UNITY
DIVIDES, DIVISION WILL UNITE
Shannon salutò con la
mano
Stella, ferma al terminal dell’aeroporto di Los Angeles,
mentre la hostess le
controllava il biglietto: la donna prendeva l’aereo per
tornare a casa.
Era da più di un anno
che la
loro storia era in piedi, da quella illogica e magica notte in
quell’albergo di
Milano, e, in tutto quel tempo, quella era soltanto la terza volta che
si
vedevano.
Stella restituì il cenno
con
un sorriso e gli mandò un bacio di addio con la mano, prima
che la porta del
gate si chiudesse inesorabilmente dietro di lei.
Shannon sospirò,
avviandosi
verso l’uscita, e chiedendosi ancora per quanto avrebbe
potuto fare fronte a
una situazione senza senso come quella: la sua donna, a detta della
famigerata
strega boliviana addirittura la sua anima gemella, non una donna
qualsiasi,
tornava a casa dal marito e dal figlio ed era rimasta con lui soltanto
pochi
giorni, dopo avere trovato una scusa per andarsene da casa.
Shannon aveva sempre detto,
e anche Stella lo sapeva bene, che non voleva una famiglia in stile
classico,
che non voleva legami formali, che voleva essere libero, ma la
lontananza da
Stella cominciava a farlo stare male ed
ogni volta era una tortura lasciarla andare via. E poi, si chiese, che
cazzo
voleva dire essere LIBERO? Alla fine, fatti i debiti conti, questa
libertà
significava solo privazione: altre donne non ne voleva, anche se ci
aveva
provato visto che non aveva problemi a trovarne, aveva la coda di donne
alla
porta, MA quella che voleva NON ce l’aveva.
E poi, cominciava a non
gradire l’idea che Stella dormisse ancora con suo marito e
che, addirittura,
lui facesse l’amore con lei. Stella giurava che pensava al
suo Shan e che
quello del marito con lei era solo uno sfogo fisico, non un rapporto
d’amore,
ma a Shannon questa cosa non andava giù. Avevano deciso
insieme di fare così,
di vedersi ogni tanto: ma ora a Shannon non bastava più, era
possessivo e
voleva averla solo per sé.
Tuttavia, faceva buon viso a
cattiva sorte: a Stella non diceva niente, per non farla stare male, e
si
accontentava degli spiccioli della sua vita e del suo tempo, sperando
che un
giorno si sarebbe decisa a lasciare suo marito per sempre.
Guardò
l’orologio: erano
solo le nove del mattino. Cominciò a pensare, sbuffando
infastidito, alla
giornata che aveva davanti: studio di registrazione, arrangiamenti
vari,
organizzazione della tournee, un’intervista per un
giornale… Una giornata
piena. Ma quando sarebbe tornato a casa non avrebbe trovato Stella ad
attenderlo, non avrebbe avuto i suoi baci appassionati, le sue carezze
intense,
il suo corpo smanioso, la sua intera anima, ma una casa triste e vuota.
E poi
svegliarsi al mattino, come poche ore prima, e trovarsela
lì, con i capelli
lunghi sciolti sul cuscino, il suo corpo sinuoso coperto a malapena dal
lenzuolo, con quegli occhi languidi, dolce e voluttuosa e…
ALT!
Che cacchio stava pensando?
Si stava scrivendo da solo
un romanzo Harmony? Che male che era ridotto! Proprio male, se ormai si
esprimeva come se stesse scrivendo un fottuto romanzetto rosa!
Cos’altro
mancava, nei suoi pensieri? Candele e rose rosse? Era meglio non
pensarci…
Però…
Però di Stella era
proprio
cotto e quella sensazione unica che scaldava l’anima e che
provava quando
faceva l’amore con Stella e le cicatrici sui loro polsi
e…
ALT!
Che doveva fare? Scrivere
alla rubrica dei cuori solitari del Los Angeles Times? “Cara
rubrica ‘I
consigli della zia Cunegonda’, la mia donna torna da suo
marito. Che devo fare?
Farla rapire dagli alieni?”. E se…
Bip-bip-bip-bip.
Il blackberry segnalò
l’arrivo di un SMS. Shannon, giunto ormai
all’uscita dell’aeroporto, nella zona
dei taxi, si fermò per leggerlo, berretto calato in testa e
occhiali scuri per
non essere riconosciuto.
Non erano gli alieni… ma
la
costumista della tournee che chiedeva che vestiti preparargli per i
concerti.
Shannon rise tra sé e sé, guardandosi intorno. Si
vede che era appena stata
assunta e non lo conosceva affatto: fosse per lui avrebbe suonato la
batteria
nudo, ad eccezione delle scarpe! I vestiti gli erano solo
d’impaccio e quando
c’era il blood ball, che si doveva mettere quel cazzo di
completo Dolce &
Gabbana nero, con giacca, camicia e cravatta, se lo toglieva pezzo per
pezzo,
una canzone dopo l’altra, e spesso si augurava di perderlo da
qualche parte o
di buttarlo in pasto alle echelon.
Decise che, come ultima cosa
da fare quel giorno, l’avrebbe chiamata per chiarire, una
volta per tutte,
gentilmente ma con decisione, che lui si vestiva come diavolo voleva,
possibilmente maglietta consunta e bermuda, e che i suoi vestiti di
scena la
costumista poteva pure fare a meno di portarli in tournee. Era un
musicista,
lui, mica un bambolotto da vestire a piacere, un Big Jim da quattro
soldi!
Mentre rimetteva il
telefonino nella tasca della giacca, si accorse che, nella fila dei
taxi, una
signora che gli pareva di conoscere, era scesa dall’auto e
aspettava, dandogli
le spalle, che il taxista prendesse la sua valigia dal bagagliaio.
La signora si girò per
entrare in aeroporto e Shannon se la trovò proprio davanti:
era Kate Jones.
Kate gli gettò
un’occhiata
distratta, non lo riconobbe e, afferrato il trolley,
cominciò a spostarsi verso
l’entrata dell’aeroporto. Shannon le si
avvicinò di un passo.
“Kate? Sei tu?”
La donna sobbalzò, si
girò
completamente e Shannon, con sorpresa, notò che la donna era
incinta e anche
abbastanza avanti. Sui cinque, sei mesi. Una deliziosa pancia rotonda
avvolta
in una salopette di jeans la faceva sembrare ancora più
carina.
“Oh. Shannon?”
“Sì, sono io.
Come stai?”
Shannon le strinse la mano
che la donna gli porse e le diede un lieve bacio sulla guancia,
ricambiato.
“B-bene. E tu?”
“Sì, bene,
bene.” Avrebbe
voluto domandarle del bambino ma si trattenne: non erano poi
così in confidenza
da chiederle tali cose intime. Si limitò ad un:
“Che fai di bello a Los
Angeles?”
“Sono stata ad un
congresso
medico. Ora torno a New York.”
“Da tuo
marito?” A Shannon
venne spontaneo chiederlo: quella era la giornata delle donne che
tornavano dal
marito, si disse, chissà quante ne avrebbe viste, a star
lì all’aeroporto tutto
il giorno: un paio di migliaia?
Kate non rispose alla
domanda, ma arrossì violentemente e disse:
“Ehm… scusa, ora devo scappare che
sono in ritardo, perdo l’aereo.” E si
avviò nuovamente verso l’entrata,
lasciando lì Shannon impalato che le diceva “Ok.
Buon viaggio. Ciao.”
L’uomo rimase a guardarla
mentre Kate entrava di corsa in aeroporto.
C’era qualcosa che non
gli
tornava.
Cominciò a rimuginare,
mentre cercava di ricordare in che zona del parcheggio avesse mollato
la sua
auto. Kate, fino a dicembre dell’anno prima, non era sposata.
Che si fosse
sposata agli inizi dell’anno nuovo? Ma si doveva trovare un
fidanzato prima. O
no? L’ultima volta lui l’aveva vista a Novembre e
non era fidanzata. Matrimonio
lampo? Mmmmh… non gli pareva comunque di avere visto la fede
al dito, come
aveva Stella.
Era la fine di Maggio ed era
incinta di circa cinque mesi. Allora si era sposata che era
già in attesa. Ma
non poteva essere. Oppure sì?
Shannon arrivò alla sua
auto
e prese dalla tasca la chiave per aprirla.
Forse Jared sapeva qualcosa.
Suo fratello l’aveva
vista a
Natale e…
Improvvisamente capì.
E per un attimo sperò
ardentemente di avere sbagliato.
Dedicato
a
tutte quelle che mi hanno chiesto di continuare la storia di Shannon e
Stella…
vi ho esaudito, contente?? ;-*