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Autore: Aries Pevensie    10/01/2014    0 recensioni
Questa è la storia di un amore che finisce, di un paio di ali spezzate da un vento troppo forte, di un sorriso scomparso, di un cuore più pesante e lento. Questa è la storia di Maeve e Harry, di quello che avevano e di quello che hanno perso.
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Although it hurts I'll be the first to say that I was wrong
Oh, I know I'm probably much too late
To try and apologize for my mistakes
But I just want you to know
I hope he buys you flowers, I hope he holds your hand
Give you all his hours when he has the chance
Take you to every party cause I remember how much you loved to dance
Do all the things I should have done when I was your man!
(When I was your man - Bruno Mars)
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ali di farfalla

 
 
Londra, novembre 2013
 
Too young, too dumb to realize 
That I should have bought you flowers and held your hand 
Should have gave all my hours when I had the chance 
Take you to every party cause all you wanted to do was dance 
Now my baby is dancing, but she's dancing with another man. 

 
Maeve riempiva freneticamente la terza valigia, senza curarsi di piegare bene tutte le cose, ma ben attenta a prendere tutto, per non lasciare ad Harry nessun pretesto per cercarla e niente che gli ricordasse di lei. Aveva pianificato tutto, preparava le sue cose già da un paio di giorni, più o meno da quando Harry era tornato a casa dal tour: si erano a malapena salutati, poi lui era corso dai suoi amici che non vedeva da mesi. Come se lei non fosse stata a Londra mentre lui girava il mondo, come se solo Nick e Cara avessero sentito la sua mancanza. Non aveva dubitato di lui, della sua fedeltà e della sua serietà, quando le aveva detto di dover partire per un tour di sette mesi in giro per il mondo; non si era tirata indietro quando aveva avuto la possibilità di raggiungerlo e fargli una sorpresa; non era rimasta delusa dalla sua reazione quando si era materializzata all’arena. Non sapeva perché, però, tutto quello fosse cambiato al suo ritorno, tutta la gioia nel vederla era scemata come l’applauso dopo un grande spettacolo. Lentamente si era trovata sola in una casa enorme, mentre il suo ragazzo a malapena l’abbracciava per scaldarla o semplicemente per essere più vicino a lei.
Le lacrime premevano per uscire, quella sera come i giorni prima, ma Maeve era determinata a non lasciarsi calpestare la dignità dall’ego spropositato del ragazzo che amava e per il quale aveva lasciato Holmes Chapel, in modo da poter stare con lui ed ottimizzare i pochi momenti in cui sarebbero potuti stare loro due soli. Con il passare dei mesi, però, Harry aveva cominciato a trattarla sempre più freddamente, come se fosse diventata un peso, una zavorra da sopportare e non una ragazza da baciare, con cui fare l’amore e con cui semplicemente ridere davanti ad un film. Maeve Simmons era passata da fidanzata di Harry Styles a ospite di casa. Un’ospite indesiderata, ignorata e lasciata sola, una banale ragazza che aveva mal interpretato le sue promesse di una vita felice insieme. Non avrebbe permesso ad un ragazzino troppo preso dalla fama di rovinarle gli anni migliori e di allontanarla dalla sua vita nella città natale. Lei era Maeve, aveva un carattere forte, una determinazione solida e dei principi, aveva una dignità e qualcuno che a casa non aspettava altro che vederla e riabbracciarla. E lì sarebbe tornata: dove qualcuno ancora la voleva.
Si raccolse frettolosamente i capelli ricci in una coda lenta e sbuffò, infilando l’ultima maglietta nel trolley. Aveva lasciato sul letto un paio di magliette e altrettante felpe che Harry le aveva regalato durante la loro convivenza, quando lei aveva freddo e lui era ancora così attento a lei, che si toglieva la maglia solo per poterla dare a lei e scaldarla.
Caricato l’ultimo scatolone nella sua piccola utilitaria, camminò lentamente fino alla porta d’ingresso, entrò e si guardò intorno un’ultima volta, la nostalgia che prendeva il posto della rabbia. Nonostante tutto, la relazione con Harry era stata la più importante della sua vita e la loro convivenza, anche se finita male, le avrebbe lasciato tantissimi ricordi. Abbandonò il suo mazzo di chiavi sul tavolino e sorrise amaramente, accarezzando il legno massiccio, freddo come il cuore di quello che stava diventando il suo ex ragazzo; uscì per sempre da quella casa, da quella vita e da quell’amore che le aveva regalato sì tante emozioni, ma anche tante, troppe delusioni. Quante cose avevano passato, quante volte lui era corso a casa, allarmato dalla sua voce strana al telefono, quante risate, quante lacrime di gioia e quante di dispiacere, quante partenze e quanti ritorni. Niente di tutto quello che avevano passato insieme sarebbe rimasto, era tutto finito, esploso come una bolla di sapone troppo sottile per resistere alla forza dell’uragano. Le ali delle farfalle sono fragili e basta un soffio di brezza a deviare la traiettoria e nella tormenta di quell’amore, Maeve aveva perso la traiettoria di Harry, l’aveva visto volare via senza voltarsi indietro, senza aspettarla.
Maeve Simmons uscì per sempre da villa Styles, il cuore in frantumi e il viso bagnato, il vento a spostare le sue prospettive verso un’altra strada, lontano da Harry.
 
Quando Harry tornò a casa, le luci all’interno erano tutte spente, il vialetto era deserto e il cielo cupo presagiva pioggia. Sia all’esterno che all’interno di casa sua. Si precipitò fuori dall’auto e corse in casa, il cuore che gli pulsava nel petto e il respiro affannato dall’ansia e dalla preoccupazione. Chiamò un paio di volte il nome della sua ragazza, vagando per casa alla sua ricerca; entrò in camera da letto e vide i suoi vestiti sul letto, quelli che aveva dato a Maeve, e un bigliettino.
Arrivi sempre troppo tardi. Maeve
Lo accartocciò con una mano e lo lanciò sul materasso, prendendo il cellulare dalla tasca dei jeans e componendo il suo numero a memoria. Non poteva essere andata via, Maeve non l’avrebbe mai fatto. Eppure quella era la sua calligrafia, il suo profumo, l’ultima parola sbavata da una lacrima. Era rimasto solo e non poteva far altro che prendersi tutte le colpe di quello che era successo. Non c’era cretino più grande di lui, non c’era mai stato nella storia un uomo che si fosse lasciato scappare così la donna della propria vita, come la sabbia tra le dita, l’acqua fra i sassi, il vento fra le foglie. Represse un urlo rabbioso, quando dall’altro capo del telefono scattò la segreteria telefonica.
Non c’era più niente da fare, aveva giocato con i sentimenti dell’unica ragazza che si era sentita a suo agio con lui, che non si era rivestita in fretta e non aveva lasciato la villa dopo una notte di sesso, che lo aveva guardato come un ragazzo normale, che l’aveva amato per quello che era, che gli aveva porto una mano per aiutarlo a rialzarsi. Non aveva posto freni alla sua stupidità, non si era accorto della sofferenza che le stava infliggendo, colpo dopo colpo, troppo concentrato sulla propria fama e felicità. Maeve era la sua felicità e lui l’aveva trascurata, data per scontata. Non poteva ancora credere a quello che era riuscito a combinare, al male che aveva fatto a lei e quello che aveva fatto a se stesso. Altro che fama e amici, lui aveva sempre avuto Maeve. Ma senza di lei, lui cos’era? Non era niente, niente aveva più senso senza di lei: andare a ballare, uscire a cena, salire sul palco, cantare l’amore. Niente di niente, ma lui, si rese conto, non l’aveva mai coinvolta in quello che faceva: a ballare, a cena con i suoi amici e ai concerti lei non andava praticamente mai e lui d’altro canto non la invitava mai. Forse, pensò, avrebbe dovuto farlo, perché lei se lo meritava. Si meritava tutto, Maeve, e lui non le aveva dato niente.
Era volata via, lontana dalla tempesta, lontana dalle correnti d’aria troppo forti. Digrignò i denti in una smorfia che doveva somigliare ad un sorriso e si sfiorò l’addome con due dita, nel punto esatto in cui si era tatuato una farfalla.
La sua farfalla dalle ali di cobalto era volata via e lui non aveva fatto niente per trattenerla. Anzi, le aveva spezzato le sottili e fragili ali.
 
 
 
Holmes Chapel, dicembre 2014
 
Although it hurts I'll be the first to say that I was wrong 
Oh, I know I'm probably much too late 
To try and apologize for my mistakes 
But I just want you to know 
I hope he buys you flowers, I hope he holds your hand 
Give you all his hours when he has the chance 
Take you to every party cause I remember how much you loved to dance 
Do all the things I should have done when I was your man! 
 
La città era in fermento, il Natale era alle porte e la prima neve era già caduta ad imbiancare i prati e i marciapiedi di Holmes Chapel. Maeve si strinse la sciarpa intorno al collo e camminò più svelta verso il cancello di casa Clifford, dove avrebbe preso il piccolo Michael e l’avrebbe portato al parco a giocare con i suoi amici, mentre lei avrebbe scambiato quattro chiacchiere con Martyn, il ragazzo con cui usciva da qualche mese. Dopo Harry non se l’era sentita di intraprendere una nuova relazione, ma quando aveva conosciuto Martyn, proprio in quel parco, il suo cuore si era alleggerito e aveva ripreso a battere più veloce e allora si era fidata e ci aveva riprovato un’altra volta.
La signora Clifford era già pronta ad affidare il bambino alla babysitter, così quando Maeve arrivò sulla porta, non fece quasi in tempo a suonare il campanello, che la donna aprì e la salutò con un sorriso ampio, sincero e caloroso. Michael corse ad abbracciare la ragazza e dopo le mille raccomandazioni della madre, si allontanarono.
Ora Michael la trascinava letteralmente lungo il marciapiede, più felice del solito perché quel pomeriggio ci sarebbe stata anche Rachel, la bambina per cui aveva una cotta; le raccontò con voce alta il dialogo avuto quella mattina con la mamma, che con un paio di telefonate era riuscita a trovare quel videogioco che tanto desiderava e che sembrava essere esaurito in tutti i negozi nel giro di cento chilometri. Maeve rideva sommessamente, stringendo fra le dita quella manina paffutella e osservando come la passione rendesse così felice un bambino, che nemmeno sapeva cosa fosse la felicità. Automaticamente le tornò alla mente il volto di Harry, le sue fossette profonde e tenere, i suoi capelli ricci e sempre spettinati, la sua altezza importante e la sua così marcata diversità rispetto agli altri ragazzi. Ripensò alla sensazione di svegliarsi insieme a lui, nel torpore delle lenzuola, alla sicurezza di stare fra le sue braccia, del tutto incurante di essere ancora nuda; sorrise quasi quando si ricordò della prima volta che avevano fatto l’amore, delle risate sommesse con cui si erano salutati la mattina seguente, il sorriso dolce che il ragazzo le aveva rivolto poco prima di baciarla teneramente. Harry era stato capace di infonderle una felicità pazzesca, le aveva riempito il cuore, la vita, gli occhi, poi però l’aveva spezzata con la stessa facilità con cui si spezzano le ali di una farfalla ed era servito tempo perché lei imparasse di nuovo a volare.
Michael accelerò e prese quasi a correre quando si avvicinarono all’ingresso del parco e Maeve non poté fare altro che lasciarlo andare dai suoi amichetti, controllandolo da lontano.
“Cerca di non farti male, Mickey!” gli gridò, appena lo liberò e lo vide scattare verso il castello di legno, sul quale un paio di bambini organizzavano chissà quale gioco. La giovane sorrise e scrollò il capo, dirigendosi verso la panchina libera, al margine del prato popolato di bambini e mamme troppo apprensive per lasciare spazio ai propri figli. Anche in quel momento le venne in mente Harry, la sua incredibile abilità con i bambini, con i quali riusciva a prendersi immediatamente, forse per il suo essere un eterno bambino.
Persa nei suoi pensieri, non si accorse del ragazzo che prese posto accanto a lei con discrezione, quasi non volesse risvegliarla da quel mondo in cui si era inoltrata.
“A cosa pensi?” chiese piano, guardandola di sottecchi e trattenendo un sorriso. Maeve sobbalzò e si voltò a guardare il suo interlocutore, arrossendo nello stesso istante in cui incontrava lo sguardo cristallino di Martyn.
“Ciao” esclamò sorpresa, si passò una mano fra i capelli e ravvivò i ricci, “Come stai?” aggiunse, sistemandosi meglio sulla panca e voltandosi quasi completamente verso di lui, non prima di aver controllato il piccolo Michael.
Martyn non rispose a parole, ma si sporse verso di lei e le accarezzò le labbra con un bacio, lasciandola senza fiato e con un tenero rossore a colorarle le gote.
“Benissimo, ora” sussurrò poi, portandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio e sfiorandole il collo con il pollice, “Tu? Sembravi pensierosa…” buttò lì, evidentemente turbato dalla strana riservatezza della sua ragazza.
“No, stavo solo…organizzando mentalmente la lista dei regali” mentì, guadagnandosi un’espressione corrucciata da parte dell’altro, che aggrottò le sopracciglia e assottigliò le labbra.
“Non avevi detto di averne già presi la metà?” la interrogò. Maeve boccheggiò e abbassò lo sguardo, cercando di escogitare una scusa o una spiegazione che suonasse un minimo convincente. Non si aspettava che Martyn reagisse così, non pensava che riuscisse a cogliere anche una bugia così innocua e leggera e che si insospettisse così nel vederla pensierosa.
“Me ne mancano ancora un paio” mormorò, in evidente stato di imbarazzo. Martyn scrollò le spalle e circondò con un braccio quelle di Maeve, che sospirò e gli appoggiò la tempia nell’incavo del collo. Era tanto che non si sentiva così in pace, che non si lasciava penetrare dal calore di un altro ragazzo, che non si faceva baciare e nemmeno sfiorare con un dito. La sola idea che non fosse Harry a fare tutte quelle cose la lasciava inorridita e la faceva rabbrividire. Martyn, però, era riuscito a far sciogliere quel muro di ghiaccio che si era creata intorno, a sfondare la parete di quella camera d’isolamento in cui aveva rinchiuso il suo cuore malandato e ferito. Si era lasciata abbracciare, baciare, amare e coccolare da lui, aveva rinchiuso in quella stessa stanza ogni singolo ricordo di Harry, ogni sensazione che aveva provato, ogni brivido che era affiorato sulla sua pelle, ogni parola che si erano sussurrati prima di addormentarsi abbracciati.
 
Harry scese dalla macchina e si lasciò investire dall’aria fredda di Holmes Chapel, piacevolmente sorpreso dalla completa assenza di paparazzi e fan. Era alquanto raro potersi godere i momenti in famiglia senza scocciature, flash, grida, ragazzine appostate fuori dalla porta e occhi costantemente puntati addosso e quando capitava, Harry non poteva non pensare a quello che era successo il Natale di due anni prima: lui che teneva aperta la portiera a Maeve per farla scendere dalla macchina, la dozzina di paparazzi che subito erano corsi ad immortalare la scena, le fan con i cartelloni diffamanti e le loro grida, gli insulti in direzione della sua ragazza, la rabbia che gli cresceva dentro di secondo in secondo, poi le labbra di Maeve sulle sue, la sua mano ad accarezzargli la mandibola contratta, il sorriso dolce ma l’ombra di paura che le incupiva lo sguardo limpido.
Chiuse lo sportello del baule con violenza e sbuffò, alzando finalmente lo sguardo sulla casa di sua madre. Trovò proprio Anne sulla soglia, le braccia strette al petto per ripararsi dal vento gelido, i capelli raccolti in una crocchia alta e il sorriso aperto e sincero sulle labbra. D’istinto sorrise anche lui, ma meno convinto della donna: era sempre stato bello tornare a casa, prendersi una pausa dalla frenesia dello star system, tornare a potersi rilassare sul divano, farsi coccolare dalla madre, non doversi più comportare da uomo adulto sebbene i suoi venti anni. Quell’anno, però, tornare a casa aveva tutto un significato diverso: era single, non c’era Maeve con lui e non era nemmeno ad aspettarlo in casa, non poteva vederla, non la sentiva dal giorno in cui lei era scappata da lui, non sapeva nemmeno sei lei fosse effettivamente in città.
Scrollò il capo per liberare la mente da tutti quei pensieri e si diresse a passo svelto verso l’abitazione, lasciò a terra la valigia e abbracciò sua madre, che gli accarezzò i capelli lentamente. Tornare ad Holmes Chapel e non sentirsi a casa era la sensazione peggiore che potesse esistere, ma presto Harry capì che ce n’era una ancora più travolgente: tornare ad Holmes Chapel e non sentirsi in pace con se stesso.
Chissà come stava Maeve, se aveva trovato un lavoro o aveva ripreso gli studi di design, se aveva risolto i diverbi avuti in famiglia per la sua decisione di lasciare il Cheshire per seguire lui a Londra, se aveva trovato un nuovo amore e si era rifatta una vita. Se era riuscita ad andare avanti senza di lui.
Di mattina non c’era tanto da fare, nella piccola città, ma nemmeno a casa ce n’era: Robin era al lavoro, Gemma non era ancora tornata dal college e Anne sarebbe presto uscita per andare dalla parrucchiera. Harry sbuffò e sistemò l’ultima maglietta nell’armadio, così che potesse provare l’ebbrezza di poter smontare la valigia per almeno un mesetto; si mise le mani sui fianchi e guardò le pareti della sua camera, quella che mamma si era ostinata ad allestire come se lui vivesse con loro, quella che, lo sapeva benissimo, era usata come camera degli ospiti.
“Tesoro, io vado. Sei sicuro di non preferire che io stia a casa?” disse Anne, infilando la testa nella stanza del figlio, che scrollò il capo e le sorrise dolcemente.
“Vai pure, mamma. Io andrò a fare un giro” rispose, realizzando solo in quel momento che gli mancavano un paio di regali di Natale. La donna annuì e richiuse la porta, ripensando al sorriso falso di Harry, quegli occhi così spenti e cerchiati di nero, l’espressione triste e la voce più cupa del solito. Sapeva che c’era qualcosa che non andava, sapeva che aveva sofferto per la rottura con Maeve, sapeva tutto, ma al tempo stesso non capiva perché non riuscisse a voltare pagina oppure a fare un passo indietro e ammettere le proprie colpe anche di fronte alla ragazza. Magari avrebbe capito la sua posizione, gli sarebbe andato incontro, gli avrebbe accarezzato una guancia e rassicurato. Ma nel profondo del cuore Anne lo sentiva, percepiva una strana sensazione, quel cupo presagio di un perdono negato e sperava solo di sbagliarsi.
 
Maeve richiamò Michael, che sbuffò e salutò i suoi amichetti con tono triste e lamentoso, che fece ridere la sua babysitter.
“Non fare quella faccia, Mickey, la mamma ti vuole a casa per pranzo” gli disse la riccia, mettendosi a covino davanti al bambino in modo da sistemargli la maglietta dentro i pantaloni e allacciargli la giacca. Martyn gli calò in testa la berretta e lo salutò con una pacca sulla schiena.
“Vuoi venire sulle spalle, campione?” propose, allegro e spontaneo come sempre e come piaceva a Maeve. Il piccolo Clifford annuì con vigore e alzò le braccia, affinché il ragazzo lo prendesse su e lo portasse sul tetto del mondo. Maeve si mordicchiò il labbro inferiore e sistemò la giacca del bambino, così che non si scoprisse lungo il tragitto.
“Andiamo a casa, mio destriero!” gridò Michael, agitando un braccio verso il cancello del parco. Martyn rise forte e si voltò verso la sua fidanzata, porgendole la mano. Lei tentennò qualche istante, rossa in volto, poi intrecciò le dita a quelle di lui ed insieme si incamminarono lungo il vialetto coperto di ghiaia e foglie bagnate, con Michael che cantava a gran voce la sigla di chissà quale cartone animato.
Dall’altra parte della strada, Harry uscì dal bar con il bicchiere del caffè da asporto e alzò lo sguardo verso il parco in cui andava a giocare quando era solo un bambino; un sorriso nostalgico gli affiorò sulle labbra, mentre il cuore prendeva a battergli più forte nel petto, fino a coprire qualsiasi altro suono, tranne quella risata. Da quanto non la sentiva, da quanto non la provocava. Mise a fuoco le persone che lo circondavano e lì la vide, per mano ad un altro ragazzo, entrambi sorridevano e si scambiavano sguardi innamorati.
“Mae…” mormorò tra sé, mentre il respiro accelerava e tutti i suoi muscoli gli ordinavano di correre da lei, ma il suo autocontrollo non gli permise di muovere un passo nella sua direzione. Ovviamente le leggi di Murphy valgono per chiunque, così Harry si trovò a dover fronteggiare direttamente Maeve e il suo nuovo ragazzo, che stavano attraversando in quel momento. Sentì un freddo intenso in tutto il corpo e giurò di aver cominciato a sudare freddo, ma non si mosse di un centimetro, nella speranza che lei non lo vedesse e gli sfilasse accanto senza degnarlo di uno sguardo. Così non fu e i due si guardarono per un istante, poi Maeve si bloccò sul posto e lasciò la mano di Martyn, la bocca spalancata e gli occhi fissi in quelli di Harry. Seguirono attimi di silenzio durante i quali lui avrebbe voluto dire almeno cento cose diverse, lei sarebbe voluta scappare, Martyn avrebbe voluto delle spiegazione e Michael una ciambella al cioccolato.
“Ciao” mormorò la ragazza, che fu la prima a risvegliarsi dalla catalessi. Martyn, distante qualche passo da lei, aggrottò le sopracciglia e si dondolò sui piedi, irrequieto.
“Ciao, Mae” rispose Harry, che subito chiuse gli occhi e sospirò, “Come stai?” continuò, tornando a guardarla. Stava bene, si notava; sicuramente stava meglio di lui. Provò diversi impulsi tutti uno di seguito all’altro: voleva baciarla, abbracciarla, andare via, inventare una scusa e scappare, scusarsi, piangere, urlare, rinfacciarle di essere sparita senza dare spiegazioni, prendersi tutte le colpe.
“Bene, tu?” rispose immediatamente. Quanto le era mancata quella voce roca, così profonda e calda. Strinse le labbra e si maledisse per aver pensato una cosa simile, perché nonostante fosse la verità, lui era pur sempre il suo ex ragazzo e non aveva senso fare certe considerazioni, ma in quel momento non desiderava altro che risentirla, sperava che Harry dicesse qualsiasi altra cosa.
“Uno schifo” disse lui schietto. Maeve annuì lentamente e si guardò la punta delle scarpe, sperando che lui non le rinfacciasse tutto, non le desse la colpa di quello che era successo, perché se così fosse stato, non era sicura della sua reazione. Invece Harry la sorprese come mai aveva fatto.
“Mae, mi dispiace. Sono stato un coglione e ti ho ferita” mormorò, con tono sincero.
Maeve spalancò la bocca, sgranò gli occhi e tornò a fissare Harry, che sostenne il suo sguardo, sull’orlo delle lacrime e il viso stravolto dallo sforzo di dover ammettere quelle cose e dalla sofferenza di averla lasciata andare.
“Avrei dovuto fare almeno cento cose e invece non ne ho fatta nemmeno una. E ti ho persa”, la voce gli tremò pronunciando l’ultima parola e Maeve sobbalzò. Controllò Martyn alle sue spalle e tornò a concentrarsi su Harry, che sembrava essersi ripreso.
“So che non tornerai da me, Maeve, non ti sto certo chiedendo questo. Semplicemente…perdonami se ci riesci, perché io non ce la faccio proprio. Sono stato uno stronzo e ti chiedo infinitamente perdono”, scrollò il capo e si passò una mano tra i capelli. Maeve sorrise appena e si avvicinò a lui, gli prese il volto tra le mani e cercò i suoi occhi; quando li trovò, il suo sorriso si allargò e l’abbracciò di slancio, sollevandosi in punta di piedi. Harry rimase paralizzato, avvertì Martyn irrigidirsi sul posto, poi ricambiò la stretta e chiuse gli occhi, inspirando il profumo della sua Maeve, della sua splendida farfalla dalle ali di cobalto.
“Ti ho già perdonato, Haz. Se hai bisogno di me, chiamami. Sarò sempre tua amica, anche se siamo stati insieme ed è finita nel peggiore dei modi”, gli accarezzò la nuca, “Ti vorrò sempre bene, ricordatelo, e ci sarò sempre per te.”
Martyn si schiarì la gola e si avvicinò alla sua ragazza, infastidito da quell’abbraccio troppo prolungato, viste le circostanze. Maeve soffiò un sorriso e sciolse l’abbraccio, allontanandosi di un passo da Harry, che aveva gli occhi lucidi, ma il viso evidentemente più rilassato e il cuore leggero. Guardò il nuovo fidanzato di Maeve e sollevò un angolo della bocca in un mezzo sorriso malinconico, quando lui le passò un braccio intorno ai fianchi e la strinse a sé, protettivo.
“Fai tutto quelle cose che non ho fatto io per lei. Se le merita tutte” disse solo con voce bassa, ma con una vena di serenità e affetto che mancava da mesi; voltò i tacchi e si allontanò da loro, anche se non era esattamente la direzione in cui stava andando prima. Maeve stava bene e questo era l’importante, lui se la sarebbe cavata; qualcuno aveva raccolto quella fragile creatura con le ali spezzate e con un incantesimo gliene aveva donato un paio nuovo, più resistenti, più maestose, calibrate per non farsi scalfire dalle correnti troppo forti, per non farsi spezzare dalle persone come lui. L’avrebbe chiamata, di questo era certo, perché anche solo essere suo amico voleva dire tanto per lui; poterle scrivere in qualsiasi momento, invitarla ai suoi concerti, prenderci un caffè al suo ritorno ad Holmes Chapel, raccontarle delle sue avventure e ricevere consigli significava avere Maeve, anche se non come fidanzata.
Si voltò di nuovo e vide Maeve camminare mano nella mano con il suo nuovo ragazzo, mentre entrambi ridevano spensierati e guardavano il bambino che lui teneva sulle spalle e che agitava le braccia in cielo, cantando una canzoncina per bambini.
E vedendo ciò, Harry si lasciò andare ad un pianto silenzioso, mentre dentro di lui nasceva un nuovo cuore, in grado di amare veramente e incapace di spezzare altre ali innocenti.



Aries' corner
Ciao a tutti!! Questa one shot l'ho scritta per il Winter Contest organizzato dalla pagina Facebook UnaDirezioneFanFiction :) 
Niente, spero che vi piaccia, anche se è un po' insulsa e inutile :j Anche a me è dispiaciuto per Harry, ma non poteva stare con Maeve...l'ha trattata troppo male! u.u e sì, sto difendendo lei, perché è un mio personaggio e perché le ho messo uno dei miei nomi preferiti in assoluto! :D
Okay, ora torno a scrivere il capitolo cruciale della mia long su Zayn ;)
A presto, spero!!! 
Un abbraccio a tutti!!
AP


 
   
 
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