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Autore: _Frency_    13/01/2014    3 recensioni
Ci sono momenti in cui bisogna fare delle scelte, e non ci si può più tirare indietro. Bill è più deciso che mai a vivere a fondo la sua storia con Kerli, e il primo passo è presentarla ufficialmente alla famiglia. Tom desidera rimediare ad un errore commesso in passato, e tornare in Germania sembra l'occasione perfetta. Georg e Gustav si trovano coinvolti, una volta ancora, nelle balzane idee dei compagni, che sembrano pronti a tutto pur di non lasciarsi sfuggire le ragazze che hanno rubato loro il cuore. Proprio queste ultime, anime femminili coinvolte in una storia che le vede protagoniste, si trovano per la prima volta faccia a faccia. E sono due mondi agli antipodi che si scontrano, non solo due donne che all'apparenza non hanno nulla in comune. Incomincia così una rocambolesca storia che racchiude al suo interno sia giornate luminose che tempestose, proprio come gli animi mutevoli dei suoi personaggi. Perché ognuno di due cela in sé luci e ombre. Cosa succede, quando il confine tra l'una e l'altra si assottiglia, fino a diventare una mera illusione?
[Seguito di: "No Woman No Cry" e "Wonderland"; ultima parte della serie "Ricami sul Cuore".]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ricami sul Cuore.'
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Hurricanes and Suns.
 



Capitolo 1: Home.


 
I momenti sereni di oggi sono i pensieri tristi di domani.
(Bob Marley)


 
Profumava di primavera l’aria, di gelide promesse e calde aspettative. I primi teneri boccioli cominciavano a fare capolino sui rami scheletrici e nodosi di numerosi alberi spogli, mentre un vento saturo degli odori della città gli carezzava dolcemente. Era una giornata splendida, una di quelle giornate che riescono a entusiasmare anche l’umore più cupo e l’animo più triste. Era una di quelle giornate in cui il sole baciava le cupole dei palazzi californiani facendole risplendere di mille riflessi cangianti e dorati; una di quelle mattinate che ti portano a sorridere inconsciamente, perché nulla potrebbe andare storto.

La ragazza, in piedi davanti alla vetrata aperta della finestra, osservava con cipiglio assorto il paesaggio urbano che si stagliava davanti a sé. Solo una persona che poteva fregiarsi del vanto di conoscerla assai bene avrebbe potuto affermare con certezza che in quello sguardo c’era una nota di malcelata malinconia, abilmente nascosta dietro veli di apparente serenità. Giocherellava nervosamente con una ciocca dei lunghi capelli biondi, assorta in chissà quali pensieri, e il tocco lieve di una mano fredda sulla spalla, lasciata scoperta dal vestito dalla foggia quanto mai stravagante, la fece sobbalzare.

-Ti ho spaventata?- una voce flautata, piacevolmente familiare, le sussurrò quelle parole all’orecchio.

La ragazza sorrise, inclinando appena la schiena all’indietro e incontrando così l’appoggio del petto di un’altra persona, avvicinatasi a lei in maniera tanto silenziosa da non essere udita, complice anche la mente distratta della ragazza, concentrata su ben altri pensieri.

-Affatto, stavo solo… pensando. Scusami, non ti ho sentito- ammise la ragazza, voltandosi in modo da incrociare lo sguardo ambrato che dominava il volto del ragazzo lì accanto a lei.

-Non devi preoccuparti di nulla, lo sai questo, vero?- domandò lui, con voce melliflua e dolcemente persuasiva, intuendo quale genere di pensieri potessero turbare la mente della ragazza che stringeva a sé.

Lei sospirò debolmente, chiudendo gli occhi e respirando piano il profumo delicato del ragazzo che le cingeva la vita in un abbraccio.

-Sì, lo so- disse poi, come intuendo il bisogno del ragazzo di saperla pienamente consapevole. Il ragazzo le baciò teneramente la tempia, sprofondando il viso tra i suoi capelli dorati, apparentemente soddisfatto della sua risposta.

-Brava bambolina- ribatté lui, sorridendo.

Lei si divincolò appena, stizzita da quell’epiteto.

-Bill- ringhiò -Quante volte pensi di chiamarmi ancora con questo soprannome?- domandò indispettita, arricciando le labbra in quel broncio da bambina che il ragazzo tanto adorava.

-Una volta ancora almeno- ammise Bill con un candido e innocente sorriso, incrociando lo sguardo ceruleo della ragazza che ricambiò quel sorrisetto con aria esasperata.

Rimasero in silenzio un istante ancora, e mentre Bill si beava del respiro regolare della ragazza che si infrangeva contro la propria pelle, Kerli si stringeva a lui cercando di dimenticare tutto ciò che non fosse loro.

-Ti aspetto fuori, va bene? I ragazzi sono già arrivati, Tom è con loro- le disse il ragazzo, sciogliendosi dolcemente da quell’abbraccio.

La ragazza annuì con il capo, abbassando lo sguardo per evitare che il ragazzo incrociasse i suoi occhi.

E se non sarò all’altezza?

Con un sospiro pensò che forse non avrebbe dovuto essere così apprensiva, così estremamente sensibile al più piccolo cambiamento.
Hai una meravigliosa settimana davanti a te, che si prospetta piacevole ed estremamente rilassante: lascia i tuoi problemi qui a Los Angeles.
Ma era decisamente più facile a dirsi che a farsi. Sbuffò, passandosi una mano tra i capelli e lanciando un ultimo sguardo fuori dalla finestra, prima di uscire chiudendosi la porta alle spalle con un colpo secco.
 


Lo avevano deciso pochi giorni prima, e tutti si erano subito mostrati d’accordo. Una settimana di puro svago avrebbe giovato a tutti, e allora era sorta spontanea la proposta: perché non tornare a casa? Ne sentivano tutti una certa nostalgia, soprattutto i gemelli, che da quando si erano trasferiti non avevano fatto più ritorno in patria. E nonostante fosse passato meno di un anno, entrambi avevano una certa voglia di riassaporare l’aria familiare di quella città che era sembrata sempre troppo piccola per due ragazzi come loro. La prospettiva di un abbraccio di Simone e una bella passeggiata per le conosciute vie di Amburgo si prospettava quanto mai interessante, perciò avevano impiegato davvero poco per avvisare David e iniziare i preparativi.

Bill, non senza un certo imbarazzo, aveva chiesto a Kerli se desiderasse seguirli. Lei si era rivelata entusiasta, ma aveva sgranato gli occhi per lo stupore quando Bill si era mostrato deciso a presentarla a mamma Simone.

-Tu sei pazzo, Bill Kaulitz!- aveva sbottato lei, sempre con quell’espressione sbalordita dipinta in viso.

-E perché mai? Cosa c’è di male nel presentare le propria fidanzata ai genitori?- aveva replicato lui.

-Niente, è chiaro, però… Oh, avanti! È imbarazzante!- aveva cercato di eludere la domanda lei, senza però alcun successo.

-Perché?-

-Perché sono io la ragazza in questione, e tu… Tu sei tu- aveva balbettato lei.

-Su questo non ci sono dubbi- aveva replicato il ragazzo, con una nota risentita nella voce.

-Bill…- aveva tentato Kerli.

-Non essere sciocca- l’aveva liquidata lui con un gesto della mano.

-Io non vedo l’ora che vi conosciate- aveva ammesso, arrossendo vistosamente sotto lo sguardo sempre più allibito della ragazza.

-Bill…- aveva incominciato, senza essere certa di riuscire a continuare.

-La ragazza si presenta alla propria famiglia quando la relazione diventa seria e stabile…-

Bill aveva soppesato le sue parole, fissando il proprio sguardo ambrato nei suoi occhi chiari con tanta intensità da metterla a disagio.

-La nostra è una relazione seria. E molto stabile- aveva detto infine, con tutta la calma possibile e un tono che, però, risultava quasi infantile.

Kerli, superato il primo istante di sorpresa, gli aveva rivolto un sorriso dolce. Poi lo aveva abbracciato, tenendolo stretto a sé come se non volesse più lasciarlo andare via. E lui non aveva nessuna intenzione di scappare.



Eppure, la preoccupazione di non essere all’altezza delle aspettative della madre del suo ragazzo – perché ormai poteva anche definirlo così, no? – l’aveva nuovamente sconfortata quella mattina, diventando una morsa di fastidiosa ansia quando Bill l’aveva avvicinata a sé per confortarla.
E adesso stringeva la borsa al petto, inforcando gli occhiali da sole e raggiungendo i quattro ragazzi fermi a chiacchierare vicino al cancello della villa dei due gemelli.

-Kerli!- esclamò il batterista, vedendola arrivare.

-Ehi, che bello vedervi ragazzi- ribatté lei con aria solare, andando incontro ai ragazzi e abbracciandoli con calore.

-Sei riuscita a superare la fase sclerotica pre-partenza di Bill: sei più tenace di quando pensassimo- disse Georg, mentre la ragazza si scioglieva dolcemente dall’abbraccio affettuoso dell’amico.

La ragazza scoppiò a ridere, ricordando le giornate che il cantante aveva passato a fare le valigie, per poi disfarle dicendosi poco soddisfatto e rifarle per una seconda volta. Inutile soffermarsi a descrivere lo stato in cui la loro stanza si era ridotta: vestiti sparsi ovunque, biancheria che penzolava dallo schienale della sedia della scrivania, trousse ricolme di smalti, creme e trucchi vari abbandonate sulla moquette. Kerli si era mostrata tollerante, perché lei stessa aveva sempre avuto qualche problema ad organizzarsi prima di partire per un viaggio. Nonostante sia lei che il ragazzo si spostassero in continuazione in giro per il mondo, sembravano non aver ancora preso dimestichezza con valige e trolley, ma soprattutto sembravano entrambi convinti che i bagagli potessero contenere qualsiasi cosa, come se potessero aumentare di capienza a loro piacimento.

Aveva messo fine a quel delirio Tom quando, entrando innocentemente nella camera che il fratello condivideva con la ragazza, per poco non
era scivolato su un tubetto di mascara. E allora Kerli e Bill avevano ben pensato di fare un po’ d’ordine.

-Allora, siete tutti pronti?- domandò il chitarrista, afferrando le proprie valige e cominciando a caricarle in macchina.

I compagni annuirono, imitando il ragazzo e stipando in macchina borse e trolley colorati. Quando dopo una manciata di minuti partirono per dirigersi all’aeroporto, lasciandosi gradualmente alle spalle il familiare quartiere in cui i gemelli risiedevano e poi anche il centro della città, uno strano fermento si insinuò tra loro. Stavano tornando a casa.
 


Amburgo. L’aria fredda nonostante la primavera imminente, così stranamente rigida rispetto a quella dolce di Los Angeles; le strade affollate e le viuzze che si affacciavano sul fiume Elba; la chiesa di San Michele e quella di San Nicola.
Amburgo. Casa. Ricordi legati alla loro infanzia, passata in quella città vegliata da antichi monumenti le cui ombre racchiudevano misteri e segreti. Luci calde e profumi famigliari, tra l’aria greve del fiume e quella profumata dei giardini.
Kerli non aveva mai visitato la Germania. E, tantomeno, una città simile a quella in cui avevano messo piede dopo quasi tredici ore di volo, stanchi, storditi e consci del fatto che la parte più difficile del viaggio doveva ancora arrivare. Il passaggio tra l’aeroporto e l’albergo dove avrebbero alloggiato era sempre uno spostamento difficile, e anche quella volta sembrava non fare eccezione.
Bill si passò una mano sul volto tirato, inforcando nuovamente gli occhiali da sole per evitare di essere riconosciuto, nonostante la folla. La ragazza, intenerita, gli diede un leggero bacio sulla guancia, e il cantante sorrise, cercando di non apparire troppo stanco.

-Dai piccioncini, muovetevi che altimenti in hotel ci arriviamo domani!- li richiamò all’ordine Tom, sghignazzando.

Il gemello gli lanciò un’occhiataccia da dietro le lenti scure, prima di incamminarsi dietro al chitarrista, seguito dalla ragazza e dai due amici.
 



Tom non si era mai sentito tanto a disagio, tanto fuori luogo, come in quel momento. Era affacciato sul balcone della sua camera d'albergo, con i gomiti appoggiati sulla ringhiera e una sigaretta stretta precariamente tra le dita. La vista era tanto bella da mozzare il fiato. La città brillava d’oro e argento, immersa in mille luci calde e scintillanti, e da quell’altezza vertiginosa si poteva dominare con un’occhiata tutto il paesaggio che si stendeva a perdita d’occhio.
Il chitarrista non aveva mai avuto problemi di vertigini, perciò sapeva con certezza che il malessere che sentiva all’altezza dello stomaco era dato da qualcosa di ben più profondo. Si portò la sigaretta alle labbra, aspirando una nuova boccata di fumo e continuando a tenere lo sguardo fisso sull’orizzonte, dove il cielo scuriva fino a sembrare quasi nero.

La verità era che c’era qualcosa di lei in ogni angolo di Amburgo che riusciva a vedere: il verde smeraldino dei suoi occhi era lo stesso che si rifletteva sulla placida superficie del fiume che attraversava la città; il suo profumo – intenso, famigliare, impresso nella sua mente nonostante fossero mesi che non lo respirava più – sembrava aleggiare nell’aria, portato dal vento. Anche la folla, colorata e vivace, sembrava la stessa in cui loro amavano perdersi. E lui rischiava di impazzire. Non era neanche passato un anno, ma a lui sembrava trascorsa un’eternità. O forse era perché lui, nel giro di pochi mesi, era cresciuto radicalmente. E non era cambiato solo fisicamente, no: era dentro di lui che qualcosa era mutato.

Perché ho accettato tutto questo? Perché non sono rimasto a casa? Perché sono tornato qui?

Lo sapeva il perché, nonostante non volesse ammetterlo neanche a sé stesso: quella era l’unica città che lui avrebbe potuto mai chiamare casa, per il semplice motivo che anche lei era lì. Ed erano vicini, incredibilmente vicini, eppure a lui la distanza tra loro non era mai sembrata tanto immensa. Il solo pensiero di esserle ad un soffio di distanza e non poterla raggiungere lo mandava giù di testa. Gli mancava, gli mancava in un modo così doloroso che da tempo non provava. E, intanto, un’idea – assurda, avventata, decisamente troppo azzardata – si faceva largo nella sua mente.

Stringerla di nuovo tra le braccia.

Respirare il suo profumo.

Sentire di nuovo la sua voce graffiante.

Baciarla, fino a perdersi in lei.


Oh, la tentazione era forte. Si sentiva sull’orlo di un precipizio, pericolosamente sospeso ad un passo dal nulla più totale. Ma si trattava di lei. E, per la prima volta dopo tanto tempo, si era stancato di fingere che andasse tutto bene. Non era così, e non lo sarebbe mai stato fino a che tra lui e lei non fosse scomparsa quella distanza che li separava. Dovevano chiarire molte cose, e lui per primo sapeva di doverle delle spiegazioni. E tante, anche. Ma c’era una parte di lui che continuava ad essere restio all’idea di rincontrarla dopo così tanto tempo. Cosa le avrebbe mai potuto dire? Cosa gli avrebbe detto lei? Lo avrebbe cacciato? Gli avrebbe voltato le spalle?
Un nodo gli strinse fastidiosamente la gola, facendolo tossire.

-Dovresti smetterla di fumare-

Un voce lo riscosse improvvisamente dai suoi pensieri, facendolo voltare di scatto. Bill, scalzo e con il viso finalmente struccato, stava in piedi sulla porta che dava sul balcone.

Tom abbozzò un sorriso, facendogli cenno di avvicinarsi e tornando a lasciare vagare lo sguardo nel cielo blu davanti a sé.

-Senti da che pulpito arriva la predica- ribatté, lanciandogli un’occhiata in tralice e notando che il gemello continuava ad apparire tranquillo, nonostante il suo commento sarcastico.

-Guarda che a me puoi dirlo- disse ad un certo punto il cantante.

Il chitarrista gli rivolse un’occhiata stupita.

-C-cosa? Dirti cosa?- farfugliò, abbassando lo sguardo per evitare di incrociare le iridi scure del fratello.

-Lo sai-

La voce dolce di Bill lo sorprese. Era da tanto, tanto tempo che non  usava quel tono con lui. Era quella particolare cadenza che di solito lo faceva capitolare e, per sua sfortuna o forse per sua fortuna, il moro lo sapeva.

Vorrei… Oh, Bill, come faccio a spiegartelo? Come posso dirtelo?

-Io…-                                     

Stringerla di nuovo tra le braccia.

Respirare il suo profumo.

Sentire di nuovo la sua voce graffiante.

Baciarla, fino a perdersi in lei.


-Io sono ancora innamorato di lei- ammise in un sussurro, cercando di non cedere a quel bruciore gli faceva pizzicare gli occhi e sapeva bene di cos’era il preludio.

-Non permetterò ad un errore commesso in passato di portarmela via…-

È una grandiosa cazzata! Sei solo un ragazzino che non è in grado di accettare le conseguenze delle sue azioni e prendersi le sue responsabilità!

Ecco quello che gli gridava la parte più giudiziosa di sé. Ma lui, come sempre, non le prestò minimamente ascolto.

-La ritroverò- disse con fermezza, voltandosi e incontrando così lo sguardo stupito e compiaciuto del gemello.

Bill sorrise, ricambiando lo sguardo sereno e pieno di determinazione del fratello.

-Adesso ti riconosco- disse soltanto.


















My Space:

Salve a tutti!

Sì, sono finalmente tornata! Ed ecco che iniziamo una nuova avventura, dopo aver concluso "No Woman No Cry" e "Womderland".

Cosa ne pensate come inizio? Vi ritrovate con i personaggi?

Io, come ogni volta, mi sono emozionata a postare il primo capitolo, perché significa impegnarsi nuovamente nei vostri confronti e riprendere in mano le fila della storia, per concluderla. Sono emozionatissima, sì,  lo ammetto. Vorrei riuscire a fare un bel lavoro, e non lasciare temi in sospeso.

Ah, indicativamente dovrei postare ogni due settimanemi rendo conto che in passato aggiornavo prima, ma in questo momento tra la scuola e gli altri impegni non riesco a fare altrimenti. 


Detto questo... Spero vogliate farmi sapere la vostra opinione, sapete che per me è sempre un piacere!

Grazie alle lettrici che mi hanno seguito nel lungo percorso di questa trilogia, supportandomi e consigliandomi ogni volta al meglio.

Al prossimo capitolo,

Francesca.

 
   
 
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