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Autore: So shy    08/01/2014    0 recensioni
E’ da 4 anni circa che il mio cuore è vuoto, arido come un deserto, non ci sono raggi di sole, ma solo i resti di un uragano, e tutto questo perché? Uno stupido litigio.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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“Scritto tra queste mura ci sono le storie che non so spiegare. Ho lasciato il mio cuore aperto ma è rimasto lì vuoto per giorni.”
-Story of my life.




E’ da 4 anni circa che il mio cuore è vuoto, arido come un deserto, non ci sono raggi di sole, ma solo i resti  di un uragano, e tutto questo perché? Uno stupido litigio.
Avevo 8 anni, mia madre litigò con mio nonno, la persona in cui nutro grande rancore. Erano tempi duri, i soldi non c’erano, mio nonno però aveva una pensione prestigiosa, ma non gli bastava, doveva chiedere un prestito a mia madre. In quegli anni mio padre non portava a casa tanti soldi per qualche problema, quindi mia madre negò il prestito a mio nonno. Lui si arrabbiò, insultando i miei genitori, gettandoli nella polvere, fu la goccia che fece traboccare il vaso. A differenza di mio nonno, mia nonna era la persona migliore del mondo: mi ha cresciuto e mi ha trasmesso molte cose di lei, l’ho sempre considerata la mia seconda madre. A casa sua trascorrevo momenti magnifici: giocavo con i suoi piccoli sopramobili, anche se potevo romperli, mi faceva sempre giocare con un piccolo carillion raffigurante una gabbia di un circo, ero legatissima a quell’oggetto. Ad ogni pomeriggio, mi faceva fare merenda con i biscotti al cioccolato, mentre mi raccontava i suoi aneddoti, insomma, lei era tutto, tutto quello che poteva rendermi felice, tutto quello che potessi desiderare dalla vita, tutto quello che mi riempiva il cuore.
In quel litigio, in quel “prestito” l’ho persa, mio nonno non permetteva di vederla, non mi permetteva di parlarle, non mi permetteva di sorridere.

In quei 4, lunghissimi anni, trascorrevo le mie notti a piangere, desiderando a tutti i costi di vedere il sorriso di mia nonna, quell’abbraccio che mi faceva dimenticare tutto il mio dolore, mi mancava il mio angelo.
Ogni giorno vedevo la disperazione negli occhi di mia madre, che non sapeva più che dirmi, se l’avrei rivista oppure no, se l’avrei potuta chiamare, oppure no, sapevo solo che dentro di me, non c’era più nulla, solo un cuore spezzato, di cui i pezzi erano andati pezzi, ed una parte di questi, l’aveva mia nonna.

4 ANNI DOPO.

“Cosa mi sta dicendo?! Non è possibile!”
M svegliai con questa frase, urlata con una voce rotta dalle lacrime di mia madre, senza sapere nemmeno il motivo per cui stesse piangendo.
Arrivarono mio padre e mia sorella a consolarla, mentre io invece avevo un’espressione interrogativa, non sapevo quali emozione provare.


“Che succede?!” domandai allarmata.
“Va a vestirti andiamo da nonna.” Disse mio padre con un espressione falsa sul volto.
“Davvero? Vado subito!” risposi contenta, ero stata ingenua, forse fin troppo.
Salimmo in macchina e mia madre continuava a piangere, seguita a ruota da mia sorella.
“Perché siete tristi? Andiamo da nonna dopo anni!” cercai di consolarle invano.
“Ecco piccola, noi stiamo andando da nonna, ma lei non è come prima.” – “Che vuoi dire?”
“E’ pallida, ha il corpo freddo, ed una strana espressione sulla faccia.” Rispose mio padre.
Stavo temendo il peggio, ma provai a non pensarci, pensavo ancora in me che quel giorno avrei potuto passare momenti indimenticabili come ai vecchi tempi.
Arrivammo giù casa della nonna, c’erano auto della polizia e ambulanze, tutto sembrava caotico, e sentii due infermieri parlare:
“Come è successo?” domandò il primo.
“Overdose per farmaci.” Rispose l’altro.

Non poteva essere.
Mi staccai dal braccio di mio padre, e salii di corsa le scale per raggiungere l’appartamento, con il cuore a mille e gli occhi lucidi, arrivata, trovai una scena orribile.
Sopra una barella, sotto un telo bianco, c’era mia nonna, pallida, con un corpo freddo, ed una strana espressione sulla faccia, un overdose, una stupida overdose, me l’aveva portata via.
Versavo fiumi di lacrime mentre guardavo quel lettino, mio padre arrivò da dietro per prendermi e portarmi via, ma mi ribellavo, volevo a tutti i costi rimanere lì.
“Portatela via vi prego, c’è mia figlia qui.”  Disse.
“NO!”  urlai staccandomi per avvicinarmi al corpo di mia nonna e accarezzargli la guancia, era fredda, priva di vita, priva della felicità che esprimeva ogni giorno.
Crollai a terra in ginocchio, straziata da quella sensazione, non riuscivo a capacitarmi.
“Portatela via, vi prego.” Supplicò mio padre agli infermieri.

Mi alzai in piedi lentamente, scacciando via la mano di mio padre che cerva di aiutarmi, e girai per la casa.
Mio nonno era ricoverato in ospedale per problemi muscolari, in casa non c’era, potevo girare ed affogare con le mie lacrime in un mare di ricordi: in camera vidi il letto dove dormivo ogni sabato sera, con le coperte blu, cucite proprio da mia nonna, passai per la cucina, dove il tavolo era piazzato al solito posto, con delle scatole di biscotti appoggiate sopra, ed infine il salone, dove ritrovai il mio amato carillion.
Lo presi in mano, girai la rotella, e parti una musichetta, ogni nota mi distruggeva sempre di più, o meglio, i ricordi.
Piansi disperatamente, stringendo al petto l’oggetto, le fotografie attorno a me, i quadri, tutto quello che amavo sembrava uccidermi, dietro quelle mura c’erano storie, così profonde che in passato mi riempivano, mi completavano le giornate, ma tutto questo, è destinato a distruggermi.
Il mio sorriso era solo un ricordo lontano, come il mio cuore colmo, che ora non è rimane solo che polvere, che viene portata via da un anima ormai arida.
 
  
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