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Autore: Kyca_bum    06/01/2014    2 recensioni
[Cast How I Met Your Mother]
[Neil Patrick Harris, David Burtka] Kristallia è italiana, è laureata, si è trasferita negli Stati Uniti per fare la ricercatrice... e fa la babysitter.
Genere: Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia fa parte di una raccolta di OneShot su personaggi famosi creata dal gruppo Daydreamers, se volete leggerne altre... consultate le note a fine testo. Buona lettura!

Aprii il cassetto delle posate, presi due forchette.. e le rimisi dov’erano.
Chiusi i cassetto e cambiai bancone, aprii un altro cassetto e lo trovai pieno di fagottini di velluto blu. Sollevai con cura uno di questi involti e lo srotolai, portando alla luce una serie di lucenti forchette d'argento.
Ne scelsi con cura 4, le più lucide (eccesso di zelo, in quella casa brillava tutto. SEMPRE.) e, usando la stessa attenzione, selezionai 4 coltelli e 4 cucchiai e 4 forchettine da dolce e così via, mettendo insieme una ricca collezione di argenti di ogni forma e dimensione.

Con questo bottino tra le braccia mi diressi verso la sala da pranzo: un enorme salone con le pareti bianco intonaco, il parquet di rovere e il camino, già acceso. Delicatamente adagiai quella che per me era una quantità spropositata di posate (no, non ci avrei mai fatto l'abitudine) sulla tovaglia di seta blu, che continuava a scivolare sul ripiano di vetro del tavolo.
Preparai la tavola con la precisione che mi ha sempre contraddistinto, quella maniacale che mi fa ruotare di un millesimo di grado il coltello se non mi appare esattamente parallelo alle altre posate, e feci due passi indietro per ammirare il lavoro: i tovaglioli panna con i bordi blu davano risalto alle posate luccicanti, i 12 bicchieri riflettevano il rosso danzante del camino e il vaso di iris al centro dava al tutto un senso professionale ed intimo allo stesso tempo.

Il rumore di una porta che si richiudeva alle mie spalle mi distrasse dal mio momento di autocelebrazione.
«Noi ci siamo svegliati!» disse una voce alle mie spalle «Oooooh tata ha già preparato!»
Mi voltai e vidi Neil che, piegato in modo da assicurarsi che Grace zampettasse senza cadere, accompagnava sua figlia in salotto.
Mi salutò con una linguaccia, e, dopo aver sistemato la piccola sul colorato tappeto di gomma, mi raggiunse per ammirare il mio lavoro:
«Nanny come sei precisina!» scherzò e mi anticipò in cucina.

Ogni volta che entrava in cucina un sorriso, specchio di profonda soddisfazione, gli illuminava il volto. Proprio con quella beatitudine stampata sulla faccia colpì il primo di una serie di mestoli appesi sopra l'isola, facendo scattare quel meccanismo a catena delle classiche palline che stanno sulle scrivanie importanti, quelle del "moto perpetuo" che poi perpetuo non è per nulla. Aprì un cassettone e tirò fuori due grembiuli, rigorosamente bianchi.
Me ne tirò uno dei due addosso:
«AL LAVORO!»
Qualche minuto dopo la testolina scarmigliata di Gideon fece capolino dalla porta, giusto per controllare che fossimo dove si aspettava di trovarci. Ci fissò, scoppio a ridere per un motivo che poteva sapere solo lui e scomparve per raggiungere la sorellina.
Nel rumore delle cose che friggevano e dei cassetti che venivano aperti e richiusi e dei mestoli sbattuti il calore delle pentole sui fornelli.. mi persi nei miei ricordi.

Mi ritrovai davanti alla pentolona piena di olio, sentii distintamente il calore del fuoco che mi bruciava le guance, l'odore pesante ma buono di cose fritte mi riempì il naso.. ed ero a casa mia.

Assistevo la mia famiglia nella preparazione dei piatti tipici per il Natale.
Rigorosamente a maniche corte perché, al contrario di qui, da noi il Natale è tutto tranne che bianco.
Mi spostavo per fare passare mio zio con la pala piena di braci ardenti, trasportavo piatti e pentole, preparavo fogli di carta assorbente su vassoi per accogliere le pietanze tirate fuori dalla tortura dell'olio bollente. Tutti hanno fretta, sempre, non so perché. Anche se iniziamo con largo anticipo a preparare, anche se non ci sono orari prestabiliti da rispettare, anche se non ce ne frega niente di cenare a mezzanotte, noi lavoriamo di fretta. E anche adesso, eravamo di fretta: quella fretta piacevole che è quasi divertente, perché sai che anche se non fai in tempo non ci saranno ripercussioni di sorta.

La voce di Neil mi riscosse «Mi passi la salvia?»

Quando finimmo di preparare il preparabile, e solo dopo aver ripulito tutta la cucina («Sì, boss: è tutto lucido e splendente, ovviamente!»), ebbi il lasciapassare per andare a preparare.. me stessa.
Neil raggiunse i bambini sul tappeto di gomma e io mi infilai nella stanza che mi era stata assegnata.
Prendendo i vestiti e mi fiondandomi in bagno feci un resoconto mentale di quello che avevo fatto della mia vita negli ultimi mesi: mi ero laureata, mi ero guadagnata un posto da ricercatrice negli USA e... facevo la babysitter. Ok, stop. Non facciamoci prendere dalla depressione, non è esattamente così.
Io facevo ancora la ricercatrice. Solo che per pagarmi l'affitto di quel buco che io mi ostinavo a chiamare LOFT dovevo trovare un lavoro part-time e i bambini mi sono sempre piaciuti. Avevo contattato un’agenzia e mi era stato affidato il primo bambino. Mary, la tipa che mi supervisionava, descriveva i genitori entusiasti del mio lavoro, tanto entusiasti da licenziarmi dopo due mesi. Così, mi era stato affidato il secondo pargolo e poi via, di bambino in bambino o meglio, di genitori in genitori, non so come la mia fama (???) era arrivata a Neil e David. Quando una Mary entusiasta mi disse di avermi fissato un appuntamento con loro, che avevano espressamente chiesto di me, neanche le credetti: andiamo, come potevano essere a parte delle mie eccezionali doti di puericultrice?
In effetti avevo ragione, nessuno dei due aveva mai sentito parlare di me e credo sinceramente che devo aver loro fatto pena quando mi presentai alla loro porta per un appuntamento inesistente. Pena mista a simpatia comunque, perché mi misero in prova e alla fine... sono ancora qui no?
Uno dei lavori migliori di sempre, pensai mentre mi asciugavo i capelli, il loft ora è davvero un loft,  ho tempo per dedicarmi al mio "lavoro serio", come dice mio padre, e tutto il resto.

Tornai in salotto e mi sedetti sul divano - beh, su uno dei divani. A che servano due salotti? (no, non ci avrei mai fatto l’abitudine) - , ora dallo stereo proveniva una musichetta allegra.
«Hai chiamato casa?»
«Non ancora, stasera»
«E come mai? Sono passate quasi 10 ore dall'ultima telefonata!» mi canzonò «Non mi starai diventando adulta così, tutta d'un colpo?»
«Disse l'uomo che chiede ancora a sua madre consigli sui vestiti...»
Rise forte «Scherzi a parte, va tutto bene? Mi sembri strana, in questi giorni» mi domandò poi, seriamente preoccupato.
«Nah, sto bene. È che Natale mi fa pensare»
«E tu non ci sei abituata, giusto.»
«HO HO HO! Come sei simpatico» e pensai a come avrei continuato la frase se fossi stata a casa, qui era inutile: non l'avrebbe capita. OK BASTA DEPRESSIONE, abbiamo detto. Mi rivolsi ai bambini:
«Speriamo che nessuno di voi prenda da papà!» dissi con un sorriso maligno. Il ghigno beffardo di Neil si spense: colpo basso.
«Scusa. Sfogo la nostalgia in acidità» sorrisi, cercando di contagiarlo «È che sono arrabbiata, profondamente.»
E gli spiegai di come sarei dovuta rimanere in California per Natale&co, di come non avrei dovuto avere più di due giorni di vacanza e di come - invece - ne avevo 15, di come avrebbero dovuto raggiungermi i miei, di come mi avevano detto che non sarebbero potuti venire, di come io l'avevo preso come uno scherzo e non mi ero preoccupata più di tanto e di come avevo scoperto la mattina del 23 Dicembre che effettivamente non mi avrebbero raggiunto, qui, a kilometri e kilometri e kilometri di distanza. Più parlavo, più il nodo alla gola saliva - e saliva e saliva - e più cercavo di mandarlo giù, inghiottendo nel tentativo di non scoppiare a piangere.
Lui mi ascoltò serio e, sorridendo prima di parlare, mi disse:
«Sai, si dice che si paga prima quello che si ottiene poi, nella vita.»
Io lo fissai, muta. Quella era la stessa frase che mi disse mia madre anni fa - eoni fa - qualche giorno prima di un mio esame. Una frase che si era rivelata profetica, che non avevo più dimenticato.
Mi sentii subito meglio e evidentemente lo palesai, dato che lo sguardo di Neil si rilassò.
«E poi... non siamo una famiglia, noi? Non ti andiamo bene lo stesso?» aggiunse imitando la voce di un bambino «Certo, siamo solo 4...»
Lo interruppi abbracciandolo forte: davvero, erano la mia famiglia.

***

Guardai l'orologio:
«È quasi ora» dissi e tirai fuori dal frigo una delle 10 ciotole che avevamo preparato durante il pomeriggio. Dio santo, come fanno a mangiare sempre così tanto? (guess what? No, non ci avrei mai fatto l'abitudine) A casa mia non si mangia mai così tanto! E a me sembra tanto comunque!

Casa mia... chissà che stanno facendo adesso...
Sentivo l'odore di Natale che pervadeva il corridoio, dal 1° di Dicembre, mi immaginavo ad urtare l'albero di natale - bianco e oro, come sempre - messo al centro delle scale a chiocciola, sentivo le consuete voci che urlavano da un piano all'altro (ma che li abbiamo installati a fare i citofoni, anni fa?), vedevo mio padre che sistemava le prolunghe per allungare il tavolo, mia madre che contava le sedie, mia zia che chiedeva ancora una volta dove sono le posate. Sapevo che mia nonna pensava di non aver cucinato abbastanza, anche se rimane sempre una quantità spropositata di roba. I miei cugini che mi chiedevano se avevo preparato tutto "che stasera cantiamo" facevano compagnia a mia sorella che si lamentava perché non avevo trovato un modo più semplice per organizzare il karaoke dopo tutti questi anni. Mi spazientivo e sorridevo ed ero felice e poi... realizzai di essere a kilometri di distanza da tutto ciò. Quello che trapelò fu solo un sospiro nostalgico.

«È tutto ok?» mi chiese Neil, preoccupato «Sei con quella ciotola in mano da 10 minuti!»
Mi limitai a sorridere, perché sapevo che se avessi provato a parlare sarei scoppiata a piangere, e ripresi la preparazione della cena.
Dal salotto ora proveniva il consueto rumore della TV, accesa sul canale preferito di Harper Grace - ovviamente, quella bambina sì che portava i pantaloni, in casa!
Seguii in silenzio le istruzioni di Neil, che in cucina si sentiva uno chef, per un po' quando lui proruppe:
«OK. BASTA. Che hai?»
«Niente!»
«Niente??? Non ti ho sentita stare tanto in silenzio neanche quando ti addormenti insieme ai gemelli davanti alla TV. Esprimiti. Parla!» aggiunse in italiano.
Scoppiai a ridere per la sua "r-non-r" e lo rassicurai: era solo un momento di nostalgia. Anche io potevo fare la romanticona, a volte.
«Quantomeno ridi! Bravo!»
«Brav..A!» lo corressi per l'ennesima volta e risi di nuovo.
Una manina mi strattonò dal grembiule e guardai in basso per vedere la piccola Harper che richiamava la mia attenzione:
«Tata, gelato!»
«.. ato!» le faceva eco Gideon, che la seguiva come un'ombra
«Tata ato! Tata aato!»
Neanche ebbi il tempo di pulirmi le mani dall'unto delle preparazioni che già Neil si era fiondato in ginocchio per abbracciarli e prenderli in braccio. Contemporaneamente.
«Tata gelato!» si unì al coro ridendo, con un gemello per braccio.
Guardarlo così, con i suoi pargoli in braccio, il grembiule bianco - non più tanto bianco adesso, in effetti - sopra la tuta grigia, le rughe marcate dalla stanchezza di una luuuunga giornata di spostamenti, i capelli fuori posto ma chiaramente felice, mi sciolse il nodo che avevo alla gola.
Sorrisi senza nemmeno sapere perché e presi il mio Scotty in braccio.
Tanto lo so che Harper è la preferita di Neil, anche se non lo ammetterà mai.
«Si può sapere perché vi siete ricordati il gelato adesso?» stava chiedendo intanto lui. L'ormai celebre jingle proveniente dal salotto fu la risposta che aspettava: il potere delle immagini.
Mi guardò mentre diceva «Bene, dove lo troviamo a quest'ora il gelato?»
«David?» suggerii
Neil guardò l'orologio prima di rispondermi «A quest'ora sarà già in macchina con mamma»
La manina paffutella di Scott mi accarezzò la guancia «Tata ato!» mi chiese, ancora una volta.
«Non vi preoccupate piccoli, ci pensa Tata!» li rassicurò lui.
Guardai con sommo stupore l'uomo che teneva sua figlia in braccio ed aveva appena parlato, le parole si rifiutarono di uscire dalla mia bocca e mi limitai a sgranare gli occhi.
«Sei italiana, no?» si giustificò, temendo il mio sguardo assassino «Quindi sai cucinare. Chriz, fai il gelato per i bambini.»

Ora, mi sono sempre ritenuta una discreta cuoca - soprattutto per quanto riguarda i dolci - e tendo vagamente a vantarmene.
E forse è stato quel pacchetto di biscotti che avevo in borsa quel fatidico giorno del non-appuntamento - lo stesso che mi sono vista costretta ad offrire a quelli che sarebbero diventati i miei boss, quando la manina curiosa di uno dei due era finita nella mia borsa e li aveva tirati fuori - che mi aveva fatto assumere.
O forse no.
O forse sì, dai! Sono brava con i dolci, lo dice pure mia sorella (parere imparziale).
Comunque, sta di fatto che il gelato non  avevo idea di come si facesse e mi rimaneva solo una cosa da fare: improvvisare.
Presi il latte, quello serviva sicuro, il contenitore per il ghiaccio, della frutta, del cacao, la macchina per il gelato, un frullatore, dello zucchero, delle fruste, svariate ciotole e le piazzai tutto in bella vista sul ripiano di marmo dell'isola.
Con le mani sui fianchi fissai a lungo ed in silenzio quel mucchio di cose che non sapevo come mettere insieme, cercando di nascondere la mia impreparazione. Non dovetti essere troppo brava perché vidi con la coda dell'occhio Neil che rideva sommessamente prima di intervenire: «Vuoi una..»
« NO! Faccio da sola!» Non mi disturbare mentre penso, dannazione!
«Ok, pargoli. Lasciamo tata da sola!» e portò i gemelli in salotto.

«Ok, gelato. A noi due!»
Chiamando a raccolta tutta la mia conoscenza - piuttosto scarsa, me ne rendevo conto solo in quel momento - sulla cucina riuscii a tirare comunque fuori una ricetta sensata e mi misi all'opera. Piano, piano sentii crescere in me l'ispirazione e presi la decisione di fare un gelato ciascuno, con tanto di decorazioni. Presi altre ciotole, ce n'erano una quantità spropositata (beh, a questo ci avevo fatto l'abitudine da subito) e via con gli sciroppi, il cioccolato, la frutta secca e quella candita.
Un'ora dopo circa, mentre mescolavo l'ennesima miscela ricoperta di macchie da capo a piedi, suonarono alla porta.
«Mamma!» sentii urlare Neil, mi affacciai dalla cucina per vedere entrare Sheila seguita da David, che diligentemente chiuse la porta.
Mentre il figliol prodigo scoccava un bacio sulla guancia della mamma che attendeva quel gesto d’affetto tutta compiaciuta, David si prodigava a posare i cappotti di entrambi e cercava di richiamare l’attenzione dei gemelli.
Scotty, ancora seduto sul tappeto di gomma,  guardava sorridente in direzione dei nuovi arrivati mentre Gracie ignorava bellamente tutti, troppo presa dalle sue costruzioni di legno.
Tornai silenziosamente in cucina, accelerando la preparazione: ero riuscita a fare tardi nonostante avessimo iniziato dal pomeriggio (yeeeah!). Mi sentii tirare i capelli per la coda e, voltandomi, trovai un David canzonatorio che rideva delle numerose chiazze multicolor che decoravano la mia faccia, oltre che il grembiule.
«Quale squisitezza ci manderà all’ospedale, stavolta?»
Gli risposi con una pernacchia, mentre caricavo il cucchiaio di gelato-ancora-non-gelato al cioccolato. Lui scappò in salotto e io mi ritrovai a fissare la nostra ospite, con un rivolo di crema marroncina che mi scendeva giù per la mano fin dentro la manica.
Sheila Scott-Harris mi squadrò con disapprovazione, come sempre, alzando sempre più un sopracciglio perfettamente curato. Decise però, probabilmente solo per educazione, di limitarsi a salutarmi:
«Salve, cara»
«Buonasera, signora!» sorrisi a 32 denti «sto preparando il gelato!» aggiunsi con entusiasmo. Per tutta risposta, lei mi congedò con un gesto della mano e raggiunse l’allegra brigata in salotto.

Qualche minuto dopo, li raggiunsi anche io: avevo finito con le mie avventure culinarie e potevo tornare a fare la tata. Ero già preparata psicologicamente ad una lunga serie di battutine sul fatto che i bambini non erano vestiti in modo adeguato al clima, o sul fatto che Neil era uno straccio perché sicuramente aveva dovuto gestire la casa, ed invece non ci fu nessuna recriminazione. Sarà stato il clima natalizio?
Anche la cena fu tranquilla, condita da qualche lode a quanto sia stata squisitamente preparata ogni singola portata da Neil, a quanto David sia meravigliosamente educato a tavola, a quanto guidi bene, a quanto Neil sia preciso in casa, a quanto David di qua e Neil di là. Ma ci ero abituata.
Arrivò anche il momento del gelato, servito in graziose coppe di cristallo (splendenti, figuriamoci). I bambini, che nel frattempo se ne erano dimenticati, si avvicinarono alla tavola gridando «Ato! Ato!» ed anche a loro fu servita una porzione.
Ecco, sono momenti come questo che mi ricordo il motivo per cui ancora non ho abbandonato il mio “lavoro non serio”. Vedere Harper e Gideon con le manine impiastricciate di gelato e le boccucce sporche ma sorridenti, in braccio ai loro papà, mi riempì il cuore di gioia e mi sentii finalmente a casa.
David insistette per lasciare la tavola così com’era, che avrebbe messo a posto lui dopo, e ci spostammo sui divani.
I bambini davano evidenti segni di cedimento e mi proposi per portarli a letto, dopotutto era il mio lavoro, anche il 23 dicembre. Neil si affrettò a dirmi di non preoccuparmi:
«Ci penso io, tu riposati un po’.» mi diede una pacca sulla spalla e si rivolse a David «Mi dai una mano?»
Come erano teneri! Sempre a fare le cose insieme… e a lasciarmi da sola con Sheila.

Provai un paio di volte ad aprire la conversazione, accorgendomi che lei fissava un punto indefinito – un poco sopra la mia fronte -  con malcelato disgusto, probabilmente un residuo di crema era rimasto simpaticamente attaccato ad una ciocca dei miei capelli appena lavati. Al terzo tentativo fallito (Dio santo, ho capito che non ti piaccio, ma non rispondermi solo a monosillabi!), iniziai a valutare seriamente l’idea di scaraventarla nel fuoco (è stato un terribile incidente, lo giuro!) ma una vocina alle mie spalle mi salvò dall’ergastolo:
«Tata?»
Gideon si grattava un occhietto con un pugno, sicuramente non riusciva a dormire senza la mia ninna nanna.
«Tesoro mio…» iniziai e mi accorsi che anche Grace stava tornando in salotto. Ma che razza di modo è di portare i bambini a dormire?
«Tata!» mi corse in contro la mia piccolina e abbracciò le mie ginocchia, unico punto a lei raggiungibile. Mi accorsi solo in quel momento che entrambi indossavano quei cappellini da Babbo Natale personalizzati per cui uscivano pazzi i loro genitori. Mi guardai intorno alla ricerca di quei due genitori snaturati mentre Scott continuava a richiamare la mia attenzione:
«TATA!» quasi mi supplicava. Siccome Gracie aveva raggiunto le mie gambe per prima, non avevo notato il pacchetto rosso che stringeva in mano il povero Scotty e che cercava disperatamente di porgermi.
Presi in mano l’involto, sembrava un libricino, sempre più confusa. Ora Neil e David erano apparsi accanto a me e, con aria soddisfatta, mi invitavano ad aprirlo.
Incredula scartai quello che si rivelò un biglietto. Un biglietto d’aereo. Per casa.
Rimasi senza parole, mentre spostavo lo sguardo continuamente dai bambini, al biglietto, a David e Neil.
«Buono Nattale» dissero in coro quest’ultimi, nel loro italiano approssimativo.
Non piangere. Non piangere. Nonpiangerenonpiangere!
Con le lacrime che scendevano copiosamente sulle mie guance mi alzai e abbracciai quei due folli genitori:
«Non so che dire, siete pazzi!»
«Grazie basta» disse David
«Ci stavi facendo venire la depressione» aggiunse Neil.

Un enorme sorriso mi si stampò sul volto per il resto della serata, i bambini andarono finalmente a godersi il meritato riposo e noi grandi brindammo alle feste che stavano per cominciare.
Un’oretta dopo, David mantenne la sua promessa e sparecchiò la tavola, coadiuvato da Neil e né io né Sheila osammo mettere il naso nel lavoro di quei due.
Lei mi prese sottobraccio – e anche alla sprovvista – e mi accompagnò in camera mia.
«Parti domani, cara. Quando hai intenzione di preparare la valigia?» e così dicendo si mise all’opera.
Riempimmo all’inverosimile entrambi i miei trolley e ridendo tornammo in salotto.
Neil mi cinse le spalle con un braccio:
«Il biglietto è di sola andata. Ma non è che non torni?»

***

Uno squillo. Due, tre.
Quattro.
Cinque, sei, sette.
Possibile che stiate ancora dormendo?
«Pronto?» la voce affrettata di mia sorella, finalmente, mise fine alla mia attesa
«Hey, sistah! Buon Natale! HO HO HO!»
«CRIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII!» urlò lei «Dove sei? Come stai? Auguri! Che ore sono? ASPETTACHECHIAMOMAMMACIAO!»
«Ells?»
«Tesoro di mamma, Buon Natale! Sei già sveglia?»
«Sì, mamma. Tutto ok a casa?»
«Sì, stavo per andare dalla nonna. Tu dove sei oggi?»
«All’aereoporto. Qualcuno mi viene a recuperare?»
Urla. Rumori confusi. La cornetta che cade e sbatte ovunque. Risate. Ancora urla. Passi.
La voce di mio padre: «Sto arrivando!» è contento. E riaggancia. Ciao, papà.
Tu-tu-tu-tu-tu-tu.
Casa mia.



~ Note
Con sommo ritardo, anche per me è giunto il momento di consegnare i frutti della mia mente confusa. Spero ne sia valsa la pena, in caso contrario.. non fatemelo sapere. No, scherzo... amo le critiche, purchè costruttive.
In ogni caso volevo rigraziare mia sistah (che si chiama davvero Ells) che ha suggerito più volte modi - in lingua italiana - di sbrogliare frasi che avevo confusamente partorito; la mia Soul, che mi supporta e mi incita quando mi lancio in queste avventure e, last but not least, il gruppo delle Daydreamers tutte, in particolare nella persona di Saretta, the Boss, per avermi dato quest'opportunità obbligata :D
Vabbeh ho finito con le idiozie, vi voglio bene!

 


Robert Downey Jr
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