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Autore: Uovo_Kir    21/11/2004    3 recensioni
Che accadrebbe se la nostra vita, i nostri sogni, i nostri dolori fossero solo un sogno? Se avessimo una seconda opportunità, faremmo gli stessi errori?
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ANCORA UNA VOLTA

ANCORA UNA VOLTA

 

Gatsu sedeva, stremato, su un masso ai piedi dell’albero che una volta apparteneva al re degli elfi. L’armatura del Berserk, ormai logorata dopo un anno di battaglie interminabili, sembrava gemere con lui, mentre l’ammazzadraghi, piantata nel suolo benedetto della terra degli elfi, sembrava una gigantesca lapide di ferro per tutti coloro che erano caduti sulla sua strada. Un lontano rombo indicava che i mostri al seguito di Grifis avevano infranto la barriera eretta dagli elfi al prezzo della vita di molti di loro. Quel lontano rintocco, come una campana, annunciava al Guerriero Nero che presto avrebbe fronteggiato il suo nemico per l’ultima, decisiva volta.

Un tremito incontrollabile incominciò a percorrere le sue membra, fino ad allora salde contro gli apostoli, mentre tutto ciò che gli era caro gli veniva strappato e moriva. L’armatura sembrò fremere preoccupata, come se temesse che il suo portatore non fosse in grado di sopravvivere alla battaglia imminente. Con un sorriso pieno di malinconia, Gatsu si ricordò la prima volta che aveva indossato quell’armatura: la ferocia innaturale di quella creatura si era sposata con la fiamma nera che dall’eclisse gli bruciava nel cuore, rendendolo molte volte più forte degli apostoli che avevano attaccato la casa di Flora; tuttavia per poco non era morto, a causa di quella forza incontenibile. Solo dopo molto tempo Shilke era riuscita a insegnargli a dominare quella forza, grazie proprio a quella fiamma nera che più volte era stata sul punto di sommergerlo; fu per quel motivo che il precedente proprietario non era riuscito a controllarne il potere, finendo per diventare uno spettro dal volto di teschio. La Bestia che fino a quel momento l’aveva divorato era della stessa natura dello spirito maligno rinchiuso in quel pezzo di metallo, e nessuno a parte lui possedeva quel mostro annidato nel suo spirito…

Il Guerriero Nero si riscosse dai suoi pensieri: aveva percepito un cambiamento nell’atmosfera, come una frattura.

“Sono qui.”

La barriera aveva ceduto. Dal giardino in cui si trovava, riusciva a vedere le nuvole di polvere sollevate dai mostri di Grifis: si avvicinavano a vista d’occhio. Con fare deciso prese un po’ della polvere d’elfo che Pak gli aveva lasciato prima di sacrificarsi per creare la Malìa e con essa si cosparse le ferite rimaste ancora aperte dopo il suo ultimo combattimento con Zodd, in cui finalmente l’apostolo era morto definitivamente. A quel pensiero una morsa di dolore si strinse attorno al suo cuore: Zodd l’aveva sorpreso meno di una settimana prima, alle porte della terra degli elfi. Per quanto ne sapeva, l’Immortale era andato in avanscoperta con un drappello di falsi apostoli, e per uno scherzo del destino si era imbattuto in lui. La tentazione era stata troppo forte: dopo aver congedato con la forza i mostri che l’avevano seguito, si era lanciato su Gatsu, smanioso di provare la sua nuova forza derivata dall’armatura del Berserk.

“Grandioso,” gli aveva detto il mostro taurino. “Non sospettavo minimamente che un essere umano potesse essere così forte… Ma tu ti stai ancora trattenendo. Perché non liberi tutta la tua potenza? Io conosco bene il desiderio omicida che si nasconde al tuo interno, e so quanta forza può sviluppare, specialmente grazie a quel manufatto. E allora perché non la scateni, tutta questa forza?!”

Gatsu stava combattendo col terrore che Zodd si accorgesse che cercava in tutti i modi di non coinvolgere Caska, atterrita dalla vista del mostro. Ciononostante, non aveva potuto astenersi dal compiere un fendente molto incauto e poco efficace, messo in atto per evitare di schiacciare Caska contro la parete rocciosa con la sua mole. Essendo un abile guerriero, prima che un mostro sanguinario, Zodd aveva notato l’apparente assurdità di quel movimento, e aveva capito che Gatsu lottava proteggendo Caska.

“Allora è per questo che ti trattieni, guerriero,” aveva detto, con un’espressione incuriosita negli occhi bovini. “Vediamo come ti comporti se lei muore…”

Gatsu era stato impotente, mentre osservava che in una frazione di secondo, senza nemmeno un urlo, Caska veniva spezzata in due da una zampata di Zodd. Ricordava ancora l’ira e la disperazione che in quel momento avevano devastato la sua ragione, e la sua decisione di lasciare che la Bestia e lo spirito dell’armatura si unissero come avevano già fatto, e gli dessero tutta la loro forza per attaccare Zodd. Il resto di quel combattimento era confuso nella sua memoria. Ricordava solo, quando era tornato in sé, il dolore lacerante dovuto al potere dell’armatura, che l’aveva quasi ucciso, e la disperazione senza nome che aveva provato sul cadavere spezzato in due dell’unica ragione che l’aveva spinto a mettere un passo avanti all’altro.

“Oh…” erano state le ultime parole di Zodd. “Sei veramente… forte… E’ stato un… onore… essere battuto da te…”

Cercando di non pensare ad altro che allo scontro imminente, Gatsu cosparse le sue ferite della polvere d’elfo.

 

Il re degli elfi gli aveva spiegato a grandi linee in cosa consisteva la Malìa elfica, ma Gatsu non si aspettava un effetto del genere: il suolo sotto i suoi piedi era percorso dalle vibrazioni della battaglia tra gli apostoli di Grifis e la terra degli elfi stessa, resa viva dall’incantesimo per cui tutti gli elfi avevano sacrificato la loro vita. Il cielo stesso aveva cominciato a sanguinare, e gli alberi del giardino attorno a Gatsu sembravano gemere, come se stessero partecipando anche loro alla battaglia. Poi arrivarono le urla.

I mostri al seguito di Grifis non si aspettavano certamente di incontrare un esercito pronto ad affrontarli, ma nemmeno che il terreno sotto i loro piedi si aprisse per inghiottirli, che il vento strappasse la carne dalle loro ossa, che gli alberi mostrassero di avere una corteccia più resistente dell’acciaio e potessero muoversi, per chiudere la ritirata agli sbigottiti invasori e stritolarli con i loro rami fino a far zampillare il loro sangue in alto, come oscene fontane di carne.

Sotto il cielo che andava oscurandosi di nere nubi, cariche di tempeste e fulmini, il Guerriero Nero si preparava, di fronte all’arco spezzato che segnava l’ingresso al giardino segreto del re degli elfi, ad incontrare il suo vecchio amico.

Lentamente, la battaglia si avvicinava: Gatsu ormai riusciva a distinguere gli apostoli, le loro forme mostruose, che lottavano contro creature nebbiose che apparivano e sparivano come fantasmi, o contro montagne che in un momento sbarravano loro il passo, e nel momento successivo erano tornate valli. E al suo orecchio giungevano le urla di terrore e di dolore dei mostri, lancinati, divorati, smembrati da un nemico invisibile, tutto attorno a loro. Se Judo fosse stato vivo forse avrebbe colto l’ironia, la somiglianza grottesca di quella battaglia persa in partenza con l’eclisse, ma Gatsu non poteva permetterselo: il suo unico occhio scrutava quel mare informe di carne, denti e sangue alla ricerca di uno squarcio di luce, che gli mostrasse finalmente il suo nemico.

E infatti eccolo: la tremante massa degli apostoli fu trafitta da un raggio di luce, dritto davanti a Gatsu. Immerso in quella luce trascendente, avanzava Grifis, e sembrava che quella luce emanasse proprio da lui. Indossava la stessa armatura dell’ultima volta che l’aveva visto, sulla collina delle spade: gli intarsi a forma di piuma sembravano muoversi con una grazia sovrannaturale, accompagnando ogni suo movimento. La spada era già sguainata, ma era intonsa. La Malìa elfica non aveva effetto su di lui, non aveva dovuto combattere per raggiungere il giardino del re degli elfi.

“E’… colpa tua…”

Un turbine di emozioni si impadronì di Gatsu, di nuovo di fronte alla causa di tutta la sua sofferenza, dell’eclissi, della follia di Caska, della morte di lei e di tutti i suoi nuovi compagni. Dolore. Rabbia. Angoscia. Odio. Eppure non era l’odio l’emozione che lo possedeva, nonostante tutto ciò che aveva passato. L’odio era sparito con Caska. Ora di fronte a lui non c’era l’essere mostruoso che quel giorno lontano l’aveva violentata, prendendosi gioco di lui e di tutta la Squadra dei Falchi, non c’era l’essere che ad Albione aveva assoggettato Zodd con il solo sguardo, non c’era l’essere che sulla collina delle spade diceva di non provare nulla per lui. Ora, con la sciabola estratta dal fodero, immerso in una luce splendente, mentre intorno i suoi soldati morivano per lui, c’era il vecchio amico che lo aveva tradito. Non provava odio. Il sentimento che lo pervadeva era solo una profonda amarezza.

L’armatura del Berserk sembrava percepire questa stanchezza, una stanchezza provocata da anni di tristezza e sofferenza, e sembrava pesare come se non avesse intenzione di combattere senza il suo odio. Gatsu riusciva a stento a reggere l’ammazzadraghi, eppure sapeva che, per sopravvivere allo scontro imminente doveva sfruttare al massimo la sua forza e la sua agilità.

Grifis si era arrestato a meno di dieci passi di distanza, e aveva sollevato la sciabola, puntandola contro Gatsu. Per fortuna l’essenza della terra degli elfi non gli faceva sentire il dolore del marchio, altrimenti non avrebbe potuto fronteggiare Grifis. Al Guerriero Nero quella situazione ricordava intensamente il loro ultimo duello, quando aveva lasciato la Squadra dei Falchi, innescando l’inesorabile processo che avrebbe portato all’eclissi e alla distruzione delle Midlands e di tutti gli altri regni del continente ad opera degli apostoli di Grifis. Ma c’era qualcosa di diverso. All’epoca lui combatteva per un motivo, mentre Grifis, l’espressione fredda e decisa come suo solito, cercava di ostacolarlo. Ora Gatsu non aveva più nessun motivo per combattere, nel giardino benedetto del re degli elfi, poteva solo continuare a brandire la spada, senza altro motivo che la sua sopravvivenza. E l’espressione di Grifis non era fredda e decisa come quel giorno, e neppure distaccata e indifferente come sulla collina delle spade. Ora i suoi occhi sbarrati erano infiammati dalla febbre: l’intero suo corpo sembrava sul punto di lanciarsi per ucciderlo, per schiacciare quell’ultimo brandello della sua passata umanità. Era come preda della pazzia: una pazzia feroce, che gli aveva fatto accantonare il suo sogno, il regno che con il ferro e con il sangue aveva costruito, per andare alla ricerca di Gatsu, per stanarlo, per distruggerlo. Non era il Grifis che aveva conosciuto ai tempi della Squadra dei Falchi, e nemmeno il semidio incarnato intravisto ad Albione: davanti a Gatsu c’era una belva sanguinaria, il cui unico scopo era ucciderlo.

Fu un attimo: Grifis si lanciò con tutta la sua velocità contro Gatsu. Per una frazione di secondo gli occhi sbarrati del Falco Bianco furono a un centimetro da quello sorpreso di Gatsu, poi l’urto mostruoso del colpo di Grifis fece volare il Guerriero Nero lontano. Non si era aspettato tutta quella forza da una sciabola così esile: evidentemente anche Grifis, grazie alla sua natura divina, era diventato più forte dall’ultima volta. Ma quel colpo, che aveva incrinato l’armatura del Berserk, gli stava facendo montare la sensazione familiare del desiderio di uccidere: nel suo cuore, la bestia che credeva sopita, dopo la morte di Caska, ricominciò ad ululare, e ad essa si unì l’urlo lacerante dello spirito dell’armatura del Berserk. Finalmente, il corpo di Gatsu si erse in tutta la sua statura, impugnando saldamente l’ammazzadraghi, di nuovo desideroso di uccidere.

“E’ stata colpa tua!”

 

Per un tempo che sembrò illimitato per Gatsu fu solo roteare la spada, evitare i colpi, sentire l’urto micidiale di quella sciabola e il sapore del sangue nella bocca. Non riusciva nemmeno a vedere Grifis, che si muoveva velocissimo da una parte all’altra del suo campo visivo. Invece lui, per quanto veloce potesse essere diventato grazie alla sua ira e all’armatura del Berserk, continuava a subire: le parti della corazza stridevano per il contatto con il metallo divino della sciabola di Grifis, e, lentamente, perdevano coerenza. Se non faceva qualcosa al più presto, sarebbe stato inerme di fronte al suo nemico. Nella nebbia rossa che gli annebbiava gli occhi, a Gatsu parve di vedere una breccia nella guardia di Grifis, e senza nemmeno il bisogno di pensarci, vi abbatté l’ammazzadraghi con tutta la sua forza. Per un attimo fu assordato dal clangore dell’impatto, ma poi sentì l’armatura cedere, e il balzo all’indietro del suo nemico: ciò gli concedette un breve attimo di respiro per riprendere lucidità e valutare la situazione.

Sentiva dolore in tutto il corpo: solo l’armatura del Berserk l’aveva salvato da gravissime ferite. Tuttavia era quasi inutilizzabile: la gorgiera si era staccata, lasciando esposto un pericoloso punto debole per l’agile sciabola di Grifis, e in molti altri punti essa era sbrecciata, incrinata, se non addirittura trafitta. Se almeno avesse avuto ancora l’elmo, infrantosi nella battaglia contro Zodd, avrebbe potuto in parte proteggersi dai prossimi attacchi, ma così testa e collo erano scoperti, mentre qualunque altra parte del corpo era praticamente alla mercé dei colpi del Falco Bianco. D’altronde, con il suo ultimo colpo, Gatsu era riuscito a staccare lo spallaccio sinistro di Grifis, aprendo un punto debole diretto nella sua armatura piumata: lo squarcio rendeva visibile la spalla nuda del Falco Bianco, un ottimo bersaglio per il suo prossimo attacco. Dallo sguardo di Grifis, Gatsu tuttavia capì che anch’egli aveva notato l’opportunità donatagli dal suo collo sguarnito. Entrambi avrebbero tentato il tutto per tutto: con quel colpo avrebbero deciso le sorti del combattimento.

Solo ora Gatsu si accorse che intorno a loro la battaglia era finita: il pomeriggio primaverile della terra degli elfi si era trasformato in una notte senza luna, illuminata solo dagli ultimi lampi nel cielo nuvoloso. La terra si era seccata, riducendo lo splendido giardino del re degli elfi in un desolato deserto. Il vento era caduto, e l’acqua scomparsa: la terra degli elfi era morta. Il silenzio copriva come un manto di morte la distesa di cadaveri immondi che una volta avevano costituito l’invincibile armata di soldati diabolici agli ordini di Grifis, ormai resti lacerati privi di forma. La battaglia era finita, e nessuno aveva vinto. Nessuno degli apostoli era sopravvissuto alla furia scatenata dalla Malìa degli elfi, e la terra stessa, animata, stava emettendo i suoi ultimi respiri. Solo loro due si fronteggiavano ancora in quel deserto inondato di sangue e ossa.

Senza sapere chi per primo avesse fatto la sua mossa, entrambi si lanciarono l’uno contro l’altro, mirando alla gola e alla spalla, entrambi consci che non avrebbero avuto seconde opportunità. Gatsu fu sorpreso dal fatto che Grifis non si era mosso minimamente per proteggersi la spalla, ma non perse tempo e calò con tutta la forza che poteva l’ammazzadraghi nell’apertura sulla spalla del suo nemico. Sentì l’acciaio affondare nella carne, infrangere l’osso e penetrare giù, attraverso la gabbia toracica di Grifis: con un poderoso clangore, la spada si spezzò, e gran parte della lama volò via in frantumi, distrutta dalla potenza dell’impatto. In mano a Gatsu rimase l’impugnatura e la parte di lama affondata nel petto squassato di Grifis. La facilità di quell’attacco per un attimo sorprese il Guerriero Nero, che si chiese come avesse potuto Grifis ignorare un punto debole così vulnerabile e pericoloso. Quando lo guardò negli occhi di fuoco, capì che a lui non importava affatto sopravvivere o morire in quel duello, l’unica cosa che gli interessava era affondare la sua sciabola nel collo di Gatsu fino all’elsa. E così aveva fatto. Gatsu non sentiva nemmeno dolore, mentre guardava incredulo il suo stesso sangue uscire a fiotti dal suo collo e inondare la mano e il braccio di Grifis. Anzi, cominciava a sentire un grottesco senso di ironia montargli nel cuore.

E così, devo morire in questo modo…”

Lasciando la presa sull’ammazzadraghi, incurante della sorte di Grifis, travolto da un sentimento a metà tra l’amarezza e l’ilarità, Gatsu si lasciò cadere sulla schiena, sfinito.

 

“Allora… E’ così morire…”

Gatsu si sentiva fluttuare. L’ultima cosa che ricordava era la sciabola di Grifis affondata nel suo collo, e i suoi occhi morenti, ancora iniettati di sangue e odio nei suoi confronti, un odio animale, privo di lucidità. Poi era caduto all’indietro, ma non aveva mai toccato terra. Di fronte a lui c’era solo un’oscurità venata di rosso, e le sue orecchie erano colme del battito di un cuore gigantesco. A sprazzi ricordava elementi del suo passato: il sacrificio sofferto di Pak, che fino all’ultimo gli era stato vicino, offrendogli tutta la polvere che fosse stato in grado di produrre prima di partecipare al rituale per la Malìa; la morte di Caska ad opera di Zodd; la sparizione del vecchio spirito del teschio, sprofondato nel vortice insieme al suo nemico, Boid della Mano di Dio; l’uccisione di Farnese e Serpico ad opera dei soldati diabolici di Grifis; quella di Isidoro ad opera di Shilat; le rispettive, sanguinose, vendette che Gatsu si era preso sugli assassini dei suoi amici; la terribile consapevolezza, la morte di Shilke e Ibarella, subito dopo aver imparato a padroneggiare l’armatura del Berserk: era bastato un attimo di disattenzione per perdere il controllo e imbrattarsi, nuovamente, di sangue innocente…

E poi il precedente incontro con Grifis, sulla collina delle spade, prima che venisse devastata e che Rickert e Erika venissero uccisi dalle orde dei suoi mostri; Albione, l’incontro con Caska, l’apparizione di Grifis tra le macerie; la battaglia terribile con l’apostolo falena, in cui aveva cominciato a sentire il dubbio, l’incertezza delle proprie scelte, il peso della sua spada.

E sempre più velocemente, la dura lotta con il Conte e con l’uomo serpente, l’atroce giorno dell’eclissi, in cui tutto era cambiato, il salvataggio di Grifis, Caska e il suo amore, il ritorno nella Squadra dei Falchi, l’anno di addestramento, il primo combattimento con Shilat e il primo incontro con Godor: e infine quel momento lontano, tanto simile al suo ultimo giorno di vita, il duello con Grifis, dopo il quale più nulla era stato lo stesso.

Gli sembrava di sentire ancora il freddo dell’inverno, la tiepida luce del sole appena sorto sulla pelle, la tensione per quel colpo, che avrebbe deciso il destino dell’intero mondo. Vedeva innanzi a sé lo sguardo deciso e freddo di Grifis, così simile eppure così diverso da quello tremendo del mostro che l’aveva ucciso, poi gli sembrò che tutto scomparisse, che finalmente l’oblio si prendesse la rivincita su di lui, che per così tanto tempo aveva evitato la morte. Ma sentiva ancora qualcosa: freddo, sulla schiena, suoni confusi, qualcuno che lo teneva per le spalle.

Gatsu! Gatsu, mi senti!”

Judo…

Lentamente, Gatsu aprì gli occhi, e la luce del sole nascente li ferì come se essi non avessero mai visto luce: il volto preoccupato di Judo, su di lui, così come se lo ricordava. Lo zigomo destro gli bruciava da morire e sentiva pungere allo stesso lato del collo. Esitando, si sollevò a sedere, e si passò una mano sul volto: una ferita, una sottile ferita sotto l’occhio che credeva di aver perso nell’eclissi e, dietro il collo, una scheggia di legno nel punto in cui doveva esserci il marchio. Incredulo, guardò il proprio corpo. L’armatura del Berserk era sparita, sostituita da vestiti da viaggio, i vestiti che indossava quel giorno lontano. Il braccio sinistro era nuovamente al suo posto, e vicino alla destra c’era il suo vecchio spadone.

Gatsu…?”

Con un sobbalzo, si accorse di essere tenuto per le spalle da Judo, vivo.

Ju… Cos’è…”

“Il colpo di Grifis è stato deviato dal tuo spadone, e ti stava per colpire in un occhio. Per evitarlo sei inciampato e hai battuto la testa. Ti senti bene?”

Grifis! Gli occhi di Gatsu si volsero spaventati a cercare il suo nemico. Invece vide una spianata nevosa, con un albero morto, e i suoi amici della Squadra dei Falchi chini su una persona stesa a terra. C’era Pipin, taciturno come sempre, il capo appena reclinato, e sotto di lui Rickert, inginocchiato, in lacrime, di nuovo bambino. Kolcas, anche lui in lacrime, stava sbraitando qualcosa, anche se non si riusciva a comprenderne le parole. La persona stesa sulla neve si stava lentamente rialzando a sedere. Gatsu non poteva crederci: gli stessi vestiti di quella volta, i capelli argentei, con una sottile striscia di sangue sul lato sinistro. Solo negli occhi Grifis gli ricordava il mostro che aveva affrontato: spalancati, gonfi di un ignoto terrore. Solo ora Gatsu si accorse della persona che si stringeva al petto del suo nemico, soffocando i singhiozzi, i capelli corvini sulla pelle scura lasciati scoperti dal colbacco ruzzolato al suolo.

Caska…”

Un’ondata di emozioni diverse s’impadronì del suo animo: com’era possibile tutto questo? I suoi compagni erano tutti morti nell’eclissi, era passato molto tempo ormai, eppure si trovavano lì, di fronte a lui. Era morto? Era un sogno? Gli ultimi attimi di vita prima che la morte sopraggiunga? Il sole giocava, riflettendosi sulla neve e riverberando nei suoi occhi. Il graffio sul volto bruciava e pulsava, e la neve era gelida sotto di lui, il fiato di Judo, preoccupato, si condensava di fronte a lui: era tutto reale. Ma se era reale, allora anche Caska

Con uno sprazzo di energia che non sospettava di avere, dato il duello concluso con la morte di Grifis, si gettò in avanti, lo sguardo furioso: Caska era viva, non sapeva del pericolo cui andava incontro abbracciando Grifis. Mentre Judo cercava come poteva di trattenerlo di trattenerlo il suo sguardo incontrò quello del suo rivale, e Gatsu si immobilizzò all’istante.

Negli occhi di Grifis, Gatsu vide la sua stessa incredulità, la sua stessa sorpresa, il suo stesso smarrimento, e inoltre un terrore più profondo di quello che lui stesso avesse mai provato: il terrore di mille eclissi, degli abissi dell’inferno dove la Squadra dei Falchi era stata massacrata, il terrore innominabile di un’esistenza votata al male.

Gatsu! Cosa stai facendo?”

Judo stava perdendo la presa, e gli stava gridando di fermarsi: non capiva che Grifis presto li avrebbe portati ad una morte atroce. Gatsu non voleva sentire ragioni: Caska era viva, era in pericolo, se adesso l’avesse salvata avrebbe avuto un’altra occasione per poterle stare vicino, come non era riuscito a fare in passato. Un’altra occasione. Fissando Grifis negli occhi si era bloccato. Era dunque un’altra occasione quella che gli si presentava? Un’altra occasione per fare la cosa giusta con Caska? No: quella l’aveva già avuta, e non era riuscito a sfruttarla.

Kolcas, avendo notato il movimento rapidissimo di Gatsu, sollevò il volto rigato di lacrime da Grifis e cominciò a gridargli contro.

Sei contento adesso? Hai ferito Grifis: è questo che volevi? Ora ti senti libero dalla Squadra dei Falchi, libero di andare dove diavolo vuoi? Allora vattene!”

Una seconda opportunità… L’opportunità di rimediare ad un errore del passato, l’opportunità di far sì che l’orrore di quegli anni passati a lottare senza scopo non avvenga mai. Però Caska deve sapere che Grifis non ha esitato a sacrificare tutti, lei compresa, in nome del suo sogno: doveva assolutamente salvarla. Una seconda opportunità. Era davvero per lui solo questa seconda opportunità? Il terrore negli occhi di Grifis… Non poteva essere una seconda opportunità anche per il suo nemico?

Di colpo il corpo di Gatsu si rilassò e cadde al suolo, trascinandosi dietro un Judo sempre più sorpreso. Forse anche per Grifis questa era una seconda opportunità? Sì: il terrore nei suoi occhi era inequivocabile. Quello che avevano vissuto non era il suo sogno. L’eclissi non aveva realizzato il suo sogno, ma solo l’incubo di un dio meschino, che li aveva utilizzati come pedine. Una mano gigantesca aveva fatto scontrare lui e Grifis, quel giorno lontano, innescando tutto. Se lui quel giorno non fosse partito…

Gatsu si rialzò di colpo, e aiutò ad alzarsi anche Judo, poi si avvicinò lentamente a Grifis, ancora circondato dagli altri.

Grifis… come ti senti?”

Gli occhi stupiti e terrorizzati di Grifis vagarono per un attimo, persi tutto attorno, come se non sapesse dove si trovasse. Poi incontrarono quelli di Gatsu. In un istante, sembrarono riconoscere qualcosa che avevano perso, e tornarono lucidi, come se si fossero tranquillizzati.

“Mi… sento bene…”

 

Rassicurato dalle parole dei due, Judo accennò una risata.

“Bene, sembra che il duello sia finito con un pareggio. E ora? Gatsu, cosa farai ora?”

Kolcas si asciugò le lacrime dagli occhi, vergognandosi di piangere.

“Non ti azzardare a sfidare nuovamente Grifis. Hai vinto, l’hai steso. Ora vattene, levati di torno.”

Gatsu portò lo sguardo lentamente sui volti di ciascuno dei suoi amici, sentendo una nuova emozione crescergli nel profondo. Quando incontrò gli occhi scuri velati di lacrime di Caska, pieni di rancore per la ferita inflitta a Grifis, una fitta di dolore gli attraversò il cuore. Caska amava Grifis, non Gatsu, ora. Le possibilità di vivere con Caska e con il suo amore erano sfumate, le aveva perse da tempo. Ora però aveva la possibilità di rimediare all’errore più grande della sua vita, e non se la sarebbe fatta scappare.

“Ho deciso di restare. Certo, se per Grifis va bene.

Con un ultimo momento di indecisione, tese la mano destra verso Grifis, per aiutarlo ad alzarsi.

Per un attimo un’ombra sembrò velare gli occhi del Falco Bianco, ma subito lui sbatté le palpebre, come per scacciare un pensiero cattivo. Aprendo le labbra in un sorriso, afferrò la mano tesa di Gatsu.

“Per me va bene, amico mio.

Tutti erano increduli: Gatsu era sembrato irremovibile, così come Grifis, e per un istante avevano anche messo a repentaglio le rispettive vite, eppure ora sembrava non si fossero mai messi l’uno contro l’altro. Grifis si era rialzato, barcollando per il colpo di spadone sulla testa, e Caska l’aveva prontamente sorretto, e ora i due sfidanti si stavano fissando negli occhi: era come se stessero parlando una lingua che solo loro conoscevano. Poi Judo decise che la tensione era ormai troppa.

“Bene, direi che possiamo festeggiare la decisione di Gatsu, che ne dite?”

Rickert urlava e piangeva dalla gioia, abbracciava alternatamente Grifis e Gatsu, Pipin si apriva in un lieve sorriso appena accennato, Kolcas sbuffò, mostrandosi corrucciato, ma con un sorriso mal dissimulato sulle labbra, Caska, ancora in lacrime, sorrise dolcemente a Judo, tenendo la mano di Grifis.

“Allora è deciso! Ragazzi, vi portiamo io e Kolcas in una locanda che conosciamo, vicino alle mura di Windom. Faremo baldoria fino a pomeriggio inoltrato!”

Lentamente, i quattro falchi si avviarono, e alla domanda di Judo: “Che fate, voi tre, venite o volete restare lì?”, Gatsu si riscosse e rispose: “Vi raggiungiamo subito!”

Caska cercò di pulire con la manica il sangue sui capelli di Grifis, ma questi le prese dolcemente il polso, sorridendo.

“Vai pure con gli altri, arriviamo subito.

Titubante, Caska gettò un ultimo sguardo interrogativo a Grifis e a Gatsu, poi si avviò verso Windom.

Per un tempo che sembrava dilatarsi all’infinito i due rimasero vicino all’albero morto, in silenzio, senza nemmeno guardarsi. Poi Gatsu si rivolse al suo nemico di un tempo.

Grifis, senti… io…”

L’altro alzò una mano, sorridendo, più sereno di quanto l’avesse mai visto.

“Non importa…”

Con il cuore più leggero di quanto non lo fosse da tempo, Gatsu appoggiò il suo spadone all’albero, deciso a farsene forgiare uno nuovo, che non avesse il sangue di Grifis sulla lama, e si diresse verso gli altri, che li stavano aspettando.

 

Grifis avrebbe voluto fare molte domande, riguardo quello che era successo, ma sapeva che non avrebbe ottenuto risposta. Era stato solo un sogno? Aveva già vissuto quel duello, ed era stato sconfitto. Da quel momento qualcosa in lui si era infranto, aveva perso lucidità, aveva rischiato troppo. E alla fine, aveva pagato con la vita della sua Squadra dei Falchi. Forse in quei momenti il suo sogno gli sembrava tanto lontano da giustificare la sua disperazione, e il sacrificio della Squadra. Ma dopo la consacrazione, dopo la morte dei Falchi, era rinato, ma non era più se stesso: anche in quel momento sentiva l’oscurità che aveva forgiato il cuore di Phemt, che aveva distrutto Caska, che aveva reso Gatsu una semplice e irrilevante variabile del suo progetto. L’oscurità… un’oscurità che nessun cuore umano poteva sopportare. Eppure lui la ricordava, come se l’avesse vissuta sul serio.

Rimasto solo, Grifis sentì di nuovo l’angoscia del suo risveglio attanagliargli il cuore. Era tutto vero… L’eclissi, il nero vortice in cui si era… non c’era un termine che conoscesse per descrivere il modo in cui per due anni aveva vissuto in quel vortice, tutt’uno con il suo sogno e quel cuore gigantesco… E poi Albione, quando era rinato per mezzo del Karma in un relitto umano, per portare finalmente a compimento il suo sogno. Ma non era stato il suo sogno. Quando aveva incontrato Gatsu alla collina delle spade, qualcosa si era mosso nel suo cuore nero. Forse era colpa del bambino deforme che aveva interferito nella sua rinascita, ma Gatsu non gli era del tutto indifferente come lo era prima della rinascita.

Grazie alla profezia del Falco di Luce, era riuscito a raccogliere attorno a sé una nuova Squadra dei Falchi, formata da apostoli e mostri degli strati superiori del mondo spirituale, e patrioti ed esuli delle Midlands, schiacciate dai Kushan. Grazie alla profezia, fu acclamato come salvatore delle Midlands, e gli fu offerto il trono da lui tanto ambito. Apparentemente, il suo sogno si era realizzato. Ma qualcosa dentro di lui fremeva, contrastava con la freddezza necessaria per mantenere il suo sogno. Gatsu, l’uomo che gli aveva fatto dimenticare il suo sogno, era ancora vivo, e ciò non poteva sopportarlo. Lentamente, la follia aveva preso possesso della sua mente, ossessionandolo con quel nome. Finché fosse stato vivo, il suo sogno non sarebbe stato completo. Abbandonò Windom, partì con la Squadra dei Falchi, sempre più numerosa, alla ricerca di Gatsu, finché non l’ebbe trovato, nella terra benedetta degli elfi. Qui aveva sacrificato nuovamente i suoi compagni, ma la cosa non gli interessava: di fronte a lui c’era Gatsu, e nulla gli avrebbe impedito di ucciderlo.

Quando la spada di Gatsu aveva lacerato il suo corpo, in un attimo rivisse tutta la sofferenza, tutto il male che aveva compiuto la Mano di Dio e il Karma nel corso del tempo, ciò di cui anche lui aveva fatto parte. Al risveglio, il suo cuore umano fu quasi sopraffatto dal terrore che aveva provato, quasi non si era accorto di essere tornato a quel giorno, in cui era stato sconfitto da Gatsu. Una fitta lacerante alla testa lo fece quasi svenire di nuovo: forse lo spadone di Gatsu, deviato dalla sua sciabola, l’aveva colpito alla testa, facendolo svenire. Eppure era certo che quello che aveva vissuto negli ultimi anni non era un sogno. Allora come mai era tornato indietro? Come poteva portare la Squadra dei Falchi al massacro, sapendo che il suo sogno non si sarebbe comunque realizzato? Come avrebbe potuto sprofondare nell’oscurità, ben sapendo a cosa andava incontro? Se solo Gatsu, quel giorno lontano, non avesse deciso di abbandonare la Squadra…

Grifis… come ti senti?”

“Mi… sento bene…”

“Ho deciso di restare. Certo, se per Grifis va bene.

Aveva cambiato idea. Gatsu non voleva più lasciare la Squadra dei Falchi. Perché? Perché ha abbandonato il sogno che lo aveva spinto a incrociare il suo spadone con la spada di Grifis? Forse anche lui aveva vissuto un sogno pari a quello di Grifis? Sì, glielo aveva letto negli occhi: non c’era decisione, non c’era ripensamento, c’era solo una grande amarezza, e senso di colpa. Anche lui aveva vissuto molti anni nello spazio di un fendente di spada. E al suo risveglio aveva deciso di non proseguire con le sue intenzioni. Perché? Era forse possibile cambiare l’orrendo futuro in cui entrambi erano piombati? Era possibile avere una seconda opportunità per non sacrificare le cose più preziose?

Con mano tremante cercò il Bejelit appeso al suo collo e, trovatolo, se lo sfilò e lo fissò, finalmente conscio della sua natura e dei suoi poteri. Un occhio del monile si aprì, sornione, e sembrò avere una parvenza di intelligenza. Una seconda opportunità. Lentamente, Grifis inclinò la mano su cui teneva il Bejelit, fino a farlo cadere nella neve. Con un lieve sfrigolio, quasi infastidito, l’uovo del re conquistatore si annerì, e con un’ultima occhiata, che da quel volto sfigurato sembrava quasi ironica, si ridusse prima in polvere, poi a una macchia scura nella neve immacolata.

Una seconda opportunità, per non sacrificare le cose preziose. Gatsu aveva scelto di restare con la Squadra dei Falchi, rinunciando ad andare per la sua strada. Per Grifis, invece, cos’era tanto importante da sacrificare il suo sogno? Nulla. Ma c’era una cosa che avrebbe potuto diventare tanto importante. La ferita alla testa ricominciò a far male, ottenebrando per un attimo i suoi pensieri. Se avesse abbandonato il suo sogno, la Squadra dei falchi avrebbe potuto continuare ad esistere, o era destinata fin dalla sua fondazione a venire massacrata nel nome di un dio meschino sotto forma di castello? Grifis non lo sapeva: senza il suo sogno, era inerme. Aveva bisogno di qualcuno su cui appoggiarsi, qualcuno per cui fosse veramente importante, non in quanto comandante della Squadra dei Falchi, ma come nient’altro che Grifis. Gatsu era riuscito a cambiare. Aveva saputo trovare qualcosa di più importante del suo sogno nella Squadra dei Falchi, qualcosa più importante addirittura di Grifis.

Un lampo attraversò la mente ancora dubbiosa di Grifis. Tutti questi anni di morte e di dolore non lo avevano portato al suo sogno. Tutti i morti, dalla guerra dei cento anni all’eclissi, alla guerra con i Kushan, non glielo avevano fatto raggiungere. E se avessero indicato un’altra cosa invece del castello? Se per tutti questi anni fosse stato cieco, e non avesse visto la cosa più preziosa, che aveva distrutto in modo così mostruoso durante l’eclissi? Una cosa tanto importante da sacrificare il proprio sogno. Tutti quei morti, che lui credeva di aver ucciso in nome del suo sogno, sarebbero ugualmente vite sprecate se gli avessero indicato lei?

Caska!”

Senza più voltarsi verso la macchia nera nella neve, Grifis si diresse di corsa verso la città. Caska era rimasta indietro rispetto agli altri, e si avvicinò premurosa.

“Cos’hai, Grifis? Stai male?”

Lui le prese le mani nelle sue, sentì il freddo della pelle di lei passare nel suo corpo, e in qualche modo riscaldarlo. Gli occhi di Caska, stupiti, corsero dal volto di Grifis alle sue mani. Il rossore della sorpresa si diffuse sul suo volto scuro, mentre chinava lo sguardo, trepidante: Grifis, per quanto fosse stato sempre presente accanto a lei nei momenti più difficili, non le aveva mai preso le mani tra le sue.

Grifis…?”

Caska… Devo dirti una cosa…”

 

L’indovina si svegliò di soprassalto, un brutto presentimento nel cuore. Con foga inaudita mise a soqquadro la sua carrozza, alla ricerca della sfera di cristallo. Il rumore aveva svegliato il suo piccolo ospite.

Ma che succede? Si può svegliare così uno che ha lavorato fino a tarda notte?”

Pak, tu non lavori mai.”

La vecchia era troppo preoccupata per discutere con l’elfo che divideva con lei la carrozza. Finalmente trovò la sfera di cristallo e si mise a fissarla assorta. Dopo pochi secondi risollevò lo sguardo, stranamente sollevata.

“Ehi, vecchia, che ti prende?”

Il piccolo elfo non l’aveva mai vista così: sembrava triste, come se avesse perso qualcosa di caro, eppure sollevata, come se le fosse stato levato un grave carico dalle spalle.

“Niente, mio piccolo amico, non succede niente.

L’elfo fece una smorfia: “Certo che voi sensitivi siete veramente gente strana. Pazienza, non ho voglia di perdere tempo. Stamattina mi sono svegliato in modo strano: mi sembra di essere diverso. Forse questo carrozzone è troppo chiuso. Vado a farmi un giro, a dopo!”

Il piccolo elfo saettò fuori dalla tenda, nella pallida luce dell’alba, esitò e tornò un attimo indietro.

“Senti, vecchia, non so cosa tu abbia visto nella tua sfera di cristallo, ma hai un’aria molto strana. Cerca di non esagerare.

L’indovina sorrise.

“Non preoccuparti, Pak. Non ho visto proprio niente nella sfera. Vai pure a giocare. Ti voglio bene, Pak.

Stupito per le parole della vecchia indovina, l’elfo scrollò la testa e si allontanò. La vecchia non aveva mentito: non aveva visto nulla nella sfera. Non c’era più nulla da vedere. Non c’era più nulla che potesse manovrare il destino degli uomini. Non c’era più nulla, se non il mondo che la circondava. Una piccola lacrima scese dal suo occhio destro, sapeva che non avrebbe più rivisto il piccolo elfo; sarebbe scomparso come tutto ciò che non era di quel mondo. E, almeno un po’, le dispiaceva.

Con una scia luminosa, l’elfo scomparve nella luce dell’alba.

  
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