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Autore: Harryshighnotes    11/01/2014    1 recensioni
Sarah era 'strana', ecco come la definivano. Non le era mai piaciuta la realtà in cui era costretta a vivere, piena di persone false ed ipocrite. No, non faceva al caso suo. Lei era diversa. Era timida e tendeva a chiudersi in sé stessa, ma nessuno l’aveva capito. Per gli altri era solo un’asociale. Un’asociale perché non era la solita ‘ragazza facile’. Un’asociale perché amava starsene a casa a leggere, piuttosto che uscire e passare la notte in discoteca. Viveva la sua vita senza permettere a nessuno di intromettersi e scoprire qualcosa in più su di lei, era molto riservata. Nessuno riusciva mai a capire se fosse felice o triste, i suoi occhi non lasciavano trasparire nessuna emozione, erano vuoti.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La osservavo sempre, stando attento a non farmi vedere. Quella ragazza mi intrigava, volevo saperne di più. Ogni mattina la vedevo entrare nel bar a pochi passi dalla scuola, sorseggiare un cappuccino ed uscire, mantenendo sempre lo stesso sguardo apatico. Entrava in classe, si metteva a sedere e in silenzio aspettava l’arrivo del professore. Gli altri parlavano, ridevano e facevano confusione, ma non mi davano fastidio, ero troppo concentrato su di lei. Mi concentravo per riuscire ad intravedere un sorriso o sentire una risata, ma niente. La posizione delle sue labbra sembrava immutabile. Nessuno si era mai accorto di lei. Per gli altri era come un fantasma, invisibile. La sua presenza sembrava non essere importante per la gente, forse perché nessuno sapeva nemmeno della sua esistenza, non essendosi mai presi la briga di conoscerla. Era bella: aveva la pelle chiarissima, capelli lunghi e biondi le contornavano il viso, i suoi occhi erano azzurri come il cielo. Non si truccava mai e si presentava sempre in felpa e jeans. Era diversa da tutto il resto delle ragazze. Si distingueva dalla massa, a modo suo. Le altre erano frivole e senza valori, avevano sempre lo specchietto in mano e nei loro astucci c’erano più trucchi, che penne. Non le sopportavo e quando venivano da me per chiedermi di uscire, le rifiutavo sempre, a volte in modo non proprio gentile.
Il professore entrò in classe, distogliendomi dai miei pensieri e facendo prendere un colpo ai ragazzi che stavano ancora conversando animatamente tra loro. La sua presenza li costrinse a tornare di malavoglia a sedersi.
Dopo altre cinque lezioni, la campanella risuonò nei corridoi. Tutti si alzarono di corsa e si accalcarono vicino alla porta, in attesa di riuscire a lasciare l’aula. Ormai in classe non c'era più nessuno, tranne me e lei. Volevo provare a parlarle, non avevo mai sentito la sua voce. Mi avvicinai al suo banco, e prima ancora che riuscissi ad aprire bocca, se ne andò. Eh sì, quella ragazza mi avrebbe dato filo da torcere.
 
Sarah’s Pov
Capitava raramente che qualcuno si avvicinasse a me, ma quando succedeva sentivo solamente il bisogno di allontanarmi, come per paura che potesse farmi del male. Non mi fidavo di nessuno. Persino tutti i miei parenti -genitori compresi- si erano stufati di me, abbandonandomi. Forse è per questo che sono cresciuta con la ferma convinzione di essere io quella “sbagliata”. Vivevo sola da quasi due anni e mezzo e durante quel lasso di tempo avevo imparato a badare a me stessa, a cucinare, lavare, stirare.. fare tutto meno che crearmi una vita sociale al di fuori delle quattro mura in cui ormai ero intrappolata. Ogni mattina mi alzavo dal letto con la consapevolezza che sarebbe stato solo un giorno monotono e vuoto come tutti gli altri e che nessuno sarebbe mai venuto a salvarmi, nessuno avrebbe mai cercato di rimarginare le mie ferite, nessuno avrebbe mai fatto niente per me, perché evidentemente io non lo meritavo. Quando vidi quel ragazzo avvicinarsi al mio banco lo stomaco mi si chiuse e andai nel panico, non riuscendo a far altro se non scappare via, come facevo sempre quando mi trovavo in difficoltà. Che codarda.
Il giorno dopo entrai in classe e andai a sedermi al mio posto. Tirai fuori il libro di chimica, e subito dopo una mano si posò sulla mia spalla. Mi girai di scatto e vidi l’unica persona che davvero speravo di non dover incontrare. Rimasi come paralizzata, fin quando lui non parlò.
“Ehi, ieri sei scappata via e non ho avuto nemmeno il tempo di presentarmi. Piacere, mi chiamo Harry Styles” disse lui, con tono gentile.
“Sarah, piacere mio” risposi io, cercando di mostrarmi il meno tesa possibile.
Proprio quando stava per dire qualcos’altro, l’ingresso del professore lo costrinse ad allontanarsi dal mio banco per tornare a sedersi di malavoglia al suo posto, che era dall'altra parte dell'aula. Potevo finalmente riprendere a respirare.
L’ora passò fin troppo velocemente e, come immaginavo, lui si avvicinò di nuovo a me. Per la prima volta ebbi il coraggio di guardarlo: era alto e abbastanza muscoloso, cosa che mi intimidiva parecchio. I suoi capelli erano castani e ricci, mentre gli occhi erano di un verde chiaro, valorizzato ancora di più dalla luce che gli colpiva la parte del viso rivolta verso la finestra alla quale mi ero accostata. Capii di essermi imbambolata solo quando mi agitò una mano davanti agli occhi. Arrossii e a quanto pare lui se ne accorse, dato che non tardò a sorridermi.
“A cosa stavi pensando?” domandò con naturalezza.
“N-niente” risposi impacciata, dandogli immediatamente le spalle e tornando a sedermi.
All’ultima ora il professore di filosofia ci assegnò una ricerca da fare a coppie e l’unica cosa che speravo era non capitare con lui. In fondo ero una brava ragazza, perché Dio non avrebbe dovuto ascoltare una così semplice richiesta da parte mia?
“Styles, tu starai in coppia con la signorina Collins” disse il professore.
No. No, no, no, no, no. Non può essere. La campanella suonò, ed io, nonostante i miei tentativi di fiondarmi fuori dalla porta il più velocemente possibile, venni fermata da Harry giusto poco prima di riuscire nel mio intento.
“Vieni a casa mia alle tre e mezza” disse lui, per poi porgermi un foglietto di carta spiegazzato, aggiungendo “questo è il mio indirizzo, cerca di non perderti”. Detto questo finalmente mollò la presa e io fui libera di correre a casa. Le ora passarono in fretta. Una, due, due e mezza… alle tre decisi che era ora di iniziare a prepararmi. Infilai i libri che mi servivano nello zaino, mi misi una felpa, un paio di jeans e delle converse alte. Mi sistemai i capelli in una coda di cavallo e andai davanti allo specchio. Quello che vedevo non mi piaceva per niente, non mi era mai piaciuto. Perché non potevo essere bella come tutte le altre? Cos’avevo fatto di male? Per quanto ci provassi, non riuscivo mai ad accettarmi. Non c’era nulla che andasse bene in me, né dentro, né fuori. L’orologio segnava già le tre e venti, così decisi di rimandare l’auto-distruzione a più tardi ed uscii. Trovare la casa di Harry non fu difficile, ma appena arrivai davanti alla porta mi bloccai. Ero terribilmente spaventata. Non volevo bussare, entrare, né tantomeno vederlo, ma dovevo. Suonai il campanello e subito dopo venne ad aprire una donna dall’aria molto affabile, con lunghi capelli castano scuro e occhi verdi. Doveva essere la madre.
“Accomodati pure cara, Harry è di sopra che ti sta aspettando. La sua camera è la prima a destra. Fa come se fossi a casa tua” disse lei, con tono gentile. La sua estrema confidenza mi stupì, doveva essere davvero una persona dolce. Le rivolsi un sorriso, annuii e salii le scale. Arrivai davanti alla porta e, dopo un primo momento di incertezza, bussai.
“Avanti!” disse lui.
Appena mi vide entrare mi rivolse un sorriso, uno dei più belli che avessi mai visto. Cercai di non bloccarmi, deglutii e camminai verso il letto sul quale era seduto.
“Guarda che non ti mangio” disse lui con tono scherzoso.
Mi sforzai di sorridere e mi misi anche io sul bordo del letto, cercando comunque di mantenere le distanze. Ci fu un silenzio imbarazzante, fino a quando notai una chitarra vicino alla scrivania.
“Tu suoni?” mi venne spontaneo chiedere.
“Ci provo” rispose, per poi sorridermi.
Non avevo idea di come portare avanti la conversazione, così lasciai nuovamente posto a quel silenzio che mi faceva sentire così tanto a disagio. Ero in quella casa da poco più di due minuti e già mi chiedevo quando sarei potuta andarmene. Questa volta fu Harry a sbloccare la situazione, alzandosi dal letto e prendendo dalla scrivania il libro di filosofia ed il portatile.
“E’ meglio cominciare se vogliamo consegnare la ricerca in tempo” disse con tono annoiato, seppur fosse consapevole di non aver altra scelta. Ci mettemmo al lavoro e finimmo prima del previsto, così, appena mi fui accertata che lui avesse salvato il documento nella cartella che gli avevo indicato, mi alzai e mi diressi verso la porta, salutandolo frettolosamente per paura che cercasse di trattenermi ancora in quella stanza. Scesi le scale di corsa ed uscii. Appena fuori feci un respiro profondo, godendomi l’aria fresca che mi sembrava di non sentire da un’eternità. Girai l’angolo, pensando a quanto fossi stata maleducata e a che brutta figura avessi fatto, andandomene di casa in quel modo. Non avevo nemmeno dato il tempo ad Harry di rispondere e, una volta giunta al piano di sotto, non avevo degnato di un saluto neppure sua madre, che era stata da subito molto cortese. Non volevo dare alle persone un’idea sbagliata di me, eppure succedeva ogni volta il contrario. Quella donna avrebbe di sicuro ripensato all’atteggiamento pessimo che avevo avuto nei suoi confronti, iniziando subito a disprezzarmi. Succedeva sempre così, facevo un passo avanti e due indietro, rovinavo tutto prima ancora di riuscire a costruire qualcosa di concreto. Ormai non mi stupivo più dei miei comportamenti, quando mi sentivo sotto pressione o in ansia per qualcosa diventavo una persona totalmente diversa, irriconoscibile. Tutti mi odiavano e davo loro pienamente ragione, perché l’avrei fatto anch’io.
Entrai in casa, venendo immediatamente pervasa dalla solita sensazione di solitudine che non accennava ad andarsene. Chissà cosa si provava ad avere una famiglia calorosa e pronta ad accoglierti al tuo rientro, con un piatto fumante pronto in tavola. Mi mancavano i miei genitori, anche se cercavo di pensarci il meno possibile. Si erano comportati in modo molto duro e freddo con me, sin da quando ero piccola, come se non mi considerassero nemmeno loro figlia. Ero da sempre stata un peso, un fardello di cui liberarsi. Mi dicevano continuamente che non avrebbero voluto concepirmi e che ero stata soltanto il frutto di uno stupido errore che avevano commesso da giovani, poco dopo essersi conosciuti. “Tu ci hai ostacolati, sei solo d’intralcio”. Quelle parole, pronunciate da mio padre, furono come una pugnalata al cuore. Io ero l’errore, lo sbaglio che avrebbero dovuto evitare. Ogni tanto, girando per la casa, ricordavo quei rari momenti di tranquillità passati con loro, anche se quella fu solo una fase passeggera. Evidentemente lo facevano tanto per farmi credere che andasse tutto bene, dato che poco dopo se ne andarono, dicendomi che ormai avevo raggiunto l’età in cui potevo benissimo cavarmela da sola. Avevo da sempre desiderato che mi volessero bene, almeno un terzo di quanto io, nonostante tutto, gliene volessi. Non mi avevano mai accettata, pur essendo sangue del loro sangue. Era questa la cosa che mi faceva star peggio di tutto il resto. Per loro ero solo qualcosa di cui sbarazzarsi, come un insetto fastidioso che continua a ronzare e tu sei lì, pronto ad ucciderlo per liberarti del fastidio che ti sta recando. Mi sentivo così ogni singola ora del giorno, mentre aspettavo con ansia che facesse buio per mettermi a letto e sognare la famiglia ideale, quella che da sempre bramavo.
  
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