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Autore: DarkAeris    07/01/2014    0 recensioni
La storia è la vincitrice del Contest Musica & Fantasy di Aranil, che si basava sul narrare una storia di natura, appunto, Fantasy che partisse da una canzone, e nel mio caso, più che legarmi ad un testo, ho preferito farmi ispirare da ciò che la musica mi avesse trasmesso.
Ho scelto Water Night di Eric Whitacre e ho scritto questo breve racconto che, spero, vi piacerà. Buona lettura.
Genere: Fantasy, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NdA: La canzone utilizzata come fonte di ispirazione è questa:
Vi consiglio di ascoltarla durante la lettura.
 
Water Night
 
L'acqua si muoveva impercettibilmente, in balia di un vento leggero: la notte era silenziosa e tutto sembrava tacere. Eppure quel leggero canto delle onde era paragonabile, alle sue orecchie, come un coro di voci tristi, che si lamentavano al cielo del loro tormento.
Il corpo di un uomo giaceva a terra davanti a lei, privo di vita, con i capelli sparsi sulla sporca sabbia. Erano ore che cercava di rianimarlo, con le sue doti da guaritrice: aveva pregato la sua divinità perché la magia potesse risanare le ferite infette di quel dolorante individuo, a lei sconosciuto, ma nulla era stato possibile.
Quanti anni era passati dalla prima volta che aveva indossato le vesti di chierica? Le sembravano infiniti, eppure erano di sicuro meno di una decina, data la sua giovane età.
Ogni morto, ogni perdita, ogni sconfitta avevano contribuito a rendere il suo aspetto molto più provato di quanto i suoi candidi vent'anni avrebbero normalmente previsto.
Profonde occhiaie solcavano il volto dolce di una ragazza che, in altre situazioni, avrebbe potuto essere definita bella, e una cicatrice profonda sulla guancia destra rovinava un sorriso, che comunque non era mai esistito.
Laenael chiuse gli occhi del defunto con il suo indice, con tutta la delicatezza possibile, e si alzò, lasciandosi alle spalle quel corpo, come quello di altri dieci vittime della guerra che imperversava da tempo immemore.
Non era la battaglia di qualcuno per il potere: era il semplice vivere, la semplice incapacità di alcune razze di coabitare con altre. Ormai nessuno ricordava o poteva immaginare un mondo senza lotte continue né nessuno prendeva le veci di eroe e salvava la situazione. Perché non c'era niente da salvare: non vi era un cattivo o un buono, vi erano solo la tracotanza e l'impazienza dell'esistere.
E poi c'erano quelle come lei, che aspettavano che le divinità mandassero loro i corpi dei guerrieri feriti, per salvarli dal loro destino, o per prepararli ad andar a questo incontro, con tutta la dignità permessa.
Perché lo faceva? Come era diventata una guaritrice? Che cosa aveva spinto le sue giovani membra a restare in quel luogo di devastazione, invece di fuggire per trovare la felicità, la ricchezza e l'amore?
L'acqua si mosse di nuovo, scossa all'improvviso da un vento più forte di quanto non fosse stato fino a quel momento e il coro di voci esplose nella sua testa, dolente e sfinita.
Laenael si accasciò sulla riva del mare, bagnandosi i piedi e i polpacci in quel gelido specchio, rivolgendo lo sguardo al cielo, trapuntato di stelle.
Quel luogo era stato per lei fonte di felicità. I suoi genitori avevano abitato quell'isola, la sua famiglia, i suoi amici: la sua vecchia se stessa. Fino a quando un semplice litigio – come era accaduto in altri luoghi, come accadeva nel presente – aveva portato ad una lotta interna e i potenti elfi, con il loro fuoco, avevano arso l'intero paese, per poi fuggire con le loro navi ed occupare altri luoghi lontani.
Laenael ricordava l'odore di fumo che aveva invaso ogni granello di sabbia, ricordava le urla e ricordava il sapore del sangue sulle labbra, quando, nel tentativo di raggiungere sua madre, si era trovata nella traiettoria di una spada che avrebbe altrimenti ucciso uno degli elfi.
Non era rimasto nulla di quel che era e solo lei viveva per ricordarlo. Forse qualche vecchio abitante era sopravvissuto, ma era partito subito, per fermare i nemici o per salvarsi: Laenael questo non lo rimembrava né, in realtà, le interessava saperlo.
C'era solo quel canto dell'acqua, lo stesso che l'aveva destata quella notte, dopo che l'incendio si era chetato, dopo che la città era morta, dopo che la sua vita precedente era stata spezzata.
Si era alzata, allora, con la guancia traboccante sangue, urlando il nome dei suoi genitori, ma solo l'eco della sua voce le aveva fatto compagnia.
Perché non se ne era andata? Avrebbe potuto: qualche scialuppa si muoveva ancora al ritmo delle onde e nulla la tratteneva ormai in quel posto. Ma non vi era mai riuscita.
Ora viveva sola da anni, e il suo unico obiettivo di vita era la guarigione. E di questo riempiva i suoi giorni e di questo colmava i suoi silenzi e di questo asciugava le sue lacrime.
L'isola era molto vicino alla terraferma e, al di là di quel breve tratto marittimo, varie grandi città si affollavano all'orizzonte. Proprio a causa di questa vicinanza, la marea portava con sé feriti, morti e superstiti di tempeste, che avevano divorato intere navi, ma non le anime di questi impervi della vita.
E lei si occupava di tali anime perdute, e poi tornava ad essere sola, per sua volontà, per sua vocazione, per sua maledizione.
E fu mentre il coro le faceva compagnia, che una voce sovrastò le onde e si insinuò dentro di lei: la voce piena e forte di un uomo che gridava aiuto.
La giovane distolse lo sguardo dalle stelle e si alzò in piedi, illuminando il suo bastone, per poter osservare l'acqua con maggiore attenzione.
Una figura galleggiava lontano dalla riva, ma non proferiva parola: eppure era certa di aver sentito chiamare.
Puntò il bastone sull'acqua e il livello del mare si abbassò in fretta, permettendole di raggiungere a piedi il malcapitato. Lo trascinò con tutte le sue forze fino alla riva e gli illuminò il corpo, per vedere se avesse ferite ad affliggerlo. Sembrava semplicemente svenuto e doveva aver ingerito parecchio liquido.
Laenael liberò subito i polmoni dell'uomo dall'acqua che gli impediva il respiro e questi si destò, sputando e ansimando: il dolore era percettibile in ogni spasmo del suo corpo.
La giovane si alzò in piedi, lasciando la possibilità all'uomo di respirare quanta più aria possibile e si soffermò ad osservarlo: doveva avere almeno dieci anni più di lei, e portava un'armatura talmente pesante, che Laenael si chiese come avesse fatto a non annegare molto prima.
Una cicatrice gli rigava l'occhio destro e la ragazza portò per impulso la mano alla propria, seguendone il tragitto, come a voler condividere il dolore del ricordo che doveva averla provocata all'uomo. Aspettò che si riprendesse e si accorse che lo sguardo del sopravvissuto era fisso su di lei, e che stava tentando disperatamente di ritrovare abbastanza fiato da rivolgerle la parola.
'Non sforzatevi, rischiereste solo di aggravare le vostre condizioni. Non avete nulla da temere: mi chiamo Laenael e sono l'unica abitante di quest'isola; mi prenderò io cura di voi.'
L'uomo boccheggiò ancora e l'eccesso di ossigeno lo portò a perdere i sensi, non prima di aver sussurrato un flebile: 'Lagor.'
Nei giorni che passarono da quel salvataggio, Lagor si riprese totalmente e si prodigò in tutti i modi per ringraziare Laenael di avergli prestato soccorso. Le raccontò del viaggio intrapreso in mare, con i suoi compagni, verso la terra dove era barone e di come un nave nemica avesse distrutto la loro imbarcazione, disperdendo tutto l'equipaggio e portando lui in quell'isola deserta.
C'era, nelle sue storie, un sapore di avventura, di bellezza, un qualcosa di diverso dal solito odio e timore che la ragazza aveva imparato a conoscere. Ma c'erano anche urgenza, dovere e assoluta dedizione a ritrovare i suoi compagni, certo – nella sua fede – che fossero tutti ancora vivi.
La chierica sentiva per la prima volta che qualcun altro si affidava al Bene e alla Divinità come ella stessa aveva sempre fatto. Lagor rimase con Laenael per quattro notti, aiutato da lei a riparare una delle scialuppe dell'isola, ed ella si accorse, in quel poco tempo, che lui la studiava e si interessava delle sue parole, come dei suoi silenzi.
Una notte, la voce del mare le stava cantando il suo dolore, quando avvertì la figura dell'uomo sedersi accanto a lei, pur senza dire nulla.
La fissò per qualche minuto, fino a quando lei non si voltò a guardarlo.
'Vieni con me.'
Laenael chiuse gli occhi e la tensione sulle tempie si scaricò sulla sua pelle, tramortendola tutta.
Poi si svegliò.
Le stelle erano ancora numerose, il cielo era terso, il mare gelido.
Non era andata con lui, né Lagor l'aveva mai davvero preteso. Non si erano detti addio e lui le aveva promesso che sarebbe tornato.
Quanto tempo era passato da allora?
La giovane si passò una mano tra i capelli, mentre l'altra accarezzava la sabbia bagnata.
L'acqua si muoveva impercettibilmente, in balia di un vento leggero: la notte era silenziosa e tutto sembrava tacere. Eppure quel leggero canto delle onde era paragonabile, alle sue orecchie, come un coro di voci tristi, che si lamentavano al cielo del loro tormento.


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