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Autore: murrina    30/05/2008    3 recensioni
Piccolo testo dedicato a Venere e a suo figlio Enea. I pensieri di una dea, di una madre, le origini della rivalità tra Cartagine ed il popolo Romano. E' un minuscolo omaggio a Publio Virgilio Marone, senza grosse pretese, per farvi ritornare sui banchi di scuola, per ricordarvi una leggenda, uno spunto per riprendere in mano un sublime poema di un Grande.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Povero figlio mio.

Non ti sono lontana, vedo le tue lacrime, la tua disperazione.

Il tuo racconto è pregno d'angoscia, i tuoi occhi affranti cedono al ricordo drammatico della caduta di Troia, le tue parole sono imbevute di lacrime.

Stai aspettando il nostro segnale, il nostro comando; il fato l'ha deciso, Zeus me l'ha confermato: toccherai le coste dell'Italia.

Ricordi quando ti svegliasti di soprassalto, nel cuore della notte, poichè il fantasma di Ettore ti mostrò il destino di Troia e del suo re, Priamo, che fu vittima del crudele Pirro: i Greci erano entrati nella città, con un'astuto progetto di Ulisse dal multiforme ingegno. Un enorme cavallo di legno fu il dono che segnò la fine dei troiani.

Ricordi di quando ti fermai, ti persuasi a non vendicarti su Elena per le tragedie che subivi e che vedevi compiere.

Ricordi, ora, quando prendesti sulle spalle tuo padre Anchise, che giustamente intrerpretò la fiammella sulla testa del tuo figlioletto Ascanio, quella che inutilmente cercasti di estinguere.

E la dolce Creusa, ora non più solo mortale, si confuse tra la folla e si smarrì, perì per mano dei Greci.

Inutilmente la cercasti, tu volli tornare indietro a cercarla, per portarla con te; ma di lei trovasti solo la sua ombra che, come lo spirito di Ettore, ti spinse a proseguire.

Lasciasti così la tua casa, mentre Troia bruciava del fuoco della guerra.

Salpasti con i Penati, il piccolo Julo e tuo padre, ma nella traversata incrociaste lo sguardo d'odio della pronuba Giunone, che vi fu ostile ed ancora lo è: tu e l'equipaggio subiste la sua ira; una tremenda tempesta vi colse e solo l'intervento dell'offeso Nettuno calmò il vento e le acque, scosse senza il suo permesso.

Povero figlio mio.

Ora raccogli i tuoi ricordi e li offri a questa corte cartaginese; è così difficile descrivere gli occhi di chi ha visto la morte, i tuoi occhi; è impossibile ridipingere la ferocia di una guerra.

Nemmeno noi numi possiamo immaginarla, poichè non siamo mortali.

Come potremmo concepire la morte?

La vita eterna è nostra, il mondo ci appartiene.

Ma una madre pena per il proprio figlio, ed io mi affliggo per te, Enea, nonostante io sappia che il Fato ti protegge.

Non realizzerai i tuoi sogni, ma compirai il volere degli dei; non ritroverai tua moglie Creusa, nè rimarrai qui accanto a Didone, ormai perduta per l'amore che già prova per te.

Ecco; tuo fratello, Cupido, prese le sembianze di tuo figlio Ascanio, ha completato il suo incarico: Didone è ormai rapita dalle tue parole, presto capirà che il cuore che porta nel petto è ricolmo di passione: non potrà mai insidiarti, non potrà mai recarti danno, se ti ama.

E' stata una mia decisione, che porterà molte e forse sgradite conseguenze: ma, creatura mia, non potevo rischiare in un suo intervento.

Ti odierà Cartagine, perchè quando dovrai salpare per l'Italia, il tuo involontario tradimento alzerà la mano della sua regina contro se stessa.

Forse non capirai mai, l'ho voluto per il tuo bene.

Ma, ti prego, per ora continua il tuo racconto.




  
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