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Autore: Macaron    12/01/2014    11 recensioni
“No questa è una gru, voi avete preferito il teatro dell’opera di Sidney.”
“Presumo solo per l’assurdità del nome.”
Sherlock alza di nuovo gli occhi al cielo. Sei tu che ti stai sposando, sei tu che hai scelto di partecipare a questi assurdi rituali, io sto solo facendo quello che mi hai chiesto e lo sto facendo dannatamente bene perché sono Sherlock Holmes e riesco a fare bene ogni cosa ma non puoi chiedermi anche questo, anche di trovarlo divertente.
“Mi piace la gru, è un peccato non averla scelta.”
“Mh.”
“M’insegni a farlo?”

Di guardie insanguinate, origami, film con Demi Moore e persone che sono la sua casa.
Spoiler 3x02
Genere: Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Premessa: ambientata nella 3x02 dopo il caso della guardia insanguinata. È che hanno messo gli origami nella serie e io dovevo scriverci. Eccesso di diabete, coccoline e malinconia. Ma soprattutto le prime due che non riesco a farne a meno.

Buon finale di stagione, sperando di portarlo a casa tutte intere =)

 

A Nat perché in qualsiasi universo, in qualsiasi realtà, l’adorerei. Anche vestita da Capitan America.

A Giulia perché è bravissima a farmi vedere Sherlock come non sono capace di fare e allora provo a farle fare un po’ pace con le cose di John che vedo ancora.

 

 

 

 

Tornano a casa dopo. A casa, Baker street, che anche se adesso ha un nuovo appartamento, un appartamento che gli piace e che Mary ha reso migliore e diverso da quelli delle pubblicità degli alloggi per scapoli felici e baldanzosi, continua a sembrargli casa. Non che ci debbano tornare davvero, in realtà. Sherlock sì, ovviamente, Sherlock ci vive, ma per lui non è necessario, potrebbe semplicemente accettare la decina di sterline per il taxi e continuare la corsa fino a dove lo sta aspettando la sua futura moglie ma non è facile andarsene, non è mai facile andarsene quando c’è Sherlock in mezzo. Usare una scusa, una giacca dimenticata, piuttosto del cellulare o del fatto che Mary tanto ha invitato la sua damigella d’onore quindi sarebbe solo d’impiccio, quello è molto più facile. Ovvio, scontato ma anche facile e rassicurante. Non è che John non voglia tornare al suo appartamento, gli piace quell’appartamento, è solo che non gli piace andare via da casa.

La verità è che tutto è più facile quando è a Baker Street e che difficilmente c’è un altro posto dove preferirebbe andare, sempre. Oggi in particolar modo. Oggi dopo che ha visto un ragazzo, un ragazzino com’era lui poco più di una decina d’anni prima, venir quasi ammazzato mentre faceva il suo lavoro. Che poi la maggior parte delle persone che trovano assassinate sta solo facendo il suo lavoro, o vivendo la sua vita, ma questo è diverso. Sarà colpa della cintura d’ordinanza, sarà colpa della divisa, di tutte quelle cose che Sherlock riassume sempre sarcasticamente con “la regina e la nazione” e che John sente sempre dentro. Sarà che oggi una persona, un militare, uno di quelli con cui era abituato ad avere a che fare, gli ha detto che non è più un capitano dell’esercito e che per quanto ne sa adesso potrebbe trovarsi anche a vendere macchine usate e si è sentito perso. Così perso da aver bisogno di andare a casa, di trovarsi nel posto che lo definisce meglio di tutti. Fra poche settimane sarà qualcosa di diverso, forse ha già iniziato ad esserlo quando si è riabituato davvero alla vita come civile, un compagno, un marito, magari anche un padre se le cose si muoveranno in quella direzione ma al momento ha bisogno dell’unico posto in cui sentirsi John Watson. E quel posto è sempre la sua poltrona vicino a quella di Sherlock Holmes.

 

 

 

Sono silenziosi mentre salgono le scale che portano al 221B. Non si è nemmeno sforzato d’inventare una scusa per passare, è semplicemente sceso dal taxi con il suo migliore amico in silenzio perso nel ripensare a tutto quello che è stato e che non è più. Anche Sherlock non parla. Nulla di quei momenti ricorda l’euforia che sono soliti vivere alla fine di un caso, in quei momenti in cui l’adrenalina inizia a scemare e subentra una sorta di pace. Il silenzio di questa volta è carico di domande, John pensa che Sherlock sia intento a chiedersi dove ha sbagliato e come ha fatto a non riuscire a risolvere questo puzzle, ma è comunque familiare e questo è già tantissimo.

“Tè?”

Deve avere un espressione alquanto stordita quando sente il suo migliore amico porgli questa domanda perché Sherlock si sente in dovere di ripeterla, non senza sbuffare molto rumorosamente tanto per ricordargli quanto sia frustrante avere a che fare con una persona così normale come lui.

“Tè, John. Ti ho chiesto se vuoi del tè. Non è una domanda difficile, richiede semplicemente un sì o un no, sono certo che anche tu possa arrivare alla formulazione di una risposta.”

“Non fai mai il tè. Faccio sempre io il tè. Mi ricordo benissimo di un’occasione in cui sono dovuto uscire prima dalla clinica, prendere un taxi convinto che tu fossi stato quantomeno accoltellato unicamente perché non avevi voglia di farti il tè.”

“Ho dovuto imparare, in questi due anni.”

Ho dovuto imparare in questi due anni senza di te, sarebbe la frase giusta ma loro quelle cose non le dicono ancora. È un sottotesto, è una delle tante conversazioni sotterranee che si trovano a fare come quando si confessano la reciproca fiducia tra frase sarcastiche e velati insulti. Fanno così, è il loro modo di riuscire a dirsi le cose importanti senza esporsi, senza rischiare di rovinare qualcosa che è talmente solido da non poter essere scalfito nemmeno da una finta morte e due anni d’assenza e al tempo stesso non gli è mai sembrato più fragile. No fragile non è nemmeno la parola giusta, diciamo delicato, lieve, appena impercettibile.

Ho dovuto imparare a fare il tè in questi due anni senza di te. Ho dovuto imparare come sto imparando adesso a fare il bravo testimone di nozze, a fare l’amico gentile della tua fidanzata perché sono stato via due anni e tu sei andato avanti (ed era un tuo diritto ma allo stesso tempo non dovevi farlo) e allora l’unica opzione che mi resta è quella di venire avanti con te. Non dice queste cose, Sherlock, non si permette quasi nemmeno di dirle ad alta voce nella sua testa ma sono lì e aspettano solo di uscire.

“Chissà che porcherie devi aver prodotto prima di aver preparato un qualche foglio excell con tutte le temperature, il tempo d’infusione e le bustine usate.”

“Un grazie sarebbe stato sufficiente, John.”

“Grazie.” Sorride “ Ma il tè, lo faccio io. Non mi fido mica di te, lo riempi così tanto di zucchero che magari è imbevibile.”

Lasciami fare il tè. Lasciami guardarti seduto sulla tua poltrona a pensare al caso appena risolto, o meglio non risolto, e sentire che appartengo ancora a questo posto, che posso non essere più un medico militare, che posso aver rischiato di vedermi morire tra le braccia un ragazzo com’ero io ma sono ancora qualcosa. E questo qualcosa è la metà di una coppia in cui l’altra parte sei tu. Lasciami essere quello meno intelligente, quello a cui rimbrotti di non saper scrivere un post in una lingua decente, quello troppo romantico e che ha reazioni esagerate, quello che fa il tè ma lasciami essere qualcosa con te.

Sherlock alza gli occhi al cielo e va a sedersi sulla sua poltrona. Mentre non lo vede sorride.

“Non dimenticarti due cucchiaini di zucchero.”

“Non li dimentico mai.”

“Lo so.”

 

 

 

 

Il bollitore è ancora sul fuoco quando li nota. I tovaglioli del matrimonio fatti ad origami. Alla signora Hudson, o a Mary, dev’esserne sfuggito qualcuno perché se adesso il salotto è sgombro di partecipazioni e schemi di posti a sedere ancora qualche tovagliolo fa capolino in cucina.

Si affaccia in salotto sventolandolo.

“Questo non è quello che ha scelto Mary, vero?”

“Quello che avete scelto, John. Stai al passo. Conosco la tua futura consorte da pochi mesi ma se c’è una cosa che ho imparato è che le decisioni del matrimonio le ha prese tutte lei, visto che tu hai un gusto terribile, ma in realtà le avete prese insieme così nel caso sarà colpa tua.”

“Come per tutte le cose” gli sfugge un sorriso ripensando a Mary, è una bella cosa che gli sfugga un sorriso vero? È così che dovrebbe essere e invece in quel momento si sente un po’ stranito “ ma questo non è quello che abbiamo scelto, vero?”

“No questa è una gru, voi avete preferito il teatro dell’opera di Sidney.”

“Presumo solo per l’assurdità del nome.”

Sherlock alza di nuovo gli occhi al cielo. Sei tu che ti stai sposando, sei tu che hai scelto di partecipare a questi assurdi rituali, io sto solo facendo quello che mi hai chiesto e lo sto facendo dannatamente bene perché sono Sherlock Holmes e riesco a fare bene ogni cosa ma non puoi chiedermi anche questo, anche di trovarlo divertente.

“Mi piace la gru, è un peccato non averla scelta.”

“Mh.”

“M’insegni a farlo?”

“Un origami? Da quando mi sono trasformato da consulente detective a consulente di corsi di decupage per casalinghe disperate?”

“Dai, andiamo. Se faccio vedere a Mary che ho imparato a fare l’origami della gru magari potrò rinunciare al teatro dell’opera di Stoccolma.”

“Sidney.”

“Com’è che ti ricordi queste cose e non sai nemmeno chi è il primo ministro inglese?”

“ Prendi due tovaglioli t’insegno.”

Il bollitore sul fuoco fischia e nessuno lo sente, impegnati come sono (ok John impegnato, visto che a Sherlock viene immediato) a cercare di riprodurre l’origami su un tovagliolo. Non hanno più bisogno del tè per scaldarli.

 

 

 

 

“Sei una frana. Pensavo che raggiungessi il tuo peggio nella scelta degli abbinamenti tra maglioni e camice ma no, hai varcato altri confini. Sono fiero di te, John.”

“Non è così terribile!”

“Non è così terribile?” Gli strappa quasi dalle mani l’origami, le loro dita si sfiorano. Calore. Calore di quelli giusti. “John se questo uccello fosse vero sarebbe così infelice per il suo aspetto sbilenco da invidiare i tacchini il giorno del ringraziamento” glielo agita davanti agli occhi “Non sta nemmeno in piedi, guarda. Per non parlare di volare, uno struzzo volerebbe meglio, non voglio pensarci. Terribile è un complimento.”

“Insegnami tu genio.”

“Ti sto già insegnando, John.”

“No non così” fa i capricci come un bambino, c’è qualcosa di tenero nei ruoli ribaltati. Tenero e frustrante. Sherlock non riuscirebbe mai ad avere a che fare con se stesso, si chiede come ci riesca John. Forse è questo che lo rende speciale. “Muovimi le mani.”

“Ridicolo.” Dice e poi si fa spazio dietro di lui sul divano, una posizione che se stessero dormendo ricorderebbe quella del cucchiaio e John non riesce a capire perché si trovi a fantasticare sul dormire abbracciato a Sherlock in un momento come questo e sentendosi così bene, prende le mani di John tra le sue e inizia a piegare la carta.

Rimangono in silenzio con solo il suono dei loro respiri a fargli compagnia mentre il tovagliolo è come se prendesse vita, è come se diventasse qualcos’altro.

Non è quello che gli succede sempre con Sherlock? Ogni cosa, anche la più normale diventa qualcos’altro.

È John il primo a rompere il silenzio, prima che quell’intimità, prima che il calore delle mani di Sherlock sulle sue diventi così familiare da sembrargli soffocante.

“Oddio mi sono trasformato in Demi Moore.”

“Non ti sei trasformato in nessuno, John. Sei il solito inutile te stesso.”

“Non dico sul serio, coglione. Il film! Come ho fatto a non pensarci prima!”

Silenzio.

“Non dirmi che non hai mai visto Ghost!”

Silenzio di nuovo. Sherlock continua a piegare la carta.

“Ghost! Demi Moore, Patrick Swayze. Lui viene ucciso durante una terribile rapina ma deve proteggere lei e anche vendicare la sua morte quindi rimane sulla terra come fantasma. È un classico dei film romantici. C’è questa scena in cui loro due all’inizio del film fanno un vaso di ceramica, o argilla o tutte e due in quel coso, il tornio tipo e sono seduti nel nostro stesso modo e lui le muove le mani sull’argilla. È un classico quella scena.”

Ha appena descritto una delle scene più stucchevolmente romantiche di tutto il cinema, una di quelle scene che le ragazzine guardano nell’adolescenza sognando il principe azzurro, l’ha appena descritta paragonandola a lui e al suo migliore amico che fanno origami e nulla gli è sembrato stonato. Non ci ha nemmeno pensato, gli è venuto naturale. Sottotesti, conversazioni che fanno senza nemmeno accorgersene.

“E io sarei il fantasma quindi?”

“Chi meglio di te potrebbe interpretarlo? Non sei tornato anche tu dal regno dei morti per salvarmi?”

“Non sono mai andato via, John. Solo che tu non potevi vedermi. Tu guardavi ma non osservavi, come al solito.”

“Come Demi Moore nel film, vedi ho ragione.”

“Torna a fare gli origami, John.”

 

 

 

“Se lo racconti a qualcuno, giuro che ti uccido.”

Non sa quanto tempo sia passato, John. Sono fermi a fare origami con le mani che si toccano e potrebbe essere notte come già la mattina dopo. Si stanno praticamente abbracciando da un tempo indefinito e non se n’è quasi accorto.

“A chi dovrei raccontarlo?” la voce di Sherlock è un po’ più tagliente di quanto vorrebbe “Ai miei amici? Alla mia futura moglie? Dovrei scriverci un divertente post sul mio blog?”

Non coglie la provocazione, non ha intenzione di farlo. Che rimanga tra i non detti del loro rapporto se serve a prolungare questo momento.

“Potresti scriverci una monografia per il tuo sito.”

“Sui duecentoquarantatre modi in cui le mie mani possono toccare quelle di John Watson? Quello lo tengo per me, la gente potrebbe parlare.”

E tutto il sarcasmo, tutta la nota acida che c’era nel tono di voce di Sherlock solo pochi secondi prima è andata via.

“Mi piace la gru.”

“Ero sicuro che ti sarebbe piaciuto” ti conosco io, potrebbe aggiungere. Ci sono così tanti modi in cui potrei leggerti ogni momento e ci sono tante volte in cui non ho nemmeno bisogno di farlo perché in ogni caso ti conosco.

“Perché?”

“Perché la gru è il primo origami che s’impara. Il più semplice, quello più lineare. Sì il più semplice nonostante tu ci stia perdendo tipo una giornata, non è proprio il tuo campo John, ed è anche il più conosciuto. Sicuramente in un qualche filmetto di quelli che piacciono a te l’avranno fatto vedere e avranno raccontato la leggenda secondo cui fare mille gru può portare alla realizzazione di un desiderio. Tu sei un romantico, John, in tanti modi che prescindono da quello amoroso, e anche se adesso non ti ricordi nulla a riguardo devi aver visto una scena del genere e ti dev’essere rimasta impressa.”

“Avrei dovuto fare questo mentre non c’eri? Mille origami?”

“Forse li avrei dovuti fare io.”

 

 

Non è questione di essere innamorato di lui, è ovvio che è innamorato di quel ridicolo e imperfetto uomo che non riesce nemmeno a fare una gru con della carta e poi salva la sua vita in così tanti modi diversi. Ne è innamorato da quando l’ha salvata per la prima volta dopo il caso del tassista anche se ci ha messo anni a scendere anche solo a patto con qualcosa di simile a questo sentimento. Ma non è nemmeno questione di essere innamorati, è che John è la sua casa. Quello che prima era Londra, e il suo lavoro in un certo senso anche se rimane comunque fondamentale per evitare che il suo cervello marcisca, adesso è John. Casa.

Non è questione di essere innamorato di lui. Non è mai stato questo il punto, non è mai stato questo il problema. Se fosse così facile si potrebbero prendere delle scelte, se fosse facile e reciproco probabilmente, ma è qualcosa che prescinde. Certo che è innamorato di lui, John si chiede spesso se esista qualcuno capace di passare del tempo con Sherlock Holmes e non innamorarsi di lui, irrimediabilmente. Ma non è quello. John è innamorato di Mary, ama la donna che sta andando a sposare e che l’ha fatto uscire da un periodo devastante della sua vita, solo che la ama in maniera diversa, solo che non è mai stato l’amore il problema o il punto focale del discorso. È che Sherlock è la sua casa, il suo posto nel mondo. Casa.

 

 

 

“Come hai imparato a fare gli origami?”

“Un video su youtube, non te lo ricordi? L’ho detto alla tua futura moglie oggi.”

“Non voglio ascoltare quella storia, non m’interessa quella storia. Non sono Mary, non m’interessa quella parte. Non m’interessa nemmeno se spari balle.”

“E cosa t’interessa?” Tu. Noi. Questo momento. Questo momento per sempre. Dio, per fortuna che non l’ha detto ad alta voce.

“Raccontami di quella volta che hai smascherato un alibi solo per com’era piegato il pezzo di un tovagliolo. Raccontami di quando hai imparato a fare gli origami. Raccontami una storia, Sherlock.”

 

 

 

 

 

 

  
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