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Autore: hudsondarrell    06/01/2014    1 recensioni
Tutto è un enigma e la chiave di un enigma è ancora un altro enigma.
"Ti colpiscono dal nulla. Le cose brutte arrivano. Improvvisamente. Senza avvertire. Raramente possiamo prevedere una catastrofe. Non importa quanto cerchiamo di prepararci.
Facciamo il possibile... Ma non sempre è abbastanza. Allacciamo le cinture di sicurezza, mettiamo il casco, seguiamo il percorso luminoso. Cerchiamo di metterci al sicuro. Cerchiamo in tutti i modi di salvaguardarci, ma non fa alcuna differenza. Perché quando succede qualcosa di brutto, succede improvvisamente. Le cose spiacevoli accadono di colpo, senza preavviso. Ma dimentichiamo... Che alle volte... E' così che accadono anche le cose belle."
Genere: Drammatico, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Spencer Reid, Un po' tutti
Note: Cross-over, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 1

 

Il Dottor Reid.

 

 

Erano le le sette e mezzo di giovedì sera. Una sera tetra di dicembre cupa e fredda, quel freddo pungente che ti penetra nelle ossa e ti lascia una sensazione di vuoto dentro. Aveva appena smesso di piovere e nell'aria si sentiva quell'odore misto di asfalto bagnato e umidità. Il traffico sfrecciava denso spinto dalla corrente di fine serata, le strade del centro erano abbastanza affollate e già si vedevano i primi addobbi natalizi e la gente felice che osservava le vetrine dei negozi alla ricerca dei regali di natale più improbabili.

Julia stava rientrando a casa assorta nei suoi pensieri. Era stata una giornata veramente pesante, aveva avuto lezione per tutto il giorno e aveva appena preso visione del calendario degli esami che sarebbero iniziati la settimana prima di Natale, l'ennesima notizia negativa. Non che Julia odiasse gli esami, tutto il contrario, adorava la facoltà e il corso di studi che seguiva, era tutto l'insieme del periodo. Julia si sentiva soffocare da una serie di sfortunati eventi che da un anno a quella parte le erano capitati ed era come stesse scomparendo sotto il loro peso. Dicono che quando le cose brutte arrivano, arrivano tutte insieme...beh lei ne era l'esempio vivente.

Viveva negli Stati Uniti da quasi due anni, si era trasferita li da Milano. A soli diciotto anni, dopo aver conseguito il diploma di maturità in uno storico, se pur squallido, liceo scientifico, era partita zaino in spalla verso il gigante americano. Aveva dovuto lavorare duramente per arrivare li dove era ora e per poter studiare in una delle università più prestigiose al mondo, Yale.

Lavoro, passione, determinazione, ma soprattutto lavoro erano riusciti a farla arrivare a quel punto e doveva tutto a se stessa e a nessun altro, aveva sempre fatto tutto da sola; da una parte perché non aveva mai ricevuto un aiuto concreto, dall'altra perché era troppo orgogliosa per chiederlo. Certo aveva il supporto della sua famiglia, anche quella una combriccola alquanto complicata, e dei suoi amici, ma ciò che la faceva andare avanti era la sua aspirazione. Voleva diventare psicologa forense e criminologa, combattere il crimine, capire cosa spinge certe persone a compiere determinate azioni, capire come il male sia insito nelle viscere delle persone e si celi anche nell'uomo apparentemente più calmo e buono. Quando a volte si immaginava nel futuro si vedeva a lavorare nel Behavioral Analysis Unit dell' FBI come profiler, ma era cosciente e che ciò sarebbe rimasto solo a livello di sogno, anche se era stato appunto un sogno ad averla portata in America.

Aveva vinto una borsa di studio per Yale e quando le arrivò quella tanto attesa lettera di ammissione quasi non poteva crederci, era tutto così surreale, aveva aperto la busta con mani tremanti e leggendo le prime righe, dove si congratulavano per la sua ammissione e per la borsa di studio, era scoppiata in lacrime bagnando la lettera. Era la persona più felice del mondo in quel momento, aveva tutto ciò che avrebbe mai potuto desiderare. Il suo sogno si era realizzato, era ottimista, solare e soprattutto era innamorata. Innamorata davvero di un meraviglioso ragazzo di nome Riccardo, e nei suoi occhi nocciola brillava una splendente luce di positività.

Ma ora era cambiata, nei suoi occhi quella luce si era affievolita e lei non era più ottimista, anzi tutto il contrario. Quel giorno in particolare era giù di morale, nulla aveva un senso e niente andava per il verso giusto. Era stanca di lottare, lottare sempre e di incontrare solo persone vuote che facevano finta di volerle bene. Si sentiva come se non avesse più voglia di inseguire il suo sogno, come se tutto ciò per cui aveva lavorato così duramente non significasse nulla.

Non aveva voglia di rientrare al suo appartamento, dove non osava pensare a cosa le sue care coinquiline le avessero conservato quella sera. Si sa la convivenza non è semplice, soprattutto se si è in cinque in un appartamento da quattro, tutte donne. Troppi estrogeni in circolazione danno alla testa, ma ciò che Julia odiava delle sue coinquiline era il loro disordine, le loro manie di dare feste in qualsiasi giorno della settimana senza avvertire, il fatto che non ripulissero mai i loro casini, e l'avere un via vai di ragazzi, rigorosamente diversi ogni notte. Non le giudicava per carità, ognuno è libero di vivere la propria vita come meglio crede, ma sempre nel rispetto degli altri, e a loro, precisamente a due di loro, non importava di nulla degli altri, anzi vivevano per mortificare gli altri.

Decise di fare una deviazione ed entrare da Frank's, un bar che era sulla strada che portava al suo palazzo. Si aggiustò un po i capelli di un rosso fiammante, si passò i polpastrelli sotto gli occhi per pulire eventuali sbavature di mascara e poi scese le scale che portavano al bar. Varcò la soglia, il locale era già ghermito, uomini d'affari con la valigetta che sorseggiavano scotch e qualche birretta, universitari che prendevano l'aperitivo, pregusto di una serata all'insegna di alcol e locali hard, ragazzi che giocavano a biliardo, e Frank al bancone. Il locale era tipicamente anni '90, come anche l'abbigliamento da boscaiolo di Frank, la prima persona che Julia conobbe a New Haven. Frank era un bel ragazzo dagli occhi azzurri e limpidi come il cielo, aveva l'aria di chi ne aveva passate davvero tante nella e vita e la faccia da stronzo che nascondeva un lato dolce e comprensivo. Riusciva sempre a dare dei buoni consigli e sapeva ascoltare, ascoltare davvero, una dote ormai persa nella maggior parte delle persone.

Frank conosceva ormai bene Julia, e riusciva a coglierne l'aria cupa e triste che nelle ultime settimane continuava ad aumentare, era nera come se un Dissennatore le avesse succhiato via la felicità e la capacità di poter essere di nuovo felice e contenta. La osservò entrare e avvicinarsi allo sgabello davanti a lui dove si sedette appoggiando la borsa carica di libri sul bancone.

Prima che lei potesse notare il suo sorriso Julia disse:

-Una tequila Frank, per favore.

Frank la guardò storto e capì che qualcosa non andava: -Mmm... tequila liscia di giovedì sera, sei sicura? Te ne pentirai domani mattina.

-Me ne pento sempre la mattina.-rispose Julia.

-Conosco quello sguardo, sei un po' giù, beh più del solito. Cosa c'è che non va?- le chiese con il suo sorriso gentile, mentre versava il primo bicchiere.

-Sinceramente?- Julia fece un respiro profondo. -Non lo so. È tutto il giorno che sono di malumore.

-Stai pensando ancora a lui?- le chiese. Sapeva benissimo che si stava riferendo a Riccardo, colui che pensava fosse la sua persona, la sua anima gemella, quello giusto, ma si era rivelato tutto il contrario. Riccardo si era trasferito a New Haven con lei per i primi mesi, affermando che senza di lei non avrebbe saputo come fare, non voleva lasciarla, diceva di amarla. Si era trovato un lavoretto come lava piatti e dividevano i soldi dell'appartamento. Dopo tre mesi di convivenza, un fatidico giorno Julia rientrò a casa e non lo trovò, ne lui ne la sua roba; le aveva lasciato solo un bigliettino:

 

Cara Julia,

non penso possa continuare così tra noi. Io sto un po stretto, mi manca l'aria. Mi sono preso una pausa di riflessione, sono tornato a Milano dai miei. Ti prego di non cercarmi.

Ti amo,

Riccardo

 

Dopo qualche tempo, scoprì che la tradiva con quella che pensava fosse la sua migliore amica.

Ma no non stava pensando a lui, era andata avanti, aveva lottato, aveva amato, aveva perso, doveva solo camminare a testa alta. Ok forse un po' quel giorno stava pensando a lui.

-A chi? -rispose facendo finta di nulla.

-Lo sai benissimo!! Julia devi dimenticarlo, è un lurido porcone, uno stronzo e non merita che la più bella ragazza del bar stia male per lui.- Frank aveva conosciuto Riccardo e non gli era mai piaciuto, aveva capito fin da subito che non era un tipo apposto, e che le avrebbe sicuramente spezzato il cuore. Le versò il secondo bicchiere di tequila e continuò a provare a tirarla su, le faceva il suo sguardo dolce e rassicurante e Julia iniziò a liberarsi dei cattivi pensieri.

-Vuoi che lo prenda a pugni?- le disse Frank ridendo- se vuoi lo faccio, prendo il primo aereo e lo prendo a pugni.

Lei rise e rispose sorridendo: -Beh si mi farebbe sentire meglio.

Frank rise insieme a lei e tirando pugni all'aria scherzosamente. Il bar continuò a riempirsi lentamente e lui si allontanò per servire altri clienti.

Julia continuò a bere tequila con i pensieri più assurdi che con l'allontanamento di Frank si erano impadroniti di nuovo della sua mente, quando a un certo punto un bel ragazzo con dei capelli lunghi scompigliati entrò nel locale e si sedette nello sgabello affianco al suo. Si sfilò il cappotto nero in pelle e appoggiò la sua sciarpa viola sul bancone. Julia non si voltò a osservarlo ma aveva subito notato i suoi bellissimi occhi, di un marrone scuro e intenso, da cui si percepiva tristezza e stanchezza, come se fosse stufo del mondo. Aveva un accenno di barba e un'aria dannatamente familiare, quasi fosse qualcuno che Julia conosceva. Sembrava quasi un motociclista, ma a tratti dava l'idea di genio ribelle. Il ragazzo chiamò Frank e chiese una soda, poi si girò verso Julia intenta a mangiare le patatine che il barista le aveva appena offerto:

-È un buon posto per passare il tempo?- le chiese.

-Non lo so, forse, non c'ero mai stata prima. - rispose vaga lei, non era proprio in vena di fare conversazione, soprattutto con un tizio sconosciuto.

-Nemmeno io, sono qui solo per lavoro, New Haven è proprio un bel posto, è più interessante di come lo immaginavo.

Julia cercò di ignorarlo, continuando a mangiare le sue patatine.

-Vuole ignorarmi- disse ridendo il ragazzo rivolto a Frank che guardava la scena divertito.

-Ci sto provando, si. -rispose Julia voltando a guardare il ragazzo ribelle.

-Sa non dovrebbe.-disse lui in tono provocatorio.

-Ah e perché no?- chiese Julia.

-Perché sono una persona che lei imparerà ad amare.- disse sfacciatamente. Aveva un bel sorriso e in quel momento i suoi occhi luccicavano.

-Quindi se la conoscerò mi innamorerò di lei?- rispose Julia, nel cui volto era apparso un lieve sorriso.

-Oh si, ne sono certo.- rispose ridendo.

-Lei si piace molto.- dissi lei ridendo.

-Abbastanza si, ma sono sicuro al 95% che lei si innamorerà perdutamente di me, l'ho calcolato.

Julia sorrise e per un attimo i loro occhi rimasero li a fissarsi. I loro sguardi intenti a parlarsi, quello di lui uno sguardo profondo, uno di quei sguardi che sembra ti stiano guardando l'anima.

-Qual è la sua storia?- disse a un certo punto il ragazzo.

-Non ho nessuna storia, sono solo una ragazza in un bar.- rispose lei.

-Beh, io sono solo un uomo in un bar.

 

Il ragazzo le offrì da bere, Julia lo trovava davvero attraente, avvolto nella sua aurea di mistero. Non parlarono molto, per lo più del più e del meno. Erano i loro sguardi parlare per loro e valevano più di mille parole.

Il tempo passò veloce e Julia si era completamente scordata dei suoi pensieri, il sorriso di quel ragazzo era magico riusciva ad allontanare qualsiasi stupida preoccupazione.

Quando si accorse che era veramente tardi era anche un po brilla, lui si offrì di accompagnarla a casa:

-La percentuale di criminalità è bassa in questa zona, ma data l'ora non mi sembra il caso che lei rientri da sola. -disse in tono serioso infilandosi il cappotto e prendendo la sua sciarpa viola.

 

 

-Ecco ci siamo. Sono arrivata.-disse Julia davanti all'enorme portone del suo condominio.

Lui scrutava il palazzo con un sguardo di ispezione, ed era come se stesse facendo milioni di calcoli contemporaneamente. Poi poso lo sguardo su di lei.

-Beh ora devo andare... -dissi lei accennando un sorriso.

-È stato bello conoscerti...scusa non mi hai detto come ti chiami.

-Sicuro di volerlo sapere?

-Certo.- disse lui sorridendo.

-Non mi conosci, potrei essere una serial killer, potrei essere pazza o magari avere sedici personalità.- risposi Julia ridendo.

-Beh allora dimmi i tuoi sedici nomi.-disse lui con il suo magico sorriso.

-Julia, comunque.

-Spencer, comunque.

-Comunque...

In quel momento i loro occhi si incontrarono,e ci fu una pausa di silenzio, erano sempre più vicini l'una all'altra. Quando Julia stava per allontanarsi lui la afferrò, la avvicinò a sé e la baciò. Un bacio cosi intenso e profondo da bloccare i pensieri, le sue labbra così morbide e calde che quasi si riusciva a sentire la passione. Uno di quei baci intensi e lenti che ti fanno dimenticare di prendere fiato. Quando le loro labbra si staccarono lei quasi tremava.

-Non sei una serial killer. - le sussurrò con un filo di voce all'orecchio.

Le spostò i capelli dagli occhi, la guardò attentamente e poi si congedò.

Julia rimase li, ancora scossa da quel bacio e lo guardò mentre si allontanava, fino a che non svoltò l'angolo e non poté più vedere la sua sciarpa viola.

Chi era quel ragazzo? Che cosa era appena accaduto? E perché le sembrava di conoscerlo?

Piena di interrogativi Julia salì nel suo appartamento, la casa era silenziosa come se non ci fosse nessuno, in ordine esattamente come lei l'aveva lasciata. Proseguì per il corridoio, passando per la cucina e arrivò nella sua stanza. Erano già le tre del mattino così semplicemente si spogliò e si infilò a letto. Fissava il soffitto, le sembrava un po' surreale la cosa. Non riusciva a prendere sonno, era euforica e confusa allo stesso tempo. Ripensava a quel ragazzo, Spencer. I suoi occhi erano impressi nella mente come le sue parole, i suoi gesti, quell'aria misteriosa ma familiare e quel bacio. Soprattutto quel bacio, quel bacio ricco di emozione, il cui solo pensiero le faceva venire i brividi.

 

 

La mattina seguente, come uno zombie si alzò per andare a lezione, era la penultima lezione di neurologia del semestre tenuta dal Dottor Shepherd, un figo da paura con i capelli corvini e gli occhi blu da mozzarti il fiato. Julia aveva una cotta per Shepherd, era intelligente, autorevole e bello, un neurochirurgo di fama internazionale che lavorava a Seattle. Era uno dei migliori nel suo campo, ma a causa di un recente incidente aereo che gli aveva lesionato la mano, insegnava. Julia pendeva sempre dalle sua labbra, ed era sempre eccitatissima all'idea delle sue lezioni. M quella mattina non pensava al Dottor Shepherd o ai suoi problemi, pensava ancora a Spencer e al suo bacio. Intenso e caldo come il suo sguardo.

Si preparò e uscì di casa di corsa, in ritardo come sempre, prese un tram e dopo un bel po' ecco che arrivò campus. Era stra pieno di studenti che vagavano persi con libri e caffè in mano, e correvano per andare a lezione.

Le arrivò un messaggio al telefono cellulare:

Lezione di McDreamy saltata. C'è un seminario dell'FBI ne sarai felice :)

ci vediamo li baby. Abby.

 

Abby era una sua collega, una persona originale e stravagante con cui non potevi mai annoiarti. Julia rilesse il messaggio, un profiler del Bau a Yale e non lo sapeva?

Questo le fece capire quanto fosse distratta in quei giorni, ma si ricordò di aver visto i volantini, e di aver pensato che sarebbe stata solo una noiosissima conferenza tenuta da qualche agente anziano ormai in pensione. Comunque era in ritardo e decise di andare, ormai era li, si affrettò nell'aula stracolma e sedette nelle ultime file.

Mentre l'aula si riempiva una gran bella donna bionda entrò nella sala, aveva una aspetto autoritario e portava la pistola nella fibia attorno ai pantaloni, Julia capì immediatamente che si trattava di un agente speciale. Dietro di lei entrò un uomo alto con i capelli lunghi scompigliati, indossava un lungo capotto nero e una sciarpa viola. Era ancora di spalle, per ciò Julia non riuscì a capire chi fosse, ma avrebbe riconosciuto ovunque quella sciarpa di cui poteva sentire ancora il ricordo del profumo, ma no non poteva essere.

L'uomo si sfilò il capotto lasciandosi la sciarpa al collo, prese qualcosa dalla sua valigetta e si avvicinò al microfono e disse: - Buongiorno io sono il Dottor Spencer Reid.

 

Il cuore le balzò in gola iniziando a battere velocemente. Era lui, il ragazzo del bar. Non poteva credere di non averlo riconosciuto.

Era lui. Il Dottor Reid.

 

  
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