Immortale
“E se gli sparo in fronte o nel
cuore
Soltanto il tempo avrà per morire
Ma il tempo a me resterà per
vedere
Vedere gli occhi di un uomo che
muore”
(La guerra di Piero – De Andrè)
Cento anni non bastano.
Mi muovo
rapido, credo che i soldati della Coalizione non abbiano neanche il tempo di
vedere i miei movimenti.
Movimenti a
causa dei quali non vedranno mai più nulla.
Li sto
uccidendo uno ad uno.
Cento anni non bastano.
Sento i loro
gemiti ed i loro rantoli di agonia dietro gli scafandri.
Non vorrei
farlo ma continuo a colpire. Rapido, preciso e letale.
Mi domando
come devono vedermi loro. Un fantasma, un demone, un mostro che semina morte.
È vero,
hanno ragione.
Quello che
non possono neanche immaginare è che questo demone ha un cuore che sanguina e
soffre mentre li colpisce.
Io sono
immortale ma non per questo sono indifferente alla morte, anzi al contrario.
Io vivo
ognuna delle morti che infliggo e soffro per ognuna di esse.
Cento anni non bastano.
Io sento il
loro dolore, sento le ferite che bruciano e le ossa che si spezzano, sento il
sangue che scorre, sento il contraccolpo sul braccio ogni volta che affondo la
spada.
Cento anni non bastano.
Mi dispiace,
fratelli miei.
Mi sento
colpevole, e non mi serve ripetermi che non è colpa mia, che è colpa di chi vi
da l’ordine di combattere contro di me, o che è colpa vostra che scegliete di
obbedire a quell’ordine.
Cento anni non bastano.
È tutto
finito. O forse no.
Un lamento
in fondo al corridoio, che riecheggia fino a me tra le pareti di metallo. Uno
di loro è ancora vivo.
Per un
attimo mi illudo di poter risparmiare almeno lui, che è uno dei tanti esseri
umani con cui dovrei scusarmi per quello che ho fatto al loro pianeta.
Dopotutto è ferito
e inoffensivo ormai, posso semplicemente passare oltre e lasciare intatta la
sua vita.
Non è
possibile. Quando lo vedo sollevare la sua arma mi rendo conto che non è
possibile.
Non ho paura
di essere ferito o di morire, ho paura di non riuscire a portare a termine il
mio compito. Di non riuscire a pagare il mio debito verso la Terra che ho
distrutto.
Non posso.
Mi dispiace ma non posso.
Con un unico
movimento faccio schizzare in aria la mia spada, la afferro, miro e faccio
fuoco.
In un istante
spezzo anche la sua vita, ed anche qualcosa dentro di me va irrimediabilmente
in pezzi.
Forse è il
mio cuore, forse è un altro frammento della mia anima.
Cento anni non bastano.
È vero, io
non posso morire, però posso soffrire, e soffro ormai da tanto, troppo tempo.
No, cento anni non bastano. Tutta un’eternità non basta. Non per
abituarsi al dolore.
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Cantuccio dell’Autore
Hola! Come và,
miei compagni di ciurma? Mi sono ritagliata un po’ di tempo da una storia che
sto scrivendo in collaborazione perché dopo che ho visto il film di Capitan Harlock mi sentivo moralmente obbligata a scriverci su
qualcosa ^^
Stavolta
l’ispirazione è arrivata da un’altra clip del film “Harlock
in azione”.
Eccola qui http://www.youtube.com/watch?v=K2zz_b9-m-Q
Prima di
buttarsi nel combattimento il Capitano resta un attimo come se stesse
riflettendo, ed io ho pensato che probabilmente stava riflettendo su quello che
stava per fare.
Secondo me è
quell’attimo di esitazione che rende Harlock umano e non
una macchina di distruzione da videogioco trash.
Grazie per
aver letto.
Makoto