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Autore: Assasymphonie    07/01/2014    1 recensioni
Giocare a scacchi è imparare a dominare la paura della morte. In una partita bisogna prevedere tutto, anche la propria fine.
La solitudine dello scacchista all'avvicinarsi del "matto" è simile a quella del condannato.
(Francis Szpinger)
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Irvin, Smith
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo del capitolo: Arrocco
Personaggi: Erwin Smith
Rating: Giallo
Note dell'autore: One-shot / Introspettiva
Disclaimer: Personaggi, luoghi e abitudini sono di proprietà del mangaka; lo scritto e le situazioni sono di mia proprietà.

.Arrocco.

Giocare a scacchi è imparare a dominare la paura della morte. In una partita bisogna prevedere tutto, anche la propria fine.
La solitudine dello scacchista all'avvicinarsi del "matto" è simile a quella del condannato.

(Francis Szpinger)

Solitario, silenzioso. Immoto come una tomba, gelido come la pietra, forte come l'edera. Il ruolo della Torre negli scacchi è delineato dalla sua stessa nascita, una vita votata a proteggere i baluardi deboli di un Re troppo fragile per potersi sollevare da solo contro il mondo. La mano sinistra combattè per un attimo contro l'esitazione di un momento, tenuta a mezz'aria nella polvere della notte buia, senza luna, e solo la pallida luce di una candela ardente a pochi centimetri dall'arto del fantasma aiuta gli occhi cerulei a riflettersi su una scacchiera silenziosa, decorata finemente.

Le partite contro sé stessi sono le più dure da affrontare, quando tutto il tuo mondo sembra sgretolarsi e i pezzi del tuo esercito svanire, uno dopo l'altro, contro degli ombrosi pezzi di colore scuro: un avversario invisibile trova posto nella rozza sedia posta dalla parte opposta, ma le sopracciglia aggrottate del comandante bianco indicano ben più di qualcosa passato in solitario, perché ciò che va combattendo altro non è che sé stesso. Un sé stesso sempre un passo avanti a quella Torre che Erwin si è sempre vantato di rappresentare, solida roccia e artiglieria pesante. Alcuna smorfia corrode l'espressione  delle labbra inclinate naturalmente verso il basso e zigomi scavati, coperti da una rada peluria di un biondo sporco, sbagliato, dissonante. Dissacrante. Le dita grandi e un tempo forti carezzano ogni pezzo, sondandone le asperità come solo un cieco farebbe, nel tentativo di muoverli su una scacchiera scompaginata. Ci sono Pedoni a morire al di fuori del quadrato di gioco.
C'è una Torre dilaniata, una Regina in pericolo e il Re troppo esposto. Nessuno a fargli da guardia, nessuno capace di proteggerlo dai pezzi neri verso cui i globi chiari di Erwin Smith sussurrano, si chiudono per qualche, pericoloso, istante. Le dita della Torre, capaci di imbracciare le armi e urlare dall'alto dei merli ordini perentori per Pedoni e Alfieri, si chiudono sulla rotondità di quest'ultimo, saggiandone la consistenza, muovendolo di una casella obliquamente. Il suono legnoso dell'Alfiere nero rintocca per la stanza mentre esso rotola sul pavimento in pietra sbilenca e il pedone bianco troneggia dalla parte opposta della schiacchiera. Lo sente dalle asperità del bordo decorato a battitura che toccano la punta dei polpastrelli ed il lusso di schiudere gli occhi non è mai troppo tardivo. Possibile che l'ombra di un vago e nebbioso sorriso sfiori le labbra diafane di Erwin prima che le dita percorrano il bordo esterno per andare a toccare nuovamente quella Torre ormai cadavere e sostituirla ad un pedone ancora piccolo, ma grande oramai. Una Torre cade, una risorge.

Ma gli occhi ormai sono proiettati oltre la semplice promozione di un soldato perché il campo di gioco è troppo ampio, l'avversario troppo abile, i pezzi bianchi spaventati e senza guida. L'arto fantasma trema nella sua testa, un sogghigno legge nell'aria seduta sulla sedia di fronte a lui. Nulla è come sperato, tutto è sbagliato, quella nuova Torre è in pericolo e lui rimane fermo, distante dal proprio Re. Distante... quante caselle? Una, due. Ora nel silenzio crepitante e odoroso di sego il suono del Re, quel Re, Eren Jaegar, rimbomba come un tuono nel momento in cui viene spostato di due esitanti caselle, mosso dalla sua posizione verso una Torre immobile, ancora troppo distante. Azzardata mossa, l'avversario invisibile già sa. Erwin può vedere i pezzi neri circondare la neonata gemella ed accerchiarla, soffocarla con luride mani viscide, compiere la propria mossa.

Concedersi quello che sembra un sorriso vero e proprio, una smorfia di risoluzione mentre capisce di aver finalmente capito come battere sé stesso, quel sé stesso che non è stato in grado di proteggere nessuno ma ha assistito, dai merli sicuri, alla morte del proprio stesso esercito e al pericolo corso dalla propria Regina e dal proprio Re. L'indice, il medio e il pollice dell'unico arto occludono la vista di quei merli aguzzi per muoversi allo scoccare dell'alba dalla finestra, per oltrepassare la testa coronata e posarsi al suo fianco, alla sua destra. Ala di Donna, ala di protezione, una possibilità per evitare di vedere in faccia il "matto".
« Arrocco. »
Le luci disperdono le ombre, cancellano il nero. Nessuna edera o fondamenta a trattenere la Torre ormai, fedele al fianco del Re, sotto lo sguardo vigile della Regina. Nessuna paura per Erwin Smith. Nessun ostacolo. Nessun matto, non ancora. Non ancora.

.The End.
   
 
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