Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: ScrittriceAllePrimeArmi_    13/01/2014    1 recensioni
Ho commesso un grande errore: mi sono fidata della persona sbagliata, e ora sono sola. Il senso di colpa mi distrugge, così decido di farla finita, ma anche nella morte non trovo pace.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Lacrime,morte e inferno
 

Una lacrima scese sulla mia guancia, scivolò fino al mento e li calò giù sul mio bianco vestito di seta. Un'altra lacrima scivolò giù per tutto il viso, ma non calò sul mio abito, arrivò sotto il mento e si fermò lucida e brillante come specchio, e lì rimase, finché non l'asciugai con le mani sporche di sangue. Due semplice lacrime, che si trasformarono in mille, che uscivano dai miei occhi tutte insieme è cadevano leggiadre sul mio abito, e  continuavano a scendere e scendere, senza tregua. Milioni di lacrime che mi rigavano il viso, semplici gocce d’ acqua, ma che bruciavano ogni strato di pelle che toccavano; per me non erano acqua, erano saette di fuoco che bruciavano la pelle, che la oltrepassavano fino ad arrivare all'osso, e li scomparivano lasciando solo il dolore provocato. Soffrivo, soffrivo molto, solo perché non ero stata capace di  pensare lucidamente, solo perché ero stata stupida, e ora pagavo il prezzo per la mia ignoranza. Un tempo non mi sarei mai fatta imbrogliare in questo modo, ma il tempo passa, e le persone cambiano. Il mio era stato un errore che molte persone hanno compiuto, era l’errore della fiducia, e dell’amore. Per colpa di quei due sentimenti mi trovavo lì, a soffrire. E goccia dopo goccia, le mie lacrime scendevano sul candido vestito bianco dove sparivano, lasciando solo la loro calda traccia. Ecco, ora non piangevo più, anche se gli occhi mi pizzicavano tanto, poi all'improvviso l’ultima lacrima scese lenta sulla guancia sinistra per seguire quelle righe che, ormai, appartenevano al mio viso. Ma mi sbagliavo, non era l’ultima. I miei occhi iniziarono a riempirsi di lacrime, cercavo di trattenerle ma iniziarono a pungermi fortemente gli occhi, così le lasciai scivolare sul mio viso, già pieno del loro passaggio. Il mio vestito era bagnato, ma non riuscivo a frenare quelle gocce che scivolavano giù dai miei occhi. Potevo placarmi? Era impossibile dirlo; mi era passato per la mente che avrei potuto continuare all'infinito e chissà se sarebbe accaduto.
Si dice che tutto ha un inizio e una fine, ma la tristezza può avere una fine? La paura di vivere una vita senza felicità era una cosa bruttissima da pensare, ma forse l’unica verità.
Nella mia vita avevo fatto molti errori, ma uno solo era la stato mia rovina. Quel ricordo che tormentava la mia anima e la mia esistenza, quel ricordo così doloroso da indurmi alla morte, la mia unica possibilità. Avevo pensato molto alla morte, ed ero giunta alla conclusione che morire era la scelta migliore. Prima di farla finita mi era venuto in mente di scrivere una lettera a chi mi voleva bene, ma tutte le persone che amavo erano sparite, e il pensiero di quelle persone che avevo perso mi fece sentire ancor più forte il desiderio di lasciare quella vita. Così posai il coltello sporco di sangue sul tavolo; pensai che tagliarmi le vene sarebbe stato un buon modo, ma non ci riuscii, lo trovai un modo troppo doloroso, così tagliai solo molte volte senza nessun risultato. Allora presi una corda e feci un nodo molto stretto, la fissai alla tubatura e salii sulla sedia, pronta.
La sedia cadde con un tonfo sul pavimento e sentii la corda stringermi il collo, respirare diventava sempre più difficile e mentre una lacrima mi rigava il viso, esalai il mio ultimo respiro. 
Avevo gli occhi chiusi e cercai di aprirli, ma non ero morta? Ero forse arrivato in Paradiso?                      
Aprii gli occhi mi trovai in un prato verde; non avrei mai immaginato di finire in un posto del genere. Mi guardai intorno, era stupendo: un prato immenso, pieno di fiori e alberi di frutta, e poi un lungo ruscello limpido. Era il posto più bello che avessi  mai visto. Mi sedetti accanto alla riva, chiusi gli occhi e accarezzai l’acqua, l’erba e feci un grande respiro per sentire gli odori più belli: quello, per me, era il paradiso. Una sensazione di serenità mi avvolse. All'improvviso mi accorsi che accanto ad un albero di mele si trovava una casetta, corsi ad andarla a vedere.
Era molto piccola, vi era solo un tavolinetto, una sedia, un caminetto e un letto.
Dopo averla visitata per bene uscii di nuovo e mi resi conto che già il sole era calato e così rientrai; ero molto stanca e mi addormentai sopra il morbido letto. Non avrei mai immaginato che addormentandomi avrei avuto di nuovo quella sensazione di immensa tristezza, tutto per colpa di quel sogno.                            
Quel ricordo che mi aveva rovinata, quei momenti dolorosi e quel senso di colpa ancora mi perseguitava, anche nella morte non si trova pace? Io pensavo il contrario. Avevo perso la mia triste vita per poter star bene con me stessa, ma invece non era cambiato nulla. E lì, seduta in quel morbido letto, ricominciai a piangere come quel giorno; il mio dolore era il mio tormento. Avrei vagato per sempre in quel campo con il dolore che mi bruciava le vene? Con quel rimorso che non mi faceva dormire la notte? Con quelle immagini impresse nella mente, che non volevano darmi tregua? Insomma, avrei dovuto soffrire per l’eternità? Erano tutte domande a cui non potevo dare ancora una risposta, e chissà se in futuro l’avrebbero avuta. Beh, per il momento, non potevo fare altro che piangere, e chissà che lacrima dopo lacrima non avrei trovato la serenità dentro quel dolore.
E successe proprio questo: trovai riparo nello stesso male che mi aveva condotta alla morta, quella che prima era stata la mia rovina, ora era la mia salvezza, la salvezza per non soffrire più, almeno per un po’.
Erano passati giorni da quella notte, e non soffrivo più come prima; io affrontavo il dolore, e usavo quelle stesse immagini per trovare tranquillità e amore.
Mi coricai sul morbido letto, chiusi gli occhi e aspettai che quelle immagini prendessero forma. Avevo capito che l’unico modo per “vivere” era non lasciare che il dolore mi prendesse e mi facesse sua preda. Ed ecco, la scena della mia rovina, non volevo piangere, e infatti non lo feci, ma guardai quelle immagini come fosse un film, e io una spettatrice. Soffrivo, ma molto di meno, perché avevo accettato l’idea di quel madornale errore, quell'errore costato delle vite, vite a cui tenevo, vite scomparse per colpa mia.
Ero ancora distesa sul letto, con gli occhi chiusi, quando una leggera lacrima mi scese giù dall'occhio destro. Ora non vedevo più quell'orribile scena, ma pensavo a quelle persone, alla mia famiglia, e i ricordi di quando ero piccola, felice e spensierata mi inondarono le mente.
Stavo per addormentarmi col sorriso sulle labbra quando un forte vendo spense il fuoco del camino, e rimasi al buio, con una vena di manico nel petto. Mi alzai, e cercai di riaccendere il camino, ma arrivata in mezzo alla stanza, il fuoco si riaccese da solo. Era molto strano, ma lasciai perdere. Stavo per tornare a letto ma mi colpì una foto, la Sua foto. La foto che raffigurava il volto della crudeltà, quel volto che tanto avevo amato, quanto tanto avevo odiato. Mi passò per la mente il ricordo di lui sulla Terra, vivo, che pagava le pene con il carcere.
Lui, rispetto a me, non aveva rimorsi, era felice per quello che aveva fatto, era felice di aver ucciso la mia amata famiglia, e pensare che avevo amato quell'essere con tutto il cuore. Una lacrima scese leggiadra, e pensai al male causato alla mia famiglia solo perché ero stata innamorata, solo perché mi ero fidata di lui. È ora io pativo, pativo le pene causate della mia stupidaggine. Beh, quella stupidaggine, mi aveva fatto del male, aveva fatto del male alla mia famiglia, e non potevo fare nulla.
Pensai a tutto quello che era stata la mia fine. Mi ritornarono alla mente gli occhi malvagi e pazzi dell’assassino della mia famiglia, lì che rideva sereno, come se non avesse appena ucciso delle persone; poi pensai ai miei familiari distesi per terra, in una pozza sangue.
La colpa era mia, solo mia. Avevo ricominciato a piangere, e non la smettevo, l’unico mio desiderio era quello di poter dimenticare tutto, tutto quanto e di potermi godere quella morte in pace. Ma chissà perché, anche nella morte ero tormentata. Continuavo a sentire quel senso di colpa per aver portato un essere così schifoso nella mia famiglia, di essermi innamorata di lui e di avergli dato fiducia.LO ODIAVO, lo odiavo con tutta l’anima, con tutta me stessa. 
Pensai a quel mostro per giorni e giorni, non facevo altro che immaginarlo in quella squallida prigione, a soffrire? No, secondo me non soffriva, anzi lo immaginavo ridente dietro le sbarre, che ripensava a ciò che aveva fatto, e che rideva, rideva per essere riuscito ad ingannarmi. A quel pensiero mi innervosii così tanto da prendere  il cuscino e lanciarlo contro la finestra,rompendola. Pezzi di vetro volarono da tutte le parti, mi girai e cercai di uscire prima di essere colpita, ma non feci i tempo, un grande pezzo mi colpi sulla schiena, facendomi cadere. Sentivo il sangue vischioso scivolarmi sulla schiena, ma non era morta? Come potevo sanguinare o sentire dolore? Non ebbi tempo di pensarci perché svenni.
Aprii gli occhi. Mi trovavo in un corridoio bianco, interamente bianco, illuminato da lampadari. Non avevo più dolore, anzi non pensavo al dolore, ero morta una seconda volta? Non sapevo che pensare, così iniziai a camminare per quel corridoio; ma appena feci il primo passo iniziò una canzone, la canzone più bella. A sentire quella melodia iniziai a piangere, e la canzone si fece più alta. Ero per terra e piangevo perché quella canzone era la ninna nanna che la mia dolce mamma mi cantava ogni sera.
Iniziai a ricordare scene stupende della mia famiglia. Era atroce il dolore che avevo, il cuore a pezzi, volevo riavere la mia famiglia, volevo riabbracciarla, volevo stringerla con le mie braccia e non mollarla mai, rimanere con lei per l’eternità. Erano strazianti quei ricordi, perché la mia famiglia mi mancava, e quelle immagini mi facevano ricordare che l’avevo persa. Ma nello stesso tempo erano stupendi, era bellissimo poter ricordare quei momenti, poter vedere l’amore e la felicità che la mia famiglia portava nella mia vita, quando desideravo riabbracciarla, riaverla con me.
La musica cessò all'improvviso e con lei anche le mie lacrime. Mi alzai e notai che in fondo al corridoio c'era qualcuno... ma chi? Mi avvicinai e più andavo avanti più il corridoio si faceva lungo, non avrei mai potuto raggiungere la meta. A quel punto mi fermai, e mentre prendevo fiato, sentii una risata, quella risata. La risata di quel pazzo, di quel mostro che aveva distrutto la mia famiglia. Alzai lo sguardo e me lo trovai d'avanti. Era Lui, non c'era dubbio. Sorrideva, mi prendeva in giro. Cercai di afferrarlo, volevo colpirlo per avere vendetta, ma appena lo sfiorai lui sparì. Scomparse in una piccola nuvola grigia, per riapparire alle mie spalle. Sentii la sua risata, guardai i suoi occhi neri e cercai di colpirlo con un pugno ma sparì di nuovo. Riapparse un po' più lontano, cercai di raggiungerlo ma, come prima, non ci riuscii e allora urlai. Urlai di rabbia, volevo averlo accanto per prenderlo a pugni, per causargli dolore, per avere vendetta. Lui continuava a ridere, ancora e ancora, così le mie urla si fecero più forti e la mia rabbia aumentò.
Era arrabbiata, volevo vendetta, solo vendetta per la mia famiglia che era stata sterminata da quel Mostro. Corsi più che potei e lo raggiunsi, rideva ancora. Odiavo la sua risata, odiavo lui. Gli urlai contro per farlo smettere di ridere, di prendersi gioco di me, ma non si fermò. La mia rabbia aumentò e mi ritrovai un coltello in mano, un coltello come quello che aveva usato per uccidere la mia famiglia. Iniziai a rivedere la scena della loro morte. Il salone pieno di sangue, le pareti ricoperte di schizzi rossi e una grande pozza di liquido color rubino; iniziai a piangere per la rabbia e sentire la risata di quel mostro non aiutò. Impugnai il coltello e lo colpì al petto, più forte che potei. Ma continuava a ridere, così lo colpii più volte, finché non cadde a terra, ma non mi fermai. Mi chinai e continuai mentre lacrime limpide scendevano dal mio viso, e urla di rabbia uscivano dalla mia bocca. Schizzi di sangue colpivano le pareti, una pozza rossa si formò sul pavimento e il mio viso si riempì di puntini rossi, e il mio abito bianco si macchiò di sangue. Non mi fermai, e continuai la mie vendetta per molto, molto tempo, finché le mia braccia cedettero. A quel punto mollai il coltello e mi appoggia alla parete per piangere.
Capii che quello non era il paradiso, ma l'inferno. 

  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: ScrittriceAllePrimeArmi_