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Autore: wingsam    07/01/2014    2 recensioni
Questa storia parla della vita di colui che si avventura per le sterminate e gelide terre di Skyrim, alla ricerca del senso della sua esistenza e di quella di svariate altre creature che popolano quella regione...compresi i Draghi.
Verranno narrati diversi episodi (da uno, due o tre capitoli al massimo per ognuno di loro), avventure lunghe o brevi, anche sconnesse fra di loro (temporalmente e spazialmente) ma sempre ancorate saldamente all'essenza della trama principale e secondaria di questo universo splendido.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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skyrim 1
Grazie per aver scelto la mia storia!
Buona lettura ^^



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-->Musica<--
(solo per questo capitolo introduttivo :))





Genesi di un ricordo futuro






Un brusco scossone mi costringe a svegliarmi. Vengo travolto da un sussulto spossante.
Sbarro gli occhi, e inizio a tremare. Fa freddo, tanto freddo. L’aria mi piomba addosso con voracità. Il mio corpo è intorpidito e rigido, in balia di un forte formicolio. 
Quanto a lungo ho dormito?
Dove mi trovo?
Attendo che la vista mi si metta a fuoco: c’è qualcun altro, dinnanzi a me…dal modo in cui è agghindato, pare un soldato.
Aspetta, c’è qualcun altro. Un altro soldato? No…no. Forse…
Sono seduto…ma intorno a me sagome indefinite e sfocate si muovono e scorrono da una parte, allontanandosi in perfetta quiete. Sto ancora sognando?
C’è puzza di muffa, di stantio. Faccio fatica a respirare, ho la gola in preda all’arsura.
-Hei, tu! Ti sei svegliato, finalmente!-
Chi è, il soldato?, penso sussultando una seconda volta. Volgo il capo di qua e di là, in preda ad una paura che non ha ragione di esistere. Il cuore mi prende a battere all’impazzata, tambureggiando come uno strumento musicale bellico.
-Calma, calma! Rilassati, amico. Sei tra fratelli, ora. Nessuno ti farà del male!- esclama ancora quella voce, mentre una mano si posa sul mio ginocchio quasi insensibile al tocco. -Respira a fondo e calmati. Va tutto bene!
C’è qualcosa, in questa voce, che ha la capacità di distendermi a piccole gocce i nervi. Non è calorosa, tantomeno paterna, anzi sembra ruvida e un poco rude. Eppure mi calma. E’ come se l’avessi sempre conosciuta.
Finalmente riesco a prendere un bel respiro profondo, ed allora sono in grado di distinguere chiaramente cosa e chi mi circonda.
Sono seduto su di un carro, una sorta di rozza carovana. Deve essere dalle assi di cui è composta, che proviene quest’intollerabile puzzo di marcio.
E assieme a me ci sono altri tre passeggeri.
E’ stato l’uomo di fronte a me a parlarmi poco fa, che ora sta ritirando la mano dal mio ginocchio. E’ incatenata alla sorella per mezzo di un grosso gancio metallico, e una robusta catena collega quest’ultimo ad un altro gancio identico, che ha il compito di imprigionare le caviglie.
-Ti senti meglio, vero?- esclama il soldato, come se conoscesse già la risposta.
Io annuisco, e nel compiere questo gesto una tremenda fitta mi ghermisce il collo e la nuca. Mi lascio sfuggire un forte gemito.
-Non te la sei passata bene, eh?- dice il soldato incatenato, dopo un lungo sospiro. -Ti ho visto, sai, all’accampamento. Ero là quando ti hanno picchiato. Io sono stato fortunato, sono riuscito a nascondermi assieme ad altri tre compatrioti dentro una cassa dei rifiuti. Ma tu, e gli altri…non avete avuto modo di fuggire, era impossibile. Quei vermi schifosi vi sono arrivati alle spalle e bam!- Si volta e sputa fuori dalla carovana, tossisce. -E’ così che fanno, loro.-
Cercando di far fronte ad un mal di testa che annuncia d’essere bello tosto, analizzo il soldato seduto davanti a me. Sembra sia sulla trentina, ma non ci giurerei. Ha il volto che è come sfigurato da mille peripezie, tra contusioni, sangue rappreso, cicatrici invisibili e altre vistose. I suoi lineamenti però demarcano un’estrema forza d’animo, un fuoco che non si è mai spento, ma al contrario ha levigato e potenziato costantemente il suo spirito. Gli occhi azzurri, incandescenti, brillano immersi nella penombra delle orbite scavate dalla fame. Possiede una lunga chioma bionda, sporca e incrostata, che rimane attaccata alla sua testa come fosse scolpita nel marmo.
Veste un’armatura leggera, mezza devastata da chissà che cosa: una cotta di maglia bucherellata che lascia intravedere diverse ferite, ormai coagulate; casacca e pantaloni di pelliccia di un blu elettrico; stivali e guanti che paiono stopposi panni vecchi avviluppati sugli arti alla bell’e meglio.
-Sei tra noi?- mi domanda quello, chinando il capo per incrociare i miei occhi, persi sul pavimento di assi del carro.
A fatica levo il mento, mi gira tutto quanto attorno come se il mondo stesso fosse un tornado e io mi trovassi nel mezzo.
-Sei…un soldato?- bofonchio fra i denti.
-Perché, tu no?- mi schernisce lui, alzando le spalle. Poi, notando la qualità della mia espressione, si fa serio. -Certo che sono un soldato. Amico, che hai? Non dirmi che hai perso la memoria!-
Devo tossire, oppure ho l’impressione che soffocherò. Incomincio a massaggiarmi lentamente il collo, ma qualcosa mi impedisce di farlo. Cosa…? Ora capisco, anche io ho i polsi ammanettati.
-Credo di si- faccio io, con un filo di amara rassegnazione nella voce. Nel parlare il mio campo visivo si allarga, la nebbia impalpabile che mi circondava si dirada poco a poco. Così ritorno ad essere cosciente del fatto che ci sono altre due persone, sul carro, insieme a noi due. Restano però ancora distanti dal mio essere, non sono in grado di volerle analizzare. Non ne ho alcun interesse.
Ho perso davvero la memoria?, ripeto a me stesso, con una calma disumana. A quanto pare è proprio così: non rammento affatto una rissa, alcun attacco a sorpresa. Né ricordo d’aver mai incontrato prima questo tizio vestito da soldato. A pensarci bene…cosa è successo prima di adesso?
Sotto i piedi sento una sensazione di vertigine, vibrante, che sale su per i polpacci, le cosce, la vita, e va ad infilzarsi ad altezza dell’ombelico.  E’ terrore, questo? Terrore dell’ignoto?
…Io come mi chiamo? Chi sono? Da dove vengo?
Qualcuno mi ama? Sono solo?
Vengo sopraffatto da un conato di vomito, mi sporgo in avanti. Ma il mio stomaco è del tutto vuoto, e non faccio altro che tossire scompostamente. Sono certo che da un momento all’altro la testa mi esploderà.
-Per i nove, riprenditi, ragazzo!- Il soldato si sporge e mi aiuta a ricompormi, issandosi sbilencamente in piedi.
E’ allora che intuisco la presenza di un quinto individuo: si tratta del cocchiere, si trova oltre un’esile barriera di legno putrido ricco di feritoie fatte a mano. Si è voltato proprio ora, ha fermato il carro. A stento vedo il suo viso rivolgermi un’occhiata carica di odio.
-Che succede, li dietro?- ringhia. -Sedetevi immediatamente! Fate silenzio, prigionieri, se non volete una lama sulla gola. Sono stato chiaro?- Con un cigolio scompare alla vista, e il mezzo ritorna a muoversi tra un sobbalzo e l’altro.
Vengo spinto contro lo schienale della seggiola, provo a calmare il respiro e i pensieri. Risolverò tutto. Sto bene, non è niente. Il mondo rallenta un po’, le orecchie smettono di fischiare sebbene la mia mente sia un nodulo confuso di supposizioni e incertezze.
-Io mi chiamo Ralof- sento dire dal soldato. Sto strizzando gli occhi per cacciar via il mal di testa che preme sulle tempie, e sembra che funzioni. -E tu, come ti chiami?- continua lui. Dopo una breve pausa, aggiunge: -Se lo ricordi.-
Incredibilmente, gran parte delle sensazioni spiacevoli che provavo si dissolvono come neve nell’acqua bollente. Mi concentro sul mio respiro, e la gola si libera dal pizzicore, percepisco i polmoni sciogliersi di piacere nel ricevere aria pura e fresca. Anche il gelo che preme sulla pelle si attenua.
-Non me lo ricordo- rispondo a Ralof, e mi sorprendo di quanto la mia voce sia debole, strascicata. -Mi dispiace.-
-Aah, non devi dispiacerti. Sta’ tranquillo. Bè, in qualche modo dovrò riferirmi a te, non pensi? Come vuoi che ti chiami? C’è un nome in particolare che ti piace?
Holg.
Non so spiegarmi il motivo, ma in testa mi risuona all’istante questo nome, che viene a soffiare sull’incertezza. Mi trasmette serenità, un senso di calore mi divampa in petto.
-Holg. Chiamami Holg.-
Ralof emette un mugugno, che non decifro. -Holg sia!-
Resto a scrutare il volto di Ralof a lungo, mentre lui nel frattempo pare impegnato a studiare la sagoma sbozzata del cocchiere nel buio oltre il divisore ligneo. Dopo di che sono portato a chiedermi dove stiamo andando: dove si trova la carrozza, in quale ambiente si muove.
E scopro di essere circondato dal folto di una foresta. Una muraglia di grandi pini e abeti, massicci, anzi imponenti, su ambo i lati del sentiero sterrato che il carro sta percorrendo innalzano i rami rigidi alla feritoia accecante di cielo che si trova sopra alle nostre teste, una striscia azzurra stretta fra due ganasce scure. E’ una natura selvaggia e pungente dove freddo, neve e aghi creano una rete ardua da sfidare. Ogni cosa è immobile, cristallizzata nell’immagine di un inverno imperturbabile, eccezion fatta per rari uccelli, probabilmente grandi rapaci, che lasciano un riparo per raggiungerne un altro, lassù in alto, chissà quanto in alto.
Un pensiero mi fulmina veloce la mente.
-Hai detto che sono rimasto vittima di un pestaggio?-
Ralof volta piano il capo. E’ stanco, e affamato, e determinato. -Si, è cosi.-
-Puoi spiegarmi cos’è accaduto, di preciso?-
-E a che servirebbe, me lo spieghi?-
Una nuova voce si è intromessa, che non avevo ancora sentito. Si tratta di un terzo passeggero, quello seduto accanto a Ralof. Dedico un istante all’analisi del suo aspetto: è smilzo, quasi calvo, occhi sottili e persi nella sofferenza, o nell’astio. E’ lurido, divorato esternamente ed interiormente da qualcosa; qualcosa d’altro, oltre alla fame e alla prigionia. Veste un abito che palesa d’aver visto più di uno scontro armato, visti gli arabeschi rossastri vecchi di parecchi giorni.
Si umetta ad intervalli regolari le labbra spaccate, e mi sta fissando. E’ inquietante, con quegli occhi superficiali e vitrei, oscuri, e taglienti.
-Non serve a niente tornare indietro- sibila, e scuote il capo senza smettere di guardare nella mia direzione.
A quel punto interviene Ralof, che assesta un lieve spintone sul fianco di chi aveva parlato. -E lascialo in pace, Mahagan. Che t’ha fatto di male?-
-Ah, niente- ribatte Mahagan, -Mi hai frainteso, è per il suo bene che glielo dico.-
Non so perché ma preferisco astenermi dall’intromettermi nel diverbio fra loro due. Dal modo in cui si guardano, come si rivolgono l’uno all’altro, sono come due fratelli che hanno rinnegato la loro parentela, come due statue della stessa cattedrale che disprezzano il fatto di provenire dalla medesima roccia madre. Emanano proprio qualcosa, un’aura di irrequietezza se si sfiorano o si guardano.
-Se non l’avessi notato, si è appena ripreso da un trauma, idiota!-
-Oh, certo! Come se fosse soltanto lui quello da commiserare!- ribadisce Mahagan sfrontatamente. -Ma piantala un po’…-
Ralof mostra l’intenzione di volersi alzare e dare il via ad uno scontro, ma poi volge gli occhi al cocchiere, e cambia idea. Mahagan capisce e ride di lui spirando forte col naso, consapevole che in quella situazione non sono liberi di comportarsi come farebbero di solito.
-Non per mettermi tra voi due, siete liberi di odiarvi quanto volete- esordisco dopo un lungo silenzio spiacevole, -ma io voglio davvero sapere cos’è successo.- E guardando Mahagan: -Non mi importa se o quanto mi sia conveniente, voglio farlo.-
-Bè, Holg- esclama sottovoce Ralof, -eccoti accontentato. Ieri , a quest’ora circa, ci trovavamo ad un accampamento a poche centinaia di miglia da qui, a nord-ovest. E’…o meglio, era uno dei principali avamposti dei Manto della Tempesta. Eravamo in attesa di rinforzi dal fronte orientale, secondo i piani domani avremmo dovuto…
-Manto della Tempesta?- lo blocco. -Che cos’è?-
Ralof rimane, letteralmente, a bocca aperta. Scambia un’occhiata d’incredulità, e poi di scontrosità, con Mahagan; poi ritorna a spiegare, ma con più flemma.
-I Manto della Tempesta sono tutti quegli uomini e donne che si sono opposti all’occupazione illegittima di Skyrim da parte dell’Impero, Holg. Ma hai proprio scordato…tutto?-
Mi sento quasi indegno, quasi come un figlio che viene sgridato dal genitore per aver trasgredito una importante regola, ma non posso far altro che annuire.
-Quindi non sai nemmeno che adesso ci troviamo a Skyrim?- mi canzona Mahagan, che subito viene messo a tacere da una gomitata di Ralof dritta sulle costole.
-Questa- mormora Ralof gettandosi un’occhiata rapida intorno -è Skyrim. Siamo…ah, diamine, ragazzo, mi sento un imbecille a raccontare cose simili in questo modo. Davvero devo….insomma, niente? Proprio tutto da zero?-
-Purtroppo si- rispondo piano. Un moto di pianto mi minaccia di scatenarsi, ma lo reprimo all’istante. E’ vero, è terribile non ricordare nulla di sé, ma non serve a nulla nemmeno piangersi addosso. Ho in me una determinazione che, nonostante non sappia spiegarmelo, mi dona la forza di non abbattermi. Una determinazione implacabile.
-Allora, c’è Tamriel,- spiega Ralof tra un sospiro insofferente e l’altro -che è un grande continente. Al suo interno Tamriel è suddivisa in diverse regioni, e fra queste c’è Skyrim: quella più a nord, dove fa più freddo, e ci sono i guerrieri più valorosi e forti e antichi del mondo. Ci sei fin qua?
-Al centro di Tamriel, invece, c’è la regione di Cyrodil, la cosiddetta “regione imperiale”. Perché appunto la sua capitale è la Città Imperiale, sede governativa e direttiva dell’Impero, appunto. L’Impero sarebbe un altro modo in cui Cyrodil si annuncia al resto di Tamriel…ma qui, a Skyrim, per noi è…- Ralof si accerta di non essere udito dal cocchiere -…è solo feccia. Con le loro stupide regole insensate, si credono i padroni del mondo…ma noi gli abbiamo fatto capire che le sole leggi non servono a niente! Non se non sei pronto a dare la vita e mettere il tuo cuore sul fuoco della tua spada, per difendere ciò in cui credi!- Sul viso gli si è illuminato qualcosa che prima non era così ben chiaro. La luce di una filosofia che instrada la sua vita, probabilmente.
-Ho capito…quindi…- e indico con un cenno della testa chi governa i cavalli che trainano il carro -…lui è un imperiale?-
-Benvenuto fra noi, Holg.-
Una tremenda certezza mi si insinua nel cuore, irradiandolo di un freddo che non appartiene al mondo del vento e del fuoco. Se ieri mi trovavo in un accampamento di Manto della Tempesta…ed ora sono prigioniero su un carro imperiale… Ci sono soltanto due possibilità. A meno che Skyrim non appartenga ad un mondo dove la logica funziona in modo diverso (e lo vorrei con tutto me stesso, in questo momento), o sto per essere imprigionato per il resto della vita, o verrò giustiziato. E chissà come mai, fissando Ralof dritto negli occhi spavaldi, ho la sensazione che la seconda opzione è quella che più si avvicina alla realtà.
Non credo che nessuno di noi abbia interesse nell’indagare al riguardo, quindi cambio argomento.
-E tu, Mahagan? Sei un ribelle anche tu?-
Dopo aver lanciato un’occhiataccia a Ralof, quello mi risponde: -Lo ero. Un giorno uno di loro mi ha tradito, così mi sono…messo in proprio.-
Ralof si mette a ridere di gusto, con una nota acida nella voce, giocando a far tintinnare a ritmo la catena che dai polsi va alle caviglie contro lo spigolo del sedile di legno sul quale è seduto.
-E adesso cosa fai? Voglio dire…perché sei su questo carro con noi?- chiedo ancora a Mahagan.
-Già, digli un po’ perché sei con noi su questo carro!- interviene Ralof, statuario.
Il mattino sta lasciando il posto al giovane pomeriggio, perché alcuni timidi raggi di sole filtrano da quella fessura abbacinante di cielo in mezzo ai due lembi di foresta e vengono a bagnare i nostri corpi, desiderosi di tepore. Uno stormo di uccelli si alza in aria facendo capolino da un cespuglio di bacche, turbina intorno al carro come una nuvola d’api e poi, fendendo banchi di cristalli di ghiaccio fluttuante, scompare così come era apparso.
-Trasportavo animali, per lo più cavalli, da un luogo ad un altro- rivela con riluttanza Mahagan, -Era questo che facevo, ed è questo che ho fatto fino a ieri. Un giorno, una persona che ritenevo un fratello d’anima e di sangue mi ha tradito abbandonandomi. Così ho iniziato a…lavorare da solo. Ho smesso di parteggiare per una o l’altra fazione circa un anno fa.-
-Si, abbiamo capito che odi la tua vita!- esplose Ralof, -Vieni al dunque!-
-Dipende da cosa vuoi sentirti dire tu!- ribatté l’altro, assumendo un ghigno per nulla rassicurante.
-Va bene, va bene, basta!- grido, sperando di porre fine al litigio di cui penso d’aver intuito il motivo.
-Basta lo dico io!- prorompe l’imperiale alla guida del mezzo. Ferma di nuovo i cavalli, che nitriscono di fatica e dolore, e si affaccia alla grata di legno mentre l’inconfondibile suono del metallo che striscia nella guaina di una spada prevale su ogni altro. -Allora, volete morire anzitempo? Come ve lo devo dire, di chiudere quelle fogne? Ho degli ordini da eseguire, portare l’ultimo carico di prigionieri al villaggio; sappiate che è solo perché sono un bravo sottoposto e ci tengo alla mia paga, se siete ancora vivi. Volete questa infilata nella pancia?- Fa stridere la punta della spada sulle fessure della grata passandocela sopra. -Fate i bravi animaletti da compagnia, fate la nanna.- Si siede e frusta ripetutamente la coppia di esausti cavalli, che riprendono l’andatura non molto entusiasti.
Noi tre ci scambiamo occhiate complici e caute, calmando i bollenti spiriti. -Scusate- bisbiglio.
-Non devi scusarti, Holg- mi dice Ralof, accusando indirettamente Mahagan, che s’è accucciato nell’angolo della panca e pare non voglia più spiccicare parola.
-E’ un ladro di cavalli- esclama a bassa voce il Manto della Tempesta, -Un tempo io e lui ci impossessavamo di quelli delle legioni imperiali, sgattaiolavamo nei loro accampamenti la notte. Così restavano bloccati per qualche giorno, e noi ribelli potevamo pianificare meglio l’attacco ai loro danni. Ma col tempo Mahagan si è fatto comprare dal vizio…ha cominciato a rubare cavalli per denaro, a lavorare per gente malfamata e di passaggio…un giorno è stato incaricato di impossessarsi del destriero di un soldato Manto della Tempesta, ed io ero con lui. Avevo già preso parte da anni alla causa dei ribelli della mia terra natia…per me è stato un colpo basso vederlo sotto quei nuovi occhi. Ho tentato di convincerlo a cambiare strada…ma lui insisteva, non ha voluto darmi retta. Così l’ho piantato in asso.
-Il fato, o la sfortuna, o Talos solo sa, ha fatto in modo che ieri ci incontrassimo di nuovo dopo lune e lune. Proprio dove siamo stati attaccati senza preavviso e poi tutti imprigionati, all’accampamento. Magari voleva rubare proprio il mio, di cavallo. Chissà...-
In fondo al suo essere, Ralof deve essere dispiaciuto per il modo in cui la sua strada si è separata da quella del vecchio compagno. Da come lo guarda, si vede che ciò che prova è biasimo, e disdegno, ma anche nostalgia di un passato che non si può più riavere indietro.
Mi aspettavo che fosse un tipo più spavaldo, e invece non appena l’imperiale ha minacciato seriamente di ucciderci Mahagan s’è fatto silenzioso e buono. E’ lì a tentare di liberarsi, inutilmente, dal gancio metallico che costringe i suoi polsi insieme. E non dev’essere neanche la prima volta che ci prova: in quella zona la sua pelle è arrossata e piena di tagli, la maggior parte sanguinolenti.
Ma non siamo in quattro, su questo carro?
Mi giro e do un’occhiata al quarto passeggero, che finora non si è mai degnato di partecipare ad una conversazione o per lo meno dare qualche cenno di vita. E afferro subito il motivo: ha una benda sulle labbra, legata sotto alla nuca e stretta così tanto da entrargli quasi in bocca, semischiusa.
Come avesse captato il mio sguardo, per la prima volta si gira verso di me, e allora posso vederlo bene in faccia: ha un portamento fiero, e scaltro, questo è innegabile. Il volto è stravolto dalle fatiche che ha dovuto sopportare, lo si vede bene dagli aloni paonazzi e i segni che la fame ha lasciato sulla sua pelle tesa. Una mascella poderosa e proporzionata, fronte ampia, occhi penetranti. Quegli occhi, è da loro che proviene la fierezza: accesi quanto una stella, potresti dire che al buio illuminano l’oscurità. Grigi e profondi, austeri, scintillanti di una presenza di spirito impossibile da ignorare, ma che al momento opportuno sono in grado di attenuarsi quanto basta per farsi furtivi e impercepibili, a seconda del giovamento.
Al contrario degli altri due, lui veste abiti che si potrebbero definire lussuosi: un lungo soprabito di pelliccia blu che gli cade fino alle ginocchia, contornato sul collo da un cappuccio bianco, e dalle maniche strappate; da queste escono le sue braccia, nude, muscolose e gonfie per il freddo. Ai piedi presenta alti stivali di pelle nera dalla suola d’acciaio, borchiati finemente.
Per un attimo lo squadro dall’alto in basso, domandandomi come possa una persona di quel portamento essersi cacciata in un guaio come il mio. E’ evidente che non sia un normale soldato, o un ladro di cavalli, né un poveraccio qualsiasi che ha perso la memoria a causa di un violento pestaggio improvviso.
-Chi è lui?- domando più piano che posso a Ralof, indicando l’individuo imbavagliato.
Ciò che leggo subito sul volto del soldato di Skyrim è divertita sorpresa, per poi passare al rimprovero nei miei confronti. Per finire, onore. E’ onorato, è questo che Ralof prova nel guardare quell’uomo misterioso.
-Holg, ascoltami bene- mi dice con tono schietto, -sei in presenza di Ulfric Manto della Tempesta. L’uomo che ha innescato la rivoluzione a Skyrim contro l’Impero, che ha acceso gli animi di tutti noi. E’ da lui che deriva il nome che noi ribelli ci siamo dati. E’ la nostra guida, capisci?- Piega il capo per guardare Ulfric, per rendere omaggio all’uomo che più d’ogni altro stima in tutta Tamriel. E l’altro ricambia lo sguardo, e fra loro due pare nascere una silenziosa intesa; è come se loro soltanto stessero ammirando un paesaggio dorato, una visione di equilibrio, di guerra e pace, di onore e morte e preghiera. I loro spiriti si stanno abbracciando con fratellanza, ardendo dello stesso desiderio di libertà e condivisione di ideali.
Ulfric annuisce e sorride, sebbene il fazzoletto gli storpi qualsiasi espressione facciale. Ma dura un istante; torna subito a guardare alla porzione di sentiero che il carro si lascia dietro, lasciandosi cullare maldestramente dagli scossoni che i massi sotto le ruote provocano.
-Ulfric…- borbotto tra me e me, figurandomi le gesta eroiche che deve aver compiuto quest'uomo al mio fianco per raggiungere una tale vetta nelle menti e nei cuori della gente di  questa regione. Chissà se anch'io ho fatto qualcosa di eroico...se qualcuno mi voleva bene, mi prendeva da esempio. Non pretendo di essere come Ulfric, ma essere almeno in grado di poter volere essere un uomo simile a lui. Invece non so neppure che razza d’individuo ero “prima” di ora…prima di svegliarmi su questo trasandato carro funebre. Quale destino avevo, prima di ricevere una botta in testa e perdere ogni ricordo di quel che ero? Cosa facevo, avevo una famiglia? Oppure rubavo, ero un assassino, una bestia?
Devo scoprirlo. Ci mettessi una vita intera, lo scoprirò. E nel frattempo ascenderò all’uomo che voglio divenire, all’uomo che sento di voler essere: un guerriero. Ma d’anima: uno che non molla, un uomo che ha un’idea ben precisa, che non si ferma davanti agli ostacoli. Che si prefissa un obiettivo e lo raggiunge, sa che lo raggiungerà. Che è sempre pronto ad imparare e sa di non essere mai giunto a destinazione, ma è cosciente che la vita è un continuo traguardo, il viaggio stesso è un traguardo e una partenza.
Mentre mi perdo in questi profondi ragionamenti con il me che scopro di essere, Mahagan è sempre più agitato, più in preda ad uno sconforto difficile da reprimere.
Fino a che, con voce sconvolta, esclama: -Ci siamo!-
-Siamo dove, nel bel mezzo del nulla?- gli fa eco Ralof, che stava sonnecchiando abbandonato allo schienale della sua seggiola.
-Conosco questo sentiero, l’ho percorso decine di volte. Siamo quasi arrivati…- Questo suo nuovo atteggiamento dimostra quanto avesse falsato se stesso fino ad ora.
-Arrivati dove?- domando io, -Al villaggio?- La mia voce mi tradisce incrinandosi sulle ultime vocali, mentre rimembro le parole del cocchiere.
Mahagan sbatte a raffica le palpebre, come per contrastare un’inaccettabile visione interiore. Ed annuisce. -A Helgen, si. Ad Helgen, moriremo.-
-Stai un po’ zitto, fammi questo favore!- sbraita Ralof, incurante del fatto che l'imperiale può averlo sentito.
Stringo forte i pugni, convincendomi che in realtà non morirà nessuno e che presto troverò, troveremo una via e un modo per fuggire e riconquistare la libertà. La vedo già, la mia vita dopo…impugno una spada lucente, parlo con persone nuove che mi aiutano a fare luce sulle ombre del mio passato…
E poi le vedo, là, più avanti.
Le mura di Helgen, confuse nella foschia argentata. Una lunga palizzata alta sei braccia, il pesante cancello metallico serrato internamente, una minuta torre di vedetta sormontata da un tettuccio di paglia.
Ralof sospira profondamente davanti a quella visione, e anche allora non lascia trasparire alcun accenno di paura per l’inesorabile.
-Ecco, siamo arrivati!- si lamenta Mahagan, facendo inutilmente leva sulle manette per liberarsene. Alza gli occhi sottili al cielo, e lascia che vengano inondati dalla luce pomeridiana. E, con tutto il fiato che ha in gola, si pronuncia in un gemito soffocato, chiedendo pietà e salvezza direttamente ai Nove che vegliano dalle stelle sulla vita dell'umanità.










  
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