MAYBE TONIGHT WE CAN FORGET
ABOUT IT ALL
“Vuoi la
vestaglia?” Le
chiese innocentemente Jared, porgendogliela.
“No.” Kate
guardò l’orologio
alla parete. Erano le nove di sera. Prese il pacchettino dal tavolino e
cominciò a scartarlo, buttando
la carta
per terra, sapendo già cosa c’era dentro, visto
che Jake le faceva lo stesso
regalo ogni anno.
Liquore.
Utile per dimenticare i guai
e le spine della vita.
Aprì la bottiglia e ne
bevve
un lungo sorso pensando che se Jared fisicamente non se ne andava via,
almeno
se ne sarebbe andato dai suoi pensieri, nel momento in cui lei sarebbe
caduta
in un bel letargo alcolico.
“Kate, che
fai?” Jared
lentamente cercava di tirarsi in piedi. “Non bere prima di
cena.”
Kate non gli rispose nemmeno
e si avviò verso la cucina con Jared che le arrancava dietro.
“Si può sapere
perché ti
comporti così?”
Kate spense il forno. “A
casa mia mi comporto come cavolo voglio io.”
“Sei così
acida con tutti i
tuoi ospiti?”
“Non sei mio ospite, io
non
ti ho invitato e perciò, per la milionesima volta, ti chiedo
di andartene.”
Kate prese un bicchiere da
un pensile della cucina, ci mise dentro un’abbondante dose di
liquore e si
avviò verso la finestra, per guardare fuori.
Jared si appoggiò allo
stipite della porta e si mise a fissarla, mentre Kate sorseggiava il
suo
liquore: era davvero una strana donna, quella. Non riusciva ad
inquadrarla in
nessuna categoria di donne che conoscesse, era così diversa
da tutte. Con un
fisico che avrebbe fatto invidia ad una modella e alle consuete barbie
bionde
che frequentava ogni tanto, ma con un carattere terribile. Poche volte
l’aveva
vista sorridere, e non a lui. Mai ridere apertamente con una risata
liberatoria
e franca. Sempre scontrosa, irritabile ed asociale. Con un bel muro
innalzato
tra lei ed il resto del mondo, alto e impenetrabile. C’era
qualcuno che poteva
abbatterla, una muraglia cinese di quelle dimensioni?
“Perché ti
comporti così?”
Kate si girò a fissare
Jared
e si chiese per l’ennesima volta che cosa volesse da lei.
“Senti: se te lo dico te
ne
vai?”
“Ma
io…”
“OK. Fai quello che vuoi.
Non mi importa.” Kate sospirò, gli girò
nuovamente le spalle e si mise a
guardare oltre il vetro. “Io odio il Natale e in particolare
odio questa notte.
Venti anni fa giusti giusti. I miei genitori uscirono in auto per
andare a fare
gli auguri ad una nostra conoscente che abitava sì e no a
due isolati da casa
nostra. Io rimasi a casa da sola ad aspettarli per la cena, con la
tavola
apparecchiata, l’albero di natale acceso e i regali da
scartare. Non tornarono
mai più. La strada era scivolosa, aveva appena iniziato a
nevicare e l’auto
finì dentro un fosso. Si ruppero entrambi il collo, i vigili
del fuoco ci
misero quattro ore a tirarli fuori ma fu impossibile salvarli. Il tutto
in
mezzo ad alberi di natale illuminati, canzoni natalizie e stronzate
assortite.”
Kate, piena di rabbia e
dolore, guardava dalla finestra la neve che aveva iniziato a cadere,
senza
vederla, mentre Jared era senza parole.
Dopo un attimo continuò:
“Non puoi pretendere che per me ci sia da festeggiare, la
notte di Natale, di niente
e con nessuno, nemmeno con te, Jared. C’è solo da
ubriacarsi fino a svenire,
per dimenticare, per rimuovere quelle immagini… il viso di
mia madre
insanguinato e mio padre che le teneva la mano mentre
morivano.” Gli occhi di
Kate si riempirono di lacrime, ma il suo viso rimase di marmo.
“Spero sempre di
non svegliarmi mai più, ogni Natale.”
Il dolore di Kate sembrava
fossilizzato tanto era massiccio e Jared si chiese se esistesse un modo
per
smantellarlo. Probabilmente no. Kate continuò:
“Non sono una buona compagnia,
in una sera come questa. Accetto le tue scuse e se vuoi, proprio
perché sei
insistente, usciamo a cena una sera quando sei qui, più
avanti, quando starai
meglio, ma stasera no. Per nessun motivo.”
“Kate…”
Jared le si avvicinò
lentamente ed improvvisamente gli sembrava di avere il cuore pesante
anche lui.
“Mi dispiace tanto. Io…”
“Tu non
c’entri. Non potevi
saperlo.” Kate aveva ripreso la sua voce dura. Si
allontanò da lui, dalla
finestra, andò a versarsi dell’altro liquore, lo
bevve di un sorso e poi si
sdraiò sul divano, ad occhi chiusi. La testa aveva
cominciato a girarle. Buon
segno: non ci mancava molto a perdere conoscenza. Non c’erano
più lacrime da
versare, ma solo dolore allo stato puro, senza soluzione.
Jared non sapeva cosa fare: quando
qualche volta, raramente in realtà, si sentiva davvero solo
e abbandonato,
aveva sempre suo fratello o sua madre con cui parlare, una famiglia sui
generis, ma sulla quale poteva contare sempre, mentre Kate non aveva
nessuno.
Si era sentita sola per vent’anni e ora le era normale
sentirsi abbandonata.
Ormai era la sua situazione naturale.
L’uomo si
passò una mano tra
i capelli, si sentì imbarazzato. E poi lui che ci faceva
lì? Voleva vendicarsi?
Di cosa, poi? Che cazzo aveva creduto di fare? Entrare in casa e nella vita di una persona
che non conosceva
come se nulla fosse? Che pretese! E ora doveva andarsene lasciandola
lì, in
quello stato? Guardò nuovamente Kate abbandonata sul divano,
i capelli biondi,
ancora un po’ bagnati, sparsi sul cuscino, gli occhi serrati, le labbra socchiuse, il
pigiama di flanella
rosa senza forma, il respiro regolare.
Si sentì di dover fare
qualcosa.
Si avvicinò per sedersi
vicino a lei, per tentare di confortarla, ma, trascinando la gamba,
inciampò
sul tappeto e le finì addosso, facendola sobbalzare ed
aprire gli occhi. Si
ritrovò con il viso vicino al suo, con i loro corpi a
contatto.
“Comincio ad odiarli, i
tappeti di casa tua, perché sembra che si arrotolino
apposta.” Le disse,
timidamente, nel tentativo di fare una battuta.
Kate gli sorrise
leggermente, stranamente rilassata, probabile effetto
dell’alcool che già le
circolava per le vene. “Giuro che non li ho ammaestrati,
fanno tutto da soli.”
Rimasero a guardarsi un
attimo.
Ad un tratto Kate si rese
conto di non avere mai visto in vita sua un uomo più
avvenente di Jared: quegli
occhi straordinari, che sembravano cangianti, un momento blu come la
notte ed
un secondo dopo azzurri come il mare, un naso senza uguali, una bocca
piena e
perfettamente disegnata, un ovale del viso senza difetti. Senza
pensare, gli
toccò i capelli, spostandoglieli dalla fronte: erano sottili
e morbidi come
seta.
Poi gli passò la mano
sul
viso, accarezzandogli una gota, con una barba non rasata di un paio di
giorni.
Pensò un momento al suo corpo, che più volte
aveva visto durante le visite. I
pettorali perfetti, i muscoli disegnati, la pancia piatta, le braccia
lunghe e
forti, la pelle chiara.
Si accorse di desiderarlo.
Forse per effetto dell’alcool, forse perché era
naturale. Da quanto non andava
con un uomo? Non se lo ricordava nemmeno più. Negli ultimi
tempi era stato solo
lavoro, lavoro, lavoro. Non aveva avuto tempo per
nient’altro, men che meno per
il sesso.
Ma pensare che il corpo di
Jared era premuto contro il suo sul divano, le fece scorrere un brivido
lungo
la schiena. Sentiva, oppure le sembrava, attraverso il pigiama, ogni
fibra di
quel corpo contro il suo e, forse, un principio di desiderio anche da
parte di
Jared.
Poi fermò di colpo i
suoi
pensieri: che diavolo stava facendo? Chi era quell’uomo? Uno
sconosciuto, per
lei. Un emerito signor Nessuno. Un attore la cui vita doveva essere
piena di
donne a pagamento e di piste di coca. Che ci faceva lì? Cosa voleva da lei?
Pensò che si doveva spostare
immediatamente, ma la testa le girava. Tentò di alzarsi ma
Jared non si
spostava e lei non aveva forza.
Riprese a fissarlo.
Improvvisamente Jared alzò una mano e le spostò
anche lui i capelli dalla
fronte, guardandola intensamente; poi la bocca dell’uomo si
posò sulla sua,
dapprima dolcemente e poi insistentemente, alla ricerca di una
risposta.
Kate, già dimentica dei
dubbi di pochi secondi prima, si arrese subito, socchiuse le labbra e
accettò
la lingua di Jared che toccava la sua, poi le sue labbra morbide e
calde che si
muovevano sul suo viso e sul collo; le mani di Jared salirono sotto la
maglia
del pigiama a sfiorarle i seni e Kate sospirò contro il
collo dell’uomo, ad
occhi chiusi, persa nelle sensazioni provocate da quelle carezze.
Si accorse all’improvviso
di
essere folle di desiderio per quel corpo che aveva visto addormentato
su un
tavolo operatorio ed ora era vigoroso e forte contro il suo. Si
lasciò
trascinare dal divano sul pavimento, sopra il tappeto, senza opporre
resistenza, aggrappandosi alle spalle dell’uomo e Jared non
ci mise molto a
toglierle i pantaloni del pigiama e a mettersi tra le sue gambe aperte.
Kate
gli sfilò subito la camicia dalla testa per accarezzare la
sua pelle liscia, i
muscoli, le spalle e gli piantò le unghie nella schiena,
gemendo, quando lui la
prese, dopo essersi abbassato i pantaloni.
Lasciò fare,
completamente
succube. Nel lavoro e nella sua vita conduceva sempre lei la danza,
tutto
doveva essere fatto come diceva lei, ma in quel momento le sue difese
erano
nulle e Jared era più forte che mai.
I movimenti dell’uomo si
fecero sempre più veloci e
pressanti, le
sensazioni sempre più intense e coinvolgenti. Ad un tratto,
un colpo più forte
di Jared la investì: un lampo di luce le sembrò
attraversare il cervello e
tutto il corpo; gridò di piacere e venne, seguita da Jared,
dentro di lei.