Storie originali > Favola
Ricorda la storia  |      
Autore: aturiel    09/01/2014    3 recensioni
La notte di Capodanno è da sempre una notte speciale per i bambini e per i grandi ma, quando è accompagnata da una storia di un vecchio, è ancora più emozionante.
Partecipa al contest "Superenalotto... al contrario"
Genere: Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Sogni d'autunno


È sera e il fuoco scoppiettante nel camino al centro della sala è l’unica fonte di luce e di calore che i bambini orfanotrofio della piccola città di Whiter possono permettersi. Normalmente a quell'ora sarebbero già tutti avvolti nelle lenzuola e nelle coperte di lana grezza, gli adulti invece avrebbero una tazza di caffè in mano, lo sguardo stanco e le ultime carte da compilare sparpagliate sulle loro scrivanie. Ma questa non è una notte qualunque, non è una di quelle in cui tutti sono troppo stanchi per stare svegli o per dormire, una di quelle in cui i piccoli si addormentano con la faccia nella minestra e i grandi si lamentano perché non hanno ancora sonno, no. Questa è una notte speciale, è l’ultima notte dell’anno. Per alcuni sarà una novità, per altri un’assodata consuetudine, i più piccoli forse batteranno le mani e i piedi eccitati e i più grandi invece fingeranno di essere annoiati da quello che sta per accadere, ma la verità è che tutti aspettano con grande emozione il Capodanno solo per l’arrivo del vecchio Georg. Chi sia quell'individuo dalla barba bianca e gli occhi scuri, con la voce calda e tonante, con le mani rugose e il lungo bastone in legno nessuno lo sa con esattezza, ma si sussurra che ormai da vent'anni si presenti orfanotrofio per raccontare una delle sue storie. E nessuno, nemmeno la signora Jones conosce il motivo di queste visite.
Il campanello sulla porta d’entrata suona e lascia passare questo tremolante personaggio, forse un po’ burbero ma dagli occhi vivaci e allegri. Quest’anno cosa racconterà? Quale sarà la sua storia? Che eroe correrà mille pericoli solo per il divertimento di ventidue bambini di tutte le età? E morirà oppure sopravvivrà e salverà la sua bella principessa? Mentre lo guardano sorseggiare il suo cappuccino nessuno riesce a star fermo, ma nonostante questo non vola una mosca, neppure il piccolo e chiacchierone Joe proferisce parola. L’uomo butta giù l’ultimo sorso della bevanda, stira la schiena e inizia finalmente a parlare:
«Allora bambini, questa sera vi voglio raccontare una storia, ma non è una storia come tutte le altre! È la storia di un giovane musicista che durante una giornata di sole in pieno autunno vede una fenice volare, è la storia di un sognatore che mentre oziava quando avrebbe dovuto lavorare nei campi, fa un incontro che gli cambia la vita, è una storia a tratti allegra e a tratti triste, bambini, una storia che sa far sorridere il cuore ma anche fargli piangere le lacrime più amare. Siete pronti?»
I bambini annuiscono eccitati già completamente in balia della voce ammaliante del vecchio. Anche la signora Jones ha uno sguardo più acceso del solito e, in disparte, raccoglie il volto con la mano, pronta a bere come il suo cappuccino ogni parola sussurrata, parlata o urlata dell’uomo. Finalmente, dopo due o tre colpetti di tosse, inizia a raccontare:
«Era un pomeriggio del mese di ottobre, con il sole che scaldava la terra infreddolita con i suoi stranamente caldi raggi. Un giovane, il cui nome non è importante, stava seduto al limitare della foresta su un masso particolarmente grosso e abbastanza regolare di un bel bianco screziato d’argento. Se ne stava lì a pensare, un po’ alla sua vita e un po’ a quella del mondo, pensava al suo violino malmesso rinchiuso nella cassapanca ormai da troppo tempo, alla sua piccola sorella sposata con un uomo che non approvava, al suo vecchio diventato gobbo a furia di stare piegato come un salice piangente a lavorare nei campi. Stava lì a oziare, insomma, a perdere tempo con pensieri che gli insinuavano la malinconia nel cuore ma che non risolvevano niente. Decise quindi di andare a recuperare quel vecchio violino, giusto per fargli emettere qualche dolce nota dolente, come era solito fare fino a qualche tempo prima. Ma proprio mentre si stava incamminando verso casa, un grosso uccello gli attraversò la visuale, troppo velocemente perché potesse distinguerne bene le caratteristiche. Forse se fosse stato suo fratello Tom a essere quasi investito da quel volatile si sarebbe limitato a imprecare e avrebbe continuato per la sua strada, ma lui non era Tom, era Georg. Il ragazzo infatti iniziò a cercarlo con lo sguardo finché non lo individuò appollaiato sul ramo di un alto pino. Era abbastanza grosso, con occhi dorati e becco appuntito, niente di particolare insomma, se non fosse per il colore del piumaggio: rosso, arancio, giallo e tutte le loro sfumature che diventavano sempre più scure a raggiungere il capo, tanto da sembrare quasi una fiamma vivente: sì bambini, era una fenice.
Incantato come non mai restò a guardarla finché lei per prima non se ne andò. Sentendosi pieno di nuova energia, corse a casa per prendere, come stava per fare prima, il suo strumento. Iniziò quindi a suonare per quella creatura che l’aveva tanto stregato con i suoi occhi d’oro e continuò così per molto tempo, finché non giunse la sera e l’animale gli apparve di nuovo davanti agli occhi. Forse stava solo sognando, si disse, ma quando la fenice volò avanti e si posò su un ramo come se fosse in attesa, il ragazzo la seguì. Dopo poco tempo si ritrovarono in una piccola radura ma talmente bella che farebbe uscire dolci lacrime anche dagli occhi ormai asciutti di un vecchio come me: era circondata dal alti pini e alberi di ogni sorta, con le foglie di mille colori, verdi, gialle e rosse, segno dell’arrivo imminente dell’autunno, al centro c’era unlago dai contorni ornati di narcisi aggrovigliati d’erica e con l’acqua talmente trasparente che si poteva vedere il fondo. E proprio quello il giovane osservò con più attenzione del resto del paesaggio. Perché non era rimasto imbambolato davanti ai narcisi? Semplice, perché dentro l’acqua cristallina c’era una creatura che faceva impallidire la bellezza dei fiori, nella fenice, del sole e delle stelle: c’era una splendida ninfa. Che affascinanti creature le ninfe, con i loro capelli lunghi e di tutte le sfumature del blu, con i loro occhi di tempesta, con le loro labbra morbide alla sola vista, con le ciglia che coprono pudiche con una curva tenda nera il loro sguardo deciso! Sicuramente anche il nostro protagonista ne rimase ammaliato. Ma a uno sguardo più attento questa aveva qualcosa di triste e impaurito, rabbioso, qualcosa che non dovrebbe appartenere a una creatura tanto celestiale. Il giovane se ne accorse: aveva una delle sue caviglie sottili incatenata a una roccia del fondale e la pelle trasparente che attorniava il metallo era piena di graffi, lividi e altri tagli più o meno profondi. Il suo cuore era straziato alla sola vista di una creatura che sarebbe dovuta essere libera come l’acqua in quelle condizioni. Prese quindi un lungo ramo e lo immerse nel lago, cercò poi di far comprendere alla ninfa quali fossero le sue intenzioni, ma lei si ritrasse spaventata, nascondendosi dietro una grosso masso. Il giovane, esasperato, tirò fuori dall'acqua il legno e si sedette accanto alla riva di quel piccolo specchio per gli dei. Avrebbe tanto voluto aiutarla, ma lei non si sporgeva nemmeno un po’ dal suo nuovo nascondiglio. Doveva assolutamente liberarla, non trovava altro modo per darsi pace: era come quando un fiocco di neve si attacca al vetro e, con il solo sguardo, si vorrebbe farlo scomparire, quasi impazzendo perché, ovviamente, non ci si riesce. Appoggiò il capo su un’alta quercia nelle vicinanze e iniziò a pensare a come renderla di nuovo libera. Non gli vennero in mente idee, se non chiedere a coloro che l’avevano imprigionarla di toglierle le catene. Si sporse quindi di nuovo verso la riva e lo chiese alla ninfa che, però non diede segno di aver capito. Probabilmente non comprendeva la lingua umana: una creatura così bella non poteva sporcarsi la voce con un linguaggio tanto rozzo; sicuramente le ninfe cantavano al posto di parlare, tanto erano belle. Con questa idea allora iniziò a suonare il suo violino, sperando che la creatura intuisse i suoi intenti. Forse questo non accadde appieno, ma la ninfa uscì dal suo nascondiglio per ascoltare meglio la melodia, tanto che tirò fino quasi al cedimento le sue catene per aggrapparsi alla riva e far uscire la testa fuori dall'acqua. Chiuse gli occhi e iniziò a tentennare il capo con delicatezza e, poco dopo, incominciò a cantare. Sembrava che tutto il bosco si risvegliasse alle sue note cristalline e che il mondo piangesse per la tristezza e la rabbia che ne scaturivano. Anche il ragazzo si ritrovò a piangere commosso e, asciugandosi le lacrime, finito il canto della fanciulla le porse un fiore rosso come il sangue. Non la toccò neppure, semplicemente glielo appoggiò di fronte. Lei spostò i suoi occhi morbidi prima sul fiore e poi su di lui. Sorrise. Il giovane quasi svenne dalla bellezza di quella meraviglia. Non si può descrivere a parole, bambini! È inutile che mi guardate con gli occhi spalancati alla ricerca di risposte! Non potrei nemmeno volendo dirvi di più. Comunque, calata la notte, il giovane se ne andò dalla radura promettendo a se stesso che l’indomani sarebbe tornato per tentare di liberarla. E non lo fece solo il giorno seguente, ma per molti a venire: scompariva all'alba, si recava alla radura e, come in un sogno, raggiungeva la ninfa che, sempre più bella e dolente, lo aspettava. Non si rivolgevano la parola, parlavano solo con la musica e facevano piangere loro stessi e l’intera radura. Una volta lei gli sfiorò il volto con una mano e si scambiarono un dolce e lungo bacio. Chissà se era amore vero oppure un ingenuo sentimento che, nel caso della ninfa, era rivolto all'unico che le portava gentilezze e che invece, nel caso del giovane, era un semplice stupore alla bellezza della creatura. Non saprei dire.
Comunque i giorni passarono e, circa un mese dopo, quando il giovane tornò alla radura per l’ennesima volta, non trovò più la ninfa ad aspettarlo. Non sapeva cosa fosse successo né conosceva le sorti della sua amata e, proprio per questo, distrutto dal dolore, prima si ferì i polsi con una pietra aguzza e poi si gettò nel lago, cadendo verso il basso. Ma tranquilli bambini, non affogò, qualcuno lo salvò. Si svegliò infatti nella sua casa di campagna, con la testa ricciuta appoggiata sul bianco cuscino. Subito pensò ad un sogno, ma quando si esplorò con gli occhi le mani per accertarsi di essere ancora vivo e non nell'Aldilà, scoprì le cicatrici ancora rosee sui polsi. Pianse allora, spese tutte le sue lacrime nei ricordi della ninfa, della fenice e della radura. Pianse per le loro melodie che commuovevano il mondo, pianse per il loro unico bacio, pianse perché, in fondo al cuore, sapeva che non l’avrebbe più rivista. Poi chiuse gli occhi e si addormentò e, da allora, il giovane tutte le notti nei suoi sogni incontra la ninfa, bella come non mai, che sorride e danza felice con la rossa fenice.»
I bambini sono ancora con gli occhi spalancati quando il signor George si alza dalla sedia su cui era accasciato con gli occhi umidi e, con un mezzo sorriso, augura a tutti un nuovo anno. La signora Jones sta sorridendo mentre piange. Ma tra tutti solo gli occhi del piccolo Joe si aprono talmente tanto da parere due sfere verdognole. Il motivo? Quando la mano secca e rugosa del vecchio si era sporta dal cappotto per afferrare la maniglia della porta, solo lui aveva intravisto una cicatrice biancastra. 

 
   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Favola / Vai alla pagina dell'autore: aturiel