Di salvataggi o delusioni, amore
mio.
I stopped breathing, will you catch me now or let me down?
Non
doveva succedere, non era previsto. Se solo mi fossi messa in viaggio un’ora
prima, probabilmente a quest’ora non sarei bloccata in questa situazione. Chi
lo avrebbe mai detto?
Oggi avremmo dovuto fare un picnic,
avremmo dovuto trascorrere una giornata felice, come la nostra vita in
quell’ultimo periodo. Sospettavo che tu volessi anche farmi una proposta – lo
speravo con tutta me stessa. Non stavamo insieme da molto, ma ci amavamo da
così tanto tempo, che sembrava stessimo insieme da una vita. E mi chiedo perché
sia passata così in fretta, la vita.
Ero in autostrada, dovevo raggiungerti al lavoro e poi
saremmo andati insieme nel nostro parco preferito. In radio avevo messo un CD che mi mettesse allegria e che potesse distrarmi un po’
dalla distanza che ci divideva. Eravamo divisi così spesso che non ce ne
accorgevamo. Non so cosa sia successo. O come. Mi ero appena messa in coda
e avevo cambiato canzone – una più calma mi avrebbe sicuramente aiutato a non
inveire contro la lentezza del traffico quel giorno. Ero già parecchio in
ritardo, lo sapevo, ma non avevo sentito la sveglia e purtroppo questo era il
risultato. Stavo già cercando il motivo per il quale la sveglia non aveva
suonato – diamine, avrei evitato quella coda! – quando sentii che qualcosa non
andava. Vidi che una macchina alquanto rumorosa (anche io avevo messo la
musica, ma non era così alta!) e piena di persone stava arrivando. Mi
piaceva prendermela con i giovani – con i bambini, quasi, perché anche noi
siamo giovani, anche io lo ero, amore mio – e allora iniziai a
immaginare quanto fosse stata difficile l’infanzia della persona seduta al
posto di guida, di quanto fosse stupida la ragazza che gli sedeva accanto.
Magari erano innamorati come noi, amore mio. Ma presto mi avrebbero dato
altri motivi per imprecare contro quella macchina, bisognava solo dare tempo al
tempo.
Mi
sono ritrovata quasi schiacciata. Mi mancava l’aria. Poeticamente, direi che
non è peggio di star lontana da te… beh, scusami, amore
mio, ma è molto peggio. Mi sono sentita accartocciata, stretta, tutto
all’improvviso. Ho sbattuto la testa contro il parabrezza, sembrava che gli
occhiali cercassero un modo per entrarmi nella pelle e scappare da quel vetro.
Il mio petto e il volante erano diventati un tutt’uno. Che cos’era successo,
perché la radio non si sentiva più? Il guidatore della macchina dietro,
probabilmente, non sapeva che di mattina non ci si ubriacava, non sapeva che
bisogna rallentare, quando si vedono altre macchine. Non sapeva nemmeno il mio
nome, eppure penso che mi avrà sulla coscienza per un bel po’ – magari non per
sempre, se tutto va bene. E io ancora non so se andrà tutto bene, ho
tanta paura, amore mio.
Hanno chiamato te per primo, mi sembrava alquanto ovvio. Le
tue parole erano così piene di paura che avrei tanto voluto avere la
possibilità di venire al telefono e dirti: “Sto bene, tesoro mio, sono solo un
po’ ammaccata”. Dai, amore mio, veloce. Sono in questo stato da pochi
minuti, ma sembra già tanto. Qui – e non chiedermi dove mi trovi – mi han detto
che potrei tornare indietro, ma dipenderebbe tutto da te. Io so che tu non mi
lasceresti mai, ne sono sicura. Ti prego, arriva, salvami, così posso abbracciarti,
posso dirti che non c’era bisogno di prendere un tale spavento. Ti prego, amore
mio.
Qui mi hanno detto che ho due opzioni: essere “ripresa”
da voi o tagliare i ponti con il mondo dei vivi ed entrare in un contesto
del tutto nuovo per me. Ho subito chiesto quale fosse il modo per tornare da
te, amore mio, e mi hanno chiesto notizie sulla mia vita. Non sapevo
perché, ero alquanto stranita, ma ho tranquillamente detto tutto: cosa faccio (o
facevo?) nella vita, come ci siamo incontrati, quanto ti amo (e
indipendentemente dal mio futuro, questo amore non cesserà di esistere),
quanto mi ami tu. Al vedermi parlar di te, mi hanno detto una cosa fantastica e
allo stesso tempo spaventosa: dipende da te. La mia vita, la mia esistenza,
l’esito di questa giornata: dipende tutto da te. Devi essere veloce e salvarmi,
amore mio, sennò non ci saranno speranze per me.
Ho
chiesto spiegazioni, tesoro, nella speranza di capire come aiutarti – avrei
trovato un modo per farmi salvare, anziché semplicemente essere salvata. Ho
chiesto come avresti fatto: tu non sei un medico ed io al momento ho solo
bisogno di qualcuno che sappia come rimettere a posto questo corpo. Nel
frattempo sei arrivato. Sei bellissimo, anche se sembra che ti abbiano appena
tolto qualcosa di molto caro. Sono io quel “qualcosa”? Ti sei fatto spiegare
tutto dalla polizia e ti ho visto stringere il pugno, mentre ti guardavi
intorno alla ricerca di quella persona che aveva causato l’incidente. Poi hai
chiesto dove fossi io e hai visto in che condizioni fossi. Non voglio più
vedere quell’espressione sul tuo volto, amore mio, mai più. È
probabilmente quell’espressione che ha causato la mia morte – potevo già
definirla così, in quel momento?
Siamo arrivati in ospedale, con un’ansia sempre maggiore.
Mi hanno detto che dipende da te, non mi vogliono dire altro e io sto urlando,
disperata, per capire cosa puoi fare per me. Perché cos’altro c’è, oltre allo
starmi vicino, oltre alla voglia di far male a un altro essere umano, solo
perché mi ha messa in pericolo? C’è l’amore, mi hanno detto. Devi aiutarmi,
amandomi. Ho risposto, amore mio, che tu lo fai già tutti i giorni,
sopportandomi quando vado in escandescenza, quando sono troppo triste, ma anche
quando sono così felice che divento quasi fastidiosa. Tu lo fai e per te non è
un peso, te lo leggo negli occhi. Mi hanno detto quello che già sapevo da
tempo: se si crede tanto in una cosa, questa si avvera. Devi credere nel nostro
amore, in me, in tutto ciò che rappresento io per te: questo intendevano quando
hanno detto che devi semplicemente amarmi. E in quel momento mi son
sentita crollare la terra sotto i piedi. Nella mia mente è sorta un’unica
domanda: mi prenderai, mi salverai, o mi lascerai andare, mi deluderai?[1]
Il medico ti ha detto: «Ha riportato un grave trauma,
dovremo operarla».
Mi sono guardata intorno, perché non
potevano parlare di me: non era poi così grave la cosa! Appena ho visto il mio
corpo, mi sarei messa a piangere anche io, se avessi avuto lacrime. Ero
messa così male?
Tu hai risposto: «È così grave?». Hai fatto mille domande,
come se io fossi già morta e tu non sapessi cosa fare. E qui sbagli, amore
mio. Non devi fare alcuna domanda, perché sai già cosa fare. Devi solo
capirlo, devi fare a te quelle domande, così arriverai alla risposta. Il
dottore non sapeva come calmarti e ti ha detto di avere fiducia – ascoltalo, amore
mio, solo così potrai salvarmi.
E
tu hai detto:«Posso dirle qualcosa, prima che la operiate?». Non ti avrebbero
mai risposto di no.
Sei venuto vicino a me, eravamo soli.
Sei rimasto in piedi, ti piace sempre rinfacciarmi quanto io sia più bassa di
te. Hai iniziato a parlare, più di quanto tu non faccia normalmente.
«Ehi… Buon giorno. Buon anniversario, eh. Ti sembra il modo
di salutarmi? Forse non hai capito, ti avevo detto di raggiungermi. Devi
smetterla di avere queste manie di protagonismo: ti avrei raggiunto volentieri,
se me lo avessi chiesto, non c’era bisogno di fare questi problemi!». Quella
risata era amara, sembrava più il verso di un pianto, amore mio. La stai
facendo più tragica di quanto in realtà non sia. «Non rimproverarmi, ok? Lo so,
che sono esagerato. Ma oggi volevo chiederti qualcosa e sono convinto che tu lo
sappia già. Quindi devi tornare da me, anche se non so come, devi tornare. I
medici ti aiuteranno e sono convinto che tu non hai così tanta voglia di
rimanere lontana da me. Ti sei sempre lamentata della distanza, quindi ora non
essere incoerente e torna. Cosa vuoi che ti dica? Cadrei nel patetico, lo sai.
Non ti ho mai chiamata con quei nomignoli sdolcinati, non ho mai fatto il
principe azzurro e non inizierò ora.» Quando fai il duro così, amore mio,
mi fai sciogliere. «Tu devi solo tornare. Ti servono motivazioni? Davvero?
Torna per me, per noi. Ora tu vorresti essere in un film, vorresti una dedica,
ma non funziona così. Nella realtà, tu probabilmente non mi stai sentendo… No, non è vero, nella realtà sono convinto che tu
mi stia sentendo. Tu mi stai sentendo, certo, e stai sentendo quanto io abbia
bisogno di te. Perché, davvero, ho bisogno di te. Ho bisogno dei nostri
momenti, ho bisogno delle nostre abitudini. Tu ci credi anche più di me, in
tutte quelle cose che ormai facciamo come un rito. E io, tu lo sai, non
potrei continuare una vita felice, senza te che mi dai la forza di crederci.
Quindi io penso che dovresti tornare per noi. Nella tua testolina un po’
ammaccata – e scusa per la battuta macabra – ora starai dicendo che fai le cose
innanzitutto per te stessa. Ed è vero, devi tornare per te stessa, ma anche per
noi, ok? Sei sempre stata così altruista, perché non anche ora? Ritorna per me.
Ecco, ho un piano: ora tu pregherai il Dio al quale sei tanto fedele, perché tu
ci credi. Ed io pregherò l’unica cosa in cui credo: il nostro amore. Mi raccomando,
amore mio.»
Baby, can I miss my flight and I’ll come back to you
tonight? Is someone out there?
Non
appena i medici hanno iniziato l’operazione, qui mi hanno detto che la
conseguenza, in entrambi i casi, sarebbe stata una perdita di memoria più o
meno grave. Se rimarrò qui, mi ricorderò solo di coloro con i quali ho debiti
in sospeso, probabilmente li tormenterò o farò comunque in modo da saldare i
conti.[2] Se invece tornerò tra i vivi, ho buona probabilità di
scordarmi tutto quello che ho passato da questa parte. Forse mi ritornerà in
sogno, ma c’è la possibilità che io non creda al sogno e che lo dimentichi in
pochi minuti – il che sarebbe davvero un peccato. Ora mi diresti che è una mia
caratteristica, quella del volere troppo, perché non voglio scordare nessuna delle
due cose – anche se son certa di sapere quale delle due sono disposta a
dimenticarmi.
Mi
sento ansiosa. È come se dovessi fare le valigie senza sapere la meta: metto le
felpe o le canottiere? Porto il costume o il cappotto? Le scarpe chiuse o le
infradito? E mi vestirei “a cipolla”, ma non so come usare la metafora
in questa occasione. E se poi non andrà come speravo? Se preparo una valigia
per la meta sbagliata? Non mi sento pronta a rivivere tutta la mia vita,
adesso. Non mi sento pronta a dare per scontato quello che spero si avveri. Oh,
ma quanto dura quest’operazione? Non ce la faccio più, ora vengo a vedere come
stai.
Sei
seduto e stai giocando con l’iPhone, prevedibile.
Ti ho detto tante di quelle volte che quando faccio i Sudoku
scarico la tensione, che probabilmente hai pensato che adesso potevi fare lo
stesso. Allora? Funziona? È bello vederti così fragile e sicuro allo stesso
tempo. So che stai facendo un gioco sul calcio, ti conosco. Non mi è mai
interessato questo sport, ma lo conosco abbastanza bene proprio grazie a te.
Giochi bene anche nella realtà. Sbircio nello schermo, attenta a non toccarti,
non so se posso. Esulto. «Hai fatto goal! Lo sapevo!». Non pensavo di poter
parlare, in questo stato.
Ti
giri verso di me e mi guardi incredulo. Cioè, starai guardando incredulo il
muro, perché tecnicamente non puoi vedermi. Poi sposti leggermente lo sguardo,
dall’altro lato del corridoio arrivano dei dottori. Oh, ma tu guarda, sono
quelli che mi stanno operando. No, voglio dire, avranno finito di operarmi, se
sono venuti da te. E quelle facce? Sembrano abbastanza tristi. No, forse non
proprio tristi…
«Signorina!
Chi le ha detto di alzarsi appena l’operazione è finita?!»
E da quando ti chiamano signorina? E
perché sei scoppiato a ridere? Poi guardo bene le facce dei dottori. Sono
arrabbiati, non tristi. E non si rivolgono a te, solo che non ho gli occhiali e
non me ne sono accorta.
«Dai,
torna di là. Mi vedrai giocare al telefono dopo, tanto abbiamo una vita
davanti!» dici, tra le risate. E stai parlando con me.
Appena realizzo quello che è
successo, appena mi vedo – non più vestita come nel momento dell’incidente, ma
con quella specie di pigiama davvero brutto –, appena capisco che i
dottori si rivolgono a me, reprimo con difficoltà un urlo di gioia. Sorrido
come se non ci fosse un domani. Mi lascio prendere dai medici e senza troppe
storie torno “di là”.
A
quanto pare, mi hai preso [1], amore mio.
[1]: la frase: “Mi prenderai, mi salverai, o mi lascerai andare, mi deluderai?” fa riferimento alla canzone The Ghost Of Los Angeles, alla quale mi sono ispirata, ed in particolare alla frase del ritornello: “Will you catch me now or let me down?”, della quale è una traduzione (seppur, potrei dire, parafrasata).
[2]: Per questa visione del momento post mortem, mi sono ispirata al telefilm “Ghost
Whisperer – Presenze”.
Mars’ space:
Hola! Prima one shot
non appartenente al fandom di Harry Potter, ebbene,
ce l’ho fatta. Questa storiella (?) si ispira alla canzone The Ghost Of Los Angeles, di The Ready Set (come già detto nella nota), della quale fanno
parte i due versi che introducono e dividono in due parti la one shot.
Storiella su due innamorati, ai
quali non ho voluto dare nomi (supportata anche dal mio “amico” Manzoni,
secondo il quale sono ‘accidenti’ – beh sì, forse studio troppo), che passano
la giornata del loro anniversario in modo alquanto agitato, per poi scoprire
che credere nell’amore porta alla salvezza. Beh, lascerò che i dottori, che
hanno operato la poverella in fin di morte, se la prendano con me perché il
merito è anche loro… Ma questi son dettagli.
Spero vi sia piaciuta e che, in
ogni caso, lasciate una recensione.
Saluti! :D