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Autore: conteedilmare    13/01/2014    4 recensioni
Questa guerra ci stava devastando tutti quanti, sia fisicamente che psicologicamente.
Era ormai dal 1915 che anche noi Italiani eravamo entrati nel conflitto e la situazione stava degenerando, si cominciava a parlare di “Guerra Mondiale”.
Fino a dieci mesi prima, nonostante la situazione circostante, la mia vita non sembrava essere così cambiata, fin quando il governo aveva deciso di strapparmi via la mia ancora di salvezza, arruolando nell’esercito i ragazzi appena diciottenni per mandarli a combattere al confine settentrionale.
Ero diventata paranoica per lui, avevo paura. Ero sopraffatta dalla paura.
Genere: Fluff, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: George Shelley, Josh Cuthbert, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The soldier.

30/10/1917

Spalancai la porta di casa e senza salutare nessuna delle persone presenti, risalii in camera mia
gettandomi a peso morto fra le coperte del mio letto caldo.
Non volevo mangiare, non ne avevo la voglia, non ne avevo la forza.
In realtà non avevo la forza di fare nulla. Ero ormai vuota, come se mi avessero strappato via l'anima e l'avessero spenta.
Si, ero completamente spenta.
Mi chiedevo ancora  dove trovassi il coraggio di respirare o andare a scuola o semplicemente svegliarmi al mattino; non avevo più motivo di fare nulla di tutto ciò.
Non avevo nessuna ragione per continuare senza di lui, prova di quanto valessi senza quel ragazzo: zero.
 Ero stanca di vedere la gente intorno a me guardarmi con dispiacere, non volevo che mi guardassero come se potessi spaccarmi in mille pezzi da un momento all'altro.
Sapevo benissimo di soffrire di continui attacchi di panico, ma non volevo ammetterlo a me stessa semplicemente perché non ne avevo la forza.
Ero continuamente circondata dalle persone che mi amavano, preoccupate per me ma sentivo che il loro amore non mi sarebbe mai bastato.
Io avevo bisogno del suo amore.
Questa guerra ci stava devastando tutti quanti, sia fisicamente che psicologicamente.
Era ormai dal 1915 che anche noi Italiani eravamo entrati nel conflitto e la situazione stava degenerando, si cominciava a parlare di “Guerra Mondiale”.
Fino a dieci mesi prima, nonostante la situazione circostante, la mia vita non sembrava essere così cambiata, fin quando il governo aveva deciso di strapparmi via la mia ancora di salvezza, arruolando nell’esercito i ragazzi  appena diciottenni per mandarli a combattere al confine settentrionale.
Ero diventata paranoica per lui, avevo paura. Ero sopraffatta dalla paura.
Appena capitava il discorso, perdevo il senno e cominciavano gli attacchi di panico. E la cosa brutta è che non sai mai quando stanno per arrivare. Li avverti solo quando nella tua testa cominciano a scorrere freneticamente mille pensieri contemporaneamente, il battito cardiaco aumenta e ti senti soffocare.
Il peggio arrivava quando, dopo pranzo, andavo a medicare i reduci di guerra che arrivavano nell’ospedale della mia città.
La loro vista mi annebbiava la mente e le loro condizioni mi facevano venire la pelle d’oca perché in ognuno di quei corpi moribondi, vedevo George.
Lo volevo indietro, avevo bisogno di averlo indietro.
Ma il cielo mi aveva in parte graziato; per fortuna mio fratello Josh era stato fortunato nei suoi diciassette anni ed era a casa con me, al sicuro. Lui non rischiavano di poter morire da un momento all'altro!
Non era solo George a rischiare la vita ogni secondo che passava.  Anche io rischiavo la mia vita, perché la sua morte avrebbe significato anche la mia.
"Ally, vieni a mangiare." Riconobbi la voce di Josh dall'altra parte della porta.
Non risposi, mi limitai a sedere sul letto e fissare il vuoto, verso il pavimento.
"Ally.."
"Non ho fame." Sussurrai.
Lo vidi sospirare e si sedette al mio fianco. Mi accarezzò la schiena e poggiai la testa sulla sua spalla.
"Lui vorrebbe che tu mangiassi." Lasciò un bacio delicato sulla mia fronte.
"Ma non ho fame." Insistetti.
"Fallo per lui." Prese la mia mano e mi sollevò dal materasso, dirigendomi in cucina.
Presi posto fra i miei genitori, davanti alla radiolina che erano riusciti a sintonizzare e addentai l’unica cosa che sarebbe rimasta nel mio stomaco per le ventiquattro ore successive: un panino diviso con mio fratello.
Il Paese stava ufficialmente cadendo a pezzi.
"Com'è andata oggi, in ospedale?" Chiese mia madre.
Non risposi, non sentii; pensavo ad altro.
"Allyson?"
"Uhm?" Sollevai lo sguardo su mia madre.
"Com'è andata oggi in ospedale?" Richiese una seconda volta.
"Tutto bene." Mi limitai a dire.
Finsi di non accorgermi dei loro sguardi preoccupati. La sigla del notiziario delle catturò la mia attenzione e sbuffai agli articoli riguardanti la politica, di cui non capivo nulla.
“Sul Piave, la situazione si fa più intensa. I nostri ragazzi in prima linea stanno rinsaldando le sponde.”
Quella frase, mi penetrò i timpani come due fucili.
La mia forchetta cadde rumorosamente a terra e fissai la radio senza battere ciglio. Il mio cuore cominciò a galoppare più velocemente e sentii il respiro affannarsi ogni secondo di più, nonostante non mi fossi mossa. Le lacrime lottarono per uscire e presero il sopravvento.
Non riuscivo a respirare.
"ALLY!" Josh mi tirò in piedi e cercai di divincolarmi dalla sua presa. C'era qualcosa in me che chiedeva di uscire, esplodere. Corsi verso il divano del salotto, senza sapere dove stessi andando. Sentii la stretta di Josh che tentava di bloccarmi e caddi a terra, ai piedi del divano.
Si sedette sul tappeto dietro di me e mi intrappolò fra le sue gambe, formando una croce sul mio torace con i suoi avambracci e costringendomi a poggiare la testa sul suo petto. Il mio respiro era ancora affannoso e le lacrime continuavano a scorrere.
Cominciò a sussurrarmi di restare calma e rincominciarono gli esercizi per rallentare il respiro  -“Ispira, espira.”-  Lo faceva sempre per far cessare i miei attacchi di panico.
Chiusi gli occhi e pian piano il mio respiro ritornò regolare.
"Non ce la faccio più." Scoppiai in un pianto isterico mentre affondavo nelle sue braccia.
 
La domenica successiva mi svegliai di soprassalto e mi sedetti sul letto, affannata e completamente sudata. Le lenzuola del mio letto erano aggrovigliate fra loro, il che mi fece capire che durante la notte mi ero mossa notevolmente. Appena sentii gli altri parlare nella stanza accanto, mi riaffiorarono in mente alcuni tratti dell'incubo che avevo appena fatto.
L'immagine di Josh vestito da militare che mi salutava dal treno e faceva la stessa fine di George era vivida nella mia mente.
Scossi la testa e decisi di non badarci e dimenticare ogni singolo momento di quel brutto sogno.
Ancor prima di scendere per la colazione, afferrai le robe pulite e mi chiusi a chiave in bagno.
Mi calai in un bagno caldo e nonostante questo, rabbrividii.
Passai più tempo del solito lì dentro; nonostante avessi finito da un pezzo di lavarmi, avevo bisogno di pensare e rilassarmi dopo quel brutto sogno che stavo lentamente cacciando dalla mia mente.
Dopo un'oretta scesi per mangiare assieme a mia madre e mio fratello ma li trovai seduti uno accanto all’altra, a mani vuote.
“Eccomi.” Sorrisi debolmente.
Mi sedetti accanto a Josh con lo stomaco che brontolava a più non posso.
“Per oggi non sono riuscita a procurarmi nulla.” Disse mia madre a testa bassa.
Nel suo tono di voce, si leggeva un velo di disperazione.
Ed era proprio questo quello che stava accadendo a tutti noi!
Disperazione.
L’unica cosa che riusciva a portarci la guerra, era proprio questa. E tutto stava cadendo a precipizio, ci stavamo distruggendo a vicenda e per cosa, poi? Potere? Soldi? Cosa ne sarebbe rimasto di noi a guerra finita? Soltanto un mucchio di corpi con lo sguardo perso, che camminano su uno spesso strato di macerie e cadaveri.
Nel mio piccolo, volevo contribuire a migliorare tutto questo e non starmene lì impalata, aspettando che il mondo mi crollasse addosso.
“Vado in ospedale, ci vediamo stasera.”
Mi sollevai dalla sedia e dopo aver afferrato una giacca, uscii di casa.
L’aria era congelata e cercai di affrettarmi verso la mia meta, nonostante non avessi molte forze per fare ciò.
“Salve Signora Collins.” Salutai la donna che dirigeva l’ospedale, ovvero un lungo stanzone stracolmo di file di letti ammassati uno accanto all’altro.
“Ciao, Allyson. Occupati della prima fila.” Mi lanciò un camice bianco ed entrò nella stanza.
Lo infilai e prima di seguirla, chiusi gli occhi e sospirai. Pensai al fatto che per lo meno, se una delle ferite che aspettavano di essere curate mi avrebbe fatto venire il voltastomaco, non avrei vomitato niente perché erano ventiquattro ore che non avevo avuto la possibilità di buttare giù qualcosa.
Entrai e mi scostai sulla prima fila a sinistra.
Decisi di stamparmi un finto sorriso sulle labbra, perché quella gente aveva bisogno di positività in cui trovare un briciolo di speranza.


 
Due giorni dopo per fortuna riuscii a buttare giù qualcosa che mia madre aveva riservato per me e Josh, prima di raggiungere l’ospedale.
Quando ci arrivai e notai tutte quelle donne che si affrettavano a coprire il pavimento con grossi teli per riporci sopra la nuova ondata di reduci arrivati quel mattino, decisi di rimboccarmi le maniche perché sarebbe stata una dura giornata.
Quando mi accorsi che le prime persone ad aver medicato erano stati dei ragazzi più o meno della mia età, sentii il cuore arrivarmi in gola.
“Lisa, perché sono tutti ragazzi?” Chiesi ad una mia compagna che lavorava nella fila accanto.
“Credo che sia l’ondata dei soldati del confine settentrionale.” Rispose, intenta a fasciare la gamba di un ragazzo.
All’improvviso, l’aria che mi circondava sembrava essere troppo pesante e cominciai a sentirmi soffocare.
Non di nuovo. Pensai.
Chiusi gli occhi e feci un lungo respiro, ma tutto ciò che riuscii a sentire fu un cattivo odore di sangue nell’aria e le urla dei corpi sofferenti ai miei piedi.
Quando gli riaprii ero decisa a tentare di salvare la vita ad ognuno di loro, perché magari tutti quanti aspettavano di tornare a casa sani e salvi, dalla loro amata e dalla loro famiglia.

“Ti brucerà un pochino, ma vedrai che fra qualche giorno starai meglio.” Finii la fasciatura al braccio di un ragazzo e gli sorrisi, per incoraggiarlo.
“Sarò vivo fra qualche giorno?” I suoi occhi erano semichiusi perché aveva perso la vista di uno di essi e la sua voce risuonò così tremolante da farmi rizzare la peluria della nuca.
“Si, te lo prometto.”
“Grazie.”
Sorrisi ancora e mi voltai, per non permettere alle lacrime di fuoriuscire.
Spinsi il carrello con i miei attrezzi verso il paziente successivo e mi inginocchiai al suo fianco.
Quel corpo portava non solo la divisa da militare, ma ancora un casco marrone che gli copriva cranio e volto.
Notai che all’altezza del ginocchio destro, i pantaloni erano notevolmente sporchi di sangue ancora fresco e li strappai via, aspettandomi il peggio.
Proprio in quel punto si apriva una ferita ben profonda e per qualche istante, la vista del pus mi fece annebbiare la mente. La ripulii il prima possibile e cercai di ripararla al meglio con qualche punto di sutura, per poi fasciare il ginocchio.
Solo in quel momento, notai qualche goccia di sangue colare dal lato del casco e decisi di sfilarlo via.
Appena lo feci, nella mia testa avvertii il rumore di un vetro che va in frantumi e mi sentii come se fossi stata ferita da quelle stesse schegge affilate, completamente lacerata.
Il mio cuore fece una capriola e quando gli occhi del ragazzo che avevo di fronte si aprirono lentamente, urlai a pieni polmoni il suo nome e scoppiai in un pianto che sembrava essere infinito, come se avessi l’oceano da far uscire.
“George.” Questa volta sussurrai il suo nome e mi chinai su di lui, posando la mano sull’involucro di sangue che aveva preso il posto del suo orecchio.
“Ally..” La sua voce era bassa e tremolante, vidi una lacrima scivolargli via dal volto.
Mi dimenai sul suo corpo, posando la testa sul suo torace e portandomi la sua mano sporca di sangue al viso, il che fece sporcare anche me.
Mosse lentamente il suo pollice sulla mia guancia, accarezzandola dolcemente.
“E’ tutto bene. Sono qui.” Sussurrò con quel poco fiato che aveva.
Spostai lo sguardo sul suo viso sanguinante e mi mancò l’aria. Tutto quello che riuscii a vedere dopo fu il vuoto totale.


Un piccolo raggio di sole sfiorò la mia guancia e mi inondò il viso, svegliandomi.
La prima cosa che riuscii a scorgere fu il soffitto pallido dell’ospedale e quell’odore di sangue nell’aria, mi risuonò familiare.
“Si è svegliata!”
La voce di Josh.
Scostai la testa e lo vidi accanto a me, con mia madre.
Il ricordo dell’ultima cosa che avevo visto prima di svenire, mi tornò alla mente e per un istante pensai di averlo solamente sognato, fin quando mi sollevai e mio fratello indicò un punto oltre la mia spalla, sorridendo.
Solo in quel momento mi resi conto di trovarmi nel secondo stanzone minore dell’ospedale, dove venivano ricoverate donne e bambini, lontane dai reduci di guerra.
Mi voltai e lo vidi steso nel letto accanto al mio, con una fascia che gli copriva ciò che era rimasto del suo orecchio e la gamba ancora immobile.
Probabilmente, Josh l’aveva fatto spostare lì, per me.
“Vi lasciamo soli.” Mia madre mi sorrise ed uscì, accompagnata da mio fratello.
Mi alzai di scatto e raggiunsi il letto di George, che tamburellò leggermente la mano al suo fianco, facendomi segno di prendere posto accanto a lui.
Gli sollevai il braccio, facendo attenzione a non fargli male e dopo essermi stesa, mi voltai dalla sua parte, ritrovando i nostri nasi così vicini da potersi sfiorare.
“Credevo non saresti tornato più.” Una lacrima mi scivolò lungo la guancia e sentii la sua mano stringere la mia.
“Non ti avrei mai lasciata qui e mai lo farò.” Sorrise debolmente.
Posai leggermente le mie labbra sulle sue, favorendo quel contatto così desiderato da fin troppo tempo.
Lo guardai addormentarsi al mio fianco mentre la mia vita prendeva finalmente colore.
Non avevo più paura di niente.







Okay, partiamo dal presupposto che non pubblico da Luglio e non ho mai pubblicato nulla del genere.
Avevo voglia di cambiare un pochino, per non trattare sempre delle solite tematiche, ma diciamo che mi sono mantenuta sulla stessa Ally e sullo stesso George di "I hate the way I love you".
Ne approfitto per ringraziare tutte le ragazze che l'hanno continuata a recensire anche dopo averla finita di pubblicare da un pezzo, davvero, non immaginate quanto questo mi renda felice e soddisfatta! 
Spero di non avervi deluse e che vi piaccia anche questa oneshot ahahah
Ah e ho cambiato nick su twitter, adesso sono @liewithaz e non più @stylessdimples.
Un bacio :)

 
  
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