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Autore: Shiniii    11/01/2014    3 recensioni
Perchè non ho il diritto di essere felice?
Era stanco. Stanco di essere sempre messo in discussione, di essere attaccato, incastrato in tutti i modi. Stanco di deludere, stanco di essere solo.
(Ambientata dopo la 3x02 ma prima della 3x03)
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vieni a casa John, ho bisogno di parlarti.


John era in auto, e stava per imboccare la Bickenhall street quando lesse distrattamente il messaggio di sua moglie.
Messaggio troppo serio per essere ignorato, sicuramente c'era qualche problema.
Preoccupato, fece inversione appena possibile e tornò sulla strada di casa.
Qualche chilometro dopo, parcheggiò la macchina e si diresse frettolosamente all'entrata di casa sua.
“Tesoro? Eccomi...dove sei?”
John ci mise 5 secondi a capire che qualcosa decisamente non andava.
C'era una lampada caduta a terra, insieme ad una sedia ed alcuni oggetti che stavano su una scrivania che ora era mezza vuota.
Immerso nelle domande, sentì Mary singhiozzare in camera da letto.
John si precipitò da lei.
Era sconvolta, stava piangendo, seduta sul letto mentre stringeva forte la coperta fra le mani.
John si sedette accanto a lei e le chiese cos'era successo, perchè piangeva.
Mary alzò gli occhi per un momento, poi guardò basso e disse a bassa voce: “Sherlock...”
“Sherlock? Che centra Sherlock?”
John era sempre più perplesso.
“Lui ha...mi ha minacciata.” Mary piangeva, ma non lo guardava in faccia.
“Che cosa ha fatto?”
“E' venuto qui prima e mi ha urlato contro...e e mi ha detto che dovevo lasciarti andare e...che ho rovinato tutto e che...mi avrebbe fatto fare una brutta fine...”
Mary esitava.
John, furioso e confuso, reagì instintivamente: si alzò, camminò per qualche momento nella stanza cercando di capire quale fosse, fra le tante, la cosa giusta da fare, e cercò di fare un po' di spazio fra i sentimenti contrastanti per continuare a parlare.
“Tu stai bene?”
Disse dopo una pausa.
Mary alzò gli occhi, cercando di tenerli fissi in quelli di lui il più possibile.
“John...è diventato pericoloso e tu devi...smettere di vederlo”
Abassò gli occhi di nuovo all'ultimo, come per chiudersi e non vedere la sua reazione.
John assimilò e decise più o meno nella sua testa, cosa avrebbe dovuto fare.
Dopo qualche autorassicurazione, con gesti bruschi, John uscì di casa e si rimise in auto.


Un'ora prima.
Mary aprì la finestra e fece entrare una luce ed un aria fresca che la fece sorridere.
“Bellissima giornata!” si disse, mentre cominciò a cercare qualcosa di bello da fare.
Era felice, e piena di pensieri sulla sua vita che finalmente sembrava andare nel migliore dei modi. Ora aveva di nuovo una famiglia, e il ricordo del suo terribile passato le tornava in mente sempre meno spesso.
John quella mattina era uscito per andare a comprare delle cose, e poi sarebbe andato da Sherlock, probabilmente per risolvere qualche strano caso come al loro solito. Mary a volte si preoccupava per loro due, capitava spesso che corressero dei pericoli...ma dopotutto sapeva che in un modo o nell'altro se la sarebbero sempre cavata.
Scosse la testa, come per mettere al loro posto i pensieri, e con un sorriso, si alzò le maniche e si diresse in soggiorno.

Si bloccò sulla soglia della porta. Sguardo esterrefatto.
Davanti a lei, comodamente seduto sul divano, Charles Augustus Magnussen, che la guardava.

“Ciao Mary.”
L'uomo che odiava di più al mondo, l'uomo che le aveva rovinato la vita, era lì, in casa sua.
Sì sentì la persona più indifesa del mondo. Come era entrato? Che cosa voleva? Che cosa poteva fare per difendersi da lui?

“Che ci fai qui?”
Mary parlò con voce tremolante, con la consapevolezza che niente di ciò che amava era più al sicuro.
“Non resterò molto, non preoccuparti.”
Magnussen si guardò intorno. “Hai davvero una bella casa, complimenti.”
Mary era incapace di muoversi o di parlare.
“Ho saputo che ti sei sposata! Dev'essere stato un bellissimo matrimonio...Devi essere molto felice...Ti ho mandato un biglietto di auguri, spero sia arrivato...Sarebbe stato bello se ci fosse stata la tua famiglia”
Magnussen le sorrise, con la cattiveria celata nei suoi occhi.
La rabbia e la frustrazione in Mary la sbloccarono, facendola reagire.
“Sei tu che li hai uccisi! Come osi venire qui e...”
“Via, via Mary...inutile rivangare il passato...e sai bene che non è stata tutta colpa mia. Avresti potuto darmi ascolto.”
Mary era indignata.
Magnussen si alzò e fece un paio di passi verso di lei, che sgusciò via, verso la sua destra, dietro ad una scrivania.
Lui la seguì con lo sguardo.
“Verrò subito al dunque. Tuo marito è il collega, e la persona più importante anche, di qualcuno che ho bisogno...sparisca.”
“Sherlock...” sussurrò a testa bassa Mary.
“Esatto. Non hai bisogno di sapere i miei piani, sappi solo che devi fare in modo che John lo odi e non lo veda più...è il modo più sicuro per boicottare il Signor Sherlock Holmes. E' abbastanza semplice per te?”
Per troppo tempo Mary aveva subito cose orribili da quell'uomo, e si disse che forse questa volta poteva evitarlo. Prese coraggio.
“No, non farò niente! Vattene da questa casa, vattene per sempre dalla mia vita!”
Magnussen la fissò con serietà. Si fiondò verso di lei, con un gesto buttò a terra gli oggetti sulla scrivania, le prese un lembo del vestito e la trascinò al di là della scrivania, vicino a sé.
“Ucciderò tuo marito e il tuo bambino se non farai quello che ti dico. Sai che lo farò. Questa volta ti conviene darmi retta.”



Le mani di John tremavano e lui non riusciva a pensare a niente che avesse molto senso, mentre era in macchina diretto verso Baker Street. Non riuscì a pensare ad un discorso, non riuscì a pensare ad alternative, ad equivoci o a scappatoie. Non riusciva a metabolizzare ciò che era appena successo o a immaginare che cosa sarebbe successo. Ma più di tutto, non riusciva a pensare, o meglio, non voleva pensare a quale sarebbe stato l'esito del suo rapporto con Sherlock. La paura, l'ansia, la rabbia, l'impotenza e la tristezza si impossessarono del suo cuore causandogli una forte stretta allo stomaco.
Era arrivato al 221B di Baker street. Entrò in casa, ignorò completamente la signora Hudson e salì le scale.
“Hey John, ti stavo aspettando, senti...” Sherlock aveva iniziato a parlare appena sentiti i passi dell'altro.
“Come hai potuto!” Urlò John, con occhi pieni di delusione, entrato nella stanza.
“Cosa?” Sherlock sbarrò gli occhi: non capiva.
“Mary è sconvolta! Come ti sei permesso! Io io...non ti voglio più vedere!”
John da una parte non sapeva che dire, e dall'altra non sapeva che cosa stava dicendo. La sua mente era completamente annebbiata.
Sherlock cominciava ad essere terrorizzato all'idea che John stesse dicendo davvero.
“Che cosa ho fatto John?”
L'altro rispose con uno sguardo indignato che colpì Sherlock come una pugnalata.
“Che cosa hai fatto? Hai minacciato Mary! Io pensavo che....Come hai potuto dirle quelle cose? Io...mi fidavo di te.”
“John ti giuro che io non ho fatto..”
“Pensi che io sia stupido? Pensavi che lei non mi avrebbe detto niente?”
Sherlock stava assaporando l'amaro gusto della paura.
“John, qualsiasi cosa sia, Io non c'entro niente, te lo giuro!”
John, guardando quegli occhi, si sarebbe rimangiato tutto. Ma non poteva.
Rassegnato e sfinito da quella breve conversazione che non avrebbe mai voluto intraprendere, si voltò verso la porta, perchè non sapeva cos'altro dire.

Prima di uscire sussurrò: “E' finita” e con voce bassa e tremolante, varcò la soglia e andò via.


Sherlock guardò il suo migliore amico andarsene, con il terrore che sarebbe stata l'ultima volta in cui l'avrebbe visto.
Rimase bloccato per qualche minuto.
Poi cominciò a muoversi, a pensare ad una soluzione, al perchè di tutto questo, a cosa fosse successo.
Ovviamente qualcuno lo stava incastrando, ma chi? Non Mary. Sperava tanto che non fosse stata lei. Ma perchè tutto questo allora? Qualunque fosse stata la verità, non sarebbe mai potuto riuscire a convincere John che sua moglie aveva mentito. Servivano prove, che non poteva avere. Non aveva abbastanza informazioni e non poteva andare né da Mary nè da John a chiederle. Non aveva un Alibi, perchè era solo e non aveva visto ne parlato con nessuno quel giorno, e la Signora Hudson era tornata da poco da un soggiorno presso sua cugina.
Non aveva niente in mano, e non riusciva nemmeno a ragionare lucidamente.

Era stanco. Stanco di essere sempre messo in discussione, di essere attaccato, incastrato in tutti i modi. Stanco di deludere, stanco di essere solo.
Una volta sposato, John lo frequentava poco, o meglio, poco rispetto a prima. Quel poco lo faceva andare avanti, era qualcosa a cui aggrapparsi.
Ma ora gli avevano tolto anche quello.
Venne la rabbia. Rabbia contro tutti e tutto, perchè mentre lui capiva ogni cosa gli altri erano ciechi nei suoi confronti.
Cominciò a scaraventare tutto, a tirare giù i libri dagli scaffali, a rovesciare fogli, soprammobili, lampade, ogni cosa che gli capitasse a tiro.
Perchè lui non aveva il diritto di essere felice?
Rovesciò la scrivania con un grosso sforzo.
Si mise le mani nei capelli, e spostò lo sguardo.
Un libro che era a terra catturò la sua attenzione. Era in realtà una scatola nella quale nascondeva qualcosa che non voleva fosse trovato da nessuno, e infatti nessuno l'aveva mai trovata.
Ma in quel momento, quella scatola trovò Sherlock, che era al momento troppo debole per resistergli.
Chiuse a chiave la porta, chiuse le finestre, in modo che fosse buio. L'unica luce era una lampada che era a terra.
Perchè non ho il diritto di essere felice?
Prese la scatola, si sedette sulla poltrona e se la mise sulle gambe.
Non importa più nulla ormai.
La aprì. Dentro c'erano delle siringhe ed un flacone.
Sherlock preparò la siringa, e la riempì completamente del liquido.
Fece un lungo sospiro, e con gli occhi chiusi, mille ricordi gli scorrevano nella mente come se fossero stati momenti della vita di un altro uomo.
Serrò le mascelle ma una lacrima scivolò da quegli occhi lucidi, scorrendogli sul viso.
Pensò per l'ultima volta a John, sperando che fosse felice.
Infilò l'ago nella vena, e si diede tutto ciò che di meglio poteva ottenere, da solo, in quella stanza.


La mattina seguente John e Mary erano in soggiorno, sul divano, con il televisore che faceva da unica compagnia per loro due, che avevano parlato pochissimo dal giorno precedente.
Il telegiornale parlava, ma nessuno dei due stava ascoltando.

“Il noto investigatore Sherlock Holmes è stato ritrovato questa notte nella sua abitazione, in coma a causa di un overdose di droga. E' ricoverato ora al Great Ormond Street Hospital, sono in corso gli accertamenti. La polizia sta...”

John era sconvolto, immobilizzato da quelle notizie, ma prima ancora che cominciasse a pensare, Mary scoppiò in un pianto isterico. Lui si girò verso di lei, per cercare di capire.
Fra un singhiozzo e l'altro Mary confessò il tutto. Era un peso troppo grande da tenere e sperava che John riuscisse a salvare sia se stesso che Sherlock.

John riuscì a trovare la ragione e fece il più possibile per proteggere la moglie. Chiamò Lestrade che lo rassicurò abbastanza da potersi allontanare il più velocemente possibile, per andare all'ospedale, da Sherlock.
Ovviamente lui non era così al sicuro, ma non gli importava.
John si precipitò all'ospedale, pregando il cielo che stesse vivendo solo un brutto incubo.
Dopo aver chiesto informazioni, si precipitò nella stanza in cui era ricoverato Sherlock.
Aprì la porta di corsa e...lo trovò lì. Disteso in quel letto, pallido e addormentato.
Attaccato alla flebo, e con altri rilevatori di battiti cardiaci. John si avvicinò lentamente a quella realtà che lo stava distruggendo.
Lo guardò bene...sembrava come spento. Sfiorò il suo braccio con la punta delle dita, fino ad arrivare a quell'alone viola. Il punto in cui Sherlock aveva messo in circolo quella che forse credeva la più facile via d'uscita.
“Perchè l'hai fatto?”
John chiese stupidamente all'altro, con un sussurro che gli echeggiò nella testa. Poi si rispose da solo.
Lo accarezzò, sentendo una fitta al cuore.
“Perchè non erò lì con te.”
Dopo una pausa di qualche minuto in cui era immerso nei pensieri, John cominciò a parlare.
“ Sai, mi hanno che detto parlare quando qualcuno è in coma è utile...beh, in realtà già lo sapevo...ma non ci ho mai creduto molto, perchè tu non puoi ascoltare ciò che dico.”
Lo guardò come per chiedere conferma.
“Ma credo di aver più bisogno io di parlare...
Sono stato un'idiota a non accorgermi che la storia non reggeva, ed a incolparti senza alcuna prova, ero accecato e...Mi dispiace. Non solo per questo ma...mi dispiace di averti lasciato solo, ad affrontare il mondo, mentre io cercavo di...salvare le apparenze?...
Dovevo immaginare che prima o poi sarebbe successa una cosa del genere.
Dovevo immaginare che prima o poi mi sarei sentito così...male.

Il mio guaio è che amo due persone e non sono abbastanza per proteggerne nemmeno una.”

John ebbe un'incrinazione nella voce.
“Sai, quando sei...”morto”, due anni fa...ho avuto uno dei momenti più bui della mia vita, lo sai, e...la cosa che ho sempre pensato è che, nonostante tutto il dolore...sei stato la cosa più bella che mi sia mai capitata.”
John fece una pausa. Nella sua testa si sforzava di continuare.
“E voglio che tu sappia che questa cosa non cambierà mai per me.
Ma ti prego...non morire. Non farlo di nuovo.”
John strinse forte la mano di Sherlock, e chinò la testa su di lui, come sfinito.
Respirò forte e si gonfiò del suo profumo che lo fece stare molto peggio.

“John...”
Si è svegliato?
John alzò immediatamente la testa, per guardare Sherlock in faccia e capire se aveva sentito davvero la sua voce.
Sherlock era debole, parlava lentamente, ma era sveglio.
“Sherlock!”
“...Sono morto?”
“Perchè?”
“Perchè sei qui...con me”
John sorrise.
“Perchè non dovrei esserci?”
“Mi hai detto che non volevi più vedermi”
“Ho sbagliato” ammise con il cuore in mano John.
Sherlock spostò lo sguardo verso la finestra, e serrò la mascella.
“Scusa” disse.
“Per cosa?” John inarcò le sopracciglia, con un lieve sorriso.
“Ti ho deluso...di nuovo”
“No, non è vero, tu non c'entravi niente Sherlock, perdonami tu, io..” Sherlock lo interruppe.
“Ti ho deluso perchè ora sono qui e non sono riuscito ad evitare di...” sospirò.
“E' colpa mia” ammise John.
“Cosa?” Sherlock concentrò di nuovo lo sguardo negli occhi celesti dell'altro.
“Non ero lì per salvarti”
“Non sei tenuto a salvarmi”
“No è vero...ma ne ho bisogno.”
“Hai bisogno...di salvarmi?” Chiese Sherlock perplesso.
John annuì.
“Perchè?”
“Perchè se non ti salvassi” Fece una lunga pausa, poi guardò basso e continuò “Sarei io a morire.”
“Ma c'è Mary e...” cercò di sdrammatizzare Sherlock.
“Sono già morto una volta, e ora sono quasi morto un'altra.”
“Quello sono io.” disse Sherlock, sorridendo.
“Ne sei sicuro?”
Si guardarono negli occhi.
Poi entrò un trambusto di medici che fecero per controllare se i valori erano ristabiliti.
John continuò a guardarlo e fece un piccolo sorriso rassicurante, poi uscì dalla stanza, sapendo che avrebbe dovuto affrontare un orda di giornalisti.
Sapendo che doveva affrontare qualcuno che, indirettamente, voleva distruggergli la vita, e che ci era quasi riuscito, e che comunque aveva ancora opportunità di farlo.

Sherlock dopo una decina di minuti, fu lasciato solo, per riposare.
Fece un sospiro, si guardò la mano, poi il braccio, con quell'alone viola che spiccava sulla sua pelle bianca.
Guardò fuori la finestra, poi chiuse gli occhi.
John entrò di nuovo nella stanza, facendo sobbalzare l'altro.
“Ho dimenticato di dirti una cosa.”
“Cosa”
John fece una pausa, temporeggiò, finendo per dire qualcosa come se fosse una minima parte di quello che in realtà voleva dire.
“Grazie.”
Lo fissò negli occhi.
“Voglio dire...” Si rassegnò al fatto che non avrebbe mai trovato le parole giuste.
“Beh, sei un uomo intelligente, sono sicuro che capirai cosa voglio dire”
Sorrise, e uscì.
Sherlock rimase solo.


“Grazie a te”








Mi sono trascinata un pò questa fanfiction e non so se mi sia venuta bene. Inoltre per alcuni argomenti non sono molto ferrata...spero comunque che vi piaccia!

 
  
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