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Autore: Sbrecks    28/05/2008    1 recensioni
Ogni pomeriggio, appena tornata da scuola Marta si chiudeva nella sua stanza e dipingeva, dipingeva su tele e cavalletti scricchiolanti squarci di paesaggi decadenti e crepuscoli di campagna.Gli orizzonti da lei ritratti, immancabilmente, erano sempre gli stessi: infinite processioni di blu notte, grigio fumo, marrone scuro, nero seppia. Raramente, utilizzava anche i colori vivaci, che mescolava tra loro sino ad ottenere le colorazioni più improbabili. Tranne uno. Il rosso.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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COLORE ROSSO
 
Marta si chiudeva nella sua stanza, poiché sosteneva che soltanto lì poteva raggiungere il Perfetto Equilibrio. Attraverso le persiane semichiuse, non penetrava mai sufficiente luce perché i suoi occhi potessero restarne storditi; né pesava un’oscurità tale da impedirle di vedere. Ogni pomeriggio, appena tornata da scuola Marta si chiudeva lì dentro e dipingeva, dipingeva su tele e cavalletti scricchiolanti squarci di paesaggi decadenti e crepuscoli di campagna.  A volte, singhiozzava: ma la sua stanza era troppo lontana, al vertice della tromba di scale dall’eburneo corrimano, perché la mamma che filava in cucina potesse udire i sussulti della smorzata cantilena che nasceva e finiva per spegnersi attraverso le sue labbra vermiglie.
Una volta, Marta era stata felice, ed aveva smesso di dipingere quegli alberi ritorti dai tronchi cavi, che sembravano contrarre le loro bocche nodose nello spasmo di urla disumane. 
Felice per davvero; ed ancora, la foto in bianco e nero di Alessandro che la teneva per la vita, mentre la neve si scioglieva attorno a loro in mille piccoli fiocchi, era appesa al cavalletto spoglio abbandonato accanto alla finestra, che non aveva mai utilizzato per dipingere i suoi quadri angoscianti e cupi.
Agganciate a quel cavalletto, c’erano anche le sue scarpette da ballo color panna, che non aveva più avuto il coraggio di indossare. Alla palestra di danza, d’altra parte, non aveva mai fatto ritorno.
Si dedicava anima e corpo ad un altro passatempo.
Dipingere.
Gli orizzonti da lei ritratti, immancabilmente, erano sempre gli stessi: infinite processioni di blu notte, grigio fumo, marrone scuro, nero seppia.
Raramente, utilizzava anche i colori vivaci, che mescolava tra loro sino ad ottenere le colorazioni più improbabili. Tranne uno.
Il rosso.
Marta non ne sopportava la vista. Le stringeva lo stomaco in una morsa, e la faceva sentire sporca. Lo psicologo della scuola aveva scherzato su quella sua abitudine, analoga  a quella dei tori, indispettiti dai drappi rossi dei matador durante le corride.
Ma per Marta, quella non era una cosa divertente. Il rosso, davvero, non lo poteva soffrire.
Per nessun motivo l’avrebbe usato nei suoi quadri. Mai.
Ai piedi del cavalletto, Marta teneva anche  il casco blu cobalto di Alessandro, che indossava quando andava in motorino. Il casco che le aveva salvato la vita.
Era ammaccato, e ricoperto di adesivi. A volte, lo stringeva al petto quando si sentiva troppo sola. Ed iniziava a singhiozzare.
Marta non dormiva molto. Tuttalpiù, trascorreva intere nottate pettinando i suoi lunghi capelli mentre osservava l’oscurità dentro e fuori dalla finestra, o fissando estatica il soffitto.  Oppure, piangeva. Ma avendo sempre cura di non farsi udire.
La stanza di sua sorella Lucrezia, che aveva soltanto undici anni, era esattamente lì a fianco. E le pareti, troppo sottili per poter attutire l’impeto di ipotetici singhiozzi violenti.
Con sua sorella Lucrezia andava d’accordo, e si sforzava di mantenere la calma anche quando le chiedeva di dipingere per lei tramonti e papaveri con il tanto odiato rosso, che avrebbe appeso nella sua cameretta. Rifiutava sempre garbatamente.
Marta non voleva preoccupare chi le stava intorno. Per nessuna ragione.
Non amava chiudere gli occhi. Perché era sicura che, se l’avesse fatto, brutti sogni avrebbero iniziato a perseguitarla.
Ma una notte, Marta era davvero troppo stanca per non cercare riposo nella tranquillità della sua stanza, all’interno della quale era penetrata, con i suoi palpiti assordanti di vita, l’aria dolce di un’estate imminente.
E così, Marta si era assopita. Ed aveva iniziato a fare brutti sogni.
Aveva rivisto le sue scarpette da danza nella borsa rosa pesca, ed Alessandro ridere contro la sua bocca mentre la baciava. Aveva un buon profumo: e lei si issava contro la sua spalla forte per poterlo respirare, per sentire il suo calore.
Erano al parco. Mancavano pochi minuti alle cinque.
Sua madre ancora non era arrivata.
L’avrebbe accompagnata lui in palestra, per non fare tardi, con il suo motorino. Marta non aveva il casco. Ma non era un problema.
Rivide Alessandro che le allacciava il proprio, con delicatezza, e strofinava dolcemente il suo naso contro il suo. Tanto, gli sbirri non giravano mai da quella parti.
Avrebbero fatto in fretta.
“Ale, ti amo”.
“Anch’io, scema”.
Marta si era sistemata più comodamente contro la sua schiena, lenta. I suoi occhi ridevano.
Pam.
La macchina li aveva presi di colpo. Frontalmente.
Alessandro era stato sbalzato contro il cofano: Marta, miracolosamente, era caduta di lato, ammortizzando sui gomiti. 
Era stordita.
L’ultima cosa che aveva visto, prima di chiudere gli occhi, era il colore rosso. Il rosso sui capelli d’oro di Alessandro, sul parabrezza semi distrutto. Rosso Rosso Rosso. Il suo stomaco s’era accartocciato, vittima di violente convulsioni.
Aveva vomitato sull’asfalto acido e lacrime.
 
“Tragico incidente; Alessandro Marsini perde la vita. Avrebbe compiuto, ad una settimana di distanza, diciannove anni”
Questo era il titolo riportato dal quotidiano della provincia, il giorno seguente.
In prima pagina c’era una splendida foto di Alessandro, l’avevano informata i suoi compagni di classe. Un primo piano. Ma Marta, non aveva avuto la forza di guardarla.
Alessandro non c’era più..
Marta gridò, straziata: non seppe se per davvero o soltanto nel suo sogno, così vero ed angosciante.
La colpa era tutta sua.
Lei aveva indossato il casco di Alessandro.
Lei sarebbe dovuta morire.
Era colpa sua..lui le mancava così tanto..
 
SOLO COLPA SUA..
 
Quando  si svegliò, Marta era madida di sudore.
Stavolta pianse, senza curarsi di essere udita.
“Marta, ti metteresti con me?” “Marta, sei unica..” “Non posso scordare i momenti con te..” “Sei la più bella...” “Voglio che tu sia l’unica ragazza con cui farò l’amore..” “Non lasciamoci mai”..”Ti amo”.  
Marta, spalancando la finestra, gridò di nuovo.
Il peso dei suoi ricordi stava avendo il sopravvento.
Sarebbe presto divenuto soffocante.
Deglutì: era cosciente di dovere trovare un modo per liberarsi dal dolore una volta per tutte, ne sentiva la necessità.
Per riabbracciare Ale..
Marta si avvicinò al beautycase di finta madreperla, che teneva sull’ultima mensola della sua libreria, che conservava ancora il medesimo, niveo candore di quando l’aveva vista nel negozio di arredamento, insieme ad Alessandro.
La tirò fuori.
Non avrebbe mai creduto di poterlo fare. Ma sarebbe bastato così poco..
Sì avvicinò alla tela, per imprimere su di essa i primi fiotti.
Voleva studiare sino in fondo l’effetto che avrebbe ottenuto.
Proprio in quell’istante, sua sorella Lucrezia entrò nella stanza, spaventata dai singhiozzi che aveva udito poco prima.
Spalancò i grandi occhi grigi. Non ci poteva credere.
-Finalmente hai utilizzato il rosso, sorellona!- Trillò entusiasta, con la sua allegra vocetta di bambina -Non ci posso credere..è così brillante! Che cos’è, tempera?
Marta si asciugò le lacrime, sorridendo malinconicamente.
-No, tesoro. E’ acrilico..- Rispose, stancamente -Ed ora torna a letto, è tardi.
Lucrezia, docilmente, obbedì. Marta, dal canto suo, cercò di vincere la commozione. In fondo, amava la sua famiglia e l’idea di lasciarla la intristiva non poco. Ma ormai, non aveva altra scelta. Non aveva senso andare avanti senza Alessandro. Non l’avrebbe mai avuto.
La ragazza trattenne il respiro, aspettando di udire il richiudersi leggero della porta della stanza di Lucrezia.
Toc.
Dopodichè, lucida come sempre era stata, con la stessa tristezza negli occhi, tornò  tranquillamente a tagliarsi le vene.
 
Stavolta, in senso verticale.
 
“Ale, sto venendo da te..”
 
Ormai allo stremo delle forze, Marta spostò la tela sul pavimento. Su di essa avrebbe lasciato cadere il proprio corpo senza vita.
Buffo, no?
Il suo ultimo quadro..
..di colore rosso.

 

______ Trama banalotta, e poco inteerssante, lo so. Ma scaturita da un'ispirazione improvvisa, che sarebbe stato un peccato non cogliere. Ovviamente avvertitemi se esiste sul sito qualcosa d'analogo: lungi da me l'idea di plagiare qualcuno!=D ma gli spunti che la fantastia offre si sa, non sono mai poi così vari..quindi in tal caso, provvederò immediatamente a cancellare la storia! Che altro dire..ti voglio bene, Marta. E piantala una buona volta di sentirti inadeguata.
  
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