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Autore: Emy96    12/01/2014    2 recensioni
Una leggenda narra che un tempo un uomo, stanco di vedere il suo popolo devastato da una guerra che sembrava non voler aver mai fine, chiese aiuto agli animali. Pregò essi di aiutarlo nel raggiungimento del suo scopo: la pace. Dopo un tempo che gli parve infinito davanti a lui planò una bellissima aquila, che riconobbe il suo coraggio e la sua determinazione. I due da quel momento divennero compagni di viaggio, combattendo molte battaglie fianco a fianco, senza mai separarsi. Un giorno decisero di recarsi da una vecchia strega, che si vociferava sapesse eseguire qualunque tipo di magia. Chiesero se esistesse un modo per far si che entrambi potessero usufruire della forza dell’altro. La vecchia rispose che esisteva, ma se avessero accettato non sarebbero più potuti tornare ad essere completamente ciò che erano prima. I due rifletterono a lungo prima di fare la loro scelta: avrebbero sacrificato la loro unicità per diventare un’unica cosa. La creatura che nacque da quell'incantesimo era del tutto nuova, era l'unione delle migliori qualità dell'uomo e dell'animale. Era un Desmos
[Storia partecipante al "The darkest night", contest indetto sul forum di efp]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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-Il lato oscuro della luna-

 



«Una leggenda narra che un tempo un uomo, stanco di vedere il suo popolo devastato da una guerra che sembrava non voler aver mai fine, chiese aiuto agli animali. Pregò essi di aiutarlo nel raggiungimento del suo scopo: la pace.
Purtroppo nessun animale sembrò prendere sul serio le parole del giovane uomo, ma proprio quando egli stava per perdere definitivamente la speranza, davanti a lui planò una bellissima aquila, che riconobbe il suo coraggio e la sua determinazione.
I due da quel momento divennero compagni di viaggio, combattendo molte battaglie fianco a fianco, senza mai separarsi. Erano come una cosa sola, eppure entrambi sapevano ,in cuor loro ,che se avessero continuato a rimanere divisi non avrebbero mai raggiunto il loro scopo. Così, un giorno, decisero di recarsi da una vecchia strega, che si vociferava sapesse eseguire qualunque tipo di magia. L’uomo si inginocchiò al suo cospetto con la fiera aquila che lo imitava. Chiesero alla vecchia fattucchiera se esistesse un modo per far si che entrambi potessero usufruire della forza dell’altro, senza recare alcun danno ad uno dei due. La donna rispose loro che si, un modo c’era, ma se avessero accettato non sarebbero più potuti tornare ad essere completamente ciò che erano prima: un animale e un uomo. I due rifletterono una notte e un giorno e quando il sole tramontò comunicarono alla strega la loro scelta: avrebbero sacrificato la loro unicità per diventare un’unica cosa. La donna non perse tempo e in men che non si dica effettuò il suo incantesimo, dando vita ad una creatura del tutto nuova.
Ella era l’unione delle migliori capacità dell’uomo (saggezza, razionalità, emozioni) e dell’animale (istinto, caratteristiche fisiche, libertà). La nuova creatura aveva il corpo di un uomo alto e robusto, con la pelle ricoperta da piccole piume morbide al tatto. I piedi erano quelli di un’aquila, così come le due possenti ali che spuntavano dalla sua schiena. Ella richiamò a se altri uomini e animali, convincendoli a passare dalla sua parte. In poco tempo un esercito del tutto nuovo riuscì a sbaragliare le forze nemiche, riportando nel mondo del giovane uomo e della possente aquila la pace da loro tanto agognata.
I discendenti di tali creature vivono ancora tra di noi. Essi sono i Desmos, gli uomini e le donne che hanno scelto di legare la propria anima a quella di un animale, che farà loro da guida durante il corso della vita…»
-Leggenda popolare-

 

 

̴.   ̴.   ̴

Sono in trappola. Le catene  con le quali mi hanno legato e la cella dove sono rinchiusa ne sono la prova tangente. Non ho possibilità di fuga.
Provo a spostarmi di lato, ma sono costretta ad arrestarmi subito, per via delle manette e dei ceppi che mi limitano qualunque movimento. Torno ad appoggiarmi al muro al quale sono bloccata, continuando a far vagare lo sguardo in quel luogo angusto. Tre solidi muri di pietra mi circondano in modo opprimente, come se si stessero richiudendo lentamente su se stessi, privandomi del poco spazio di cui dispongo.
L’assenza di finestre non mi permette di capire se sia notte o giorno e l’unico modo che ho di scandire il tempo è il lento sgocciolare delle gocce d’acqua, che si infrangono sul pavimento. La sola luce che riesce a schiarire in parte la mia prigione, è quella proveniente dalla piccola feritoia della porta in ferro davanti a me. Un unico fascio  luminoso al centro della cella. Troppo lontano perché riesca a creare un’ombra della mia figura, troppo vicina a quella mera via d’uscita.
Sospiro gravemente, formando una nuvoletta di condensa.
So perché mi hanno rinchiusa. È per ciò che sono, della mia diversità dagli umani, del mio legame con il mio animale guida, l’altra parte di me. Le persone evitano quelli come me. Hanno paura, provano ribrezzo e molte volte anche odio per questa nostra particolare connessione, ma solo perché non sono mai riusciti a comprenderla.
E non c’è niente di più pericoloso di  un uomo che non  capendo una cosa, preferisce ritenerla una minaccia per la propria incolumità, piuttosto che provare ad accettare il diverso. Questa situazione, già di per se fin troppo fragile, non è di certo migliorata con l’inizio della guerra tra i due popoli.
Sono passati già alcuni decenni dalla prima battaglia e tuttora nessuna delle due parti sembra volersi arrendere. Le troppe morti, le carestie e le epidemie che ne sono scaturite non sono servite a dare fine a questo massacro, anzi, se è possibile la guerra si è fatta ancora più serrata. La colpa di ciò non può che essere ricercata negli avvenimenti che hanno profondamente inciso sugli ideali e sulle speranze del mio popolo.
Tutto ha avuto inizio quando, circa un anno fa, gli uomini ci avevano fatto credere di voler finalmente arrivare ad un compromesso, così da far terminare questo lungo spargimento di sangue. Purtroppo non avevamo capito il loro secondo fine. Con la scusa di una tregua momentanea « per far si che entrambi i popoli potessero fare il punto della situazione, per poi cercare un accordo», erano riusciti a penetrare nel nostro territorio, uccidendo uno dopo l’altro ogni bambino che incontravano sul loro cammino. Non ne risparmiarono nemmeno uno, portando il mio popolo al punto di rottura di quei limiti che da sempre ci avevano frenato dall’abbassarci al livello dei nostri nemici. Il motivo di tale decisione è ovvio. Ci avevano colpito nel nostro punto di forza: il futuro della nostra razza. Meritavano di venir ripagati con la stessa moneta, se non di peggio.
Infatti, da quel momento, la guerra è proseguita con maggiori spargimenti di sangue, attacchi alle città e rapimenti strategici. Nessuno si è tirato indietro e il mio popolo, per la prima volta nella storia, si è diviso in due parti. La maggioranza ha scelto la via della vendetta, ma la piccola parte rimanente ha tenuto saldi gli ideali di uguaglianza e libertà, evitando l’uso della violenza e cercando di rimediare agli orrori causati da ambo due le parti in conflitto.
Io appartengo proprio a quest’ultimo gruppo. Curavo i feriti, salvavo delle vite, aiutavo chi si trovava in difficoltà. Non mi importava a che fazione appartenesse la gente che aiutavo, la mia priorità era riuscire a fare del mio meglio per far si che ognuno potesse avere una seconda possibilità.
Purtroppo durante l’ultimo scontro, non sono riuscita nel mio intento.
Una bambina è morta tra le mie braccia, senza che niente di ciò che avevo fatto fosse servito a qualcosa. Quella minuscola creatura aveva esalato il suo ultimo respiro tra le mie braccia, ancora prima che provassi ad estrarre la lancia che le aveva trapassato da parte a parte lo stomaco. Ho visto i suoi occhi azzurri perdere lentamente il loro bagliore, sentito la stretta della sua mano farsi pian piano più lieve e il suo corpo diventare sempre più freddo.
Quando percepii distintamente gli ultimi battiti del suo cuore, capii di aver fallito. Non avevo dato a quella bambina la possibilità di avere la sua seconda opportunità. Non ero stata in grado di compier il mio dovere.
Una nuova lacrima riga il mio volto tumefatto, al ricordo di quel momento.
Ero rimasta paralizzata, con il corpo della piccola, ormai freddo e inerte, ancora davanti a me. Il mio animale guida era lì, al mio fianco, anche lui immobile dopo quanto accaduto. Non riuscivo ad accettare quanto era appena successo, e anche adesso mi è dura farmene una ragione.
Per la prima volta in vita mia mi ero sentita senza uno scopo. Era come se di colpo tutta la mia determinazione per quella causa in cui credevo con tutta me stessa, fosse completamente sparita. Vedevo la morte in faccia ogni volta che mi accingevo a voler salvare qualcuno in difficoltà, ma quella era in assoluto la prima  che perdevo contro di essa.
Senza neanche rendermene conto inizia a piangere silenziosamente, stringendo ancora quella minuscola manina fredda come il ghiaccio. Fu proprio per questo mio isolamento involontario, che non mi accorsi di ciò che stava per accadere. Mi resi conto dell’arrivo degli uomini solo quando era ormai troppo tardi. A niente valsero le mie spiegazioni e le mie suppliche. Per loro non ero altro che l’ennesima prigioniera di guerra, l’ennesima bestia da rinchiudere dietro le sbarre.
Soffoco a stento un singhiozzo, cercando di darmi un contegno. Non serve a nulla piangere. Inspiro ed espiro con forza, riprendendo lentamente il controllo delle mie emozioni. Devo resistere, non posso farmi sopraffare sempre dalle debolezze.
All’improvviso la porta della mia prigione viene aperta con forza, sbattendo rumorosamente contro il muro.
- Bene mocciosa. È arrivato il momento-
Non riesco a distinguere la persona che è entrata, ma dalla voce pare un uomo. Mi sgancia le manette e i ceppi dalle catene che mi tengono8 legata al muro, strattonandomi per un braccio verso l’uscita.
Appena metto piede fuori da quel buco umido, rimango abbagliata  dalla troppa luce e sono costretta a serrare gli occhi di scatto, per poi iniziare a battere velocemente le palpebre. Quando mi abituo a quel cambio di luminosità inizio freneticamente a controllare ogni cella che superiamo. Devo scoprire dove lo tengono rinchiuso, se gli hanno fatto del male, se è ancora vivo. Scaccio con forza quest’ultimo pensiero dalla mente. No, lui non può essere morto. L’avrei avvertito all’istante. Sarei morta anche io.
Sono speciale, è vero, ma non unica, e questo coloro che mi hanno imprigionata lo sanno fin troppo bene. Hanno capito come funziona e sono consapevoli delle conseguenze che recidere il legame tra una persona della mia razza e il proprio animale guida comportano. Non ne trarrebbero alcun vantaggio, almeno per il momento.
Dopo un paio di svolte ci fermiamo davanti a una porta in legno, che il mio carceriere apre con un a piccola chiave arrugginita, spingendomi al di là di essa senza tanti complimenti. Inciampo sui miei stessi piedi, crollando a terra con un tonfo sordo. Rotolo di lato, nel tentativo di rialzarmi, quando vengo sollevata di peso per poi essere di nuovo bloccata a delle nuove catene.
Alzo lo sguardo e non posso far altro che fissare con ansia crescente il lungo palo di legno al quale mi hanno imprigionato. Deglutisco a vuoto. Sono sulla pedana delle fustigazioni, così che possa essere sotto gli occhi dell’intera città.
L’uomo che mi ha condotto qui inizia a camminare avanti e indietro ad un ritmo snervante, misurando ogni passo con estrema precisione.
- Miei concittadini- prorompe con voce chiara.
- Oggi siamo qui per scoprire dove si nascondono i Figli della Luna che hanno devastato la nostra splendida città. E chi meglio di una di loro può saperlo?-
Figli della Luna, non potevano scegliere un nome meno azzeccato. Hanno sempre creduto che la specialità della mia razza dipendesse dalle fasi lunari  e di conseguenza ,per loro, solo di notte costituiamo un pericolo. È per questo che mi hanno portata all’esterno, quando il sole non ha ancora raggiunto il suo zenit. Sono convinti di essere in vantaggio durante le ore diurne, ma si sbagliano di grosso. Purtroppo per loro , non sanno che questa loro mancanza, come molte altre riguardanti noi Desmos, perché è questo il nostro vero nome, vanno tutte a nostro favore.
- Merita di morire! Hanno ucciso mio figlio!- a parlare è una donna in prima fila, con il volto rigato dalle lacrime e gli occhi carichi di odio.
Abbasso la testa, incapace di sostenere il dolore e la rabbia che percepisco dalle sue parole  e dal suo sguardo.
- Non ha il diritto di continuare a vivere!-
- Uccidete la bastarda!- altre voci si aggiungono a quella della donna, tutte con il medesimo tono accusatorio.
-Silenzio!-
 È bastato un solo richiamo da parte dell’uomo e quel coro di protesta contro la mia stessa vita si acquieta, e lo scricchiolio delle assi torna ad essere l’unico suono udibile.
- So che tutti voi desiderate che tutto questo abbia fine, e credetemi quando vi dico che lo voglio anche io. Vi chiedo solo di attendere un altro po’, il tempo che basta per carpirle le informazioni che cerchiamo. Dopo vi prometto che avranno tutti ciò che meritano-
Un coro d’assenso percorre l’intera piazza, intanto che l’umano si avvicina con calma a me, quasi volesse assaporare quel momento. Mi afferra il mento con una mano, costringendomi a guardarlo negli occhi. Dal suo sguardo riesco a percepire tutta l’adrenalina che sta provando.
- Sei pronta? Ora inizia il vero divertimento-
Mi libero con uno strattone, continuando però a mantenere il contatto  visivo con le sue iridi nere come l’oblio.
- Siamo ancora reticenti, eh? Sono sicuro che riusciremo entrambi ad avere ciò che vogliamo. Io le tue informazioni e tu la libertà. Mi sembra uno scambio equo, non credi?-
A questa affermazione non posso far altro che ridergli in faccia. Sappiamo tutti e due che, anche se rispondessi a tutte le loro domande, non mi lascerebbero mai andare.
Lo schiaffo che ricevo tronca a metà la mia risata, concludendo quel piccolo momento di ilarità.
- Se fossi in te prenderei la cosa più sul serio. Non sei nella condizione di poter scherzare- sibila vicinissimo al mio orecchio.
Ritorno a fissarlo con determinazione, mentre la guancia continua a pulsarmi dolorosamente. Non so di preciso cosa abbiano intenzione di farmi, ma finché ne avrò la forza resisterò.
L’uomo  si allontana, sorridendomi malignamente.
- Portatelo qui!-
Due uomini robusti salgono sul patibolo, trascinandosi dietro un qualcosa di bianco e grosso, da cui sembra provenire un mugolio sommesso. La depositano ai piedi del mio aguzzino, il cui sorriso si  allarga ancora di più.
- Lo riconosci ragazzina?-
Trattengo il fiato, incapace di emettere alcun suono.
Davanti a me sta un enorme lupo bianco, meraviglioso nel suo splendore, ma drammaticamente sfigurato nelle tante cicatrici presenti sul suo corpo.
-Ice…- il nome mi fuoriesce dalle labbra in un sussurro strozzato, lui però sembra aver udito lo stesso, aprendo leggermente le palpebre e permettendomi di specchiarmi nei suoi occhi azzurro ghiaccio che tanto mi sono mancati.
Eccolo li, davanti a me, il mio animale guida. Il forte lupo  bianco con cui ho deciso di legarmi per il resto della mia vita. lo specchio di me stessa.
Sposto lo sguardo da un punto all’altro della sua figura, perdendo subito il conto delle troppe ferite, causate da chissà quale arma. Le stesse che anche io porto sulla pelle. Quelle che loro ci hanno inferto prima e dopo averci separato.
L’uomo strattona l’estremità della catena a strozzo legata al suo collo, provocandoli nuovi mugolii di dolore.
- Se non vuoi che soffra dovrai rispondere alle nostre domande-
Digrigno i denti, sfiorando con le dita il grande livido che circonda la base della mia gola. Ora capisco il motivo di quella pressione costante.
- Ogni volta che ti rifiuterai di farlo non esiterò a fargli del male, quindi vedi di collaborare-
Stringo i pugni con forza, fino a far sbiancare le nocche.
-Prima domanda. Perché te e i tuoi simili avete ucciso quelle persone?-
-Per la stessa ragione per cui voi avete ucciso i nostri bambini!-
Lui tira con forza la catena e io mi porto istintivamente le mani al collo, per cercare di liberarmi da qualcosa che non c’è.
- Non cercare di deviare la domanda! Proprio te parli di bambini! Tu che sei stata colta su fatto! Sei tu quella che ti sei macchiata le mani del sangue di un’innocente, come tutti quelli appartenenti ala tua razza!-
La pressione si fa più forte, mentre mi divincolo, cercando inutilmente di raggiungere Ice, per cercare di porre fine a questa tortura.
-Io n-non ho ucciso nessuno!- mi trema la voce e non solo perché provo sto provando dolore. È perché sto mentendo. Perché è anche colpa mia se quella piccola creatura non c’è più.
-Bugiarda! Quella bambina è morta per mano tua, confessa!-
Non riesco a respirare. Davanti a me distinguo solo informi macchie di colore. Sono al limite. Ho bisogno d’aria, subito.
Proprio quando mi sembra di non poter resistere più, e i miei polmoni in fiamme hanno disperatamente bisogno di ossigeno, finalmente la stretta scompare. Tossisco con forza, riprendendo lentamente a respirare con regolarità.
L’uomo non tiene più in mano la catena di Ice, che ha legato ad un secondo palo, in compenso sta srotolando una lunga frusta.
Sgrano gli occhi impaurita, strattonando per la millesima volta le manette e i ceppi che non mi permettono di fuggire. Ho paura. So quello che mi sta per fare, le cicatrici che ho sulla schiena parlano da se.
-Vediamo se così riuscirò a farti dire qualcosa…-
Con estrema lentezza solleva quella lunga corda di pelle, per poi farla sbattere con velocità impressionante sul mio corpo, facendomi urlare di dolore. Continua a sollevare a far calare quell’arma di tortura con forza sempre maggiore, come se ci provasse gusto.
7,8,9…
-Parla! Dove sono i tuoi amichetti, eh? Dove si nascondono?-
15,16,17…
-Sono forse nella foresta? Insieme a quelle luride bestie che vi portate sempre dietro?
27,28,29…
Ogni mio grido equivale ad una sua domanda e ogni mio silenzio porta all’ennesima frustata, di cui sto iniziando a perdere il conto. Piano piano perdo i sensi, cadendo in un oblio nero come gli occhi crudeli del mio fustigatore.
Dopo un tempo che mi pare infinito, riesco finalmente a riaprire gli occhi. La prima cosa che metto a fuoco è l’interno della mia cella, nella quale mi hanno nuovamente rinchiusa. Sento la schiena letteralmente in fiamme, ma neanche il resto del corpo se la passa tanto meglio. I muscoli non rispondono più ai miei comandi e anche respirare sembra essere diventato uno sforzo immenso, come se avessi tutte le costole rotte.
Di fianco a me sta il mio animale guida, legato ancora a quella maledetta catena a strozzo. Il suo pelo, un tempo bianco come la neve è ora macchiato di rosso cremisi, come ogni centimetro della mia pelle.
Niente ci è stato risparmiato e faccio  fatica a credere di essere entrambi ancora vivi. Già, vivi. Ma per quanto? Giorni? Ore? Minuti?
Sorrido tristemente. Ormai non ha più importanza.
Allungo una mano sul suo muso, assaporando lentamente la sensazione di benessere che quel tocco leggero mi trasmette. Forse non è ancora tutto perduto. Potremo ancora salvarci.
- Che ne dici Ice? Ci proviamo?- gracchio con voce roca.
L’enorme lupo bianco mi guarda con decisione con i suoi occhi azzurri ed io non posso far altro che dargli ragione. Perché non tentare? Tanto peggio di così…
Sorrido nuovamente, stavolta con gioia, mentre  il legame tra me il mio animale guida diventa più forte. Abbattiamo tutte le barriere che ci tengono divisi, rompendo senza quasi nessuno sforzo quelle orrende catene col quale loro  credevano di poterci tenere ancora separati.
In un battito di ciglia diventiamo una cosa sola, prendendo finalmente la nostra vera forma. L’udito si acuisce, la vista diventa più acuta, l’odorato ci permette di riconoscere ogni cosa e i muscoli tornano a rinvigorirsi, anche se non di molto. Ma la cosa che più ci fa tornare in forze è l’aver ritrovato il nostro istinto, di cui avevamo sentito la mancanza per un tempo decisamente lungo, per i nostri standard.
Ci alziamo in piedi, puntando quella porta in ferro battuto, che per troppo tempo ho ritenuto lontana e irraggiungibile. La spalanchiamo con un unico strattone, balzando fuori nel corridoio. Iniziamo a correre, non facendo caso a gli uomini che provano a sbarrarci la strada con le loro armi. Patetici. Come possono credere di avere qualche possibilità?
Rapidi come frecce li superiamo, senza neanche fermarci a combattere, andando a sfondare quella piccola porta in legno che poche ore prima avevo varcato con quell’uomo. Già, chissà lui ora dov’è? Si sarà già accorto della nostra fuga? Qualcuno l’avrà avvertito?
Ormai non mi interessa più. Siamo liberi ed è questa l’unica cosa importante.
Stiamo correndo ad una velocità assurda, finalmente lontano da quelle costrizioni e quel dolore, attraverso una foresta che tanto assomiglia alla nostra casa natia. Aumentiamo ancora di più la nostra andatura, con il vento che ci sferza il viso. Siamo carichi di adrenalina, di furore, di voglia di vivere.
Siamo di nuovo noi stessi.

  
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