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Autore: Kafkaesque    06/01/2014    3 recensioni
Stupido Cane con due cuori e due chiavi di casa.
Sherlock, e la solitudine.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NOTE: Post 3x02, ma priva di spoiler.
 
 
 
 
 
 
Quando cambiano le stagioni, gli uccelli migrano.

Sentono i giorni che si accorciano, l’arco dello zenit che si abbassa. Freddo, le ombre che si allungano. Cominciano ad aggregarsi in gruppi, a trovarsi, a cercarsi. Non tutti insieme: uno dopo l’altro, come se fosse un caso – non è un caso, è una legge biologica; è lo sviluppo di specifiche ghiandole e il regresso di altre che ha come conseguenza un cambiamento del comportamento sociale. Poi, si alzano in volo. È codificato nei loro geni. Conoscono la meta e la rotta perché il loro sangue le ricorda, seguono la luce di giorno e la luna di notte e avvertono il richiamo pulsante del campo magnetico. Sanno che devono farlo e sanno che devono farlo insieme. Una danza preistorica, rincorrendo il sole.
 
 
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Sherlock vede le stagioni cambiare nell’alba indaco che seziona in linee precise il cielo sopra Londra. Dovrebbe andarsene.
Solo; 221B Baker Street; ogni tanto parla e si accorge di aver risposto a una domanda postagli dall’eco del suo violino ore prima. La fenomenologia dell’isolamento è la scienza inesatta della solitudine che si mostra a se stessa per quel che è, in un cammino dialettico di buchi di pallottola sui muri, pacchetti vuoti di sigarette e conversazioni con vecchi teschi.
 
 
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John entra senza dover bussare perché ha ancora le chiavi.
Sherlock lo trova irritante, e sbagliato. Sbagliato perché John ha due chiavi per due case diverse in tasca ed è una violazione di una legge naturale non scritta. È una deformità, una mutazione cromosomica; come un cane con due cuori. [Sbagliato, quando il padrone ne ha a malapena uno]
Irritante perché John riempie la stanza con un sorriso come se non se non ne fosse mai uscito.
 
“Sono tornato,” dice. Quando invece dovrebbe dire, Sono passato a salutarti e me ne andrò presto. Si toglie l’orribile giacca beige e la posa sulla poltrona rossa. La sua poltrona. Un sacco di cose sono sue, nell’appartamento, così che Sherlock non può neanche entrare in cucina senza trovare brandelli di John, macchie di lui sui muri, come tracce di un delitto osceno – la tazza capovolta vicino al lavandino, i guanti per lavare i piatti, una bustina di the riciclata avvolta da strati e strati di fazzoletti. Sul frigo, un post-it: “Comprerò il latte quando ti deciderai a togliere quei polmoni dal ripiano bottiglie”.
“Sono tornato,” e Sherlock gli risponde con un sorriso, uno di quelli che ha confezionato apposta per lui. Ha sottolineato sul manuale di anatomia tutti i muscoli da coinvolgere, per forza John ci crede.
 
John si siede sulla sua poltrona e sospira, soddisfatto. Il suo linguaggio del corpo sembra sussurrare, Qui è Casa, là è Altro. Lo dicono i suoi capelli spettinati quando John si accoccola contro lo schienale e i suoi occhi chiari e disgustosamente buoni e le mani rilassate i piedi senza scarpe il silenzio – ma è una bugia, ovviamente. Perché poi se ne va.
 
Sherlock si immagina John stringere Mary e baciarla e ogni frammento di lui urlare, Tu sei Casa, lui è Altro.
 
 
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Immagina: un’istantanea di un mondo in cui lui non è tornato da John, dopo la Caduta. È un universo con uno spettro di colori freddi, lunghezze d’onda compresse, in cui l’effetto Doppler mostra luci sempre più azzurre. John, chinato sulla sua tomba vuota, è solo, e poi è un marito, e poi è un padre, e poi un vecchio. Sherlock si allontanerebbe dal suo esilio per guardarlo, una volta ogni dieci anni. Poi si godrebbe la pace dei morti che svernano sotto aurore boreali. Se potesse morire com’era morto negli occhi di John, da quel tetto, Sherlock diventerebbe numeri e musica e i vettori che muovono il mondo.
 
Immagina: un’istantanea di un mondo in cui la Caduta non è mai avvenuta. Nulla. Semplicemente. Non sarebbe successo nulla. Tutto come prima. Sherlock sente le infinite possibilità del nulla sulla punta delle dita, là dove le corde del violino gli hanno indurito la pelle.
 
  
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Ingiustizie della semantica.     
Quando è un gruppo organizzato a volare via, la chiamano ‘migrazione’.
Quando è un unico individuo, la chiamano ‘paura’.

Per questo Sherlock non se ne va. Non vuole che sappia.
 
 
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Sherlock, ogni tanto, si concede l’illusione. Solo per qualche minuto. La applica con cura sulla sua mente, diligentemente, in modo che non ci siano pieghe, come farebbe con un cerotto alla nicotina. Lo vede leggere sulla sua poltrona e pensa che, secondo la  teoria della relatività, un pomeriggio, se fossero raggi di luce in viaggio nel vuoto a una velocità di circa 2,9 x 107 m/s, sarebbe quasi per sempre.
 
 
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Non riesce neanche a odiarla, ed è un problema. Ogni volta che la vede pensa solo a quanto sia perfetta per John, con la sua astuzia sorridente e i suoi capelli biondi. È intelligente e comprensiva – ed è bella, in effetti, di una bellezza chiara e leggera. Ha le labbra rosa senza rossetto.
Un giorno, Sherlock pensa che potrebbe provare a sedurla e rovinare tutto. Un’idea estremamente stupida. Gli lampeggia negli occhi per un secondo, quando li vede insieme un pomeriggio di primavera. Mary lo guarda ed è come se avesse capito – scuote la testa leggermente, ma non è per il vento, e lo perdona, così, con un sorriso un po’ triste. Mentre stringe la mano a John.
 
Lo sa lo sa lo sa – lo sanno tutti, in effetti.
 
 
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“Lo sapevi?” chiede a John, durante un caso, perché ci sono ancora, i loro casi e il blog, anche se non è più come prima.
“Sì– No– Cosa?”
Tra la mano di John e la sua, appoggiate sul cemento gelido, ci sono approssimativamente 8 cm.
[Secondo la teoria della relatività, se fossero raggi di luce in viaggio nel vuoto, tenderebbero a non incontrarsi mai]
Sherlock inspira ed espira e ripulisce il suo sistema respiratorio dall’idiozia che stava per commettere. John lo guarda, ma lui non può guardare John.
Guarda il cielo. La stagione sta cambiando.
“Che le costellazioni sono solo convenzioni inventate da un mucchio di persone con troppo tempo a disposizione, o inguaribilmente romantiche, o con la propensione ad approfittarsi degli ingenui con sedute d’astrologia.” La sua bocca sembra muoversi da sola, la sente fredda e impastata e non lo riguarda minimamente. “Sono solo stelle lontanissime a cui la specie umana ha voluto a tutti i costi affibbiare un significato, trovare qualcosa, figure, miti, donne, animali, Dio, bla bla.” Sherlock vorrebbe fermarsi, ma John non dice nulla. “Come se debba per forza esserci qualcosa, solo perché sembrano vicini- vicine. VicinE.”
“Sherlock, ti senti bene?”
 
 
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Le ha imparate, le costellazioni, anche se sono inutili.
Ci sono le Pleiadi e le Iadi e il Toro. Se si traccia la perpendicolare del segmento immaginario che collega Aldebaran a δ-Tauri, si trova la cintura di Orione.
Orione è Betelgeuse e Bellatrix, Rigel e Saiph. Orione è il cacciatore, ha una spada di nebulosa e occhi di supergiganti blu, e sotto di lui c’è il Cane. Orione e il Cane, il Cane che non lo abbandona mai. L'occhio del Cane è Sirio, la più luminosa e la più bianca.
 
La distanza tra il Cane e Orione è di circa 1262 anni luce. Sirio è la seconda stella più vicina alla Terra.
Orione è lontano, impensabilmente lontano.
 
Orione è il cacciatore brillante e geniale, il Cane darebbe la vita per lui, il Cane vive per brillare tra i suoi talloni – così pensano. Tutti pensano che siano vicini. Ma c’è una galassia tra le loro vite, e Sirio con la lentezza di eoni si avvicina alla Terra. Sirio è la più umana delle stelle; Orione è un mito algido e solo e non lo capirà mai.
 
Stupido Cane con due cuori e due chiavi di casa.
 
 
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Gli uccelli migratori, di notte, seguono le costellazioni. Non sanno che non esistono. 
Pensano che il Cane non abbandonerà mai Orione.

Le rondini hanno un cuore piccolo, minuscolo, con due antri e due ventricoli, frenetico, 600 battiti al minuto.
Sherlock sa che basterebbe.
 

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[Se potesse morire com’era morto negli occhi di John, da quel tetto, Sherlock diventerebbe la coreografia geometrica di ali e ali, in fila, verso l’oceano]

 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
 
Note:
 

 
Ed è arrivato il momento in cui, dopo anni (e non è tanto per dire) di ‘No, tanto non voglio scrivere niente su ‘Sherlock’ perché lo rovinerei e basta-”, mi decido ad inquinare il fandom – e con cosa lo faccio? Con ‘sta ciofeca. Che, tra l’altro, non ha senso. Si potrebbe riassumere con: feeeels, angst angst angst, roba nerd. Il problema è che non sono riuscita a non finirlo e ora devo pubblicarlo per riuscire finalmente a fare altro- GRAZIE, cervello. Se ci dovessero essere errori di fisica/biologia, vi prego, fatemeli notare. Le mie conoscenze sono un po’ arrugginite e wikipedia oggi mi è ostile.

EDIT: dopo averla tradotta in inglese ho cambiato delle cose, quindi, se ve la ricordate un po' diversa, non avete le traveggole.
 
  
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