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Autore: Evanne991    09/01/2014    2 recensioni
Dal testo:
"Probabilmente era anche quello un sintomo dell’essere diventata signorina."
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Era l’estate del 1946. Un giorno di giugno caldo ed afoso, ed il piccolo paese era in festa. Era domenica. Le campane della piccola chiesa suonavano a festa, la messa era terminata e gente felice ed allegra occupava il piazzale, pronta ad applaudire i genitori con i figli appena battezzati. Venivano lanciati confetti, pasta di mandorle e monete d’argento, una pioggia di buon’augurio per i piccoli che ora facevano parte della comunità e della casa del Signore.
Netta non era andata alla messa delle undici, aveva da lavare le lenzuola, ed era andata al fiume a sfregare con grasso di maiale e camomilla il sangue che aveva perso. Era diventata una signorina solo ora, a quattordici anni, ed era andata felice e fiera a lavare i suoi umori, dopo aver sistemato delle pezze di cotone nella mutanda di cotone slargata, tenuta alla bell’e meglio da spille da balia. Con le gambe nella riva del fiume, bagnata fino ai polpacci, fischiettava un motivetto sentito alla radio la settimana prima, una sera che Don Lucenzo, il medico, aveva riunito i vicini di casa alla sua dimora, per far ascoltare loro della musica, dalla nuova radio che un suo cugino gli aveva portato dall’America.
Era felice, Netta, e sfregava il cotone, sudava al sole e sentiva da lontano le campane. Era andata alla messa delle sei del mattino, poi aveva aiutato sua madre nelle faccende domestiche, aveva raccolto le uova e dato da mangiare ai polli. Ora metteva le lenzuola pulite in una cesta di vimini e la posizionava in equilibrio sulla testa. Era elegante, Netta, ma non lo sapeva. Non sapeva neanche cosa significasse la parola elegante, lei aveva fatto a mala pena fino alla terza elementare, poi non era andata più a scuola, doveva aiutare in casa. Era la prima di tre figli, aveva una sorella ed un fratello minori, erano ancora bambini, ma Gigi, suo fratello, andava già a spazzare le strade all’alba con il loro papà.
Arrivata davanti casa, posò la cesta di vimini sui gradini di pietra troppo alti e mentre era china a sistemare i lembi delle lenzuola in modo simmetrico, così da stenderle sul fil di ferro che partiva dal portoncino in legno e finiva legato ad un chiodo piantato ad un albero di limoni, a qualche metro, si sentì chiamare da Maria, la vicina, che tornava dalla chiesa col marito Mario e Vincenzo, il figlio di appena qualche mese. L’avevano fatto battezzare.
-Netta! Netta! Vieni a casa, stasera, alle quattro! Vieni che facciamo la festa a Vincenzino! Vieni!
Netta acconsentì felice ed educata. Durante il pranzo sentiva nella pancia una strana sensazione, come se fosse ansiosa di andare alla festa di Mario e Maria, ma subito scacciò via l’idea, pensando che adesso era una signorina, e forse quelli erano solo sintomi. I suoi genitori si premurarono con lei che non facesse fare brutta figura alla famiglia, che aiutasse nell’organizzazione della festa, loro non sarebbero andati, la mamma aveva da che badare in casa, il papà andava a dormire presto, lavorava la notte. Netta si preparò con cura, indossò un vestito di cotone, rosso, che aveva confezionato lei stessa, legò i capelli lunghi in una treccia elaborata, poi si avviò a casa dei vicini, accondiscendendo alle raccomandazioni della madre di stare attenta e non fare tardi. I portoncini delle due case erano attaccati, in realtà a separare le due famiglie era solo un muro di pietra.
Netta salutò educatamente gli ospiti, i parenti, diede un bacio a Vincenzo e donò alla madre del bambino 16 uova, un pollo ed un fazzoletto di lino ricamato da lei stessa. Maria ne fu felice e le chiese di aiutarla ad affettare i prosciutti per gli invitati. Nel voltarsi, Netta, incrociò lo sguardo di un ragazzo. Non lo aveva mai visto. Forse non abitava lì. Forse abitava al paese giù, a qualche chilometro. Era bello. Aveva i capelli folti, castano chiaro, schiariti dal sole. Era già abbronzato, aveva una camicia bianca sbottonata sul petto, i pantaloni neri, era esile e magro, aveva gli zigomi sporgenti, la mascella pronunciata e gli occhi azzurri, chiarissimi. Fumava una sigaretta, ed arrivato al mozzicone ne accendeva un’altra dallo stesso.
Le sorrise e le fece un cenno col capo, a mo’ di saluto. Netta sentì un improvviso calore nel petto.
-Chi è quel ragazzo, Maria?- chiese a bassa voce alla vicina, mentre tagliava a fette un prosciutto che Maria puliva dal sale.
-È l’aiutante di Mario, è bravo a lavorare il rame, abita giù al forno. Non lo conoscevo neanche io, noi al forno non ci andiamo, noi il pane lo facciamo a casa!- disse fiera la donna. La donna aveva appena quattro anni più di Netta.
Erano le cinque, e gli uomini erano già allegri, avevano le gote colorate di vino, le donne chiacchieravano ad alta voce, Vincenzino veniva preso in braccio a turno da tutti, un po’ piangeva ed un po’ rideva. Netta sorrideva e parlava, educata. Ogni tanto guardava il ragazzo. Adesso non fumava più, ma beveva un bicchiere di vino mentre raccontava una novella in italiano, mentre tutti parlavano in dialetto. Un ragazzo in carne, dai capelli ricci appiccicati sulla fronte, iniziò a suonare una vecchia fisarmonica, un motivo ritmato, e gli uomini cantavano stonati, confondendo le parole. Le donne battevano le mani e qualcuno ballava la tarantella seguendo le regole tacite dei passi tradizionali. Netta batteva le mani e sorrideva. Sentiva male alla mascella, tanto sorrideva. Ad un tratto sentì afferrare la sua mano da una più grande e callosa, ed imbarazzata si ritrovò trascinata al centro della stanza dal ragazzo sconosciuto, che la faceva girare e le schioccava le dita vicino alla testa, sorridendo. Sudava, il ragazzo, ed i capelli folti erano ormai bagnati. Faceva caldo, o forse era lei a scoppiare. Netta pensò che il ragazzo sembrava  un attore. Lei non aveva mai visto un attore ma era certa che non ce n’erano di belli come lui. Il ragazzo la faceva volteggiare, le sfiorava le mani, poi l’afferrava dai fianchi stretti e l’accompagnava nei passi veloci. Netta sentiva il tocco del ragazzo quasi fosse nuda, quasi non indossasse alcun vestiario, e subito si vergognò di quel pensiero sconcio. Probabilmente era anche quello un sintomo dell’essere diventata signorina.
Quando la musica terminò, Netta non capì per quanto tempo avesse ballato con il ragazzo. Si accorse che anche altri amici avevano ballato, ma quando c’era la musica a fare da cornice alla sua immagine stretta al ragazzo, le era sembrata di essere sola con lui.
Sudata, agitata, preoccupata anche che qualcuno avesse potuto dire a suo padre che aveva ballato con un ragazzo, sedette su una seggiola bassa. Erano le sette, era tardi. Doveva rincasare. Si alzò immediatamente e salutò frettolosamente Maria e Mario, promettendo che l’indomani sarebbe tornata a trovarli, e mentre gli altri invitati continuavano a bere e festeggiare, corse al portoncino scheggiato.
Una mano calda, ormai familiare, le strinse il polso, un attimo prima che uscisse dalla stanza.
Netta sentì ancora più caldo, sentì di aver preso fuoco, aprì bocca per dire qualcosa ma non riuscì a parlare. Erano gli occhi più belli che avesse mai visto.
-Io mi chiamo Antonio.
Il ragazzo aveva una voce roca, ma non del tutto profonda. Avrà avuto al massimo un paio di anni più di lei.
Lei rimase in silenzio. Lui le sorrise e poi le diede un leggero bacio sulla guancia. Netta spaventata guardò oltre le spalle del ragazzo e vide Mario guardarli serio. Arrabbiata, non voleva che la gente pensasse che fosse una poco di buono, ma felice, perché il ragazzo era bello e sapeva di fumo e sudore e acqua di colonia, girò sui tacchi ed uscì, chiudendo la porta alle sue spalle ed entrando subito in casa sua.
Antonio si ritirò indietro, andò a sedersi sulla seggiola prima occupata dalla ragazza ed accese un'altra sigaretta. Mentre agitava il fiammifero nell’aria, Mario gli si avvicinò.
-Ti piace, Netta?
-Assai.
-È una bambina, ieri è diventata signorina.
-Me la cresco io.
-Tu parli, parli…
-No, io te dico oggi: io Netta me la sposo.
 
NOTE DELLA (PSEUDO)AUTRICE:
Saaaalve! Non mi dilungherò come mio solito, ma ho l’obbligo morale di appuntare un paio di cose: la storia è al 100% tratta dalla realtà, i nomi, i luoghi, la festa. Ho appena raccontato il primo incontro dei miei nonni. Sono stati insieme per cinquantadue anni e fin quanto posso ricordare (mio nonno è morto quindici anni fa) mia nonna arrossiva ogni volta che lui la guardava. Tutto qui! Baciotti. Evanne
  
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