto sottrarsi in alcun modo.
Toccarono terra e Sybille ringraziò gli Dei. I viaggi in mare la indebolivano e la spossavano. Aveva sofferto il mal di mare sin dalla più tenera età, ma non si sarebbe mai fatta piegare da quella debolezza.
La sua famiglia l’attendeva sulla battigia. Sua sorella pronta ad accoglierla appena scesa dalla nave, suo fratello Trystane che era divenuto più alto e affascinante, suo padre costretto nella sua immensa sedia dalla gotta che l’aveva colpito anni prima e suo zio Oberyn, scattante come una lancia al fianco di suo fratello.
Non s’era resa conto di quanto le fossero mancati sino a quando Aero non la aiutò a discendere sollevandola per i fianchi esili e magri. Quella mattina aveva indossato un abito di seta candida che ben contrastava con il bronzeo della sua pelle, ma rimaneva sempre Arianne la più bella tra le due. 
« Sorella.»
La splendida voce alta e squillante di Arianne le fece subito nascere un profondo sorriso sulle labbra sottili. Era quello il calore di Dorne e Sybille lo assaporò sino in fondo per riempirsi di tutta la gioia che trasmetteva. Ne avrebbe avuto bisogno in futuro, era ben consapevole di ciò.
« Arianne, sei splendida,» esclamò Sybille abbracciando su sorella con trasporto. Un abbraccio che Arianne prontamente ricambiò mentre le baciava entrambe le guance.
« Come stai?» le domandò scorgendo il pallore della sua pelle. Quel viaggio era stato sfibrante e avrebbe soltanto desiderato potersi fare un bagno caldo e riposare in vista di ciò che l’attendeva la mattina successiva, ma prima avrebbe abbracciato i membri della sua famiglia.
« Come sempre dopo un viaggio in mare. Un po’ tramortita, ma felice,» la rassicurò Sybille, sminuendo quel male che quasi le faceva tremare le gambe. Dietro sua sorella vi era suo fratello minore con le labbra piene distese in un sorriso se possibile ancora più grande di quello di Arianne. Quando sua sorella si scostò dall’abbraccio, fu il turno del suo bel fratellino, alto oramai poco meno di Arianne, « Trys.»
« Cara Sibille, finalmente sei tornata,» sussurrò stringendola dolcemente. Arianne e Sybille erano state come due madri per lui, soprattutto la seconda per il suo carattere più accomodante e gentile. Trystane era cresciuto nell’amore donatogli da Sybille, ne aveva fatto tesoro e poteva considerarsi un ragazzo felice, nonostante la lontananza di Mellario e i problemi che affliggevano la loro famiglia.
« Lasciate che porga i miei rispetti a nostro padre,» esclamò felice notando il sorriso dolce sulle labbra del genitore. Doran era stato un bell’uomo in gioventù, Sybille poteva ricordarlo bene, ma la gotta aveva fatto sfiorire quell’avvenenza e aveva lasciato un uomo spezzato nel corpo, ma fermo di spirito.
« Sybille, diventi sempre più bella,» affermò suo padre pieno di orgoglio mentre la guardava avanzare verso di lui. Sybille sorrise quasi imbarazzata per quel complimento così gentile ed era certa che avrebbe pianto se non fosse stata una Martell di Lancia del Sole.
« Ti prego,» sussurrò Sybille, vedendo che stava tentando di issarsi in piedi. Delle lacrime sempre più opprimenti si affacciarono negli angoli dei suoi occhi scuri, ma le ricacciò indietro, inginocchiandosi dinanzi a suo padre e lasciandosi abbracciare anche da lui. Era divenuto più magro e ossuto dall’ultima volta in cui s’era abbracciati prima che partisse per Norvos. La malattia lo stava corrodendo lentamente, lasciandolo come lo spettro dell’uomo che era negli anni della sua infanzia, ma la sua mente era sana e, Sybille si disse, solo quello era importante.
« Come sta tua madre?» mormorò contro il suo orecchio prima di scostarsi e posare la mano destra sulla sua guancia per carezzarle gli zigomi inumiditi di lacrime che non era riuscita a trattenere.
« Bene. Le mancate moltissimo. Fa freddo a Norvos. Qui, invece, regna ancora l’Estate,» cambiò subito argomento nel sapere quanto dolore provasse suo padre nel sapere la sua amata moglie ancora adirata con lui.
« L’Inverno non arriva così in fretta da noi, cara nipote. Dovresti rammentarlo.»
La voce ironica e sorniona del suo unico zio ancora in vita le fece ricordare che vi era un altro membro della sua famiglia ancora da salutare. Oberyn aveva un sorriso furbo sulle labbra sottili, ma nei suoi occhi non mancava una certa dolcezza.
« Zio Oberyn,» esclamò davvero felice di vederlo. Oberyn si era sempre preso cura di lei, nonostante i suoi modi a volte bruschi e irruenti. Suo padre affermava che le voleva bene come se fosse stata sua figlia, ma Sybille riteneva che si occupasse di lei soltanto per la sua somiglianza con Elia, la zia di cui non poteva serbare alcun ricordo poiché era morta quando Sybille era ancora in fasce. In quel momento un pensiero sfuggente le attraversò la mente. Avrebbero avuto la stessa età, Sybille e Aegon, il figlio di Elia, se fosse vissuto.
« Cara sorella, posso presentarti la principessa Myrcella Baratheon, la mia promessa sposa? Myrcella, questa splendida fanciulla è mia sorella, la principessa Sybille di Dorne,» esclamò con orgoglio suo fratello riportandola alla realtà mentre indicava una bambina che prima non aveva visto. Accanto a suo padre, dall’altra parte rispetto a suo zio Oberyn, vi era una fanciulla che non poteva avere più di dieci anni. Era una bella bambina dai lunghi capelli dorati, gli occhi di un verde smeraldo abbastanza acceso e dai lineamenti delicati.
« Sono felice di fare la tua conoscenza, mia signora,» esplicò con deferenza inchinandosi in modo perfetto. Indossava un abito blu dai risvolti dorati che la faceva apparire splendida sotto il bel Sole di Dorne e suo fratello sembrava così felice da riscaldarle il cuore.
« Sono io ad essere incantata dalla tua bellezza, principessa Myrcella. Benvenuta ai Giardini d’Acqua,» replicò con gentilezza la principessa di Dorne inchinandosi a sua volta. Il suo inchino, però, fu più impacciato di quello della bambina. La sua Septa non le aveva mai imposto di imparare ad inchinarsi come si conveniva ad una Lady. Sybille era una principessa di Lancia del Sole. Non si piegava facilmente.
 
 

« Scacco al re,» esclamò Sybille prima di portare il suo drago sulla postazione del re di Trystane e sbalzarlo fuori dalla scacchiera.
Mentre suo padre, suo zio e Arianne discorrevano sulla partenza per la capitale, Trystane e Sybille avevano aperto la scacchiera del loro gioco preferito e avevano cominciato a disporre le pedine sotto lo sguardo vigile della piccola principessa Baratheon. Suo fratello era un buon giocatore, ma era impetuoso e, preso dal desiderio di vincere, faceva una mossa avventata, lasciandole così campo aperto per sconfiggerlo.
Arianne utilizzava troppo il proprio drago, ma un drago era un’arma a doppio taglio. Se il drago volava verso il campo nemico, lasciava sguarnito il re. Era stato quello l’errore di Trystane.
« Sybille è la migliore giocatrice di cyvasse in tutta Dorne, Myrcella,» asserì suo fratello con un dolce sorriso, per nulla intristito di essere stato battuto. Poté notare l’espressione soddisfatta di suo padre nel breve cenno d’assenso che le rivolse. Suo padre giocava frequentemente a cyvasse con lei e i suoi fratelli. L’unica che aveva saputo batterlo era stata Sybille e poche volte rispetto alle tante in cui era stata battuta lei dal principe.
« Adesso non esagerare, Trys,» lo ammonì Sybille con modestia. Doran era il miglior giocatore di Dorne, e non solo di cyvasse, « Dov’è nostro fratello?» domandò poi rivolta a nessuno in particolare, non desiderosa di pensare al piano del principe di annientare il potere dei Lannister per fare finalmente giustizia e vendicare la morte di Elia e dei suoi piccoli figli.
« A guardarti vincere. Come al solito.»
La voce greve di suo fratello le arrivò sulle spalle, subito seguita dalle sue labbra sottili sulla guancia sinistra. Sybille sentì le mani calde e grandi di suo fratello sulle spalle, mani da cavaliere, callose per il lungo allenamento con la spada, ma buone, immensamente buone. Quentyn e Sybille si somigliavano molto. Entrambi avevano i lineamenti di Doran, sebbene Sybille fosse più magra e lievemente più alta di suo fratello.
« Zio, quando partirete per Approdo del Re?» chiese Arianne mentre Quentyn si chinava per baciare anche lei. Il loro bacio fu più freddo, meno sentito, solo di circostanza. Non correva buon sangue tra Arianne e Quentyn. I sospetti di sua sorella erano troppi e Sybille sapeva quanto fossero infondati, ma non poteva esplicarlo dinanzi a lei. Se l’avesse fatto, avrebbe dovuto spiegarle anche il piano di Doran e suo padre le aveva espressamente fatto giurare di non farne mai parola con nessuno. Soltanto Sybille, Doran e Oberyn conoscevano alla perfezione quel disegno che avrebbe visto i Martell nuovamente alleati dei Targaryen sul Trono di Spade.
« Domani mattina, Arianne. Ho ordinato di non disfare il tuo bagaglio,» continuò suo zio rivolto verso di lei e la fanciulla replicò con un sorriso gentile. Le risa dei bambini erano un suono piacevole, ma consentivano alla sua mente di virare verso pensieri inopportuni in quel momento.
« Myrcella, saresti così gentile da parlarmi dei tuoi fratelli?» domandò Sybille con gentilezza mentre riponeva le pedine e la scacchiera per distrarsi.
« Il re Joffrey assomiglia molto a mia madre, la regina Cersei. Tommen è un cavaliere. Purtroppo non lo vedo da quando è partito per Lannisport per il suo apprendistato, ma ci scambiamo molte lettere,» raccontò la principessa. Aveva volontariamente descritto il re, colui che desiderava maggiormente comprendere, con poche parole, ma Sybille non avrebbe mai insistito. Si mormorava che il re ragazzino fosse sadico e crudele. Aveva fatto decapitare Lord Eddard Stark sui gradini del Gran Tempio, un luogo sacro e inviolabile. Sybille non credeva molto negli Dei e quella era una prova evidente del loro disinteresse. Se permettevano ad un ragazzino impudente di profanare la loro casa, non avevano poi molto potere nel mondo.
Tommen

« Tommen.»
Si stava allenando dall’alba sotto il Sole pallido della capitale che veniva prontamente attenuato da nubi che sembravano cariche di pioggia, quando la voce petulante e impertinente di suo fratello maggiore, il grande re Joffrey Baratheon, lo distrasse. Stava quasi per disarmare Bronn, un mercenario al servizio di suo zio Tyrion. Stava combattendo contro di lui poiché era la migliore spada in circolazione e per un attimo l’aveva avuto in pugno. Per un attimo aveva potuto gustare il dolce nettare dalla vittoria. L’attimo dopo era il principe quello disarmato e il mercenario quello trionfante. Tommen invocò l’aiuto della Vecchia per donargli la saggezza. Non sarebbe stato gentile da parte sua appellare il re di Westeros con epiteti non molto cortesi.
« Vostra grazia,» si chinò lievemente, volgendosi verso quello che era costretto a giudicare il suo re. Joffrey era dinanzi a lui, nel migliore dei suoi farsetti cremisi tempestati di leoni ruggenti. Aveva un’espressione compiuta sul volto, quell’espressione che preannunciava gli intenti bellicosi e folli del sovrano.
« Cosa stai facendo con questa plebaglia?» sogghignò suo fratello volgendo una mano indolente verso il soldato di ventura e la sua spada di pessima fattura. Bronn non era compagnia raccomandabile e sua madre di certo avrebbe piegato le belle labbra in un’espressione di disappunto se avesse scorto suo figlio, il principe ereditario, allenarsi con qualcuno al soldo di suo zio, ma Bronn rimaneva un ottimo spadaccino e Tommen sapeva che avrebbe dovuto combattere molte altre battaglie per raggiungere il suo obiettivo.
« Mi alleno, fratello caro. Per servirti meglio in battaglia,» continuò Tommen facendo cenno a Bronn di tornare da suo zio. Il mercenario annuì, si esibì in un inchino che sembrava più essere rivolto al principe che al sovrano e li lasciò soli. Tommen raccolse la sua spada da allenamento, semplice e con un pomo abbastanza rudimentale, e la ripose nel fodero sul fianco sinistro. Al destro, invece, vi era la sua spada di battaglia, quella che era stata forgiata nella migliore fucina di Castel Granito, con il pomo intarsiato e la lama di acciaio di Valyria.
« Nostra madre dice che sei troppo giovane per combattere in battaglia e io concordo con lei,» replicò Joffrey contrariato da quella baldanza. Tommen era stato un bambino tranquillo, timido e sensibile, un bambino abbastanza suggestionabile e Joffrey s’era approfittato delle sue debolezze e l’aveva ferito. Tommen non era più un bambino. Era un Lannister. E non avrebbe mai permesso a nessuno di ferirlo con parole o azioni.
« Ho combattuto nella Battaglia delle Acque Nere,» contestò Tommen celando un sorriso ironico sul bel volto volitivo e affascinante. Suo nonno l’aveva nominato cavaliere sul campo di battaglia dopo che aveva aperto un varco nell’esercito di suo zio Stannis e aveva guidato l’impresa che aveva visto le truppe del Lord di Roccia del Drago disperdersi sulla sabbia di Approdo del Re, « Comunque sicuramente il sovrano dei Sette Regni di Westeros ha qualcosa di più importante da fare che ammonire il suo fratellino,» soggiunse il principe mentre si lavava il volto e le mani nel catino che Aron Santagar gli aveva appena porto.
« Esattamente. Andrai ad accogliere la delegazione di Dorne domani con il nano,» comunicò con alterigia Joffrey, irritato dal comportamento del fratello.
« Zio Tyrion ha un nome, Joff. È appunto Tyrion,» lo riprese Tommen, incapace di trattenersi. Suo zio Tyrion non meritava di essere beffato anche dalla sua stessa famiglia e Joffrey era stato arrogante per troppo tempo. A volte si chiedeva come Tyrion avesse avuto la forza di sopportare quelle angherie, poi rammentava di chi era figlio e comprendeva che l’astuzia di saper attendere ricompensava più di una vendetta immediata.
« Sii meno impudente. Potrei anche deciderti di farti tagliare la lingua. Non ti serve poi a molto,» lo minacciò perdendo quella maschera di perfezione e di gentilezza che sapeva indossare talmente bene alle volte da incantare persino la regina Cersei.
« Come comandi, vostra altezza. Accompagnerò zio Tyrion domani e accoglierò il principe di Dorne in tuo nome,» asserì con un sarcasmo che Joffrey non riuscì a intravedere. Se l’avesse domandato, Tommen sarebbe stato contento di avere l’onore di accogliere il principe Doran Martell. Joffrey non domandava, però. Joffrey ordinava.
« Bene. Io passeggerò con Margaery nei giardini reali,» annunciò tronfio e borioso suo fratello prima di lasciarlo solo. Per un attimo, mentre lo vedeva avanzare verso i giardini, un’ombra di furore s’impossessò di lui. Posò la mano sul pomo della sua spada di battaglia e sentì il leone animarsi tra le sue mani. Poi, com’era venuta, quell’ombra scomparve e Tommen abbandonò la mancina sul fianco.
Avrebbe combattuto per Joffrey.
Avrebbe sconfitto Stannis Baratheon, Robb Stark, Balon Greyjoy e tutti coloro che avrebbe voluto annientare il potere dei Lannister.
Quel trono doveva essere suo
  
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