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Autore: ELE106    09/01/2014    7 recensioni
[Hiddlesworth AU - Chris POV] (…) Capitava che dormissi molto e mi svegliassi solo per pochi momenti. E lui era quell’immagine confusa che vedevo quando aprivo gli occhi, era quella figura sfocata che guardavo seduta accanto alla finestra, che sentivo ovattata, mentre canticchiava qualcosa. Capitava anche che le energie tornassero per un po’, ma non era esattamente una buona cosa. (…) Buona lettura ;)
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Chris Hemsworth, Tom Hiddleston
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Family Business Motel

 

 


Princeton-Plainsboro Teaching Hospital (*), New Jersey, oggi.
 


Ero un stupido... oh lo ricordo bene, come fossi ancora quella persona.
Ero un idiota totale e lo sono ancora adesso.
 
Eppure se c’è una cosa che dovrebbe cambiarti, è la malattia.
Essere malati è una condizione alienante. Essere senza speranza, poi, un morto che cammina, ti apre le porte di un mondo che un essere vivente non dovrebbe nemmeno poter immaginare.
Sai che morirai, sai persino quando.
Sai che tutti quelli che ti sono intorno ti guarderanno ma non vedranno più te, vedranno il cancro che hai dentro.
Tu sei il malato.
Tu li metti a disagio.
Sorridi loro, fai battute, cerchi una normalità che più nessuno sa darti.
Non possono, non è colpa loro.
Vedono lo spettro di un qualcosa che non si può controllare, che non si può accettare, che non riescono ad affrontare.
E allora te ne vai.
 
Quello stupido che ero un tempo è morto in un letto di ospedale, di fronte al rammarico di un medico impotente e la disperazione di sua madre, le sue lacrime, il suo dolore, l’inevitabile crollo della donna che ti ha messo al mondo e che ora sembra un fantasma sperduto, con l’unico scopo di reggerti i capelli, quando stai vomitando.
Te ne vai, si.
Te ne vai se li ami davvero, perché non possono umanamente assistere alla tua morte.

Lo stupido che ero un tempo è morto e uno stupido completamente nuovo è nato da quel dramma.
E ha incontrato Tom...
Uno schiaffo in piena faccia, un pugno nello stomaco, un tuffo di pancia in un mare d’acqua gelata; a me l’amore ha fatto quest’effetto, forse perché è arrivato... beh, troppo tardi. A me l’amore ha fatto incazzare come una bestia, perché ho iniziato a sospettare di essere vittima di un destino che non aveva nulla di giusto, di umano, di anche solo minimamente sensato.
 
 



Family Business Motel (**), periferia di Princeton, New Jersey, tre mesi fa.
 

Tom è arrivato una mattina di settembre, dalle tinte rossicce.

Ha affittato una stanza nello stesso motel che avevo scelto io per nascondermi al mondo. Mi ha sorriso sincero, prima di varcare la soglia della sua camera, mentre anche io entravo nella mia. E mi ha raccattato dal pavimento per la prima volta.
 
“Sto morendo...”
Gliel’ho confidato subito, come lo conoscessi da sempre, come se gli stessi consegnando me stesso in quell’istante, come sperassi che potesse esistere qualcuno in grado di starmi accanto.
“Resterò con te.”
E lo ha fatto davvero.
 
Non sono più stato in ospedale, mi sarei buttato sotto ad un autobus piuttosto.
Avevo Tom.
Non sapeva nemmeno chi fossi, non sapeva nulla di me, eppure sapeva tutto.
Io sarei morto.
Lui era l’unica persona che poteva accettarmi così.
 
Accadeva che non ci parlassimo per giorni, eppure io sentivo che lui c’era.
Poteva essere il rumore della teiera, il suono dei suoi passi quando si avvicinava al mio letto per accertarsi che stessi bene.
Poteva essere il calore della sua mano sulla fronte, il profumo di shampoo dei suoi capelli quando era abbastanza vicino, il fresco dell’acqua quando mi costringeva a bere e prendere le pastiglie per il dolore.
Poteva essere lui che leggeva ad alta voce quando gli chiedevo di farlo per me.
 
Capitava che dormissi molto e mi svegliassi solo per pochi momenti.
E lui era quell’immagine confusa che vedevo quando aprivo gli occhi, era quella figura sfocata che guardavo seduta accanto alla finestra, che sentivo ovattata, mentre canticchiava qualcosa.
 
Capitava anche che le energie tornassero per un po’, ma non era esattamente una buona cosa.
 


Tom mi ha baciato una mattina di ottobre.

Dopo una delle mille sfuriate che mi prendevano a giorni alterni, quando mi sentivo abbastanza in forze e decidevo di esaurirle incazzandomi col mondo e distruggendo la mia stanza... la nostra stanza.
 
Perché? Perché io? Non ho ancora venticinque anni, cazzo!
Urlavo, imprecavo, rompevo, insultavo.
Lui usciva e tornava quando la furia se n’era andata.
Mi trovava in condizioni che lascio all’immaginazione, il più delle volte non mi restava nemmeno la forza di sedermi o stendermi sul letto. Non parlava mai di quel che aveva visto, di quello che avevo fatto.
 
Quella volta invece...
Fuori, le nuvole cariche di pioggia e l’aria umidiccia facevano sembrare la città come inghiottita in una bolla verdognola e bluastra, quasi spenta, immobile, in attesa del temporale.
Dentro, il temporale c’era già stato.
 
“Non sei ancora morto, Chris...”
Tom si è inginocchiato per raccogliermi da terra, mi ha guardato negli occhi e mi ha baciato.
“Puoi scegliere come vivere il tempo che ti resta. Puoi scegliere di trascorrerlo consumando tutto l’amore che sei in grado di dare... e puoi scegliere di farlo con me.”

Evidentemente qualcosa da dire lo aveva sempre avuto anche lui.
 
 

Tom ha fatto l’amore con me quella stessa mattina di ottobre.

E per un secondo, l’attimo confuso e disperato dell’orgasmo, io mi sono sentito di nuovo normale.
Mi sono sentito ancora un uomo.
Tom aveva le mani calde e generose. Io non ricordavo più cosa si provasse ad essere toccati.
Ero malato, per gli altri non esistevo più, nessuno mi vedeva.
Tranne lui.
Tom aveva le gambe muscolose e forti, le braccia accoglienti, le labbra piccole ma rosse e gonfie.
Aveva la vita sottile, la pelle delicata e bianchissima; seppure io fossi debole quanto un gattino, le mie dita lasciavano segni, quando lo stringevano.

“Non sei ancora morto...”
Ripeteva, sospirava, mormorava al mio orecchio.
Aveva una voce magica, che cullava ed eccitava allo stesso tempo. E chiamava il mio nome come fossi l’unica cosa importante al mondo.

Per qualche tempo la mia rabbia si è addormentata da qualche parte.
 


Tom era un pazzo, perché si era innamorato della morte.
Io ero ancora più pazzo di lui, perché mi ero innamorato della vita, proprio ora che non avevo più il tempo di viverla.
Proprio ora che avrei voluto fare l’amore con lui per sempre.
 


“Dovevi essere piuttosto grosso, prima di...”
Me lo ha sussurrato una sera fredda, vento fuori e riscaldamento a palla dentro. Nudi, Tom sdraiato sopra di me, insicuro se procedere o meno sul terreno sconosciuto dei miei ricordi.
Con le lunghe dita percorreva linee immaginarie sul mio petto, quel residuo di muscolatura che ancora mi restava e quasi riusciva ad illudermi di non essere spacciato.
Il ‘prima’ della mia malattia era un argomento di cui non parlavo. Uno dei tanti, a dire il vero.

“Sono comunque più grosso di te! Guardati, sembri un uccellino!”
Gli ho risposto, pizzicandogli un braccio e baciandolo tra i riccioli.
Tom aveva meravigliosi riccioli chiari, che incorniciavano delicatamente i lineamenti altrimenti spigolosi del suo viso sottile. Lo facevano sembrare un marmocchio, anche se aveva qualche anno più di me.

Non ha più chiesto nulla del mio passato. Diceva che l’importante era chi ero da quando c’era lui.
Di chi avrei dovuto raccontargli, comunque? Del ragazzone alto e palestrato che voleva fare l’attore, perché sapeva solo di essere bello e non aveva mai avuto voglia di ammuffire sui libri? Proprio a lui? Arrivato a Princeton da poco per laurearsi in Lettere Classiche...
O di quello perduto ai confini dell’alcolismo, che si è alienato gli amici perché non sopportava il peso di fallimenti e porte sbattute in faccia?
No. Che Tom immaginasse chi voleva e vedesse bene chi ero adesso: l’ombra di un ragazzo dai capelli biondi, rasati a zero per non sembrare malato, e gli occhi lucidi, spesso offuscati da dosi massicce di antidolorifici.
 
 



Tom se n’è andato una mattina gelida di novembre.

Occhi arrossati, mani tremanti e troppe lacrime... le sue.
Non aveva mai alzato la voce, prima di quel giorno, non aveva mia pianto.
Lo avevo distrutto io, uno di quei giorni di follia e rabbia che credevo fossero finiti, consumati nel groviglio che erano i nostri corpi, quando si fondevano tra loro e bruciavano.
 
Perché TU sei dovuto arrivare ora?
Ho urlato e imprecato, ho insultato e le uniche cose che ho rotto quel giorno sono state il suo cuore e il suo labbro inferiore, con un pugno.
 
 
 




Princeton-Plainsboro Teaching Hospital, New Jersey, oggi.
 
È passato un altro mese da allora e in ospedale alla fine ci sono finito lo stesso.
Pare che sia stato un ragazzo ad allertare i medici, ma che non abbia voluto identificarsi.

Nei rari momenti in cui sono cosciente non sento più la voce di Tom, ma il suono della macchina che mi tiene in vita e il pianto di mia madre.
Non c’è il calore delle carezze di Tom, ma le mani fredde, coperte dal lattice dei guanti, di un altro dottore con l’aria colpevole di chi non ha saputo aiutarti.
 
Dormo sempre, sogno lui.
Ogni volta che chiudo gli occhi vedo i suoi... e spero di guardarli ancora una volta, prima di morire.
Non so nemmeno il suo cognome e non posso neanche provare a rintracciarlo.

Stupido... ero stupido prima e lo sono anche adesso che sto morendo.
Perché ho odiato lui per essere arrivato tardi e non me stesso per averlo cacciato, quando tutto ciò che voleva era che vivessi in pace il tempo che mi restava.
 
Ma ora so, ora capisco perché: per darmi occhi nuovi con cui vedere la vita, perché non sprecassi i miei giorni piangendo e disperandomi.
E può sembrare crudele, ancora più del cancro che mi uccide lentamente, ma ora vedo, ora capisco che Tom era il mio dono.
Ora so che lo sbaglio che facciamo tutti, sempre, è deprimerci e avvilirci per ciò che perdiamo, quando dovremmo essere grati per quanto abbiamo avuto, anche se per un breve periodo.

Io, Chris Hemsworth, di anni 24, cancro al fegato all’ultimo stadio, alla fine del mio viaggio sono grato per lui.

Per Tom.
 
 
 




Fine
 
 
 
 
 
(*) Princeton-Plainsboro Teaching Hospital: è la struttura medica dove è ambientata la serie Dr. House, che ovviamente non esiste! T___T
(**) Family Business Motel:  omaggio alla serie tv Supernatural ;)))



Nda: mi pento... mi pento, non mi odiate è colpa di certi libri che leggo! ç___ç non posso credere che questa sia la mia prima Hiddlesworth, che cacchio m’è venuto in mente? Ma perché?????  *torna a pentirsi e sparisce*

 
   
 
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