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Autore: Thiana    07/01/2014    2 recensioni
"Una fotografia.
Una fotografia che non vedevi da anni -da quando ne avevi diciannove- e un giorno, improvvisamente, ti è spuntata dalla tasca di un vecchio paio di jeans che non metti più. L'hai guardata e hai deciso."
Così inizia la storia di Aleksey, o forse è così che finisce. Perché quando trovi una fotografia che ti proietta nel tuo passato, non puoi fare a meno che mettere un piede davanti l'altro e camminare verso il passato: camminare verso tutto quello da cui sei scappato.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Well, maybe I've been here before
I've seen this room and I've walked this floor.

Una fotografia.
Una fotografia che non vedevi da anni -da quanto ne avevi diciannove- e un giorno, improvvisamente, ti è spuntata dalla tasca di un vecchio paio di jeans che non metti più. L'hai guardata e hai deciso.
Hai preso lo zaino rosso che ti ha accompagnato in giro per il mondo e, mettendoci poche cose dentro, sei partito.
Sei partito per tornare indietro, per andare incontro al tuo passato.
Un piccolo pezzo di carta: una fotografia. Ti eri ripromesso di non tornare sui tuoi passi, eppure stai lasciando quella che ora chiami casa per quella che, casa tua, l'è sempre stata.
Mentre butti una felpa nello zaino ti sei chiedi perché lo fai.
Perché vuoi chiudere quella storia, andare avanti, dimenticare. Ma dentro di te sai che non è vero. Torni nel tuo passato perché dimenticare vuol dire un po' morire. E tu vuoi essere vivo. Vivo per chi non lo è più, vivo per chi si è augurato il contrario. Vivo per vivere.
Così sei partito. Uno zaino in spalla, una sciarpa a coprirti la bocca e una fotografia nel portafoglio.
Ora che sei davvero a casa tua, però, te ne penti.
Vorresti tornare indietro. Indietro e avanti al tempo stesso. Indietro in Inghilterra, avanti nella tua vita e non nel tuo passato.
La strada l'hai fatta tutta, cercando di risparmiare i pochi soldi messi da parte insegnando.
Hai preso un volo per l'Austria, il più economico, poi in treno sei arrivato fino in Ucraina e da lì hai preso un volo per la Russia.
Avresti dovuto sorridere, sentendo i tuoi connazionali parlare la tua lingua, ma stranamente la durezza delle loro consonanti ti ha infastidito.
Con un gesto che non ripetevi da anni -sette, per la precisione- apri il portafoglio e tiri fuori una chiave.
Te la rigiri tra le dita. Hai le mani pallide, le unghie smangiucchiate e le dita fredde. Il freddo della Russia non perdona. Ma forse quello è il freddo del tuo cuore. Forse non è solo la temperatura. Forse anche il tremito delle ginocchia non è dovuto dal fretto. Ma tu non vuoi pensarci. Non vuoi perché la risposta la sai già. Non è mai stato il freddo a bloccarti, no. Era altro...
La chiave brilla alla luce del lampione e quel luccichio ti ricorda che qualcuno potrebbe vederti, riconoscerti. In particolare qualcuno che abita dall'altra parte della strada, a poche case di distanza.
Ma forse è proprio per quello che esiti. Si sono dimenticati di te, qui in Russia? Temi di sì, ma non è esattamente quello che avevi chiesto a tutti?
Con un sospiro ti sistemi lo zaino in spalla e inserisci la chiave nella toppa.
Sei sicuro che sia vuota perché nessuno avrebbe il coraggio di comprarla. Nessuno, tranne lui.
Devi fare forza per aprire la serratura, ma qualcosa ti impedisce di aprire la porta. Non un ostacolo fisico, o forse sì. Il tuo corpo, la tua mente. Il tuo cuore.
Non sarebbe meglio lasciar sepolto il passato?
Entri e ti chiudi velocemente la porta alle spalle, per non lasciar scappare i ricordi, gli odori, le urla e le parole sussurrate.
Chiudi gli occhi e poggi la testa contro il portone, perché tutto quello è troppo da sopportare. Li chiudi e cerchi -senza fatica- di ricordare com'era tutto quanto.
La carta da parati giallo senape con i fiori che persino tua nonna Galina avrebbe trovato terribile. Il piccolo bagnetto con la vasca che non era mai abbastanza grande per entrambi, ma a voi piaceva così. Il salone, con la televisione scassata e il tappeto rubato. La cucina con i pensili gialli, il frigo che dondolava e il tavolo verde. Le sedie tutte diverse: una rubata, una rimediata, una costruita e una trovata in una discarica. La camera da letto... Il piccolo letto per una persona sola, le sue coperte che pizzicavano sempre. La grande finestra che vi spaventata, e chiudevate sempre, tirando tende scure per coprire la vista. Per coprire quello che nessuno doveva sapere. Coprire qualcosa che ora vorresti non avesse saputo nessuno: neanche te, neanche lui.
Riapri gli occhi, perché immaginare com'era tutto è solo una tortura. Ma quando lo fai il freddo e il buio sembrano inghiottirti. Sembrano inghiottire il tuo respiro, la casa intera, la tua lucidità.
Allunghi la mano e spingi l'interruttore, e stavolta sei sorpreso, perché la luce si accende. Posi lo zaino a terra, avanzando lentamente per il corridoio angusto.
C'è odore di muffa e istintivamente ti viene da coprirti il naso e la bocca con la sciarpa, ma non lo fai. Anzi, inspiri bene perché, in fondo a quella puzza, ti sembra di sentirlo. Il suo odore, lui. Allora respiri a fondo, e trattieni il respiro per qualche secondo, per averlo dentro di te, accanto al tuo cuore. Per averlo di nuovo dentro di te, attorno a te, ovunque. Allora trattieni il respiro, perché non vuoi liberarti di quella manciata di molecole che potrebbero essere sue, ma lo sai che è inutile. Così espiri e, di nuovo, inspiri a fondo per dimenticare l'odore della muffa e respirare il suo. Respirare lui.
Ti sembra come quando respiravi direttamente il suo respiro, respiravi dal suo collo, respiravi tra i suoi capelli, respiravi lui e basta.
Avanzi cautamente e apri la porta del bagno. Anche qui la luce si accende, e scopri che tutto è esattamente come lo aveva lasciato. Nessuno ha neanche ripulito la casa, raccolto le sue cose.
Lo spazzolino è sulla mensola, il dentifricio aperto. Il rasoio è ancora sul bordo del lavandino, tutto arrugginito. Sembra aspettare, come hai fatto tu per tanto tempo, di passare di nuovo sulle sue guance. Ti imponi di non guardare la vasca, perché sai già cosa vedresti. Una pacchiana vasca azzurra tutta scheggiata con i piedi a zampa di leone e un graffito su un lato.
Passi oltre e ti limiti a guardare il salone. Il grande camino che vi faceva sentire caldi e al sicuro ora è buio e spento.
Getti un'occhiata al divano scassato, alla birra aperta ancora sul tavolino.
Prosegui per il corridoio ed entri in cucina. Anche qui sei obbligato ad accendere la luce, perché fuori è completamente buio. La luce traballa un po', e quando si stabilizza il tuo sguardo è fisso sui pensili. Ti avvicini e li sfiori. La vernice scheggiata ti graffia le mani, ma tu continui. Quelli erano i suoi mobili della cucina. Sfiori il barattolo del sale, quello del caffè, quello dello zucchero.
Senza che tu lo richieda, un ricordo si affaccia nella tua memoria.
Dimitri era in piedi davanti a te, con una tazza di caffè nero in mano. Il tuo era nero come i tuoi occhi, ma era così dolce da ricordarti il miele. Il suo, invece, era amaro.
«Ci sei già tu a riempirmi la vita di dolcezza.» Diceva così deciso che potevi sentire le parole che, una ad una, ti entravano dentro. Dritte nello stomaco. O era il cuore?
E avresti voluto che anche il tuo caffè fosse amaro, così da dirgli «Anche tu mi riempi la vita di dolcezza» ma non eri bravo con le parole. Non lo sei mai stato. Lui aveva sorriso e ti aveva dato un bacio: sfuggente, delicato, dolce. Aveva capito tutto, lui capiva sempre tutto.
«Sai, in Inghilterra non giudicano male quelli come noi.»
Come noi, aveva detto. Gay, avrebbe detto per spiegare. Froci, scherzi della natura, avrebbe detto tuo padre. Noi, avresti detto tu. Perché non era essere gay, froci, uomini o innamorati. Era essere voi due: carne, ossa, anima, dolcezza. Voi due, e fanculo tutti gli altri. Ma non eri bravo con le parole, non lo sei mai stato. Così non gli hai detto nulla.
Avevi annuito, e lui aveva continuato. «Potremmo andarci, sai. Quando ci sono stato...» Non aveva finito, e quella volta avevi capito tu. Quando c'era stato aveva conosciuto qualcuno come voi. E nonostante ti rodesse, continuavi a stare zitto.
Così aveva deciso di giocarsi l'ultima carta. Aveva aperto il pensile in cui teneva i biscotti -quando li aveva- e ti aveva mostrato qualcosa.
«Ya lyublyu tebya.» Avevi letto tu, sorridendo.
«Ti amo anche io, Aleksey Tasarov.» Ti aveva fatto l'occhiolino e aveva posato il suo caffè alle sue spalle, per baciarti. E tu l'avevi lasciato fare. Perché come sempre, Dimitri aveva trovato le parole per entrambi.
Ora passi le dita su quell'incisione nel legno, vedendola sfocata a causa delle lacrime. Ti senti tanto come quello sportello, ora. Vecchio, fragile, marcio, sfregiato, senza un futuro.
Stringi i denti, perché non vuoi piangere proprio ora. Non lo fai da sette anni. Ma le lacrime non sono una cosa che si controlla tanto facilmente. Sono come l'acqua racchiusa da una diga. Se c'è anche una sola crepa, quell'acqua trova il modo di uscire, di scappare. Dimitri però non è la tua diga, no. Lui è la tua crepa, lo è sempre stato.
Prima è stato la crepa nella tua perfetta vita patinata. L'orgoglio della famiglia che conciliava lavoro, studio, sport e una ragazza che tutti adoravano. Ma era arrivato lui e a poco a poco aveva creato una crepa che aveva lasciato che l'acqua spazzasse gran parte di quel sistema organizzato. Poi la crepa nella tua sanità mentale. Ti aveva fatto diventare quasi pazzo, ma nessuno era stato con te per vederlo. O, meglio, tu non eri stato con nessuno. Avevi fatto le valigie ed eri sparito. Ed ora, una crepa nella diga che sono i tuoi occhi.
Ricordando le lezioni di pugilato inizi a prendere a pugni quell'innocente pensile fino a sentire il legno dilatarsi e poi spaccarsi. Urli che lo ami, ma poco a poco le parole si modificano e capisci che quello che stai urlando è «Ya nenayizuh tebya». Ti odio.
E il quel momento forse lo odi davvero. Lo odi per averti lasciato solo ad affrontare tutto. Solo ad affrontare la morte. Lo odi così tanto che ti sembra di non averlo mai amato, anche se sai che non è così. E' stato l'amore della tua vita, e questo non potrà cambiare mai.
Smetti di tempestare di pugni il legno quando è distrutto. E, forse beffa del destino, la stecca con l'incisione è ancora intatta. La afferri mentre guardi schifato le schegge che si sono conficcate nelle mani ed esci dalla cucina.
C'è una stanza che hai lasciato per ultima, perché sai che quello che proverai sarà peggio delle lacrime, peggio del dolore.
L'annientamento.
Lo sai ancora prima di accendere la luce della sua stanza. Lì l'odore è ancora più forte, così respiri polvere e lui.
E quell'attimo lo cristallizzi. Polvere, lui, la tua anima che vorrebbe scappare. Ma non è possibile, no? Quella se n'è andata sette anni fa.
Ti avvicini al suo letto e ti ci sdrai. Guardi la polvere che svolazza e che riscende, su di te, sulle coperte, sul suo ricordo.
Apri un cassetto, cercando qualcosa. Non sai cosa, ma qualcosa deve esserci. Qualcosa che possa farti ricordare quanto vi siete amati, qualcosa che possa distruggerti ancora più di così.
Ma anche ora, dopo sette anni, Dimitri ti sorprende. Nel cassetto del comodino c'è una lettera. E il tuo nome.
«Aleksey Tasarov» c'è scritto. E tu non vorresti riconoscerla quella scrittura perché questo significa che hai perso sette anni della tua vita. Hai perso qualcosa.
La prendi con le mani che non vogliono smettere di tremare e la apri. La colla della busta è secca, così ti devi limitare ad aprirla e ad afferrare il foglio singolo all'interno. Lo spieghi e per qualche istante fissi solo le parole senza leggerle, poi inizi.
«Aleksey mio, se leggi questa lettera significa che mi è impossibile vederti. La nascondo ogni volta che ci sei, perché è un po' che ho in mente di dirti queste cose.
Sta succedendo qualcosa, lo sento. Ma tutto quello che devi sapere è altro.
Devi sapere che ti amo più di quanto è possibile, che ti amo con la testa e con il cuore, oltre che con il corpo. Ti amo come si amano le cose belle e perfette. Ti amo come sia amano le cose strane e rotte. Ti amo in tutti i modi in cui posso amarti, Alksey, perché tu sei la mia anima. E so che mi ami anche tu, nonostante tu abbia paura. Me lo dicono i tuoi abbracci nel sonno, o i sospiri che fai quando pensi che a dormire sia io. Ti dirò un segreto: non dormo quasi mai quando sono con te, perché voglio godermi ogni cosa.
Fammi un favore, chiama il numero sul biglietto da visita che allegherò, e importante. Ho detto a lui di aspettare che fossi tu a chiamare, dovevi essere pronto. Odi le sorprese, perciò lascerò che sia questa lettera a dire tutto, e non quell'uomo. Ti ho lasciato tutto, Aleksey: il mio cuore, la mia casa. So che non è molto, è quasi niente, ma è tutto ciò che ho. E spero l'accetterai così come hai accettato il mio amore, anche quando ti spaventava.
Non cercarmi tra la gente, cercami nel tuo cuore. E' lì che sono. Nel tuo cuore e nei tuoi occhi. Sulle tue labbra, tra le tue mani.
Ti amo, Aleksey. Ti amo davvero, e sempre ti amerò.
Sono sempre stato solo tuo,
Dimitri.»
Ora non ci sono lacrime a cadere sulla pagina o ad offuscarti la vista. Vorresti che ti offuscassero l'anima, la vita, ma non lo fanno.
Così ti rannicchi sul suo letto, con la lettera contro il petto e gli occhi sbarrati.
E così lo sapeva. Lui ha sempre saputo tutto, non è vero?
Tu sapevi che tuo padre ti odiava, che credeva che Dimitri avesse deviato il suo bambino perfetto, ma non sospettavi che arrivasse a tanto.
Poi hai capito la verità. Era stato tuo padre.
Nessuna rapina finita male, persino i ladri vedevano quanto poco c'era, in quella casa e nelle sue tasche. Poi l'hai capito.
Hai fatto la borsa e sei andato in camera di tuo padre. La sua pistola, quella che non usava da quando era diventato padre non era in ordine, e mancava un proiettile. Ti aveva insegnato tutto sulle armi, lui che in passato ne aveva fatto uso. Mancava un proiettile, e tu sapevi bene dove era finito.
Dritto in testa a Dimitri, perché lo amavi, perché ti amava. In quel momento hai deciso che era colpa tua. Se non fosse stato per te, Dimitri si sarebbe innamorato di qualcun altro, e sarebbe stato ancora vivo.
La lampadina si fulmina, ma tu rimani così, aspettando qualcosa. Forse la morte, forse la vita.
Quando tuo padre era entrato nella sua camera e aveva visto lo zaino e la pistola aveva fatto un passo indietro, ma la porta gli si era chiusa alle spalle.
Buffo come un passo indietro possa cambiare tutto.
Lo avevi guardato senza dire nulla e lui aveva ricambiato lo sguardo, ammettendo mutamente la sua colpa.
«Magari così torni normale» aveva detto e tu avevi stretto la pistola così forte da aver sentito il ferro contro la carne, contro le ossa, contro la voglia di uccidere l'uomo che ti aveva dato la vita e te l'aveva anche tolta. Poi hai posato la pistola sul cuscino, ti sei alzato e, dandogli le spalle sei andato via.
Via da casa, da quella città, dalla tua vita. Hai girato per il mondo, convinto di poter ritrovare Dimitri negli occhi di qualcuno, ma l'unico posto in cui potevi trovarlo erano i tuoi.
Aspetti che il sole sorga e illumini una sottile lama di luce sul pavimento. E' tutto quello che la tenda lascia passare, perché era sempre tirata. Tirata per non far vedere a nessuno come vi amavate.
Anime, corpi, lenzuola arrotolate e gemiti. Era tutto quello che avevate, e tutto quello che chiedevate.
Puoi ancora sentire le sue labbra sul tuo collo, le sue mani sulla tua schiena e il suo respiro sulle tue palpebre. Amava baciartele. Diceva che ti baciava gli occhi così che potessi vedere quanto ti amava, così che potessi vedere quello che lui vedeva. E tu ogni volta lo zittivi con un bacio, mai delicato quanto i suoi, per fargli capire quanto intenso fosse il tuo amore.
Ti alzi e cerchi ti spazzolarti via le schegge dalle mani, ma riesci solo a farti più male. Raccogli la lettera, il pezzo di legno, e leggi il numero dell'avvocato sul cartoncino avorio: probabilmente la cosa più preziosa in tutta quella casa.
Hai un vago ricordo di un cugino di Dimitri a cui forse piacevano gli uomini, e ti chiedi se sia lui, visto il cognome.
Dacenko.
Lo stesso di Dimitri.
Raccogli anche lo zaino ed esci. Ti guardi intorno, osservando la tua Russia. Non ci tornavi da sette anni, è cambiato qualcosa.
Per te tutto è uguale e tutto è diverso.
Sai che non dovresti, ma guardi verso la casa gialla a più piani, e vedi una tendina di pizzo ricadere al suo posto.
Ti giri velocemente, pronto a correre, se necessario, ma la voce che ti chiama te lo impedisce. Ti giri e una donna è in mezzo alla strada, i capelli e il collo esposti al vento, segno che è uscita di fretta.
«Mama» mormori così piano che un soffio di vento ti porta via la parola ed il respiro.
«Aleksey» dice lei, guardandoti come se avesse visto un fantasma. E forse lo ha fatto. Sei scappato da casa a diciannove anni senza dirle nulla, senza spiegare, senza neanche chiamare e dire “sono vivo”.
«Mama», ripeti. Ma scuoti la testa. Lei è ferma lì, e tu la guardi. Hai sempre amato la tua mamma ma sai che non puoi. Sparire era la scelta migliore anche per lei. Così abbassi la testa e ti giri, cammini via da tua madre, via dalla casa che ti è stata lasciata, via dalla vita che avevi, via dalla vita che avresti voluto.
Vai via e, per la prima volta, cammini verso il cimitero per poter urlare a Dimitri che si sbagliava. Anche in Inghilterra quelli come loro, come voi, venivano giudicati, anche se di meno, ma la differenza non era quella. La differenza è che in Inghilterra tuo padre non avrebbe ammazzato l'uomo che amavi, e tu non saresti stato costretto a guardare il suo viso bianco con un buco sulla fronte. Non saresti stato portato via a forza dall'obitorio perché urlavi e piangevi troppo. Non avresti scoperto cosa significa perdere tutto quello che hai.
Così cammini, verso il cimitero e via dalla tua vecchia strada.
Cammini perché la lettera di Dimitri nel taschino ti spinge le gambe, e forse anche il sangue che sembra essere tornato a battere nel tuo petto.
Cammini perché non hai amato più nessuno, dopo lui. Non hai baciato nessuno. Non hai invitato nessuno a casa tua. Non hai vissuto più, dopo lui.
Cammini perché quello è il duemilacinquecentosettantesimo giorno d.D.
2570 giorni dopo Dimitri.
Cammini perché forse, da domani, puoi ricominciare a contare i giorni come lui avrebbe voluto.













E' la prima volta che scrivo una slash romantica. E non so neanche come me la sono cavata: spero bene.
Comunque: tu, ignaro lettore che sei finito qui, spero di non averti fatto passare la voglia di leggere ;)

 
   
 
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