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Autore: ehinewyork    05/01/2014    2 recensioni
"Il mio piccolo mondo che avrei dovuto costruire, proprio come un grattacielo, pezzo dopo pezzo, e farlo restare in piedi. Ma la fiamma che era in me era ancora piccola, non era ancora abbastanza forte da poter bruciare e disintegrare tutto il male che c’era alle fondamenta della costruzione e che mirava al suo crollo. Dovevo ancora distruggerli quei demoni dagli occhi indifferenti e le mani afferranti; terribili demoni che mi annerivano l’anima."
Lei è Sophie e questa è la sua storia. Ha un sogno nel cassetto: la libertà. Rinchiusa in una gabbia cercherà la chiave per liberarsi. E' piccola, sola, ma forte, nulla potrà distruggerla, neanche il suo terribile passato che la perseguita. Cosa troverà a Londra, in quel piccolo spicchio di mondo al nord dell'Europa? Ripulirà ogni sua ferita, ogni suo livido. Ma non le basteranno soltanto due mani per curarsi.
Genere: Drammatico, Fluff, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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" Ti sei mai sentito come se stessi crollando?
Ti sei mai sentito fuori posto?
Come se in qualche modo non fossi adatto e nessuno ti capisse?
Vuoi mai scappare via?
Ti rinchiudi nella tua stanza?
Con il volume della radio così alto che nessuno ti sente urlare?”

*****


Quando il primo giorno di vita vedi la luce dopo tanti mesi di buio, inizi finalmente a muoverti e vedere persone, cose, frammenti del mondo che non avevi mai neanche immaginato. E piangi. Mi ero sempre chiesta perché i bambini appena nati scoppiano in un pianto assordante, ma le pagine di google davano tante risposte confuse e contorte. Allora ero arrivata ad una mia conclusione: forse urlano per farsi sentire, per annunciare che anche loro sono finalmente al mondo, che ora esistono, che non sono più rinchiusi, che sono liberi. E forse anche io quel giorno mi ero sentita così, ma il ricordo ormai era cancellato dalla mia mente. Mi ero sentita libera, ma non avevo più provato quella sensazione da quel momento. Potevo perfettamente urlare, ma non c’era nessuno capace di sentirmi.

Raccolsi tutto in un'unica borsa, quaderni e libri, li intrappolai lì dentro e scrollai la rabbia di dosso. Mi ribolliva ancora il sangue nelle vene dopo la sfuriata di mia madre.

– Sophie! Come hai osato prendere l’auto senza dirmelo? Come? –

stava ancora urlando, non riusciva a capire che non ero stata io e continuava ad incolparmi.

– E’ stato Ivan, capisci? Non so neanche accenderla un’auto! –

io continuavo a replicare, ma lei era ottusa e io non potevo più subirla. Misi lo zaino sulle spalle e raggiunsi la porta d’ingresso, mentre mia madre continuava ad urlare cose senza senso

– Lo dirò a tuo padre appena torna! Credi che non lo sappia? Ivan era da Noemi ieri, non è stato lui! –

Aprii la porta con rabbia e mi voltai verso di lei

– Beh, magari è stata Jessica, no? Mi credi così stupida? –

restai a fissarla, non cambiò espressione. Impassibile com’era, mi urlò ancora una volta contro

– Si è sfasciata l’auto e Jessica ieri era qui. Sei mia figlia e ti conosco bene, combini soltanto guai! Non farlo mai più! –

Sospirai rassegnata, posai una ciocca dietro l’orecchio e

– Mi conosci davvero bene, allora – risposi con un filo di voce.

Richiusi la porta alle mie spalle e scappai da quella casa, dirigendomi a scuola. Era la stessa storia ogni mattina, lei mi incolpava di qualcosa che avevano fatto i miei fratelli e io mi difendevo con le unghie e con i denti. Ma la mia non era quel tipo di madre comprensiva, lei urlava soltanto e non mi ascoltava mai. Ed io le persone che si comportavano così le odiavo a morte. Quindi controllavo la mia ira e le rispondevo con calma per evitare un litigio, ma lei insisteva sempre ed io mi arrabbiavo e poi correvo a scuola. Mai una volta in cui mi avesse dato il buongiorno o mi avesse abbracciato. Solo schiaffi e calci morali, dritti nello stomaco, pronti a farmi sentire ancora più inutile di quanto non facessi già.

La classe quel giorno era quasi vuota, come al solito per paura di qualche interrogazione si assentavano in molti. Allora mi sedetti al banco e salutai i pochi presenti con un finto sorriso, poco dopo cadde sulla sedia accanto a me l’unica persona capace di ascoltarmi, la mia boa durante una tempesta: Ronnie. Respirò affannosamente e scoppiò a ridere guardandomi

– Stavo correndo per raggiungerti, non mi hai sentita? – sorrisi appena

– No, stavo ascoltando musica – annuì comprensiva e ci concentrammo poi sulla lezione.

Durante la quarta ora fu il turno dell’insegnate di inglese, l’unica lezione che riusciva a tirarmi su di morale. Tra una battuta ed un’altra, quel giorno l’insegnante fece un particolare annuncio. Ci mostrò dei fogli che poteva compilare soltanto chi voleva partecipare al concorso London Key: un soggiorno di un mese nella città, tutto a spese della scuola. Mi si illuminarono gli occhi a quella notizia, sembrava un oasi in un deserto, una raggio di luce nell’oscurità. Un mese, io, Londra, sarebbe stato un sogno. Come potevo perdere un’occasione del genere?

All’uscita da scuola raggiunsi Ronnie che stava baciando Leo come se non lo vedesse da anni, sorrisi guardandoli e li divisi mostrandole il foglio che avevo preso.

– Cosa?! Parteciperai? – mi guardò entusiasta. Annuii e

– Hai centrato il punto! Londra sarà mia. E tu verrai con me. – dissi convinta. Lei e Leo si guardarono e scoppiarono in una sonora risata

– Andremo tutti a Londra allora! – risi insieme a loro e li abbracciai. Erano davvero degli ottimi amici quei due, gli unici amici che avevo.

– Credi che debba dirlo ai miei? Sarebbe soltanto un inutile spreco di voce. –

dissi tesa, guardando Ronnie negli occhi

– Dovrai dirglielo. Per quanto tu voglia essere indipendente non puoi ancora, sei minorenne – Sospirai, odiavo quando aveva ragione.

– D’accordo, allora ci vediamo domani.. -

sorrisi lievemente e lì lasciai lì tornando a malincuore a casa. Quello che mi aspettava in quel buco infernale erano soltanto urla e rabbia, sensi di colpa a volontà e, ancora, schiaffi morali. Non volevo tornarci, ero stanca di stare in quel posto, stanca di tutto, di quella che tutti chiamavano vita ma che io chiamavo inferno. Ma non potevo farci molto, dopo tutto Ronnie aveva davvero ragione, io ero ancora minorenne per poter fare ciò che volevo… Sbuffai con un ghigno sulle labbra e scossi la testa. Non me ne fregava di quanti anni avevo, di cosa la legge diceva di fare. Ero troppo stanca anche per poter seguire delle dannatissime regole che non facevano altro che legarmi in una gabbia con delle cinghie sempre più strette. Volevo prendere una decisione e lo avrei fatto.

Appena entrai in casa trovai mio padre sulla soglia della porta, a braccia incrociate. Aveva un’espressione quasi raccapricciante, sembrava volesse uccidermi a forza di sguardi. Mi urlò contro, tutto d’un fiato

– Sei la figlia peggiore che potessi desiderare! Hai distrutto l’auto stavolta! Non ti bastavano tutte le orrende figure che abbiamo fatto al matrimonio e la vacanza rovinata perché tu volevi tornare a casa dalla tua stupida amichetta che era in ospedale, vero? – prese fiato – E solo Dio sa quante cazzo di altre cose hai fatto per rovinare tutto quello che facevamo per te! Mi hai deluso ancora una volta ed ora chiuditi in camera e non uscirci fino a domattina! –

Continuava a puntarmi il dito contro. Mia madre era alle sue spalle, gli stringeva una spalla come se volesse calmarlo. Era un tipo abbastanza violento mio padre, non per altro infatti ogni qualvolta io combinavo quelli che lui chiamava guai ritrovavo sulle mie braccia dei lividi. Mi stringeva i polsi e mi urlava contro, mi ricordava che ero una delusione, che ero sbagliata. E mi strattonava, facendomi cadere a terra. Mia madre lo rimproverava per questo, poi però non faceva altro. E io dovevo restare in silenzio ed annuire, perché sapevo che se provavo soltanto a rispondere alle sue sfuriate, oltre ai lividi avrei trovato anche qualche taglio se non di peggio. Mentre continuava ad urlare prese entrambi i polsi stringendoli con forza e ripeteva

– Sei un disastro, non combini nulla di buono! – mi trascinò in camera e mi guardò con furia– Cosa cazzo ho fatto per avere una figlia come te? – sbatte la porta e io restai immobile.

Paralizzata a terra, con le spalle contro il muro accanto al letto, le lacrime non tardarono ad invadere i miei occhi e ad allagarmi il viso. Chiusi gli occhi e singhiozzai forte, mi massaggiai i polsi che mi facevano un male cane. Ero abituata ai suoi attacchi di ira, ma quella volta era stata forse una delle peggiori. Mi aveva fatto a pezzi, piccoli pezzi frantumati sul pavimento. Ero come un muro: prima avevo solo delle piccole crepe che minacciavano di ingrandirsi, poi ero diventata maceria e mi ero sfracellata al suolo, rotta. E come se non bastasse sentii mia madre che dall’altro lato della porta parlava con lui, con l’uomo dei miei incubi.

– Hai fatto la cosa giusta, se lo meritava! Così non lo farà più! -

e scoppiai ancora una volta, piangendo più forte ancora. Cosa c’era di così sbagliato in me? Il mio cuore rallentava i suoi battiti e la pelle inizio a diventare più fredda. Mi alzai da quel pavimento gelido, e mi buttai sul letto. Recuperai il cellulare dalla tasca e composi il numero di Ronnie. Singhiozzai.

– Perché piangi, Sophie? – mi chiese con voce preoccupata.

Asciugai le lacrime con la manica della felpa e tentai di parlare, nonostante le lacrime bagnavano ancora il mio viso.

– Ho i lividi ai polsi e non so dove altro… mi ha chiusa in camera, p-perché mi incolpano di ogni cosa..- singhiozzai

e lei mi chiese– Cosa?! Gliene hai parlato? -

E io ancora, tentai – No, non gliel’ho chiesto, appena sono arrivata m-mi ha urlato contro.. –

trattenni un singhiozzo ma poi scoppia di nuovo in lacrime. – Cosa ho fatto di male per meritarmi questo? Voglio andarmene da qui, l-loro mi odiano.. Lui è un mostro. - sottolineai.

La telefonata durò alcune ore e, grazie a Ronnie, riuscii a calmarmi e a ragionare un po’. Lei diceva che non potevo vivere così e che le soluzioni erano poche: o lo denunciavo o scappavo. E dato che non avevo prove per denunciarlo, la seconda mi sembro l’opzione più plausibile. Scoppiai di nuovo in lacrime durante la notte. Piansi per ore, finchè non caddi in un sonno profondo alle 4 del mattino. Avevo tra le mani la penna e sul grembo il mio diario...


Caro diario,
che vita di merda.

SPAZIO AUTORE
Buonasera a tutti, belli e brutti! (Scherzo, siete tutti belli!)
Questo è il mio primo capitolo. E’ una storia che scrissi molto tempo fa e che ho voluto modificare. Spero che vi piaccia! Ma, soprattutto mi auguro che non vi siate annoiati. Ieri ho terminato la lettura di "Uno splendido disastro" di Jamie McGuire e, diamine, mi ha fatto tornare la voglia di scrivere! Non so come ho fatto a partorire questo capitolo, ma sono abbastanza soddisfatta.
Potete lasciarmi recensioni, anche negative, accetto tutto. Grazie mille, un bacio.
ehinewyork
  
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