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Autore: TheCapo91    13/01/2014    5 recensioni
Un Meowth selvatico, brutalmente sottratto alla realtà a cui appartiene, la cui sete di vendetta segnerà non solo la sua vita, ma anche il futuro di uno degli uomini più potenti di Johto. Un futuro, forse, non molto lontano...
Genere: Avventura, Dark, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Giovanni, Meowth
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Anime, Manga
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Artigli
 
 
 
 
- La vita è una goduria – pensò Meowth, stiracchiandosi. Gli artigli delle zampe anteriori brillarono per un momento, per poi ritirarsi all’interno della carne morbida e pelosa.
Era una giornata perfetta, come sempre a Smeraldopoli.
La moneta d’oro che aveva sulla fronte brillò ai raggi del sole , mentre dolci folate di vento primaverile gli accarezzavano il pelo, accuratamente pulito con la lingua quella mattina stessa; gli ottimi avanzi del pranzo di Nonno Joe, l’anziano della casa al centro della città, gli riempivano lo stomaco, donandogli la serenità che solo una pancia gonfia sa dare.
Sì, quella era un’altra bella giornata da passare in pace e relax.
Mentre sonnecchiava al sole, però, diede un sospiro, improvvisamente inquieto. Si dice che i Pokèmon felini siano estremamente sensibili nel loro animo e che tendano a passare fuggevoli attimi di conflitto interiore, come se la loro natura li chiamasse da qualche parte, lontano…
- Mah, forse è la noia... Sarà meglio guadagnarmi il titolo di Pokèmon fino in fondo e allenarmi un pò.
Decise quindi di fare una passeggiata a sud, dove passava il tempo a graffiare la corteccia dell’albero più alto del Percorso 1.
Non era mai stato un grande combattente, ma andava molto fiero del suo attacco Sfuriate e, sebbene non le avesse mai utilizzate in battaglia, le sue unghie erano lunghe, aguzze e taglienti. Il Pokèmon se le rimirava compiaciuto dopo ogni allenamento, studiandone tutti i particolari.
Per ore, i suoi artigli alzarono una fitta nube di corteccia e polvere, mentre il fusto della pianta vibrava leggermente sotto i suoi colpi.
Quando anche l’ultimo strato di corteccia volò via, Meowth si fermò a riprendere fiato, osservando compiaciuto il suo lavoro: l’intera parte inferiore dell’albero era diventata bianca, spogliata dal vecchio rivestimento che ancora ricopriva la metà superiore. Stava passando le sue zampe sul tronco, saggiando le scanalature lasciate dai suoi graffi, quando un urlo acuto alle sue spalle gli fece fare un balzo.
 
Un ragazzino ciccione, la bocca unta di olio, lo indicava con il dito grassoccio, anche quello ricoperto di qualche sostanza grassa.
- L’ho trovato! L’ho trovato! – squittì estasiato.
Meowth considerò quello strano bambino: la sua faccia ricordava vagamente quella di un Grumpig e la voce così alta era fastidiosa come uno stridio metallico. Eppure emanava un gradevole odore di wurstel, davvero appetitoso.
Forse fu proprio quel profumo mangereccio che gli fece abbassare la guardia; non ebbe il tempo di domandarsi cosa volesse mai da lui che il ragazzotto aveva estratto una Pokèball, lanciandogliela contro.
Un Nidorino dagli occhi crudeli e le zampe robuste, prese forma davanti a lui e Meowth lo guardò interrogativo.
- Dai, Nido, usa Velenospina! – grugnì il bambino e Meowth venne investito da una serie di spilli intrisi di acido: le schegge si infiltrarono sotto il soffice pelo del Pokèmon, irritando la pelle e causando una sensazione di bruciore lungo tutto il corpo.
- Sì! Ancora Velenospina, così! – infieriva l’allenatore, menando i piccoli pugnetti in aria, mentre il Nidorino rimaneva concentrato e inespressivo, totalmente assorbito dal suo ruolo di carnefice.
In preda al dolore pruriginoso, Meowth non si capacitava di quello che stava accadendo.. Non aveva mai visto quel piccolo botolo di lardo prima di allora, ed era certo di non averlo mai infastidito in alcun modo. Nessuno lo aveva mai attaccato così, senza motivo
Miagolando sofferente, si trascinò fuori dal flusso di aghi, cercando una via di fuga.
- Ora usa Doppiocalcio – cantilenò il bambino con una vocina puerile, assolutamente in contrasto con la spietatezza degli ordini che impartiva.
Il Nidorino piombò su di lui, colpendolo con entrambe le zampe posteriori e Meowth rotolò sull'erba, impotente.
Quando l’avversario gli si avvicinò per colpire di nuovo, però, il Pokèmon felino vibrò una zampata, con gli artigli snudati.
L’attacco non inflisse alcun danno significativo al Nidorino, ma bastò a farlo arretrare, dandogli il tempo di rimettersi eretto sulle zampe posteriori.
Forse era per via dell’assurdità di quella situazione, forse era il veleno che cominciava a entrare in circolo nel suo corpo, ma la mente gli si annebbiava sempre di più e tutto appariva così confuso...
- Noooo, cattivo, gli hai fatto male!
All'urlo seguì un'altra scarica di dolore, mentre il bambino gli rifilava un calcio in pieno volto, facendolo rotolare sull’erba.
L’ultima immagine che Meowth vide era il viso di quella peste che gli si avvicinava sorridendo, poi il buio assoluto…
 
- Guarda, mamma, guarda! Ho preso Mew!
Il suo corpo si afflosciò su un pavimento di legno, umido e sporco. Con uno sforzo immenso si alzò sulle zampe e vide su di lui incombere il trippone che lo aveva malmenato, vicino ad una signora che, data la stazza, non poteva che essere sua madre.
- Oooh, piccolo mio, ma questo non è un Mew… Questo è un Meowth!
- Ma è un gatto! – si lamentò il ragazzino, pestando i piedi – ho sentito che miagolava e il nome è uguale!
- Ma tesoro, i Mew sono rosa, questo ha il pelo grigio. Inoltre non è così facile incontrare un Mew selvatico, sai…
Mentre la donna si allontanava, Meowth si guardò attorno, cercando di capire dove si trovasse, quando una scarica di dolore gli investì il cervello, immediatamente dietro l’occhio, dove il ragazzino lo aveva colpito. Si portò una zampa al viso, ma prima che potesse farlo un altro calcio lo spedì contro un muro, stordendolo.
- Bugiardo, tu non sei Mew! Io volevo Mew!
Il bambino ciccione aveva iniziato a piangere e si stava avvicinando per colpirlo di nuovo.
Con le ultime energie che gli rimanevano, il Pokèmon balzò in alto e gli passò una zampa sulla guancia, sentendo i suoi artigli graffiare la soffice pelle adiposa del ragazzino.
Un altro urlo gli trapassò le orecchie, mentre quello iniziava a strepitare piangendo ancora più forte e invocando la mamma.
Quando atterrò di nuovo sul freddo pavimento della stanza, però, Meowth sentì le giunture delle zampe piegarsi dalla stanchezza. Di nuovo perse conoscenza, il pianto del bambino che si faceva sempre più lontano…
 
Si riebbe che era notte fonda e si mise seduto, dolorante. Tutto il corpo era spossato dalle sevizie cui era stato sottoposto , in particolare la testa. Sentiva l’occhio destro gonfio e pulsante e la pupilla bruciare ad ogni movimento: come se non bastasse doveva aver dormito in una posizione scomoda, poiché le zampe anteriori gli formicolavano da morire.
Si rese conto ben presto di essere in un ambiente chiuso e maleodorante: mentre la sua vista si abituava all’oscurità, comprese di essere in uno sgabuzzino.
Dalla porta, che filtrava quel minimo di luce sufficiente a distinguere le sagome, si poteva ancora sentire il suo aguzzino frignare e la voce della sua mamma.
- Non lo voglio! E’ brutto e cattivo e non lo voglio!
- Calmati, amore, adesso non può più farti del male. Non lo hai catturato, quindi è ancora selvatico, ma te ne dovrai prendere cura, perché adesso è tuo.
- Ma io volevo Mew!
- Shh, ora fai il bravo e dormi, vedrai che domani tutto passa…
La luce si spense e Meowth sospirò sollevato, mentre i passi della donna si allontanavano: almeno per il momento non rischiava di essere pestato di nuovo.
Si acciambellò nella posizione più comoda che riuscì a trovare e di nuovo la situazione in cui si trovava gli parve essere un incubo privo di significato: solo quella mattina si era svegliato nel suo solito vicolo accanto alla casa di Nonno Joe, era una giornata simile a tutte quelle della sua vita, libero e felice di essere vivo. Ora era in trappola, condannato alle sevizie di un marmocchio capriccioso e violento, che lo aveva rapito e rinchiuso chissà dove...
Poi, mentre cercava di accettare l’assurdità della situazione, le sue zampe formicolarono di nuovo e le parole della donna gli risuonarono in mente come una minaccia. “Ora non può più farti del male...”.
Tremando, portò la zampa destra davanti al viso e l’unico occhio che gli era rimasto si riempì di orrore: i suoi artigli, i suoi bellissimi artigli, non uscivano più dalla sua zampa. Per quanto si sforzasse di tirarli fuori, sporgeva solo una puntina arrotondata e inoffensiva.
Glieli avevano tranciati mentre era svenuto.
Quando il dolore dell’orgoglio ferito si sommò a quello fisico, un’energia arcana brillò nel buio dello stanzino, mentre il corpo del Pokèmon diventava lungo, affusolato, agile e scattante.
Quando riaprì gli occhi, si accorse che il suo occhio era guarito, che aveva una piccola protuberanza rossa al posto della scintillante moneta sulla fronte e che disponeva di una forza decisamente superiore a prima.
Fu quella forza a permettergli di scardinare con i denti la maniglia della porta che lo confinava nello sgabuzzino e a fuggire via da quel luogo, lontano…
Mentre correva via, l’immagine di quell'odioso ragazzino lo tormentava: ogni ombra nascondeva un pericolo, ogni cespuglio celava una minaccia. Quel piccolo sgorbio gli aveva tolto la pace interiore.
Ma nelle tenebre della notte, la silenziosa promessa di vendetta si alzò, minacciosa come un ringhio e potente come un ruggito.
- Te la farò pagare. Oh sì se te la farò pagare...



 

Venti anni dopo, un distinto giovanotto, sulla trentina, vestito con un’elegante giacca nera sopra una camicia bianca, si trovava a passeggiare nel sentiero che portava a Smeraldopoli.
All'apparenza non si sarebbe detto, ma quel giovane uomo era a capo di una delle organizzazioni più potenti che la regione avesse mai visto.
Proprio in quel momento, un elegante Persian attraversò la sua strada, guardandolo dritto negli occhi con le sue pupille di ghiaccio.
L’uomo sorrise, colpito dalla fierezza dello sguardo del Pokèmon e dal candore del suo manto. Nella sua mano brillò una Pokèball...
Il giorno dopo, il Persian sedeva sulle sue ginocchia, mentre l’uomo dirigeva i suoi sottoposti attraverso una serie di teleschermi, comodamente seduto sulla poltrona del suo ufficio.
Due giovani reclute scattarono sull’attenti quando il loro capo li congedò e si allontanarono dall'ufficio con passo militare, lasciandoli soli.
Il Pokèmon miagolò e lui prese a lisciargli il pelo, beandosi della sua morbidezza.
- Mio caro Persian, benvenuto nel mio mondo. Ora che il progetto M è ultimato, nessuno potrà impedire alla nostra grande organizzazione di dominare. Ho progetti incredibili per questa regione e ben presto tutto il mondo conoscerà la potenza del Team Rocket. Oh! – aggiunse compiaciuto, mentre passava la mano sulle morbide zampe del Pokèmon – vedo che hai già gli artigli limati. E’davvero un segno di grande eleganza, sai? Ho sempre odiato le unghie lunghe e mi prendo davvero molto cura delle mie mani. Abbiamo uno spirito affine...
Giovanni allungò le gambe, stendendosi completamente sulla comoda poltrona e il gatto gli posò le zampe posteriori sul petto, lo sguardo fiero e regale.
- Gli altri miei Pokèmon sono fatti per combattere – continuò - ma te... Te sarai il mio pupillo e non dovrai mai alzare un dito contro nessuno. Ah, mio piccolo amico, non sai la fortuna che hai avuto nell'incontrare proprio me sul tuo cammino...
- Certo, la fortuna – pensò Persian, facendo le fusa – ma bisogna anche saper aspettare le buone occasioni. Pianificare. E per attuare la mia vendetta sono disposto ad aspettare altri venti anni, se necessario. Attenderò nell'ombra, ti osserverò mentre dormi, inerme e inconsapevole... E quando non avrai più segreti per me, avrò la mia vendetta su quel ragazzino che eri e che continui ad essere...
Il capo del Team Rocket si alzò, continuando a tenerlo in braccio, e Persian osservò con interesse la gola del suo allenatore, bianca e morbida sopra il colletto della camicia.
- Non temere, Giovanni, i miei artigli sono ben limati. Ma altrettanto non si può dire dei miei denti...
  
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