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Autore: TangerGin    08/01/2014    4 recensioni
I suoi occhi sono del colore dell'asfalto mentre piove e chissà quante volte cadranno le sue ginocchia su quell'asfalto.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Prologo
Labbra

Ci sono parole che frullano nella testa di Vera, concetti da ricordare, sigle da memorizzare.
Poi ci sono i compagni di corso nervosi come gatti, tanto quanto lei, che si morde l’ennesima pellicina al lato del pollice, che inizia a sanguinare.
Suo padre quella mattina l’ha abbracciata, mentre aveva un piede dentro casa e l’altro sullo zerbino e “Non ti preoccupare, essere ansiosa è normale: il primo esame universitario non si scorda mai!” però tutta quell’ansia adesso sembra offuscarle ogni riga di ogni pagina di tutti quei cinque libri che ha studiato per questo dannatissimo esame di linguistica generale.
Il pollice continua a sanguinarle e lei vorrebbe non curarsene, per continuare ad angosciarsi ancora un po’, ma è costretta ad uscire dall’aula, per recarsi in bagno a sciacquarsi le mani. Quando finisce di riparare al danno, e si fissa il dito rosso, poi alza lo sguardo e incontra i suoi stessi occhi riflessi nello specchio: stamani sono nascosti dietro a quegli occhiali troppo spessi, perché il tempo per le lenti a contatto non l'ha trovato, e sotto la luce al neon del bagno sono di un marrone ancor più anonimo, e Vera sospira, forse perché non vuole rassegnarsi a quell’anonimia, o forse perché sotto sotto sa di poter fare di meglio.
“Ha chiamato Andrew, mi sa che la prossima sei te” sussurra Portia, mentre Vera riprende posto al suo fianco, e abbassa gli occhi sul quaderno degli appunti davanti a sé. No, non ce la può fare a rileggerli per l’ennesima volta. Non ce la fa nemmeno a seguire l’esame del suo compagno. Vorrebbe solo che questa giornata fosse già finita.
 
Vera si alza dalla sedia, vorrebbe piangere ma non lo fa, la bocca è serrata in una linea amara e storta, ma gli occhi restano decisi, nonostante inizino a pizzicarle. Le importano poco i cori di “dai, sarà per la prossima volta” e non ha il coraggio nemmeno di telefonare a suo padre, che le ha mandato un sms per chiederle com’è andato l’esame. Perché la delusione probabilmente è più nei confronti delle aspettative che la sua famiglia ha da sempre riposto in lei, piuttosto che per la sconfitta personale.
Raccoglie i libri ed i quaderni, li infila frettolosamente nella tracolla, forse saluta i compagni che la fissano con sguardi compassionevoli – lei non vuole la compassione di nessuno - ed il suo obbiettivo è uno solo: uscire da quell’aula. Il più velocemente possibile.
 
Ed è allora che le vede per la prima volta.
 
È da circa un anno che Vera non sente battere niente al centro del suo petto. Il sangue continua a pulsarle, quello lo sa, ma a volte resta immobile, a fissare il soffitto della sua camera, con una mano sul cuore, e quello che sente è un battito pressochè impercettibile. Perché Nick, oltre alla dignità, le ha portato via anche la capacità di provare un benchè minimo sentimento positivo. E Vera non crede più nel cuore, nelle farfalle, nei sorrisi, nelle labbra che tremano. Non crede più in quello che dovrebbe chiamarsi amore e che, per lei, è stato solo un inferno di illusioni e bugie.
 
Eppure vede quelle labbra, ed improvvisamente percepisce quel brulichio alla bocca dello stomaco, che aveva quasi dimenticato – e forse avrebbe voluto dimenticarlo per davvero.
È una bocca carnosa, quella che vede, ed il labbro superiore delinea un’onda perfetta, e sono due labbra di un rosa pallido, che però quasi contrasta con l’altrettanto pallido viso che le circonda.
Sopra le labbra c’è un naso, ed è bello anche quello. È dritto, e non troppo grande, ma non diresti nemmeno che è piccolo, e forse è un po’ arrossato. È pur sempre gennaio.
Ai lati del naso ci sono due occhi, e Vera – quasi disperata – constata che pure questi son belli. Sono grandi, e le sembrano verdi ma forse sono nocciola, perché sono mascherati da una montatura dorata. Le ciglia sono poche, o forse sono semplicemente molto chiare, come quello che sembra un accenno di barba sul mento piccolo e squadrato.
Vera osserva il tutto da qualche metro di distanza, lui è seduto all’ultimo banco e lei stava uscendo da quell’aula. Da quella dannatissima aula.
Ci sono tante parole che frullano nella testa di Vera, ma non ne dice nemmeno mezza, e si stringe nelle spalle perché vuole proteggersi, non dal freddo, ma da quel brulicare incessante che sta continuando a contorcerle lo stomaco.
Non pensiamoci, bisbisglia a se stessa, e poi ripensa all’esame bocciato, alla delusione, e quelle labbra iniziano a dissolversi pian piano, mentre sale sull’autobus per tornare a casa.
 
 
Il problema è che Vera quelle labbra le rivede, e sono passati due mesi.
È la prima settimana di lezioni, è il nuovo semestre, e basta, bisogna impegnarsi sodo, bisbiglia a se stessa.
Ogni giorno, a lezione, si siede tra Portia ed Andrew e si lascia stordire dalle loro chiacchiere di cui non è interessata nemmeno alla metà. Perché Portia ed Andrew sono simpatici, certo, sono dei bravi ragazzi. Ma quando lei ha provato a chiedergli se avevano visto l’ultimo film di Wes Anderson loro hanno storto il naso, e “Chi? Non lo conosco” hanno esclamato in coro. E quando lei ha provato a farli sentire l’ultima canzone dei Fleet Foxes, loro si sono tolti le cuffiette, quasi inorriditi.
E quindi sì, sono brave persone, e non riesce a condividerci niente se non le solite parole trite e ritrite sui corsi universitari ma forse è meglio così. Perché ciò non comporta nessun brulicare, nessuna ansia da prestazione, niente di niente.
Però Vera rivede quelle labbra, e sono sedute nei posti in cima all’aula magna in cui ha lezione di Antropologia. Per tutta la lezione non fa altro che fissarle e quando torna a casa, e apre il quaderno, si rende conto che non ha scritto mezzo appunto. Ma non si preoccupa, ancora c’è uno spiraglio di salvezza.
Quando telefona ad Amanda, e le racconta di quelle labbra e di quel naso e quegli occhi, la sente sospirare eccitata dall’altro lato della cornetta.
“Vee, non è una cosa brutta! Voglio dire, è da tanto che non ti sentivo parlare di qualcuno con questo tono…emozionato? Non so, mi ero quasi dimenticata che avessi dei sentimenti, sarò sincera.”
Vera borbotta. “Non sono emozionata, dico solo che è molto carino. E sembra un tipo interessante. E forse con lui avrei qualcosa in comune, credo. A giudicare dallo stile per lo meno… Oh, dio, Amy, ma mi senti? Sembro una stupida adolescente! Non voglio sentirmi così, preferivo l’apaticità totale!”
E Vera ci crede davvero quando lo dice. Perché è terrorizzata dai sentimenti, nonostante continui a pensare a quelle labbra.
“Ma almeno sai come si chiama?” chiede Amanda, che non ci pensa minimamente a lasciar cadere il discorso, perché è da un anno che sta assistendo al lento declino emotivo della sua migliore amica e non è ancora riuscita ad aiutarla, e ci crede davvero che quelle poche parole smangiucchiate di Vera su questo fantomatico e misterioso compagno di corso possano rivelarsi in qualcosa di positivo.
Vera sbuffa e “No, te l’ho detto, lo scorso semestre nemmeno c’era. Non ho idea di chi sia e poi se ne sta sempre da solo.”
“Promettimi che proverai a scambiarci due parole.”
Vera rotea gli occhi e ringrazia che Amanda non possa vederla. Non sa se mentirle, per mettere a tacere quella conversazione che si sta già maledicendo di aver iniziato, ma poi opta per la sincerità, perché tanto, lo sa, Amanda avrebbe colto la sua falsità “Ma figurati se mi metto a fare conversazione a caso con un tipo che non conosco. Mandy, mi conosci, cosa ti aspetti?”
E Amanda pure lei rotea gli occhi e pure lei ringrazia che Vera non possa vederla. Perché non capisce proprio cosa freni la sua amica, in ogni contesto. Perché quando le chiede se le va di uscire, Vera prima trova qualche scusa, subito smontata, e poi semplicemente scrolla le spalle e dice “Non mi va” e dietro quelle tre parole Amanda lo sa che Vera vuol dire “Ho paura”. E capisce che è inutile insistere e probabilmente continuerà ogni sera ad ascoltare Vera che le racconta di quelle labbra e di quegli occhi e di quanto sia bella la forma della mascella di quel ragazzo e prima o poi si stuferanno entrambe, e torneranno a parlare delle solite fantasie irrealistiche che ruotano attorno a film e telefilm.
 

 
Scusa sai dove sono le macchinette?
Vera sente prima un brivido che le  giunge fino in pancia e innesca quel solito, dannatissimo brulicare.

È arrivata tardi a lezione, Andrew e Portia sono già impegnati nello scrivere ogni parola di ciò che dice il professore e si sono piazzati in prima fila. Non le sembra il caso di attraversare tutta l’aula per raggiungerli, quando poi, lassù, in cima, ci sono tantissimi posti vuoti.
Forse non troppo inconsciamente ha sperato di rivedere quelle labbra, forse non troppo inconsciamente si è attardata di proposito, in modo da trovarsi costretta a restare in fondo all’aula. Ma, con suo grande disappunto, quelle labbra non si vedono spuntare, nonostante lei continui a girarsi ogni cinque minuti lanciando occhiate alla porta, e maledicendo prima Amanda, che l’ha subdolamente costretta a osare, e poi se stessa, che si è lasciata plasmare.

Però, si sa, la fortuna aiuta gli audaci, e quando meno se lo aspetta, quando stanno per mancare cinque minuti alla fine della lezione, sente quella manciata di parole – pronunciate con un accento strano e condite da una blesità molto forte  – rivolgersi proprio a lei, e quando alza lo sguardo e capisce che quelle parole sono uscite da quelle labbra, Vera non sa bene se si sente morire oppure rinascere.
Prima sorride, ma non a lui, perché tiene lo sguardo fisso sul legno del banco. Sorride pensando ad Amanda, sorride perché sta sentendo un battito forte e deciso in mezzo al petto, ed era tanto che non lo sentiva. Poi, quando trova il coraggio di alzare gli occhi nuovamente, nasconde quel mezzo sorriso e “Devi scendere le scale e uscire dalla porta sul cortile. Là trovi le macchinette” risponde sussurrando, in modo quasi automatico. Una perfetta segretaria.
Lui sbuffa, appoggia la tracolla di pelle nel posto accanto al suo e “Faccio un salto veloce, puoi guardarmi la borsa?” dice, senza aspettare risposta, e Vera vorrebbe dirgli che mancano cinque minuti alla fine della lezione e poi lei deve andarsene, ma non ha il tempo e probabilmente, se anche lo avesse avuto, avrebbe aspettato quelle labbra – e le aspetterà per tanti minuti, e ore, e giorni, ma lei ancora non lo sa.
Quando torna, la lezione è ormai finita, e nell’aula magna è rimasta solo Vera, stretta nel suo posticino, con i piedi sulla sedia e le ginocchia piegate, che si guarda le mani e non capisce. Nemmeno lui capisce, infatti si guarda attorno spaesato. “Ma, la lezione di Antropologia?” chiede, e adesso Vera si convince sempre di più che forse l’ha davvero scambiata per la segretaria dell’università.
Lei scrolla le spalle, fa scivolare le gambe sotto il banco e lo fissa. “Era dalle nove alle undici, è finita cinque minuti fa” risponde, mentre mette via il quaderno e la penna con cui non ha preso alcun appunto, durante quelle due ore.
Quelle labbra, e tutto il suo contorno, si crucciano, e poi si lasciano cadere a sedere accanto a lei.
“Insomma, con questo vuoi dire che ho appena saltato l’ennesima lezione?” ridacchia, mentre si stira le braccia, per poi iniziare a grattarsi la nuca con la mano sinistra. È molto magro, e Vera lo intuisce anche se indossa una grande felpa grigia. Sembra fatto di spigoli, eppure le sembra così armonioso. Vera annuisce, continuando a constatare quanto sia esile quel ragazzo, ed è quasi pronta ad andarsene, se non fosse che lui le blocca il polso con la mano.
“Io sono Silas, comunque. Piacere di conoscerti” e quando dice Silas, a Vera viene un po’ da ridere, perché non riesce a pronunciare le esse e “Sì, lo so, non è il nome migliore per qualcuno con la lisca, sono condannato” aggiunge lui, quasi avesse intuito cosa stava pensando lei – o forse è semplicemente abituato a quel tipo di reazione. Vera scuote il capo e “No, figurati. Io sono Vera, piacere” e ricambia quella stretta di mano, e anche le mani di Silas sono spigolose, però a lei piacciono le geometrie e gli angoli su cui farsi del male.
“Insomma, segui anche tu Antropologia? Di che anno sei?” chiede lui, mentre si rigira tra le mani la confezione di crackers che ha comprato, fissandola dubbioso.
“Sì, seguo antropologia e sono al primo anno di Archeologia” e vorrebbe aggiungere un e te?, ma non ha il coraggio. Per fortuna a Silas non servono domande e, mentre inizia ad addentare il primo crackers, si intromette “Ah! Pensavo fossi una studentessa di Beni Culturali! Allora siamo compagni di corso… io però sono al secondo. Un po’ indietro con gli esami, come puoi ben notare” e sogghigna, strizzando gli occhi, e Vera si ritrova a ridacchiare anche lei e poi si rende conto che aveva fatto male i conti, e gli occhi di Silas non sono nocciola, e non sono nemmeno verdi. Perché ora li vede, mentre riflettono la luce della tarda mattinata e indugiano su quel cracker smangiucchiato, e sono di un blu scuro, sono del colore dell'asfalto mentre piove. E chissà quante volte cadranno le sue ginocchia su quell'asfalto.
Però sono già le undici e dieci, e Vera ha lezione di archivistica e deve scappare.
Silas sorride, e Vera purtroppo constata che quelle labbra, quando sorridono, sono ancor più belle.
“A domani” gli dice poi lui, e lei la prende quasi come una promessa, mentre lo lascia a sedere in quell’aula.
Si volta a guardarlo, prima di uscire dalla stanza, e osserva la sua nuca e, sotto sotto, sa già che dovrà iniziare a temerla, quella nuca.
 
 

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Okay, non so bene come presentarvi questa storia. Sono ovviamente super nervosa dato che è la mia prima original vera e propria che pubblico qua :D
Non ci saranno grandi colpi di scena, non aspettatevi drammi, tradimenti, morti o quant'altro. Sarà una semplice storia di una relazione, una storia che potremmo vivere tutti i giorni, qualcosa di quotidiano e reale. Dopotutto, lo sapete: non sono tipa da creare trame troppo complesse, mi piace soffermarmi sull'introspezione che in questa storia sarà la protagonista principale. Forse per questo non sarà il massimo del divertimento, ma spero che possa comunque piacervi, e spero che questo prologo vi abbia incuriosito un po' :)
xx Gin~
PS: dimenticavo! Ecco i prestavolto per Vera e Silas. Lei è una fashion blogger che seguivo su lookbook, e ora su tumblr - anche se ha smesso di fare la fashion blogger, ahimè, mi piaceva un sacco. Lui invece è Elvis Jankus, un modello tedesco che mi uccide, letteralmente.
PPS: un grazie infinito a xxl che mi ha fatto una sorpresa, regalandomi il bellissimo banner quassù. Davvero, mi sono emozionata tantissimo, grazie di cuore ♥


 
 




 
 
   
   
 
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