Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Nayrin Baudelaire    11/01/2014    6 recensioni
[Lyanna/Rhaegar. Aegon/OC. Rhaeny/Jaime. Jon/Tyrion]
E se fosse stato Rhaegar Targaryen il vincitore della guerra dell’Usurpatore? E se avesse sconfitto Robert Baratheon al Tridente? E se il vessillo del drago sventolasse ancora su Approdo del Re? E se Lyanna fosse più di una regina d’amore e di bellezza? Se fosse la regina di Westeros?
Aegon.
La voce dell’erede al trono era inconfondibile. Musicale, sempre gentile, buona.
« Aegon,» lo accolse atona e priva di qualsiasi inclinazione sebbene il suo cuore avesse perso un battito nel rendersi conto della sua vicinanza. Aegon era l’immagine di Rhaegar da giovane. Alto, bello e attraente, con i tratti delicati e con i corti capelli argentati pareva Aegon il Conquistatore rinato. Tutte le fanciulle bramavano per poter trascorrere anche un solo momento con lui, ma Aegon non aveva occhi per nessuna di loro.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Jaime Lannister, Lyanna Stark, Nuovo personaggio, Rhaegar Targaryen
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Quando Tyrion era un bambino pieno di sogni e speranze, ancora innocente e privo di quella malizia che era insita nella maggior parte dei membri della sua famiglia, adorava trascorrere il proprio tempo sulla torre più alta di Castel Granito. Dal bastione Ovest, quello più inaccessibile e poco utilizzato, era possibile scorgere il Mare del Tramonto nel suo splendore smeraldino. All’alba le sue acque rilucevano animate da una sottile e calda brezza estiva, mentre al tramonto erano colorate dal rosso sangue del Sole morente. Su quella torre Tyrion si sentiva il re del mondo e poteva osservare la piccolezza di tutti i servitori, i paggi e le dame che abitavano nella sua corte. Da quell’altezza gli sembravano come puntini neri e indistinti che si affannavano senza alcun motivo apparente a compiere le azioni più futili e insensate. Poi suo padre aveva scoperto quel suo insignificante segreto, quell’abitudine che gli faceva nascere un sorriso spontaneo sul volto incarnito e aveva dato ordine di chiudere la torre per sempre. Tyrion, che sin dalla più tenera età aveva imparato a sprecare meno tempo possibile discutendo con suo padre, non aveva domandato nulla e aveva continuato a recarcisi in segreto, ben attento a sfuggire alle guardie e alla servitù. Il compito non era abbastanza difficile vista la sua bassezza. Sapeva che suo padre aveva ben altro a cui pensare che non al suo secondogenito che reputava inutile e inetto a causa della sua deformità e delle sue attitudini sconsiderate. Tywin Lannister riteneva che fosse un piccolo mostro perverso che adorava spendere il suo denaro in vino, donne di malaffare e divertimenti a basso costo e di dubbia ilarità. L’aveva sempre giudicato come il responsabile della morte di Lady Joanna, la bella e nobile leonessa di Lannister, e Tyrion si domandava come avesse potuto un uomo intelligente quanto suo padre essere così infantile per quanto  concerneva la questione della sua nascita. Tyrion non aveva scelto di uccidere Lady Joanna. Era sua madre e soltanto un mostro avrebbe voluto assassinare il ventre dal quale era stato generato. E, da quanto ne potesse pensare suo padre dall’alto del suo scranno d’oro, Tyrion non era affatto un mostro.
« Nostro padre non vuole che tu sia qui,» esclamò Cersei facendolo sobbalzare per un attimo. Sua sorella doveva averlo seguito e Tyrion non se ne era nemmeno reso conto. Il pensiero di Jaime l’aveva tormentato in tale modo da non permettergli di usare la dovuta cautela nei movimenti. Jaime era stato esiliato nelle terre dell’alba. Ad Asshai delle Ombre. Era stato re Rhaegar a dare l’ordine di condurlo il più lontano possibile da Castel Granito dopo che aveva assassinato il vecchio re Aerys ai piedi del trono di spade. Tyrion aveva trovato quella ricostruzione inverosimile poiché conosceva suo fratello e sapeva che non sarebbe stato capace di uccidere un uomo anziano e disarmato. Aerys, però, non era disarmato. Era il re. Il re Folle. Se era stato capace di far assassinare la dolce principessa Elia, innocente vittima del conflitto, sarebbe stato in grado di pensare a qualsiasi crimine e depravazione. E la sua corte avrebbe dovuto rispettare il suo volere, e agire.
« Andrai a fare la spia?» domandò quasi annoiato il ragazzo, volgendosi a guardare la sua bella sorella. Cersei era alta, snella e fasciata da abiti di seta e merletti di Myr. Sembrava pura e dolce come la Vergine, ma Tyrion sapeva che dentro le sue iridi di smeraldo si celava lo Straniero in tutta la propria perfidia.
« Ovviamente,» puntualizzò Cersei indisponente, sollevando il volto in espressione di fiera superiorità. Tyrion quasi sbuffò, ma si impose di rimanere calmo e asettico per non lasciar alcuno spazio per colpire alla sua dolce sorellina, « Nostro padre dice che potresti cadere se ti sporgi troppo,» soggiunse la bella fanciulla quindicenne posando le mani curate sui fianchi magri, ma non esili.
« E a lui non dispiacerebbe affatto. Neanche a te del resto. Quindi, Cersei, che problema c’è?»
« Perché vuoi stare qui?» domandò curiosa sua sorella, assottigliando gli occhi verdi, come se stesse pensando che lo stesse facendo solo per indispettire Lord Tywin.
« Sto pensando a Jaime. Ho saputo che ti sposi con il Lord dal sorriso facile. Complimenti e tante felicitazioni,» le augurò beffandosi del suo dolore. Cersei era stata promessa a Lord Stannis Baratheon, succeduto al fratello come signore di Capo Tempesta dopo la sua prematura morte sul campo di battaglia. Stannis era conosciuto come un uomo duro e inflessibile, con un senso di giustizia che sfiorava la follia del rigore formale. Tyrion si domandò quanto tempo avrebbe impiegato Cersei a strangolarlo con le lenzuola del loro talamo.
Vi erano lacrime nei begli occhi verdi di sua sorella e per un attimo Tyrion provò rimorso e vergogna per essere stato così crudele nell’esprimersi. Cersei aveva innumerevoli difetti, però rimaneva sua sorella e come tale Tyrion avrebbe dovuto rispettarla. Quel rimorso durò soltanto un attimo, il tempo del cambiamento d’espressione negli occhi di Cersei.
« Sei un mostro, Folletto.»
 

« Bambina, non ti ho visto nel cortile,» esordì notando sua nipote seduta su di un cornicione in pietra nera ai piedi di un’immensa finestra aperta che mostrava il mare di Capo Tempesta. Stava leggendo un breve biglietto, le sue mani tremavano nello stringerlo e le spalle erano scosse da brevi singulti trattenuti a stento. Quando sollevò gli occhi cerulei, Tyrion s’accorse dello smarrimento e del dolore che provava e ne ebbe compassione.
Katrina Baratheon era bella. Tyrion l’aveva sempre asserito quand’era bambina. Non bella quanto Cersei alla sua età, ma era graziosa e signorile, nobile nei tratti e nei modi. Non aveva nulla dei Lannister in apparenza, ma le forme del suo corpo erano molto simili a quelle delle madre. Era divenuta una splendida donna, una fiera cerbiatta doverosa e cortese.
« Non ero lì infatti, zio Tyrion,» ribatté la fanciulla con la voce spezzata dalle lacrime che stava strenuamente combattendo. Tyrion sfiorò la sua mano piccola e candida con la propria, più massiccia e dalle dita più corte, e le rivolse un breve sorriso, ben lontano dall’ironia che solitamente lo caratterizzava.
« Sei molto bella anche in quest’ora buia. Le mie più sincere condoglianze,» le augurò con autentico sentimento. Stannis Baratheon non era mai stato nei suoi affetti, ma Katrina era sua nipote e le voleva bene, nonostante non fosse dolce come i suoi fratelli minori. Di certo la preferiva a Joffrey che non era coraggioso la metà di sua sorella e che era crudele e pieno di boria.  
« Grazie, zio. Spero che il viaggio non ti abbia tediato molto,» aggiunse con gentilezza riponendo il biglietto nella fascia nera del suo abito di seta luttuoso e confacente alla sua triste perdita. La morte di Stannis Baratheon era stato il primo evento di una situazione che rischiava di divenire insostenibile da affrontare da parte del regno. Tyrion sapeva bene chi era stato il mandante dell’omicidio, ma non avrebbe mai aiutato le indagini del Primo Cavaliere. Era stata un’avventatezza che non era passata inosservata.
« Le gambe hanno crampi terribili, ma passerà con qualche ora di riposo,» sminuì alzando di poco le spalle. In verità il dolore era quasi insopportabile sebbene la strada dell’Oro non fosse stata impervia e il clima era stato clemente. Cavalcare non era adatto alle gambe gracili e deformi del secondogenito di Lord Tywin e la compagnia non era stata delle più piacevoli. Suo padre era rimasto arcigno e guardingo per tutta la durata del viaggio, immerso in pensieri di cui non conosceva la natura e non aveva scambiato parola nemmeno con suo fratello Kevan che cavalcava al suo fianco, « Un bel mare,» commentò con ironia osservando le onde di schiuma infrangersi sugli scogli di gesso della Fortezza. Non avrebbe navigato nei pressi di Capo Tempesta nemmeno per tutto l’oro di Castel Granito.
« I miei nonni sono morti in queste acque. Mio padre me lo raccontò quand’ero bambina,» mormorò chinando il capo abbellito da folti boccoli neri come il carbone che le scendevano morbidi sulle spalle esili. Conosceva la triste storia di Lord Steffon e Lady Cassana, inviati ad Essos per trovare una sposa di Valyria per il principe Rhaegar. La ricerca non aveva dato alcun frutto e Rhaegar aveva preso in moglie l’unica donna a possedere in sé parte del sangue del drago, la principessa di Dorne. Mentre il signore della tempesta aveva trovato la morte ad un passo dalla sua casa, affogato nel proprio mare che aveva amato sin da bambino.
Era una storia malinconica, non adatta ad una bambina. Eppure Lord Stannis aveva preferito narrarla a sua figlia. Tyrion non condivideva quella scelta, ma non poteva giudicarla.

Bisogna essere consapevoli della crudeltà del mondo per sopravvivere.

« Torniamo nella sala, figliola. Fa freddo e potresti prendere un malanno,» sussurrò rivolgendole un dolce sorriso che poche volte appariva sul suo volto. Katrina alzò lo sguardo e nei suoi occhi azzurri Tyrion non lesse il solito disprezzo che vi trovava in quelli altrui. Tutto ciò che scorse fu gratitudine e affetto. Sua nipote si issò in piedi e camminò al suo fianco verso il salone in cui si sarebbe tenuto il ricevimento in memoria di Lord Stannis. Avrebbero servito il cinghiale che ucciso il signore di Capo Tempesta. Una scelta di pessimo gusto da parte di sua sorella Cersei. Poteva scorgere la rigidità nei movimenti di Katrina, costretta a condividere il desco con persone che non avevano mai stimato suo padre. L’avevano ritenuto troppo inflessibile e implacabile, non l’avevano mai amato e sua figlia, che aveva nutrito un sincero affetto nei confronti dell’uomo, non poteva sopportarlo. La sala era gremita di nobili e delle loro consorti. Si ritrovò gli occhi di molti commensali su di sé, ma s’era oramai abituato alla loro curiosità e continuò a camminare verso il tavolo principale dove erano accomodati i Baratheon e la famiglia reale, « Il principe d’inverno,» esordì a voce talmente bassa da farlo udire soltanto alla nipote. Katrina lo guardò interrogativa« Lo chiamano così, Jon Targaryen,» le spiegò, facendo un breve cenno col capo verso il figlio minore del Re. Jon Targaryen era un bel ragazzo, dai folti riccioli neri e dagli occhi di un grigio scuro tanto da sembrare nero con una certa luce. Accomodato al fianco di sua madre, la bella regina Lyanna, si poteva scorgere tutta la somiglianza tra loro. Al fianco del re, invece, sedeva il principe ereditario, in tutti i suoi regali tratti Valyriani, « Mentre Aegon è il principe di fuoco.»
« Quanta stoltezza,» sbuffò Katrina scuotendo il capo. Tyrion poté notare un lieve rossore imporporarle gli zigomi alti, ereditati da Cersei, e comprese subito che le voci erano veritiere. Katrina e Aegon dovevano essere legati da un sentimento che superava il rispetto che una Lady doveva provare per il proprio principe.
Non v’era futuro, Tyrion lo vedeva chiaramente. Dopo aver udito quel piano, sapeva che il re non avrebbe mai permesso che suo figlio sposasse una Baratheon e una Lannister.
« Oh cara, non arriverai mai a comprendere il grado di stoltezza dei nobili,» scherzò il Folletto sogghignando, avvicinandosi maggiormente al tavolo, « La Vipera di Dorne. Il buon vecchio Ned Stark. Il bel cavaliere di Fiori. Sono tutti qui. Pronti a piangere sulle spoglie del tuo amato padre.»
« Pronti a piangere o a guardare?» insinuò Katrina facendolo quasi sorridere. Era una Lannister più di quanto ne fosse consapevole, più di quanto volesse ammettere. Soltanto un Lannister poteva comprendere quel gioco di espressioni sui visi dei nobili e saperle sfruttare a proprio vantaggio, « Mio padre non era amato e la sua morte rende avidi questi signori. Joffrey è un ragazzo…»
« Un ragazzo stupido e malvagio. Con più crudeltà che buon senso,» precisò a ragione Tyrion. Joffrey era un idiota ed era malvagio, il connubio peggiore che potesse esistere. Era anche abbastanza abile da creare piani sciocchi, ma che potevano avvenire in circostanze fortuite. Joffrey assomigliava terribilmente a Cersei negli anni della sua infanzia. Cersei, però, aveva imparato dai propri errori e non mancava di scaltrezza, sebbene il suo carattere autoritario e testardo non l’aiutasse nell’eccellere. Sua sorella non brillava per gentilezza e filantropia, ma era sufficientemente astuta da comprendere che bisognava creare una maschera per poter essere membri attivi del gioco dei troni in cui ognuno aveva la propria parte. Joffrey non l’avrebbe mai compreso.
« Questo non rende la situazione delle Terre della Tempesta la più felice. Mi chiedo se Mace Tyrell o Doran Martell non ne approfitteranno,» sussurrò irrigidendo la mascella. Katrina somigliava incredibilmente a suo padre in quel momento, austera e ostinata com’era, ma se Stannis era stato puro ferro, sua figlia sembrava più un metallo di nobile fattura con il cuore di piombo, all’apparenza duro e in verità duttile e malleabile.  
« Sei troppo intelligente per il tuo bene, bambina.»
« Non sono più una bambina, zio,» controbatté Katrina guardandolo con alterigia. Aveva alzando il tono e Tyrion sentì gli occhi del principe ereditario su di sé, che vagavano inquieti tra la bella fanciulla e suo zio. Tyrion gli rivolse un breve sorriso e fece cenno a Katrina di accomodarsi al proprio posto, tra suo fratello Joffrey e sua sorella Myrcella.

Eccola, la figlia del Lord dal sorriso facile.

« Davvero?» domandò sorpreso come se gli avesse appena spiegato qualcosa di incomprensibile, « Oh cara, siamo tutti bambini qui. Tutte pedine in un gioco più grande di noi. Siamo solo burattini appesi ai figli di chi ci ha preceduti. Non cadere nell’errore di crederti superiore al gioco, figlia mia. Nessuno lo è,» le consigliò prima di baciarle la gota e lasciarla alle sue meditazioni.
Se davvero ha qualcosa dei Lannister, capirà cosa intendo. E forse riuscirà a tenersi stretto il suo principe. 

*****
Il ricevimento per la cerimonia funebre di Lord Stannis era stato lungo e silenzioso. I nobili signori sedevano al proprio posto e mangiavano parte del cinghiale che aveva assassinato il signore di Capo Tempesta. Nessuno provava dolore per la sua dipartita e nessuno lo mostrava.
Lady Cersei, la madre della sua bella Katrina, sedeva composta e il suo piatto era ancora abbastanza pieno nonostante fossero trascorse ore da quando s’erano accomodati al tavolo.
Katrina non aveva sfiorato nulla, né il cibo né il vino, e continuava imperterrita ad ignorare ciò che stava dicendo suo fratello al suo fianco che le sorrideva a intervalli abbastanza regolari.
Aegon conosceva quel ghigno autoritario. Era lo stesso che Viserys rivolgeva a lui e a suo fratello. Suo zio s’era sempre sentito superiore a loro, persino a Rhaenys che tanto professava di adorare. Aegon sospettava perché il suo sangue fosse puro e non mescolato con quello di altre famiglie.
Il principe ereditario tentava con tutte le proprie forze di non scadere nell’ira e di non esplicare dinanzi a suo zio che lui sarebbe stato il suo re un giorno e che avrebbe dovuto rispettarlo come tale.
Viserys nutriva sincero affetto soltanto per Rhaegar, che l’aveva accudito da bambino quando Aerys era divenuto completamente folle, e suo padre preferiva non accorgersi dei suoi modi a volte rudi e indisponenti.
Aegon, irritato da quei pensieri, scosse il capo, si issò in piedi e rivolse un breve sorriso a suo fratello e a sua sorella. Jon ricambiò, ma Rhaenys era persa in alcuni pensieri e non lo notò nemmeno. Si diresse verso una finestra nel salone che s’affacciava sul parco degli Dei antichi.
Suo padre era impegnato in una fitta conversazione con Lord Jon Connington di cui Aegon non era suo malgrado riuscito a sentir nulla e quel dato lo fece indispettire maggiormente.
Rhaegar aveva incominciato a nascondergli qualcosa di importante, segno che oramai non doveva più nutrire verso suo figlio quella fiducia che avevano condiviso sino a pochi mesi prima.
« Zio Oberyn,» esclamò Aegon, notando suo zio e la sua concubina, Ellaria Sand, lontani dal resto degli altri nobili. Suo zio era scattante, alto e ancora avvenente sebbene i segni del tempo si scorgessero nelle piccole rughe intorno agli occhi neri come la notte e le labbra sempre piegate in un sorriso ironico.
« Il mio caro ragazzo. Come stai, figliolo?» gli domandò suo zio abbracciandolo con calore. Oberyn era sempre stato gentile con Aegon e Rhaenys, sebbene odiasse il re e non ne facesse poi molto mistero. Era un buon padre sia per le sue otto figlie bastarde, nate da cinque donne diverse, sia per i suoi nipoti di Dorne e di Approdo del Re.
« Bene, zio. Lady Ellaria,» si chinò a sfiorarle la mano destra con le labbra con galanteria. Ellaria non era ciò che avrebbe definito una bella donna. I suoi tratti erano abbastanza comuni, ma vi era qualcosa, forse la forma degli occhi scuri o forse quell’espressione che talune volte le faceva sollevare le labbra piene, che catturava l’attenzione. Era una donna gentile e amava sinceramente suo zio. Era ciò che più gli importava. Oberyn meritava di essere felice.
« Mio principe,» lo omaggiò la donna di Dorne esibendosi in un breve inchino. Aegon le rivolse un dolce sorriso che Ellaria ricambiò subito. Oberyn gli porse una coppa di vino di Dorne che Aegon accettò di buon grado assaporandone un sorso. Il vino di Dorne era dolce, speziato e caldo come la terra da cui proveniva. Era più forte di quello di Arbor, che Oberyn aveva sempre definito acqua sporca tinteggiata di rosso, e immensamente più ricco di quello delle città libere. Bastavano soltanto tre calici per poter inebriare un uomo e Aegon non aveva alcuna intenzione di ubriacarsi quella sera.
« Come stanno le bambine?» continuò con gentilezza il principe. Le sue cugine, le Vipere della Sabbia, avevano tutte ereditato gli occhi e i modi del loro padre e Aegon le ricordava bene. Nymeria e Tyene erano le più pericolose, nonostante la loro formidabile avvenenza. Sapevano lavorare con i veleni meglio di molti maestri della Cittadella e sapevano essere letali con i propri nemici. L’arma di Obara, invece, era la lancia ed era altrettanto mortifera come le proprie sorelle minori. Sarella incarnava il lato più curioso e avido di sapere del padre e poi vi erano le quattro figlie avute da Ellaria, le vere bambine. 
« Le bambine? Io non ho bambine, nipote. Io ho figlie, questo sì. Ma nessuna di loro è una bambina,» precisò Oberyn facendo ridere la sua compagna. Aegon si abbandonò a un debole sorriso che si spense subito nel notare che ser Loras si stava avvicinando a sua sorella. Rhaenys era buona, dolce e gentile proprio com’era stata Elia in gioventù e la storia si sarebbe ripetuta ancora. Sposata a un uomo che non poteva amarla, che non la meritava e che avrebbe indubbiamente reso vuoto e freddo il loro talamo per cercarne un altro. Se soltanto avesse potuto impedirlo, se soltanto avesse potuto sposare qualcuno che l’avrebbe resa davvero felice, se soltanto non fossero stati Targaryen.

Se e ma… ecco la vita dell’erede al trono.

Era impotente come il più umile degli infanti.
« Che dici, Aegon? Andiamo a fare un giro per le taverne di Capo Tempesta?» lo invitò guardandolo con quel sorriso appena accennato che preannunciava un’avventatezza. Ellaria s’era allontanata per tornare al tavolo degli ospiti illustri per riporre il proprio calice di vino vuoto.
Aegon avrebbe volentieri accettato, anche solo per trascorrere del tempo con il suo caro zio, se avesse potuto.
« Passo, zio. Sono costretto. Mio padre mi ucciderebbe e non voglio istigarlo ancora di più,» spiegò, non desideroso di incorrere nell’ira di Rhaegar. Suo padre non si adirava molto facilmente, ma non sopportava le imprudenze e soprattutto non gradiva che trascorresse il suo tempo con suo zio. Forse lo riteneva influenzabile da ciò che Oberyn pensava del re e del suo operato, non sapendo che in parte Aegon condivideva quella tesi.
« Perché? Cos’è accaduto?» domandò curioso Oberyn assottigliando gli occhi scuri, facendogli rammentare il proprio tormento.
Il suo tormento erano un paio d’occhi azzurri come il mare cristallino e dei riccioli neri come l’ossidiana. Era la pelle diafana e delicata, le labbra rosee e il corpo snello. Il suo tormento era la segreta gentilezza celata da modi di affettata cortesia e di gelido candore. Il suo tormento era lei.
« Katrina.»
La bella dama era ancora seduta con i pugni serrati sulle gonne ampie della sua veste e per poco Aegon non si precipitò al suo tavolo, ove il fratello la stava baciando sulla fronte beffandosi di lei. Avrebbe voluto abbracciarla, asciugare le sue lacrime e prometterle che sarebbe sopravvissuta anche a quell’ennesima ferita. Avrebbe voluto proteggerla da quell’ingiurioso ragazzino pieno di boria che si credeva superiore alla propria sorella soltanto per un titolo insanguinato. Avrebbe voluto baciarla dinanzi a tutti i Lord dei Sette Regni, esclamando che era soltanto sua e di nessun altro.
« Deve essere proprio amore se non puoi impedirti di non pensare a lei. E tuo padre non accetta ancora?» domandò Oberyn riportandolo alla realtà.
« Dice che non sarebbe una buona regina,» borbottò il bel principe, scostando lo sguardo da Katrina per puntarlo verso il re e Lord Jon. Il suo secondo padre alzò gli occhi grigi come la tempesta e si rivolse verso di lui con disappunto. Aegon comprese che Rhaegar aveva parlato di quella lite con il suo Primo Cavaliere e il pensiero quasi gli fece serrare i pugni. Avrebbe preferito raccontare tutto a Jon senza alcun intermediario per poter essere consigliato al meglio, ma quella storia era stata filtrata dalle sue parole di suo padre ed Aegon non avrebbe mai ricevuto un parere spassionato, « Non la conosce come la conosco io, zio. Kat non sarà la fanciulla più comprensiva e più dolce di Westeros, ma è onesta e giudiziosa.»
« Ed è bella,» lo interruppe Oberyn con un sorriso provocatorio. Aegon arrossì e chinò lo sguardo per un attimo, « Oh Aegon, suvvia, figlio mio. Credi che io non abbia avuto la tua età? Tuo padre non ti potrà mai capire. È troppo…»
« Ricorda che è il re,» scherzò Aegon ridendo appena.
« Troppo malinconico,» soggiunse suo zio trattenendo un’espressione contrita sulla labbra sottili. Sapeva bene quale parola avrebbe usato per descrivere suo padre e non sarebbe stato molto rispettoso nei confronti di un re.

Fedifrago non è proprio il migliore aggettivo per descrivere il proprio signore.  

« Voglio sposarla, zio. Non m’importa di questi obblighi morali e di queste guerre passate. Io voglio essere felice e voglio renderla felice.»
Aegon sorrise nel rammentare lo sguardo dolce che Katrina gli aveva rivolto quando due anni prima era tornato dal suo cavalierato a Roccia del Drago, sul suo bel purosangue candido come la neve. Katrina l’attendeva al fianco di Rhaenys e quando sua sorella l’aveva abbracciato tenendolo stretto a sé, al di sopra della sua spalla candida Aegon l’aveva vista. Era divenuta ancora più bella di quanto la ricordava nei loro giorni di bambini. Quel giorno comprese di amarla davvero, come un uomo amava la propria dama.
« Il sorriso di Elia,» sussurrò Oberyn guardandolo negli occhi. Riconobbe del dolore nello sguardo di suo zio, ma fu passeggero e subito tornò ad essere l’uomo che aveva sempre adorato, « Caro ragazzo, ami questa fanciulla con una tale forza da ricordarmi tua madre.»
« L’ho sognata. La notte scorsa. Zio, lei… ecco… amava Arthur Dayne?» sussurrò per evitare che qualcuno lo udisse. Il bel volto del cavaliere riaffiorò alla memoria così come quello della sua dolce madre, la bella Elia, che tanto gli mancava. Arthur Dayne era morto anni prima ucciso da Lord Eddard Stark, Signore del Nord, in battaglia. E sua madre era anch’ella morta da tempo, eppure Aegon aveva bisogno di una risposta, aveva bisogno che qualcuno mitigasse i suoi dubbi. E Oberyn era l’unico a conoscere Elia tanto bene da potergli rispondere.
« Aegon, cosa hai sognato, figliolo?» domandò serio Oberyn, quasi sospettoso, come se fosse a conoscenza di qualcosa che avrebbe potuto distruggere il giovane principe.
« Loro stavano parlando del fatto che non poteva dare un altro figlio a mio padre. Però io lo sentivo.»
« E questo ti infastidisce?» continuò Oberyn appoggiando il braccio destro sul muro accanto a lui.
« No. Mia madre era felice e il cavaliere era l’uomo più nobile e gentile che abbia mai visto.»
Era sincero. Quella scena l’aveva fatto sorridere di gioia e mestizia insieme. Aveva scorto la fedeltà con la quale il cavaliere aveva quasi abbracciato il bambino e sua madre, la sua totale devozione, e ciò non avrebbe mai potuto infastidirlo.  
« Arthur amava Elia ed Elia amava Arthur. È stato così sin da bambini. Ma Arthur era un secondo figlio di una Casa minore, qualcuno che mia madre non avrebbe potuto prendere in considerazione,» spiegò Oberyn in un sospiro, scuotendo il capo. Non era giusto, si disse Aegon. Sua madre aveva amato anch’ella un uomo e non aveva potuto sposarlo in base a convenzioni deleterie e inutili. Sarebbe stato un bambino felice se fosse stato il figlio di Arthur ed Elia Dayne,« Sposa la donna che ami, Aegon. Non reiterare gli stessi errori di chi ti ha preceduto.»
Aegon l’avrebbe sposata. Un giorno sarebbe stata la madre dei suoi figli, dei suoi coraggiosi principi e dolci principesse, e il loro primogenito si sarebbe chiamato Daeron come il Re Buono. Avrebbero governato insieme, l’una al fianco dell’altro, e avrebbero reso il regno florido e pacifico. Aegon non avrebbe mai scelto un’altra regina.
 
*****
Lo sguardo d’ametista pallida di Viserys la colpiva come un coltello gelido nel petto e Rhaenys stava tentando di pensare ad altro, ma tutto ciò che le importava erano gli occhi del giovane principe che la scrutavano con desiderio. Rhaenys deglutì a vuoto e cercò di rivolgergli uno sguardo truce che somigliava più ad una timida preghiera.

Deve smetterla.

Le labbra sottili di Viserys si arcuarono in un impercettibile sorriso prima che il suo sguardo tornasse a vagare per la sala gremita. Rhaenys sospirò per il sollievo e bevve un lungo sorso dalla sua coppa di vino di Arbor.

Non succederà più. Non posso.

Rhaenys avrebbe voluto fuggire, rifugiarsi nelle sue stanze e sbarrare la porta, ma non poteva. Katrina era dinanzi a lei, pallida d’ira come uno spettro, pronta a sguainare gli artigli contro suo fratello Joffrey. La stava istigando a colpirlo dinanzi a tutti quei nobili e Katrina, sebbene sapesse controllarsi, non avrebbe retto per molto altro tempo. Sarebbe rimasta per la sua unica amica sincera, per la sua dolce sorella. Rhaenys si sentiva in colpa quando la guardava. Le stava mentendo, tacendo la verità. Perché Katrina sapeva quanto sarebbe stato pericoloso continuare quel gioco tra la tenera principessa e il principe orgoglioso.

Gioco. Se io e Viserys stiamo giocando, non oso pensare a cosa significhi essere sposati.

Da quando le labbra di Viserys si erano posate sulle sue pochi giorni prima, era scoppiata una guerra tra il suo cuore, che voleva cedere, e la sua mente, che le imponeva di combattere contro quell’inopportuno sentimento.
Rhaenys era promessa sposa al prossimo signore di Alto Giardino. Molte donne erano invidiose di lei poiché Loras era uno dei più avvenenti cavalieri di Westeros, ma tutto ciò che la principessa desiderava era il suo principe dagli occhi viola e il sorriso sarcastico.
Con la coda dell’occhio scorse Ser Loras, abbigliato in un delicato farsetto su cui spuntava l’emblema di Casa Tyrell, avanzare con un’andatura cadenzata verso il tavolo della famiglia reale e pregò la Madre affinché la proteggesse e il Guerriero per donarle la forza.
« Mio signore,» l’accolse la principessa con voce dolce e gentile. Non aveva nulla contro Loras Tyrell. Era innocente quanto lei e gli Dei sapevano quanto quel matrimonio fosse svantaggioso per entrambi. Loras non era interessato alla principessa, non era interessato a nessuna donna in verità, ma necessitava di un erede e Rhaenys era la donna più importante di Westeros essendo la primogenita del re. Era stata una scelta logica ricordando il lauto aiuto che i Tyrell avevano offerto alla corona durante la ribellione di Robert Baratheon. Quel dato però non mitigava il dolore che nutriva nel ripensare che sarebbe appartenuta per sempre ad un uomo che non l’avrebbe mai vista.
« Principessa Rhaenys, posso sedermi accanto a te?»
Il giovane era affascinante e avvenente, sempre cortese, un vero cavaliere, ma Rhaenys non poteva impedirsi di pensare che quelle gentilezze fossero forzate e affettate, mai sentite davvero. Non avrebbe mai desiderato condividere il talamo con un uomo che non provava alcuna gioia nel prenderla in sposa.

Viserys. Ecco chi voglio davvero. Voglio Viserys, il mio principe.

« Di certo, ser Loras,» gli concesse Rhaenys facendogli cenno di sedersi al posto che Aegon aveva lasciato libero. Non s’era resa nemmeno conto che si fosse allontanato, persa com’era nel pensare agli occhi di Viserys su di sé. Il suo sguardo vagò per la sala sino ad incontrare la bella figura di suo fratello dinanzi a quella del suo caro zio Oberyn.
« Che orribile occasione per rincontrarti, mia signora, e per comunicarti che ci sposeremo a breve,» esclamò Ser Loras contrariato dalla circostanza come se fosse stata colpa di Lord Stannis essere morto a un mese dalle loro nozze.
« Oh sì, la regina Lyanna mi aveva accennato che ci sposeremo alla prossima Luna,» mormorò prima di sorseggiare il proprio vino. Lyanna glielo aveva comunicato prima di partire per Capo Tempesta e l’aveva abbracciata quando aveva scorto le sue lacrime. Rhaenys s’era lasciata stringere e l’aveva implorata di intercedere presso suo padre. Lyanna l’avrebbe fatto volentieri per la sua bella figlia, ma non avrebbe potuto spezzare un fidanzamento ufficiale, se non suscitando lo sdegno dei Tyrell.
« Sei splendida anche vestita di nero. Mi domando come possa apparire la tua bellezza in avorio e in oro,» si complimentò Loras. Era un omaggio che l’avrebbe lusingata se ricevuto da Viserys, ma non era nella natura di suo zio quel genere di esternazioni.
« Sei molto gentile, ser. È un vero onore per me sposarti e divenire la tua signora,» ribatté meccanicamente, sentendo le lacrime affiorare negli occhi scuri. Viserys le lanciò un’occhiata furiosa e per un attimo Rhaenys pensò che si sarebbe alzato e avrebbe sfidato Loras a confrontarsi con il cavaliere per la sua mano.

La vita non è una favola, Rhae. Avresti dovuto capirlo tempo fa, quando tua madre è stata bruciata viva e tuo padre è tornato con un’altra donna al suo fianco.

« Lo stesso vale per me. Ho sempre sognato un matrimonio idilliaco. Qualcosa di grande e sfarzoso. Con una donna amabile e gentile. Mia principessa, tu superi ogni mia fantasia. La tua bellezza era rinomata in tutti i Regni. I bardi cantavano soavi inni sulla tua dolcezza e il suo spirito generoso. Superi ogni racconto e ogni poesia.»
Le parole di Loras erano gentili, pregne di quella cortesia che un nobile gentiluomo doveva possedere. Sarebbe stato più semplice sposarlo, chiudere gli occhi e fingere che non le importava di nulla e di nessuno. Loras era buono, non le avrebbe mai fatto del male e quello lo rendeva migliore di molti altri uomini, ma non era abbastanza e non lo sarebbe mai stato.
« Io… questo mi lusinga alquanto, mio buon signore. Le tue parole mi riscaldano il cuore, sospirando il giorno in cui saremo marito e moglie,» sussurrò la dolce figlia di Rhaegar. Rhaenys sorrise. Sorrise come le avevano insegnato. Sorrise come se fosse stata davvero felice. Ma non vi era che morte nel suo cuore. 
  
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