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Autore: TheCatUnderTheSofa    09/01/2014    4 recensioni
Vernon Boyd, il beta.
Boyd che non parla molto, non sorride quasi mai e nessuno sembra notarlo.
Boyd che è morto davvero troppo presto e si è lasciato alle spalle una scia di silenzio.
"Ripensandoci, era stato piuttosto felice in quel periodo. Nonostante la paura, la rabbia, tutte quelle nuove e terrificanti cose da lupi, si era sentito stranamente bene. Era come avere di nuovo una famiglia, svegliarsi e sentire il calore dei suoi nuovi fratelli vicino a lui"
- Spoiler della terza stagione.-
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Boyd, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Boyd non parlava molto.

In realtà, da piccolo era stato un gran chiacchierone: sua madre Lisa amava raccontare quanto il piccolo Vernon fosse stato espansivo con gli altri bambini e con le insegnanti  dell’asilo. Le avevano sempre detto che era molto dotato e sarebbe diventato il suo orgoglio. Lisa aveva grandi piani per il suo piccolo ometto.

Poi, suo padre se n’era andato. Di punto in bianco, era sparito.

Sua madre non gli aveva mai detto perché, Boyd aveva provato a  chiederlo per qualche mese, insistentemente. Poi, sempre più di rado.

Infine, aveva smesso di chiedere informazioni sul padre. Aveva smesso di chiedere informazioni su tutto.

Ogni parola che non esprimeva, ogni pensiero che rimaneva intrappolato in quello spazio nero fra il cervello e la lingua, rimaneva li, all’infinito. Come un’eco della voce di sua madre, in lacrime, che gridava forte:
“Cazzo Vernon, smettila di chiedere di lui , smettila, smettila, è andato! E’ sparito! Non tornerà! Taci!”

Vernon Boyd non parlava molto, ma amava tanto. Amava tanto la sua povera mamma, che faceva doppi turni per mantenere lui e  le sue due sorelline. Amava le sue sorelle, le adorava, in particolare la maggiore, Alicia. Lei era quella che gli aveva spiegato di papà e delle  sue donne, dei viaggi di lavoro che non esistevano e di tutti i soldi, i loro soldi, che aveva buttato per un bel paio di gambe, in qualche città lontana.
Alicia gli aveva insegnato a pattinare. Quando aveva compiuto nove anni, sua sorella gli aveva portato un paio di pattini rosa usati come regalo e aveva consentito a Vernon di accompagnarla alla pista.

Dopo che papà se n’era andato, Alicia aveva preso a portare con se Boyd sempre più spesso. Passavano più tempo alla pista di pattinaggio che a casa loro. Il pattinaggio era la loro cosa speciale e quando sua sorella lo spingeva ridendo sul ghiaccio, tutti i problemi si disintegravano in uno sbuffo di fumo.
Erano solo i due fratelli Boyd e la lucida pista da pattinaggio di Beacon Hills, solo loro due contro il mondo. I più veloci, i più resistenti, i più audaci.

Audaci abbastanza da andare al laghetto della riserva di pesca ghiacciato, anche se non si poteva, anche se davanti c’era un cartello con scritto “Vietato l’accesso” e un cancello sbarrato.
Alicia aveva le chiavi. Aveva sempre le chiavi di tutto.
 
Dopo quella notte, Boyd non parlo più affatto per molto, moltissimo tempo. Non parlò con gli insegnanti, non parlò con lo psicologo, non parlò con i pochi amici che aveva e che pian piano si allontanavano. Non parlò più con sua madre. Non riusciva nemmeno a  guardarla in faccia.
Alicia era la persona più speciale della famiglia. Lei valeva molto più di loro. E ora era andata via, andata giù, in un posto da cui non poteva riportarla indietro. Solo perché lui non aveva fatto abbastanza attenzione a sua sorella.

Passò del tempo prima che ricominciassero a parlare, ad agire come madre e figlio, ma era solo una recita. Le loro parole erano vuote e nei loro silenzi si sentiva chiaramente l’eco delle grida di Alicia che affogava. Lisa non commentò nemmeno quando Boyd le disse che aveva trovato un lavoro.

Faceva il custode per la pista di pattinaggio.

-

Sette anni.
Dalla morte di Alicia, l’ultimo battito che il cuore umano di Boyd potesse ricordarsi, fino al primo battito del suo nuovo cuore di lupo.

Sette anni che erano semplicemente passati, nel silenzio e nell’isolamento, e che avevano cambiato il ragazzino in un giovane uomo alto e robusto, con due quieti occhi scuri dall’espressione indecifrabile.

Boyd non parlava molto, prima perché tanto nessuno lo ascoltava, poi, dopo sua sorella, perchè non ne aveva più avuto voglia.

Non aveva nulla di interessante da dire.

Eppure, in mezzo a quella confusa massa di adolescenti irrequieti e aggressivi, in mezzo agli atleti e ai secchioni, in mezzo alle sexy ragazze pon pon o alle studentesse che potevano risolvere equazioni a mente, Derek aveva scelto loro tre.

Isaac, che era bellissimo ma rotto, senza alcuna speranza di guarigione. L’essere umano più simile ad un cane randagio che Boyd avesse mai visto. Non che ci avesse mai parlato. Tutti sapevano delle botte che Isaac prendeva da suo padre, ubriacone e stronzo di prima categoria, e non voleva caricarsi anche di problemi altrui. Inoltre, Isaac ringhiava, se era di cattivo umore, e quando a casa ti aspetta uno come suo padre, sei sempre di cattivo umore.

Erica. Prima della trasformazione, non c’era molto da dire su Erica. Era così…insignificante. Come un piccolo ratto vestito a festa che cerca di piacere a tutti i gatti della zona. Epilettica, praticamente invisibile, se non quando veniva presa di mira da qualcuno. Era così sensibile al giudizio altrui che bastava una parola per spaccarla in due. Eppure, quella ragazza gli piaceva.
Parlava con lui.
Anche se lo faceva solo perché non aveva nessun altro con cui farlo.

E infine, Vernon Boyd. Non sapeva cosa in lui avesse attirato Derek, non glielo aveva mai chiesto. Tendeva a non chiedere mai le cose.

L’alpha si era solo avvicinato dopo la scuola e lo aveva squadrato da capo a piedi, poi gli aveva chiesto se volesse essere qualcosa di più che un’ombra nella propria stessa vita. Gli aveva proposto il morso.
Boyd aveva accettato e Derek aveva quasi sorriso. Il fatto che Vernon fosse praticamente muto rendeva Derek piuttosto felice, anche se i loro viaggi in macchina erano agghiaccianti.

Ripensandoci, era stato piuttosto felice in quel periodo. Nonostante la paura, la rabbia, tutte quelle nuove e terrificanti cose da lupi, si era sentito stranamente bene. Era come avere di nuovo una famiglia, svegliarsi e sentire il calore dei suoi nuovi fratelli vicino a lui.
Erica imprudente e sensuale come una gattina  che scopre il mondo per la prima volta, i grandi, espressivi occhi blu di Isaac che lo fissavano a colazione, Derek e il suo broncio attraverso il quale si poteva scorgere la soddisfazione di vedere il suo branco giovane e pieno di possibilità. Lo sguardo fiero che aveva quando Erica lo aveva atterrato la prima volta, tutti erano fieri di lei. Era l’unica ragazza del branco, ed era forte e bellissima. Boyd amava vederla così viva.

Forse, la amava e basta. Non gli era stato dato il tempo per scoprirlo, comunque.


Non pensava mai al periodo passato nel caveau, o almeno cercava di non farlo, non da sveglio.
Di notte era un’altra cosa, i suoi sogni si tramutavano rapidamente in incubi, sempre nello stesso posto, sempre con le stesse persone.
Lui ed Erica stretti assieme come cuccioli, dentro a quell’immenso caveau. Non si guardavano quasi mai in faccia, si limitavano a fissare lo spazio vuoto davanti a se. Erica ogni tanto accarezzava la sua guancia, come per rassicurarlo, e sussurrava al suo orecchio. Usava quel tono pigolante che non le sentiva più da molto tempo e diceva sempre le stesse parole.
“Verrà a prenderci. Derek verrà. Siamo parte del branco. Verrà”

Poi il sogno piano piano sfumava nell’orrore e rimaneva solo l’immagine della Donna Alpha, Kalì, che assassinava la sua migliore amica. La sua sorella di branco.
Non si svegliava di soprassalto, mai. Rimaneva nel letto, immobile come una statua, finchè il ricordo non se ne andava, gli occhi spalancati di Erica incisi a fuoco nella mente.
Seduto nel letto, piangeva in silenzio.

Non avrebbe saputo che parole usare per esprimere quel dolore.

Cercava di non evitare Derek, di non dargli una parte della colpa, ma non era un santo e non gli era facile perdonare. Erica era morta pensando che Derek sarebbe corso a salvarli come un padre amorevole e lui sapeva bene quante delusioni potessero dare i padri. Cora lo scrutava con quegli occhi scuri così diversi da quelli del fratello, due pozzi neri e tranquilli, quasi apatici, che a Boyd ricordavano i propri.
Entrambi tenevano per se la maggior parte delle parole, almeno quelle che contavano davvero.

 Cora non chiedeva mai a Boyd di Erica e della sua famiglia, Boyd non chiedeva mai a Cora dove esattamente fosse stata per tutti quegli anni. Si trovavano bene, nel silenzio. Accoccolati uno di fianco all’altro, sul divano, a guardare un film che nessuno dei due seguiva davvero, cercavano insieme di non pensare. Di non sentire. Di fuggire a quella sensazione d’angoscia che li attanagliava, come se fossero ancora chiusi in quel caveau buio da cui Erica non era mai uscita.

Magari, lui e Cora sarebbero potuti diventare amici. Avrebbero potuto aiutarsi a vicenda, salvarsi da quel silenzio autoimposto che li condannava alla solitudine.

Non gli era stato dato il tempo per scoprirlo, comunque.
 

La morte non determina come un uomo ha vissuto, ma di sicuro ha una ragguardevole importanza nella scala delle priorità della vita. L’istante prima della morte è l’ultimo baluardo prima dell’oblio. L’ultima chanches di raccontare ciò che non si è mai detto, di gridare e farsi sentire.

Vernon Boyd aveva diciassette anni, tre mesi e quindici giorni quando si è trovato nell’appartamento di Derek Hale, con due squarci che gli aprivano in due il petto come colpi di pistola e l’ultima possibilità che il mondo gli offriva di farsi ricordare, almeno dalle poche persone per cui aveva significato qualcosa.
 La vita è ingiusta. Nell’unico momento in cui Vernon Boyd voleva davvero dire qualcosa, gli mancava la forza per farlo. L’unica cosa che riuscì soffiare fuori fu una frase piuttosto patetica
“Va tutto bene”

Non che non andava bene. Voleva parlare, voleva comunicare.
Voleva essere ascoltato, voleva dire che gli dispiaceva di lasciare Cora da sola, proprio ora che iniziavano a capirsi, e anche Derek, perché ora sapeva che a volte gli avvenimenti semplicemente ti sfuggono di mano, anche se sei un alpha super forte e sempre arrabbiato. Voleva dire ad Isaac che non aveva mai pianto con lui per Erica e che si sentiva uno schifo per averlo ignorato quando lo aveva visto nel bosco, che piangeva di fronte all’albero che avevano scelto come lapide per la loro piccola e bellissima sorella di branco, ma proprio non ce l’aveva fatta. Consolarlo avrebbe significato affrontare la cosa ed era ciò che lui non aveva mai fatto.
Si era semplicemente limitato a prendere il dolore e fagocitarlo nel buio che si era costruito dentro negli anni.
Nel suo personale caveau di pietra di luna.

Voleva dire a Stiles che in realtà non lo considerava così tanto un perdente, anche se rimaneva un ragazzino molto strano e voleva dire a Scott che era la persona più onesta e retta che avesse mai conosciuto e di prendersi cura di quello che restava della sua famiglia. Di entrambe le sue famiglie.

Avrebbe voluto abbracciare sua madre come non faceva da una decina d’anni. Dirle che la amava.

Avrebbe voluto stringere le mani della sua sorellina e prometterle che avrebbe vegliato sempre su di lei e gridarle che le voleva davvero bene, anche se non lo aveva mai detto.

Avrebbe voluto vedere suo padre e parlare con lui, da uomo.

Ma si sentiva sempre più debole, sempre più stanco e inoltre non si ricordava nemmeno come si faceva a dire tutte quelle parole.


Alla fine, Boyd non aveva mai parlato molto.
 
 
 Epilogo:
 
Cora e Isaac si occuparono del corpo di Boyd, come si erano occupati di quello di Erica. Siccome la ragazza risultava scomparsa e un omicidio avrebbe portato all’incriminazione di Boyd, avevano deciso di seppellirla nel bosco. Boyd aveva una famiglia che lo cercava, quindi lo lasciarono su una strada trafficata al confine dello stato, con i suoi documenti, in modo che fosse ritrovato e riportato a casa.

Il caso fu archiviato come uccisione da parte di un animale. Il ragazzo risultava scappato da casa per la seconda volta.

La famiglia fece dei funerali molto privati. Cora, Isaac e Derek preferirono non presentarsi alla cerimonia.

La tomba di Vernon Boyd è al cimitero di Beacon Hills, di fianco a quella della sorella, Alicia Boyd.

Solo poche persone lo sanno, ma li vicino c’è anche un’altra tomba, quella di Erica Reyes.
Il branco ha deciso che dovessero rimanere vicini, così che non si sentissero mai soli, nel buio.

Tutt’ora non mancano mai fiori freschi sulla lapide. Li porta un ragazzo, nessuno lo ha mai visto da vicino.
Qualcuno, con la bomboletta spray, ha disegnato sulla lapide una specie di simbolo celtico chiamato triskelion. Un gesto vandalico. Sotto c’è scritto “fratelli miei”. E’ stato aperto un fascicolo di denuncia contro ignoti, ma lo sceriffo ha deciso di ignorarlo.

Ogni tanto si sente ululare dalle colline intorno al cimitero.

Ma non ci sono lupi in California.






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Ciao  a tutti, non ho molte note da lasciare.
Non so, a me manca Boyd, quindi voglio spargere questo seme di tristezza per il mondo. Anche a voi manca?

Ho una meravigliosa notizia da dare: l'ultima frase della mia storia è ufficialmente sbagliata. Dopo più di 85 anni di assenza, un lupo grigio è stato avvistato in California. Speriamo sia solo l'inizio del ripopolamento di questo splendido animale!

Saluti,
The Cat Under The Sofa (miao)


“I personaggi ivi descritti non appartengono  a me, ma a Jeff Davis, o a MTV, o a chiunque ne abbia i diritti. Io li uso solo per evitare di studiare."



 
  
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