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Autore: sbam    13/01/2014    1 recensioni
Mi chiamo Charlotte, ho 18 anni, e questa è la mia storia.
Magari non sarà bella, magari non sarà neanche scritta bene.
Ma è la mia storia. E mi ha dimostrato che a volte le persone aspettano tutta la vita un amore perfetto, e quando arriva si rendono conto che non esiste amore perfetto, se non quello costruito sulle imperfezioni.
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago
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CAPITOLO 4: IL PRIMO INCONTRO
Ore 8.00. Mancava solamente un’ora. 60 minuti e lo avrei potuto conoscere. Un dialogo fra me e me immaginava tutte le possibilità di approccio che avrei potuto utilizzare. 

“ehi ciao” poteva andare bene? No, certo che no. Sarebbe stato come salutarlo due volte, quindi dirgli  qualcosa come “ehi ciao vuoi conoscermi, essermi amico, avere una relazione, 2 figli, una villa al mare e tanti nipoti?”. No. Un ciao doveva bastare, e dovevo apparire distaccata, perché solamente così avrei potuto fare colpo.

Credo che la prima impressione sia tutto. Possiamo dire che non è vero, che quello che conta è ciò che le persone hanno dentro, perché la bellezza interna è quella che resta nel cuore e nella mente, quella che non svanisce nel tempo e che ci porterà ad un futuro armonioso e felice, in pace con il mondo. Ma in fondo lo sappiamo tutti che la prima impressione sarà quella che davvero conta. Se una ragazza si presenta con aria dispregiativa, come se fosse superiore a tutto o tutti, ci vorrà molto, molto tempo per cambiare idea su di lei. La prima idea deve essere positiva. E dovevo assolutamente presentarmi come una ragazza elegante, carina, simpatica, gentile ma un po’ stronza, ma anche umile e intelligente. Perfetta insomma. 

Il problema della prima impressione, è che quando stai troppo a pensare a come devi apparire, a cosa devi dire, come devi muoverti e dove devi guardare, il risultato è una cozzaglia di movimenti indistinti e goffi, delle frasi farfugliate in qualche maniera rozza e poco invitante, e ammassi e ammassi di frasi idiote che in condizioni normali, neanche avresti pensato. E i vestiti? Oddio, la prima volta è importantissima. Se ti presenti con una tuta, sarai “quello che non ci tiene al proprio aspetto”. Se ti vesti con un vestito fighissimo e pieno di payette, rischi di risultare come la ragazza che fa la figa, ma che non capisce che quello non è esattamente né il luogo, nè il momento di indossare quello splendore di abito. Poi c’è il vestito casual, che certo non da di te l’idea di una persona sicura di sé. 

Dovevo trovare un vestito che sapesse valorizzare il mio fisico, ma non sembrasse inadatto, o stupido.  La mia scelta finale era ricaduta su dei pantaloncini bianchi e una maglietta blu notte, sfarzosa e leggera, leggermente scollata. I capelli non stavano al loro posto, e col cerchietto sarei sicuramente sembrata una bambinetta di nove anni.
E mancavano 30 minuti alle nove.
Lasciai perdere i capelli, e pensai al trucco.
Eccoci di nuovo da capo. Come dovevo truccarmi? non troppo pesante, non troppo leggero:una sottile striscia di eyeliner, un po’ di mascara. Niente fondotinta, o terra, o fard. Neanche la matita interna. Solo un rossetto del colore roseo simile a quello delle barbie, e un po’ di nero sugli occhi.  

Ma ancora restava il problema capelli, quel ciuffo doveva essere sistemato in qualche modo.
Mancavano 20 minuti alle 21.00 e non sapevo cosa farne; stavo letteralmente dando di matto.
Non potevo più aspettare, quindi presi gli occhiali da sole e me li misi intesta al posto del cerchietto. Nonostante tutto, il bianco di quegli occhiali risaltava il biondo dei mi capelli, e l’idea che avevo avuto sembrava quasi qualcosa di geniale. Quasi.

“Di, corri”. Presi mia cugina per un braccio, mentre ancora era impegnata con gli ultimi ritocchi col fard.
“Chai, mancano 20 minuti, abbiamo tutto il tempo di questo mondo.”
“Si, ma Christian sarà già lì, e io devo anticipare tutte le Giuliette pronte a conquistarlo. Sarà una gara contro il tempo, ma le umilierò tutte quelle patetiche smorfiose che a differenza mia, hanno le tette, e un naturale vantaggio biologico su di me.” 

Mentre i suoi occhi, si riempivano di pensieri misti alla vergogna di avermi come parente, incominciai a tirarla verso il tanto ambito posto dove lo avrei incontrato. E più mi avvicinavo. Più mi accorgevo dei mille e mille errori che avevo commesso. Tanto per cominciare, avevo le ciabatte, e già questo mi faceva arrabbiare, perché con tutto l’impegno che ci avevo messo, meritavo un po’ di gloria. Poi, non avevo messo lo smalto blu, e questo faceva di me un’idiota che girava con le unghie mangiucchiate e di un colore verde sui vestiti eleganti. E per finire, credo che forse avrei potuto abbondare un po’ di più col trucco. Cazzo. Ovvio che la cugina mi sovrastava: con fondotinta, terra, blush, rimmel, matita, eylener,ombretto, rossetto acceso, capelli piastrati e.. occhi azzurri, per forza. Se io fossi stata uomo, la avrei mangiata con gli occhi. 
Mi fermai, dando così inizio a uno di quei soliti dialoghi telepatici fra cugine. 

*Di, come cavolo sono messa?*
*Chai sei bellissima.* Mi aveva sorriso. Poi, guardando le mie mani, aveva inarcato le sopracciglia. *Certo, magari lo smalto potevi metterlo un po’ meglio.*
Merda. Lo Sapevo.
Volevo solo tornare a casa e riempirmi di qualsiasi cosa potesse cambiare il mio aspetto, ma Desiree mi prese a braccietto e di nuovo mi sorrise, affermando seria “Farai colpo, lo so”. 

La prima volta che lo vidi stava parlando con alcune signore, ed era a qualcosa come dieci metri da me. Non so perchè, ma avevo letteralmente, sentito cedermi le gambe, e tutta l’ironia che avevo passato fantasticando su di lui, si era trasformata in terrore.

Ero immobilizzata e ferma, in mezzo alla stradina che conduceva agli animatori, e le uniche parole che riuscii a pronunciare furono “Oddio. Desiree, non è possibile. E’ più bello che in foto.” 
E mentre lei rideva, e lui parlava, lo avevo guardato quasi persa in un mondo parallelo. Indossava una maglietta rossa, e dei jeans blue attillati che gli stavano da Dio. Le converse bianche, le notai solo alla fine, dopo qualche secondo in cui i miei occhi erano fissi in un unico punto: Il culo. Oddio, che culo aveva.  Alzando lo sguardo si potevano notare i suoi bellissimi capetti arruffati, ma tenuti in ordine e alzati con il gel.  Sull’ orecchio, un tenerissimo piercing a forma di dadino,e sulla bocca un sorriso fantastico che manteneva nonostante stesse parlando con delle vecchie rachitiche.
Volevo essere una vecchia rachitica in quel momento. Nient’ altro. 

Stavo camminando verso di lui lentamente, con la testa alta, riflettendo su ogni mio movimento e sforzandomi di apparire sicura di me. Lo sguardo era fisso su di lui. Mancavano 5 metri, e ancora non avevo avuto modo di farlo girare. Ancora un passo. Si gira. 

*Charlotte, non guardarlo. Cambia espressione. Girati. Torna indietro. Svieni. Fermati o buttati fra le braccia di qualcuno. Tutto ma non andargli incontro*.                                                                                                                                                           Questa volta riuscii a far ragionare il mio cervello: prima che i suoi occhi incontrassero i miei, mi girai verso Desiree e iniziai a parlare. Di lui naturalmente, ma questo non lo si poteva sapere. E mentre con enfasi raccontavo a mia cugina di quanto fosse esaltante la sua mirabile bellezza, davanti a me il viso simpatico di un ragazzo sorridente, accerchiato da una banda di seguaci.

“Ciao, bionde. Sono Riccardo, capo Junior”. Guardai Christian, ma si era già rigirato. Merda.  
Mentre maledicevo quel ragazzo per la sua straordinaria prontezza nel presentarsi impeccabilmente nel momento più sbagliato, continuava a parlare. “Bla Bla Bla.. vi seguirò io, in queste settimane.. Bla Bla Bla.. Quanto state?”. 
Accennai un sorriso, e solo allora mi accorsi davvero di lui. Aveva uno sguardo fantastico, ed un sorriso altrettanto meraviglioso. Bello, bello davvero. Ma era basso, e certo la sua età stava sui 24, 25 anni. Troppo per me.  
“..Due settimane eh? Bla bla bla.. e poi lo sapete, per i prossimi 14 giorni staremo insieme. Bla bla bla”. Quanto parlava. “Ti vedo interessata bionda numero due” disse alla fine ridendo.
Parliamone. Di nuovo la numero due. Ecco. Era semplice odiare qualcuno, dopotutto, se ti facilitava così il compito. Però aveva ragione, così non potevo stare. Dovevo essere elegante e raffinata e comportarmi come una ragazza dalle buone maniere. Lo guardai e gli sorrisi, questa volta convinta, giustificandomi e scusandomi per la mia maleducazione.                        
“Charlotte”. 
"Riccardo. Vi dicevo, Charlotte, che nei prossimi giorni saremo una squadra: io, tua sorella, e.. loro”. Capii in un solo istante che quel “loro” stava ad indicare il gruppo di ragazzi e ragazze che, bene o male, ci stavano fissando.  Grazie a questo simpatico scambio di idee, avevo potuto conoscere David, Louis, Mattia, Francesco,  Giulia e Patrizia, ma a dire il vero mi interessava poco. Non avevo neanche notato di come già le ragazze del gruppo ci stessero squadrando, fino a quando sul volto di Di, lessi quell’espressione. Oddio, dialogo fra cugine in arrivo. 

*Le hai viste, poverette, già ci odiano.* 
*Ah, no. Davvero? Avremmo rovinato loro tutti i piani di essere al centro assoluto dell’attenzione.*       *Si, ma se sono brutte non è colpa nostra*.

Guardai il suo ultimo sguardo, e in risposta scoppiai a ridere, con lei che mi seguì un attimo dopo, lasciando tutti a guardarci allibiti. E in quella risata distratta, non mi ero accorta che il momento era arrivato, e che Christian veniva verso di noi. Non ricordo bene il suo arrivo, ma immagino la sua camminata come nei film, quando l’eroe trionfante ritorna dall’amata camminando con entusiasmo, mentre sotto si possono sentire le note di una dolce melodia che rallenta la scena e quel momento con lei.

“Ragazze, sono Christian, molto piacere.” 
Un lungo brivido mi scese lungo la schiena, mentre per la prima volte il mio volto si girava verso di lui e i miei occhi incontravano i suoi, sorridenti come sempre. Il mio sguardo cadde subito sulle labbra. Anche loro sorridevano. Ma non era un sorriso di quelli normali. No, io non avevo mai visto un sorriso cosi bello. Notai tante piccole lentiggini, quasi invisibili, sul suo naso, e le piccole zampe di gallina intorno ai suoi occhi verdi e con qualche sfumatura marrone. Era bellissimo. Ma per quanto mi sforzassi, il mi sguardo cadeva sempre e solo in un unico punto. La Bocca. Le labbra. Il sorriso. I Denti. Erano qualcosa di meraviglioso, giuro.
Mi porse la mano, quindi istintivamente feci lo stesso. Lo guardai per qualche secondo, poi riuscii a spostare lo sguardo e guardare altrove. Non so dove trovai la forza. Forse quel mio stupido cervello aveva deciso di ascoltarmi, per una volta.
La cosa che mi piacque di più, furono i suoi occhi mentre parlava: si era presentato, aveva parlato con Desiree, ma quando si rivolgeva a noi, fissava me dritto negli occhi. Me, non lei. 

“Siete sorelle, vero?” 
“Cugine”. Dovevo apparire indifferente e non commettere errori. Era la prima la volta che ci parlavo. Doveva essere tutto perfetto, non dovevo sbagliare. Niente.
“Capito. E quanti anni avete?”
“Io sono una 95, ma faccio i diciotto a dicembre. Lei invece è la mia piccola 97”.

Aspettai qualche secondo prima di continuare. Sapevo cosa voleva dire, lo dicono tutti.
Aprì la bocca per dire qualcosa, ma poi si fermò di colpo, capendo che non era una buona idea.
Io e Dì ci guardammo, poi ridendo ci girammo verso lui e io continuai. “Dillo, dai. Dillo, che tanto lo so.”
“Tua cugina sembra più grande di te.”
Lo sapevo. Fanculo.
Desiree, aspettandosi tale affermazione aveva cominciato a ridere più forte, così la imitai, feci il verso a lui e poi ripresi a parlare. “E tu invece? Di che anno sei?”
“Tu quanti anni mi dai?” 
AH! SPERAVO in questa domanda, sapere la risposta (Beatrice, ti ringrazio) mi metteva nella posizione di scegliere come farlo sentire. Una vocina nella mia mente si domandava se avrei dovuto dirglielo, ma alla fine preferii approfittarne. Ne aveva diciotto no? Quindi se io gli avessi risposto 19, mi sarei “inconsapevolmente” prestata  fargli un complimento. Feci un piccolo sorriso ingenuo. 

“Oh non lo so. Emmh.. diciannove?”
 “Ah. Diciannove? Sicura?” Mi sorrideva. Aveva funzionato. Dovevo solo stare al gioco.
“Venti?”. 
“Non credo proprio”. Okei, dirgli ventuno non sarebbe stato realista. Decisi di chiudere questa falsa. 
“Mah.. 18 allora. Però sembri più grande”. Ero soddisfatta e lo guardavo con aria vittoriosa.
“Addiritura 18? No, sono del 90.” 

SBADABUM. 
*Oh cazzo. Merda. Pipì.* 
Oh seguito da tante brutte parole, insomma. Avevo anche avuta la faccia tosta di dirgli “18, ma sembri più grande.” Si, si può dire che anche senza il mio aiuto, il Destino mi aveva messo in un’altra posizione umiliante.
“Ops”. Dissi solo questo. Ops. Poi feci un sorriso forzato.  I neuroni mi stavano parlando, e mi imploravano di cambiare discorso, di tirarmi fuori dalle peste. E io mentalmente urlavo contro di loro, perché a quanto pare, quello di ideare genialate e distrazioni valide non spettava a me. Non in quella situazione almeno. 
Non ci pensai neanche, dopotutto, e tirai fuori il mio telefono dalla tasca. Era avvolto in una cover bianca, con le classiche orecchiette da coniglietto, e iniziai a scrivere. Ultimo numero  “Courtney”, bene,  gli scrivo, o per lo meno fingo di farcela.

A mia grande sorpresa, lui sospese per un momento la sua risata e mi guardò sbalordito. 
“Wow. Hai una COVER-CONIGLIO!”
Evvai. Bella così. Problema risolto. Grazie telefono. Blocco la schermata e glielo mostro, ma non faccio in tempo a girarlo verso di lui che già ricomincia a ridere. Potrei iniziare ad odiarlo, adesso. “e adesso, perchè ridi?”.
“No, dico. Mi piace la tua cover-coniglio. Ma gli manca un’orecchia. Charlotte. Gliela hai mangiata via?”.
No vabbe, si. Ma è un problema serio. Io sono nervosa e me la prendo con gli oggetti più innocui. Non bisogna mai ridere delle vittime delle mie innumerevoli violenze. Mi resi conto che se continuavo così, avrei anche potuto mostrargli tutti i miei difetti nei prossimi cinque minuti, quindi tentai di sdrammatizzare.  
“Si. Ed era buonissima” Gli sorrisi. E lui a me. 
“Oh, immagino, si.” Rise di nuovo. “Un ultima domanda che mi assilla da quando ti ho vista, però, concedimela.” 

Usò proprio queste parole. E io pensai ad un’ ipotetica domanda come “ehi, ma sei bellissima, quale è il tuo segreto?” o “posso avere il tuo numero?”, o altre opzioni in cui avrei riacquistato finalmente la fiducia in me stessa, e la dignità persa. Ma naturalmente le cose non sono mai come sembrerebbero. 
“Che cazzo ci fai con gli occhiali da sole sulla testa? Sono le nove di sera, il sole non c’è più”. 
Mi sentii letteralmente cuocere come le bracciole sulla griglia: Hannibal Lecter sarebbe stato fiero del risultato.  E forse anche Cracco, Joe Bastianich e Barbieri di masterchef, che nel vedere il mio colorito in faccia avrebbero potuto pensare ad un esemplare “cottura media”.  Mi sentivo bollire come le carote nel minestrone, e volevo sprofondare nel terreno proprio come un diglett, che almeno scava da solo le proprie fosse, ma poi le utilizza per nascondersi.
Non sono sicura di aver reso pienamente l’idea di come mi sentissi in quel momento. 

Qualche secondo di silenzio (imbarazzante, oserei) e poi eccola, la sua prima vera e spontanea risata: ancora più bella del suo sorriso. E non erano i denti, né tantomeno il naso, che contorceva involontariamente mentre rideva. Non erano neanche gli occhi, credo. Era tutto l’insieme, perfetto. 

Fu quel momento a darmi la forza di rispondergli.
“Fanno Bro, caro mio, sono IN” Avevo detto qualcosa di assolutamente stupido, e insensato. Ma era l’unico modo per sdrammatizzare la situazione. “Stupido, li sto usando come cerchietto, non vedi?”.
“Stupido a me? Ah, molto bene. Quanto resti?”.
Parliamone, aveva parlato al singolare. E’ vero, mia cugina non stava parlando, ma era là con me. Parlare al singolare era come tagliarla definitivamente fuori dalla conversazione, e quindi rendere me l’unica parte a cui erano destinate le sue parole.


*NO PROBLEM. NIENTE PANICO CHARLOTTE. NIENTE PANICO*

“Due settimane.”
“Due settimane dovrò sopportarti? Oddio.”
Lo aveva fatto di nuovo. Aveva scherzato con me, e me soltanto. E sorridendo mi guardava negli occhi, questa volta. 
Avevo sviluppato così un conflitto interno, molto evidente anche all’esterno, a quanto pare:                   
Il signor cuore proponeva un salto fra le sue braccia.
La signora mente proponeva un salto fra le sue braccia, anche lei. Quella stronza che avrebbe dovuto stare dalla mia parte e difendere la zona ancora lucida di me, stava invece contribuendo al mio degrado, elaborando complessi teatrini che riproponevano in maniera diversa quello che già poche ore prima avevo avuto modo di pensare.
E mentre il conflitto stava finendo in favore del comportamento psicotico e tutt’altro che elegante e raffinato, Christian mi interruppe. “Beh Charlotte, è stato un piacere. Devo andare adesso. Però ci si vede dopo eh”
Ci si vede dopo. 
..Ma dopo fra due secondi, due minuti, due ore o due giorni, o due settimane?! 

Un altro lunghissimo e interminabile dialogo interiore mi fece cadere nel mio mondo parallelo, e quando tornai alla realtà, notai che si era già allontanato. Al suo posto, Dì mi guardava divertita.
“Curati, Chai. Davvero. Io ti voglio bene, lo sai. Ma davvero, fatti  vedere da uno bravo che ti aiuti.”

Di li a poco sarebbe iniziato il dreaming, dove tutti gli animatori si sarebbero presentati  in uno spettacolo serale. Non ci restava che entrare, e.. aspettare. Qualunque cosa.

-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Ma cciao ragazzeee! Com’ela? Lo so che la mia storiella non se la caga nessuno, però volevo comunque ringraziare tutte quelle bellissime persone che hanno la pazienza e l’energia di leggersi  tutto ogni volta. Ringrazio miss N., col suo “A change would do you good”(che consiglio a tutti, fra l’altro), per la recensione, e tutti quelli che sono arrivati fino a qui.E sopprattutto ringrazio fabrizia_rocca per aver inserito la mia storia nelle ricordate. Grazieee 
Baaasii, C.
  
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