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Autore: inochan    28/05/2008    2 recensioni
Introduzione modificata. E' vietato usare il tag b, se non in casi particolari.
Rinoa81, assistente amministratrice.

Il rumore della doccia irruppe in quel silenzio tanto naturale quanto straziante, quel silenzio, quel dannato silenzio, lei se lo ricordava bene.
Ogni volta che lui entrava in quell’appartamento posizionato tra un piccolo supermercato aperto ventiquattro ore su ventiquattro e una stradina isolata di campagna, esso entrava con lui.
[Questa fic ha partecipato al concorso Naruto-AU indetto da Kurenai88 e Talpina Pensierosa]
Genere: Triste, Song-fic, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kankuro, Tenten
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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That Danmit Smell…

That Danmit Smell

 

Il rumore della doccia irruppe in quel silenzio tanto naturale quanto straziante, quel silenzio, quel dannato silenzio, lei se lo ricordava bene.

Ogni volta che lui entrava in quell’appartamento posizionato tra un piccolo supermercato aperto ventiquattro ore su ventiquattro e una stradina isolata di campagna, esso entrava con lui.

Assieme a quella folta cascata di capelli corvini che gli ricadevano sulle spalle poteva avvertire, quasi inconsciamente, il posarsi di lì a pochi minuti delle sue forti e nivee braccia sulle sue esili spalle per poi bramarla con quelle avide labbra.

Era stata fatta prigioniera dal primo giorno in cui era entrata in quell’appartamento, schiava dei suoi occhi argentei, schiava di quei lunghi capelli neri come la notte e, a malincuore, schiava di quel silenzio.

 

Non aveva desiderato altro per tutta la sua adolescenza, lui era il divo che tutte le sue amiche avrebbero voluto avere come compagno.

Non era poi così importante se ci fosse l’amore.

Quel fastidioso sentimento che ti fa piangere e gioire per i motivi più assurdi, quel sentimento che ti vincola a una sola persona per quanto essa sia fredda o crudele, quel fastidio, lei credeva di non essere la sola a provarlo.

Credeva in ciò che i suoi stanchi occhi innamorati le facevano vedere, si fidava ciecamente di una speranza che ogni giorno sentiva sgretolarsi di fronte a quel freddo muro fatto d’incomprensioni e vani desideri.

Non credeva di arrivare a tanto, per tutta la vita aveva sempre desiderato diventare una promotrice in una qualche famosa casa discografica e ora che finalmente era arrivata in cima, lui riapparse.

 

Sconvolse per l’ennesima volta al sua vita nel momento giusto, il momento in cui aveva abbassato la guardia colta dall’entusiasmo.

Grazie alle sue conoscenze ai vertici della casa discografica per cui lavorava con la sua band, riuscì a farla assumere come loro manager, o almeno quella era la copertura.

Niente di ciò che accadeva sotto quelle coperte color blu acquamarina potevano considerarsi come “lavoro da manager”.

Eppure lei sperava che quel dolore che sentiva ogni volta che lui si alzava senza degnarla di uno sguardo, ogni volta che avvertiva di essere solo una palla al piede per la vita del ragazzo, ogni volta lei sperava che sparisse.

 

Ancora adesso, sotto le fredde gocce della doccia che cadevano senza tregua sui suoi lunghi capelli castani, lei sperava con tutta se stessa di vedere apparire la sua sagoma confusa e distorta dal vetro umido della doccia.

S’incantò per qualche secondo con i suoi profondi occhi marroni su un punto ben definito, la porta, nella speranza di vederlo un ultima volta.

Non era un’ingenua, quel messaggio lasciato in segreteria era più eloquente di mille parole, era dopotutto la conferma di ciò che lei aveva sempre temuto.

Si era stancato di lei.

 

Le sue parole fredde e pungenti che la intimavano dall’apparecchio di lasciare la scrivania libera per l’arrivo di un nuovo manager, era un chiaro e schietto segnale di andarsene da quell’appartamento.

Aveva trovato qualcun’altra che avrebbe riempito le sue lenzuola e sfogato i suoi desideri sessuali, magari qualcuno che aveva lo stesso carattere cinico e spietato.

Forse aveva trovato un altro silenzioso e gelido vento.

 

Un sussulto, un brivido fece irrigidire la bianca schiena della ragazza al solo pensiero, troppe lacrime sarebbero volute scendere dalle sue rosee guance, ma non voleva.

Aveva il suo orgoglio femminile da difendere, lui l’aveva già ridotta in pezzi giorno dopo giorno, lui che gli aveva rubato il cuore e poi l’aveva accartocciato e gettato in un angolo, lui che, nonostante tutto, non riusciva ad odiare.

Poi, udì un tonfo provenire dalla cucina e un rumore di passi riecheggiò per l’appartamento vuoto quasi a volerla destare da quell’incubo ammaliatore.

D’altronde, così era sempre stato.

 

Dopo quel messaggio non se la sentiva di venire da sola a portare via la sua roba da quell’appartamento dove aveva trascorso due anni della sua vita e così le giunse in aiuto un vento caldo proveniente dal Sud.

Un suo vecchio compagno d’università, un tipo stravagante e a tratti intrattabile ma con un cuore leale e sincero.

Era un ragazzo testardo che adorava il nero ed ogni sua sfumatura, un tipo sicuro di sé che non riusciva a mandar giù il frenetico e costante piagnisteo dei figli dei suoi vicini di casa eppure per i suoi due fratelli era sempre disposto a fare carte false pur di non farli soffrire.

A tratti maschilista ed inquietante per il suo cupo vestire che induceva la gente a credere che fosse un poco di buono, eppure così premuroso e disponibile ad aiutare il prossimo.

Era così abbagliata da quel silenzio che a tratti riusciva ad avvertire quel calore e quella confortevole presenza che aveva sempre avuto al suo fianco.

O almeno così credeva.

 

Dal salone lui fissava la bianca porta del bagno con sguardo triste, quasi assorto a tratti da quel candore così perfetto e…crudele.

Crudele come lo era stato lui con la seconda cosa che riteneva più importante dopo la sua famiglia, lei.

Un piccolo angelo incappato nelle grinfie di un diavolo spietato, ma prima ancora in quelle di cinico e crudele marionettista come lui che l’aveva manipolata fin adesso.

Non era l’altruismo il suo obbiettivo primario, no, aspettava solo in agguato in momento in cui i profondi occhi marroni della ragazza sarebbero incappati nella ragnatela di bugie ed egoismo che lui stesso aveva tessuto con cura maniacale da quel giorno.

Il giorno in cui lui fece volare via il suo angelo che cadde al suolo avvolta da una ventata d’aria gelida, senza vita.

 

Ora era tutto pronto, tutto perfetto, lei sarebbe di nuovo tornata da lui e non ci sarebbe più stato quel cantante da quattro soldi a mettergli di nuovo i bastoni tra le ruote.

Avrebbero ricominciato una nuova vita insieme, finalmente i sorrisi di lei sarebbero stati rivolti solo a lui e lui soltanto.

Era l’inizio di un nuovo idillio, eppure non riusciva ancora a spiegarsi quel lancinante dolore al petto che provava nel vederla lì, con gli occhi spenti e la testa probabilmente rivolta verso il basso incurante dello scorrere imperterrito dell’acqua.

 

Ma era da schiocchi mentire a se stessi, lui sapeva bene il motivo per cui provava un simile dolore.

Era uno schiocco, uno schiocco consapevole, però, che il suo piano durato due anni sarebbe andato a monte nel momento in cui avrebbe accettato quella verità.

La verità che l’amava troppo per gioire della sua disperazione.

D’altronde era anche troppo orgoglioso e impacciato per provare anche solo a strapparle un sorriso, non riusciva a trovare le parole adatte e aveva paura di usare quelle sbagliate come in passato aveva spesso fatto con la sua famiglia.

 

Però, quasi incosciamente, girò la testa in direzione del divano dove vi era appoggiata sopra una borsa color nera con una lunga cinghia che ricadeva pigramente sul bracciolo del divano.

Lui si avvicinò ad essa ed aprì dolcemente la zip, estraendo una vecchia chitarra color mogano chiaro e dai pomelli dorati.

Sorrise ripensando a quanto fosse in realtà pateticamente nostalgico, di come ancora non si voleva separare dalla vecchia chitarra che gli aveva donato il padre quando era ancora un marmocchio e di come, ancora oggi, usava le note delle sue canzoni per esprimere ciò che a parole non era mai stato in grado di fare.

 

Per tutto l’appartamento una dolce e frenetica musica si propagò senza sosta facendo alzare la testa alla ragazza, da troppe ore oramai sotto la doccia, facendole distogliere lo sguardo dalle piastrelle color beige della doccia.

I suoi occhi, completamente aperti per la sorpresa, si chiusero nuovamente lasciando spazio a ciò che sul viso sembrava fosse un accenno a un piccolo sorriso.

Chiude gli occhi la ragazza in modo da poter assaporare quell’arpeggio, ecco ora sente le note penetrargli fin dentro le ossa…mi,re,si e ancora fino a sentire la voce roca e profonda di lui.

 

 

“Si fa presto a cantare che il tempo sistema le cose

Si fa un pò meno presto a convincersi che sia così”

 

 

Il cuore della ragazza sussultò per l’ennesima volta quella mattina, respirò profondamente per cercare di dare un freno al palpitare impazzito che sentiva all’interno del suo petto.

Non avrebbe mai creduto che una semplice canzone avrebbe messo a nudo la sua verità più nascosta simile perlopiù ad un ancora di salvezza.

Già…

Il tempo era l’unico salvagente a cui poteva aggrapparsi vista la situazione, confidava nella speranza che tutti quei anni passati a rincorrere quel divo impossibile fossero solo un brutto incubo.

 

 

“Io non se è proprio amore

Faccio ancora confusione

So che sei la più brava a non andarsene via”

 

 

Un sorriso amaro si dipinse sul volto di lei mentre continuava a fissare quel muro davanti a sé, poi s’inginocchiò al suolo della doccia e appoggiò la fronte sulla parete.

I singhiozzi cominciarono a riecheggiare in quell’abitacolo freddo mentre le gocce, seppur calde, sembravano perforarle la pelle nuda e liscia.

Quanto avrebbe voluto che quelle parole fossero state veritiere anche per lui, eppure era conscia che quel maledetto diavolo dagli occhi argentei l’aveva già dimenticata e cancellata dalla sua vita come un vecchio appuntamento scritto a matita su un’ agenda chiamata “vita”.

Quanto, ancora adesso, desiderava ardentemente correre nel suo camerino e pregarlo in ginocchio di riprenderla con lui.

 

 

“Forse ti ricordi ero roba tua

 

Non va più via l’odore del sesso che hai addosso

Si attacca qui all’amore che posso

Che io posso”

 

 

Ma non poteva, sapeva che se l’avrebbe incontrato avrebbe avvertito sulla sua pelle un odore diverso dal suo, l’odore di un’altra donna, di un’altra amante, di un’altra manager.

Spesso si era domandata in quei momenti di angoscia e solitudine, in quell’appartamento deserto, come faceva lui a cancellare quell’odore d’intimità e complicità delle donne che precedentemente si era portato a letto.

Al contrario, quell’odore di sesso e arroganza si era impresso sulla pelle della giovane ragazza come un marchio di fuoco che le aveva lasciato solo una orribile cicatrice e uno straziante dolore.

 

E il ragazzo con la chitarra lo sapeva bene.

Poteva avvertire chiaramente i singhiozzi di lei anche aldilà delle fredde mura che dividevano il bagno dal piccolo salone.

La sua voce roca smise di cantare, incapace di trattenere l’ira, ma solo le sue esili dita, quasi inconsciamente, continuavano a suonare quella melodia fatta di vane speranze e malinconia.

Quanto avrebbe voluto lanciare, in un impeto d’ira, la chitarra sul divano e correre da lei per cingerla in un abbraccio assaporando, dopo tanto tempo, le sue labbra.

Già, perché anche lui aveva il marchio di lei sulla sua pelle.

 

 

“E ci siamo mischiati la pelle, le anime, le ossa

Ed appena finito ognuno ha ripreso le sue”

 

 

A udire quelle strofe il cuore della ragazza si fermò per qualche secondo e il suo volto era ora rivolto verso immagine distorta e confusa della porta del bagno, intravista dalla vetrata umida ed opaca della doccia.

Le lacrime di prima si fermarono per far posto ad altre nuove ma dal sapore di antichi ricordi, ricordi lontani, ricordi che lei ha gettato via per inseguire “l’altro”.

Il dolore per il rigetto l’aveva talmente tanto accecata che non si era resa conto di quanto fosse stato doloroso per lui accettare di aiutarla a traslocare.

Lui che l’aveva amata ai tempi dell’università come non aveva mai fatto con nessuna.

Lui, che aveva lasciato con la banale scusa che era troppo infantile ed irresponsabile per una futura donna in carriera come lei.

 

“Stronzate.”

 

 

“Tu che dentro sei perfetta

Mentre io mi vado stretto

Tu che sei la più brava a rimanere mania”

 

 

Ma d’altronde, anche lui lo sapeva fin da principio che quella storia sarebbe finita ancor prima di cominciare.

Sapeva che, agli occhi di lei, sarebbe sempre arrivato secondo, se non addirittura ultimo, contro quel divo dallo sguardo gelido e maturo nonostante fosse più giovane di lui.

Sapeva che lui era solo un rimpiazzo momentaneo, un trampolino di lancio per lei.

Lo sapeva , eppure non poteva farci niente

 

La prima volta che s’incontrarono fu nei corridoi di quell’università oramai lontana anni luce.

Lui camminava senza una meta, distratto dalla musica del suo ipod, e un piccolo tornado dai capelli castani, raccolti in due piccole cipolle ai lati della testa, lo travolse.

A tratti gli pareva di sentire ancora il rumore delle corde della chitarra che portava sulla schiena infrangersi contro il suolo, ancora ignaro di cosa fosse successo.

Ma quando alzò gli occhi pronto ad infrangere la sua ira sul il povero malcapitato, incontrò due timidi ed imbarazzati occhi castani che lo fissavano con fare preoccupato.

 

Fu un vero e proprio colpo di fulmine.

 

 

“Forse ti ricordi sono roba tua

 

Non va più via l’odore del sesso che hai addosso

Si attacca qui all’amore che posso

Che io posso”

 

 

 

Ma la musica, che fino a quel momento aveva cullato tutta la casa, si arrestò improvvisamente quando il ragazzo avvertì qualcosa di freddo e bagnato sul suo viso.

Alzò lo sguardo per trovarla lì, sulle sue ginocchia che lo fissava con quel suo sguardo triste e i capelli, ancora bagnati, che gli ricadevano sulle spalle.

Nonostante avesse addosso i vestiti, quell’immagine così bella e sensuale mandò in tilt per un momento gli ormoni del giovane, incapace di reagire di fronte a tale bellezza.

 

 

-“TenTen…”-

 

 

Si limitò a sussurrare lui, mentre lei, fino ad allora rimasta in silenzio, gli baciò la fronte per poi scendere delicatamente fino ad arrivare a un soffio dalle sue labbra.

Era stanca di inseguire un sogno impossibile, stanca di cercare di essere quella che non era quando poteva esserlo semplicemente stando con lui.

Lui che non l’aveva mai abbandonata, anche quando era stato abbandonato da lei.

Lui che, nonostante tutto, non aveva mai smesso di amare.

 

 

-“Kankuro…”-

 

 

Disse, impaziente di assaporare, dopo tanto tempo, le sue labbra.

Ma lui, quando la vide avvicinarsi, volse la testa dalla parte opposta per non incrociare lo sguardo sorpreso e triste di lei.

Entrambi non pronunciarono parola e la stanza venne coperta di nuovo da quel silenzio, quel dannato silenzio che non aveva fatto altro che farli soffrire entrambi.

Quel silenzio, che nessuno dei due sembrava aver completamente cancellato dalla sua vita.

E non solo.

 

Il ragazzo avvertì di nuovo qualcosa bagnargli il viso, qualcosa di caldo questa volta.

Alzò lo sguardo e quando incrociò gli occhi di lei, ebbe un tuffo al cuore nel vederli bagnati ancora una volta dalle lacrime.

Sennonché, questa volta, il colpevole era lui.

La ragazza abbozzò un triste e straziante sorriso quando incrociò gli occhi neri di lui e disse semplicemente:

 

 

-“A quanto pare sia tu che Neji siete bravi ad ammaliarmi per poi gettarmi in un angolo…”-

 

 

Poi prese la sua borsa rosa e corse fuori da quell’appartamento, incurante della porta che sbattè dietro di se.

Il chitarrista, dopo averla vista andarsene, gettò lo strumento in un angolo del divano e si mise le mani tra il viso, nel tentativo di reprimere la sua rabbia.

Non era vero, non l’aveva ammaliata per poi gettarla come aveva fatto ”l’altro”, non era nemmeno sua intenzione ammaliarla.

Ma allora, perché l’aveva respinta?

Non era la ferita ancora fresca o la paura di essere per l’ennesima volta un rimpiazzo, questi erano piccoli particolari che avrebbe potuto tranquillamente trascurare.

 

Eppure, uno non poteva ignorarlo.

Sulla pelle di lei avvertiva ancora l’odore di quell’uomo, quell’odore maledetto che si era impossessato del corpo di lei ed aveva annullato quell’odore di fresca pesca della pelle di lei che ricordava con tanta nostalgia.

Quel dannato odore, non riusciva a sopportarlo.

Delle lacrime quasi invisibili rigarono il volto coperto di lui mentre il silenzio continuava ad opprimerlo come una prigione.

 

Neji aveva vinto di nuovo.

 

 

No va più via nemmeno se

Non va più via”

 

(“L’odore del sesso” - Ligabue)

 

 

 

 

Angolino dell’autrice:

 

Addirittura quarta, quasi non me l’aspettavo essendo il primo concorso a cui partecipo, sono abbastanza soddisfatta XD!

Ringrazio i giudici imparziali Talpina e Kurenai e tutti quelli che recensiranno/leggeranno la fic!

 

 

  
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