Disclaimer: I personaggi non
mi appartengono
Ma sono di proprietà della Marvel ©
Alla
mia Coulson e alla mia mogliaH
Perché
voglio loro un mondo di bene.
Do You
Ever Get Homesick?
What did I miss?
Do you ever get homesick?
.
.
.
Quando finalmente arriva al
pianerottolo e lascia andare il borsone, è come un peso che gli abbandona il petto.
Può tornare a respirare, ora, la mano stretta al torace s’è allentata, va tutto
bene.
Le scarpe sollevano un soffio
asmatico di polvere mente si china a sollevare il tappetino d’ingresso: al di
sotto degli intrecci e dei viticci, gli sorride garrula una chiave tutta denti.
E’ stato scettico, la prima volta.
Perché nasconderla lì? Sotto gli occhi di tutti? Si fidi di me ride una voce insolente Sotto gli occhi di tutti equivale a dire dove nessuno va mai a
guardare.
La serratura cigola, gnèèèk, la porta fa un po’ di
resistenza, il buio borbotta per l’intrusione inaspettata. Un filamento di luce
macchia di grigio e di ferro il corridoio d’entrata, c’è odore di chiuso, lezzo
di solitudine a tappare finestre e vetri. Le tende schermano il mondo all’esterno,
ma quella cappa che sa di prigionia non lo disturba: ha ben altro cui pensare.
Abbiamo
dato una sistemata
gli ricorda Maria e le sue parole gli si affiancano, chiude la soglia con un
magistrale colpo di tacco, supera l’ingresso, abbandona le borse davanti alla
cucina, ecco la camera, si toglie la giacca del completo, il fantasma della
Hill si guarda intorno, socchiude un po’ le palpebre, storce appena il naso Non sapevo ti piacesse la carta da parati.
Infatti la odia, si dice, nell’allentare
la cravatta con due dita, o meglio, gli piaceva prima che si dimostrasse un
ottimo bersaglio in cui conficcare le frecce. Una, due, tre, cinque, sette,
dieci asticelle perfettamente allineate sopra la testiera del letto, così sappiamo dove lanciare i vestiti preda
dell’impeto della passione! e ora le pareti sono così vuote, appiccicaticce
di PVC viola, soffocano, stanno male, sono così fetide così sotto gli occhi di
tutti.
Sotto
gli occhi di tutti equivale a dire dove nessuno va mai a guardare ed è semplice
trovare la bolla d’aria in cui infilare le dita, ed è semplice tirare con la
voce che si sgretola in un verso soffocato, ed è semplice imputare il rigagnolo
sullo zigomo a mero sudore.
Non ci vuole molto prima che la
parete sia completamente libera, ma è sempre e comunque troppo presto. I resti
della carta da parati s’ammonticchiano, inutili, in un tremito balbuziente, si
rintanano, rincantucciano in se stesse come scolaro che sa di aver fatto
qualcosa, oh sì, qualcosa di male, non mi punisca, non mi punisca, la prego, Non mi punisca, sarò buono, la smetterò di
nascondere le cuspidi in frigo, ma la prego non mi punisca facendomi vedere
Sixteen and Pregnant! non è colpa mia, è stato lui, lui a voler nascondere ogni
cosa, lui a metterlo sotto gli occhi di tutti perché non fosse visto da
nessuno.
Ci sono striature rosse, spartiti di
dolore e note di pianto, incavarsi di pugni, straccetti di pelle imbevuti di
sangue rappreso come trofei penzolanti e penduli, attaccatisi ai rostri di
pittura per la troppo veemenza, per i troppi colpi, sempre gli stessi, sempre
ripetuti, sempre, sempre, sempre.
Disegna ogni piega, ogni ansa a punta
di dita, preme i polpastrelli sui segni delle nocche, li affonda nella parete
quasi a volerci passare attraverso, a renderli propri, a condividerne la
disperazione, a farsene carico, ma ha le falangi grosse, troppo grosse, Le mie sono dita da pianista, ne ha mai
viste di più belle?
Il palmo aderisce completamente al
muro, si graffia, aggiunge sangue nuovo a vecchi tormenti, vorrebbe solo
lavarli via, curarli e curarlo, Lei è la
mia cura.
Il fiato sgroppa e rotola in gola,
guaisce, ulula, latra, peccato che lui non abbia aperto bocca. Non serve. Ci
sono suoni che vanno oltre le parole, che esplodono più a fondo del petto. Ha
solo bisogno d’acqua, forse, potrebbe aver inalato polvere o resti di pittura
secca, può succedere. Può capitare. C’è della muffa, potrebbe aver respirato
anche quella.
Forse è muffa, sì, considera, e la
cucina lo accoglie con un surrogato di luce bianca d’ospedale, o forse è solo
lui ad essere diventato asettico, ad essere diventato bianco, bianco come quel
cordone cicatriziale che gli attraversa a saetta il costato. Deve mangiare
qualcosa, prima di crollare, il frigo dall’esterno pare ben pasciuto, dentro c’è
qualcosa, ne è sicuro, non è mai vuoto, non lo è mai stato, Così almeno può mangiare qualcosa di decente
quando torna dalle missioni. Tutte quelle ciambelline stanno facendo effetto,
vede? Proprio qui, al girovita.
Apre lo sportello, hanno staccato la
spina. Giusto. Non serve. Chi paga le bollette, altrimenti? Non si pagano da
sole, Potrei allestire uno spettacolino
per i vicini, che dice? quindi perché tenerlo acceso? Non ci sarà nulla
dentro, avranno pensato, stacchiamo solo la spina.
Invece, eccoli lì. Ammonticchiati,
accatastati alla rinfusa, adesso, perché troppi, troppi, ne sono stati infilati
dentro a forza, non c’è più posto, non ce n’è più. Tutti coperti di peluria
pallida, verdastra, enfi, malarici, dolci e arrosti e pasta e hamburger e
pizza, tutti lì, giorno dopo giorno, per colazione, pranzo, cena, giorno dopo
giorno, intoccati, chi doveva toccarli non è più tornato, è morto, dicono.
Caduto in battaglia, hanno scritto e spifferato ai quattro venti perché li
portassero oltre i sette mari. C’è chi non si arreso, chi ha continuato a
negare, le prove sono lì, sono sotto gli occhi di tutti.
Sotto
gli occhi di tutti equivale a dire dove nessuno va mai a guardare, forse è meglio
andarsene, non ha più niente da fare. La casa è vuota, ora che non c’è nessuno
ad attenderlo. Almeno lui, di questo, è stato avvertito, lo hanno avvisato,
sapeva cosa aspettarsi, Non potevamo
informarlo e c’è una crepa, nella voce di Maria Lo abbiamo degradato a Livello Sei dopo l’affare Loki. Livelli,
ogni cosa si basa sui livelli, è l’ordine, è la gerarchia del vivere Negazione Rabbia Patteggiamento Depressione
Accettazione la gerarchia dell’autodistruzione.
Apre la porta, la luce è aspra,
gratta gli occhi, conficca troppa realtà nella mente distorta e fiacca,
immobile come ogni cosa, in quell’appartamento in cui non è rimasto nemmeno il
ricordo. I defunti non hanno ricordi, hanno solo non-morti a ricordarsi di
loro, con biglietti e corone, grida e pugni, lacrime e insonnia.
…O un biglietto, anche, come quello
nella ciotola porta-chiavi sul mobiletto d’ingresso. Un rettangolo, una busta,
ecco cos’è, e pesa sul palmo, Phil scritto
a lettere viola sul retro.
Non sa cosa aspettarsi, nessuno lo ha
avvertito di una busta e persino l’Agente Hill tace. È smarrita, sono smarriti
entrambi, poi, quando dalla busta fuoriesce una chiave, una sola, e un
cartoncino, Bedford Stuyvesant,
sempre in viola, Non faccia tardi.
Ed è la speranza, quella, nascosta in
una piccola busta in un appartamento abbandonato, senza ricordi se non il
dolore, se non l’ossessione, se non la preghiera.
La speranza, così. Sotto gli occhi di
tutti.
«Sotto
gli occhi di tutti equivale a dire dove nessuno va mai a guardare.»
«A
meno che tu non sappia dove cercare, Clint.»
«…Touché,
signore.»