Senza nome.
QUADRO CLINICO PAZIENTE 435677
Nome: Annie Cresta.
Luogo di appartenenza: Distretto 4.
Sintomi: disturbi
dell’umore, ansie
agorafobiche, paura dello sgretolamento
dell’identità, depressione psicotica.
Sintomi riscontrati nel soggetto:
nella depressione, da un punto di vista psicopatologico si delinea un
quadro
nella seguente progressione:
- adombramento della confidenza
- esperienza delle solitudine
- condizione dell'isolamento
- sentimento di perdita
- dissolvenza della speranza
- perdita dello slancio vitale
Il soggetto tende ad allontanarsi dalla realtà.
Causa: forti traumi emotivi e fisici
che hanno deteriorato il corretto funzionamento della mente del
soggetto. Il
disagio psichico si esprime e viene accusato principalmente nelle
condotte
relazionali, con i familiari e con la coppia. Nel contempo è
bene precisare che
la coppia (madre-figlio) è il più potente
organizzatore o disorganizzatore
degli affetti e della vita emotiva degli individui.
Cura: non
pervenuta.
Cordiali saluti
Dottor
Aurelius
Nessuno sconfiggerà mai i
mostri che continueranno a
divorarla dentro eternamente. Di mia madre rimarrà solo un
corpo con un’anima
in putrefazione, colmo d’urla di dolore e di rimpianti. Solo
carne, piena di
mostri, ibridi o chicchessia. << Finnick!
>> urlava e piangeva come
ogni notte. Quando calano le tenebre si perde nel labirinto del buio e
nemmeno
le stelle o l’odore di sale che invade l’aria del
distretto 4, riesce a
renderla consapevole che ormai tutto è finito. Forse
è questo il suo più grande
problema. Tutto è finito.
È stata la vincitrice dei 70esimi Hunger Games, durante essi
l'aver visto il
tributo maschio del suo distretto decapitare un'altra persona, l'ha
portata
alla pazzia. Lei è stata definita imprevedibile e
irragionevole, ma in realtà è
una persona gravemente malata. Probabilmente mio padre
l’amava per questo.
<< Tranquilla, sono qui mamma. >>
<< Non voglio te, voglio lui e hai rovinato il mio sogno. Vattene!>>
sussurrò queste parole lentamente. Quel
mormorio di parole confuse e strillate faceva male. Vorrei tanto fosse
una
persona stabile, senza alcun crollo, ma non si può tornar
indietro. Il mormorio
è paragonabile a una pugnalata al cuore. La nostra vita
provoca solo ribrezzo
nei confronti degli altri. Desideriamo esser felici da far schifo ma
quei pochi
attimi di felicità sono volati troppo velocemente, ed erano
pochi, quegli
istanti erano dannatamente pochi. Lei lo
chiama “mio sogno”, non lo chiama più
‘Finnick’ perché il dottor Aurelius le
ha
detto che non è qualcosa di tangibile e reale.
I primi tempi lo vedeva dappertutto, adesso non
più. Evita di chiamarlo per
nome giacché io ho il suo stesso nome. Il mio nome
è ‘Finnick’, anche se sono una
ragazza, ma lei non lo pronuncia da tempo e quando lo sente crolla. Non
mi
chiama.
Non ho nome per lei.
Meglio
così se ciò la farà star bene.
Se lei è felice lo sono anch’io. Peccato che non
lo siamo mai state.
Quando ha qualche attimo di lucidità mi parla di mio padre,
ma quei momenti
sono davvero rari quindi tutto quello che mi è rimasto di
lui, oltre i racconti
di una donna malata, sono gli innumerevoli spot commemorativi, una
statua
cittadina, e i filmati dei due Hunger Games a cui ha partecipato.
Non mi addormentai. Lessi e rilessi il quadro clinico di mia madre, con
le sue
urla come sottofondo. Dormii verso le tre del mattino dopo averla
narcotizzata
con qualche farmaco, o forse non dormii affatto, non ricordo. Se i suoi ricordi svanissero nel nulla,
nessuno soffrirebbe nemmeno lei.
Erano le cinque passate e lei ancora sonnecchiava. Mi diressi verso il
Molo,
una passeggiata rilassante. Il Molo è sempre deserto la
mattina.
Il mare è il mio luogo naturale.
Quando sto sulla terra ferma mi sento come un pesce fuor
d’acqua, anzi lo sono.
Mi tolsi gli abiti e mi buttai. L’acqua era gelida, penetrava
la pelle e potevo
morire assiderata.
Il mare nascondeva me e il mio dolore, una distesa d’acqua
salata poteva
nascondere le lacrime. Piansi.
Lacrime salate divennero un tutt’uno con il diletto mare del
Distretto 4.
Bramavo la morte, l’unico privilegio rimastomi che quel
Tristo mietitore poteva
concedermi. Abbi pietà di me fammi fuori.
<< Uccidimi! >> lo sfidai. Lanciai una
provocazione a un nessuno o
un mito di leggende popolari.
Siffatto
mondo è l’oblio dell’ angoscia.
La sua sopravvivenza dipendeva dal mio rimanere in vita quindi, evitai
di
morire. Il sonno eterno credo sia l’unico luogo in cui io
possa riposare in
pace, un po’ di tranquillità la troverò
soltanto nell’oltretomba visto che la
felicità mi ha chiuso le sue amate porte. Sarà
bello morire.
Inferno o paradiso che importa, questa terra è
l’oscurità.
Dimenticata da tutti persino da mia madre, se la sua anima si corrode
dentro gradualmente,
la mia sta spirando, si sta spegnendo come una lucciola, visto che
è avvolta
dalle tenebre, nebbia buia che non va via, neanche con
l’aiuto del mare o delle
stelle. Il regno dei morti sarà più quieto,
probabilmente senza urla notturne e
mormorii, con nomi mai proferiti, sogni
irrealizzabili.
<< Ti ho portato il pane, quello con le alghe azzurre,
come piace a te.
>> dissi ma non rispose. La chiamai ma nulla. Sentii un
gemito dal bagno
ed entrai, la trovai accasciata per terra priva di sensi con le labbra
viola. Tra
le mani stringeva due confezioni di calmanti e antidepressivi, le aveva
svuotate tutte.
Per terra c’era una lettera proveniente da Capitol City.
Presi la lettera e chiamai
aiuto.
<< Sta bene, sei arrivata in tempo. Qual è il
dottore da cui è in cura?
>>
<< Dottor Aurelius, Capitol City. >> gli
diedi il suo numero.
<< Vorremmo porle alcune domande può venire al
nostro seguito? >>
Mi trovo in una stanza totalmente bianca, persino i mobili al suo
interno lo
sono, nessuna finestra, nessuna porta, e un neon si regge faticosamente
al
soffitto. Anche il Giustiziere al mio cospetto è vestito di
bianco. Non s’intravede
neanche la porta. Dopo svariate domande su mia madre si
azionò un altoparlante
che proferì gravemente: << Lei è
stata accusata di tentato omicidio.
>> nel frattempo il Giustiziere si mise a far da guardia.
<< Sta-state scherzando? >> balbettai.
Tremavo.
<< Durante la perquisizione dell’abitazione,
nella vostra camera è stato
trovato il quadro clinico di vostra madre stracciato, e precedentemente
voi
avete ammesso di averle dato un sonnifero. Vista l’assenza di
testimoni il capo
pensa che queste siano due prove inconfutabili. Ergo sarete processata
a breve.
Avete il diritto di contattare un difensore se lo volete. Frattanto
potete
domandarmi ciò che volete. >>
<< Vorrei parlare con questo capo. >>
<< Impossibile. >>
<< Posso vedere mia madre? >>
<< Signorina Odair lei non può e non deve
allontanarsi da questa stanza.
>> mi ritrovai a captare da un apparecchio il mio
destino. La mia voce si
intorpidiva e non ero per nulla al mondo credibile.
L’immagine riflessa in
quello specchio bianco rabbrividiva.
La
paura vive di coraggio e il coraggio vive di paura.
Ho paura.
<< Dov’è adesso? >>
<< In un luogo sicuro e lontano da lei. >>
Affogavo in un mare bianco senza nome. Sarei andata in carcere per
qualcosa che
non ho fatto.
<< Non farei mai del male a mia madre. >>
lo sussurrai tra me e me,
una, due, tre, quattro volte. Infine lo urlai con più forza.
Le lacrime
rigarono il mio volto ma ero così abituata alla loro
presenza che mi erano
indifferenti. I miei tormenti vivono
nell’indifferenza.
Il neon piange scintille di luce.
Davanti a me uno specchio dove le scintile di luce sembravano fuochi
d’artificio. Piange per me e per la sua fine. Mi rannicchiai
per terra e tirai
fuori il foglio che avevo trovato tra le sue mani.
Gentile signora Annie Odair, la invitiamo a partecipare a un incontro
con i
tributi rimasti in vita coloro i quali hanno partecipato ai 75esimi
Hunger
Games, per discutere di un’incombenza. Fra tre giorni un auto
la preleverà dal
Distretto 4 e la porterà a Capitol City. Tutte le spese sono
a nostro carico.
Distinti saluti
Plutarch
Heavensbee
Era intenzionata a farla finita ed eccone il motivo.
<< Vorrei mostrare una prova in mia difesa!
>> nessuna risposta. Strillai
un’altra volta ma nulla, l’apparecchio era
staccato. Il Giustiziere continua a
camminare attorno alle mura come un folle o forse teme che possa
trovare la
porta. Devo andarmene via da qui.
Guardai in alto e il neon continuava a piangere imperterrito luce
bianca, si
intravedeva qualche cavo vacante. Finsi di essere morta, rimasi
immobile sul
pavimento. Sentii che si avvicinava.
Aprii gli occhi, gli bloccai il collo con un braccio e gli diedi un
colpo secco
sulla nuca, cadde per terra ansimando. Mi arrampicai sul tavolino e
strappai
dal soffitto il neon, che gettai sullo specchio di fronte a me.
Frantumandosi
in mille pezzi mi trovai davanti a due individui e uno di loro
applaudiva
entusiasta, dietro di loro c’era una porta chiusa dove
s’intravedeva un lungo
corridoio.
Tic, tac.
I secondi passavano.
Ero salda al pavimento come un chiodo.
Tic, tac.
Il ragazzo moro continuava a sorridere, mentre il biondo mi diceva a
squarciagola
di far qualcosa ma non capii. Mi misi a correre verso l’uscio.
Tic, tac.
Il cuore esplodeva. Sentii mille saette avvolgermi il corpo e caddi per
terra.
Tic, tac.
<< Catnip tutto bene? >> con la vista
annebbiata vidi il biondo
proferire quelle parole a una ragazza dai capelli marroni. Il suo volto
si
spostò subito verso di me e cominciò a gridare
qualche imprecazione contro me.
Le saette avevano smesso di avvolgermi, ma adesso il fuoco aveva preso
il suo
posto e non vidi più nulla.
Tic, tac.
Sono nel vuoto.
Sono attorno al vuoto.
Sono il vuoto.
Eccoci qui, questa è la mia prima vera ff quindi commentate e ditemi cosa ne pensate. Potete dir tutto aspetto vostre notizie miei cari lettori<3
-guerrierad'inchiostro