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Autore: DarkEvilStiles    13/01/2014    4 recensioni
Leo ricordava molto poco della madre, tranne quando stavano insieme all'officina. Era aveva cercato di ucciderlo, mettendolo "alla prova". Ma forse non aveva raccontato proprio tutto ai suoi amici, Jason e Piper. Forse nascondeva ancora qualcosa. Altri segreti. A dire la verità non lo ricordava, dato che era molto piccolo quando successe, però adesso lo sognava ogni notte. Ricordi che lo tormentavano. Si svegliava col sudore che colava dalla fronte e delle lacrime scese durante il sogno. E poi non dormiva più.
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Leo Valdez
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Leo ricordava molto poco della madre, tranne quando stavano insieme all'officina. Era aveva cercato di ucciderlo, mettendolo "alla prova". Ma forse non aveva raccontato proprio tutto ai suoi amici, Jason e Piper. Forse nascondeva ancora qualcosa. Altri segreti. A dire la verità non lo ricordava, dato che era molto piccolo quando successe, però adesso lo sognava ogni notte. Ricordi che lo tormentavano. Si svegliava col sudore che colava dalla fronte e delle lacrime scese durante il sogno. E poi non dormiva più. Diventava nervoso e prendeva i primi oggetti che gli capitavano a tiro, per poi iniziare a costruire. Una volta fece una macchinina. A Leo piaceva. Creava molte cose nel corso della notte, e la cabina di Efesto il mattino seguente rimaneva sbalordita, perché era silenziosissimo. Leo iniziò a diventare taciturno. Non era più quel ragazzo simpatico e solare che tutti conoscevano; o meglio, credevano di conoscere, dato che era quasi tutta una finzione per coprire il suo incolmabile vuoto affettivo. Sfogava le emozioni con le sue creazioni. Una notte, però, fu diverso. Iniziò a parlare. Non con la bocca, ma con la penna. Dopo aver realizzato una cornice dalle forme molto particolari, la dipinse di rosso acceso, con qualche sfumatura di giallo. Fuoco, ecco cos'era. Le forme rappresentavano le fiamme che ardono. Le fiamme che distruggono. Le fiamme che uccidono. Oltre all'incidente con la madre, Leo aveva causato qualcos'altro, e decise di scriverlo. Nessuno avrebbe potuto capirlo, nessuno l'avrebbe abbracciato e consolato, perché semplicemente lui per tutti non era così. Lui doveva consolare la gente. Lui era il pagliaccio della situazione, e doveva far ridere. Fatto questo, prese un foglio bianco e cominciò. Alla fine l'avrebbe attaccato a quella cornice, per poi riporre il tutto sotto il letto. Da quel giorno, sarebbe diventato il suo diario personale.

"Lo vedo, sai. Sei l'unico che, in questo momento, può capirmi, anche se so che non esisti. Devo sfogarmi, perché giuro che la mia vita è un grande casino, ho compiuto azioni di cui mi pento, come la morte di mia madre. E altro. Mettiti comodo e ascoltami, per favore.
25 dicembre. Natale. Avevo solo sei anni.
Erano bei tempi, quelli. La mia famiglia - se così si può chiamare - era felice. Premettendo che la mia famiglia era composta da me, mamma e dei pezzi di ferro. Sì, io volevo bene anche a loro. Mi aiutavano nel momento del bisogno. Andava tutto bene. Era sembrava essere finalmente scomparsa una volta per tutte dalla mia vita. E invece era mancata solo per progettare una nuova, devastante prova. Sfiorò la catastrofe.
Uscii di casa con mia madre, come tutti gli altri anni, per giocare a palle di neve. La notte prima c'era stata una vera e propria bufera, quindi ce n'era abbastanza per poter permettere a tutti di svagarsi così. Iniziammo a tirarci a vicenda la neve, ma a un certo punto sentii delle braccia che mi avvolgevano e mi trascinavano velocemente in un luogo buio. Un camion, probabilmente. Non ricordo nulla di quello che successe durante il tragitto, evidentemente mi stordirono per evitare che mi ribellassi, anche se in fondo non ero molto grande d'età.
Quando aprii gli occhi, mi trovavo su un ponte. Un gigantesco ponte in pietra che univa due parti differenti di una città che al momento non riesco ancora ad identificare. E alla fine del ponte c'era lei, Tia Callida. Avrei voluto dire qualcosa, ma lei iniziò a parlare prima di me.
— Ciao, Leo. Da quanto tempo non ci vediamo.
Teoricamente un bambino non può provare sentimenti del genere, ma il mio cuore era pieno d'odio nei suoi confronti. Il suo ritorno voleva solo dire una cosa: tragedia in arrivo. 
— Che sguardo fulminante. Sei pieno di odio. Il tuo cuore ha così tanta oscurità al suo interno. Non hai mai cercato di farla uscire allo scoperto e di sfogarti? Di buttare tutto all'aria? Sai, a me non importa. Io non ti giudico se sei così impulsivo. Mi sembra piuttosto normale, data la tua attuale situazione. Quindi perché non lo fai? Tutte quelle cose che per tanto, troppo tempo hai tenuto dentro di te, adesso puoi farle uscire allo scoperto. Fallo.
Non sapevo cosa rispondere. Però sentii improvvisamente la voglia sfrenata di distruggere tutto. Quel ponte non sarebbe mai dovuto esistere. Quella città doveva morire tra le fiamme. Dovevo farlo. Poi, però, iniziai a riflettere: mi stava manipolando. Forse ancora una volta voleva accertarsi dei miei poteri, e capire fino a che punto sarei arrivato con il fuoco. Non avrebbe vinto. Non quella volta. Così iniziai a correre verso di lei con tutte le mie forze. Adesso sapevo qual era la cosa giusta da fare: ucciderla. Avrei finalmente posto fine a tutte le mie sofferenze. Ma, soprattutto, avrei sterminato per sempre quella pazza che da anni ormai rendeva la mia vita un vero e proprio inferno.
— Stavolta no, non starò al tuo gioco! — urlai, ed ero già arrivato a metà ponte. Credevo davvero di potercela fare. 
Fino a quando una barriera di mattoni mi si prostrò davanti.
Senza nemmeno pensarci un attimo, mi ritrovai con le mani infiammate e la gola rauca. Sentivo di stare per rigettare qualcosa, ma non sapevo cosa. Era incontrollabile. Cercai di fermare quei conati, ma era già troppo tardi. D'istinto, posai il dito indice e medio della mano destra sulla bocca. E sputai fiamme. Letteralmente. Un getto imponente di fuoco invase il muro e nel giro di qualche secondo era scomparso.Forse era quello che voleva Era. Non potevo ancora crederci. Avevo appena distrutto un muro fatto di mattoni.
Il problema era, però, che quel getto infuocato aveva invaso anche la città, che poco a poco iniziò a bruciare. Vedevo la gente correre e urlare. Andare a fuoco. No, era inaccettabile. Dovevo fermare tutto.
— Tia! Mi hai manipolato ancora! Un altro dei tuoi piani è andato a termine! — urlai.
Ma non c'era più. Tia Callida era scomparsa nel nulla. Aveva vinto, ancora. E io ero lì, a guardare la disperazione. Iniziai a piangere. Ero un fallito. Lei era più potente di me, e io non potevo farci nulla. Ero solo una delle sue pedine per un piano contorto del quale a quei tempi non conoscevo ancora nulla. E forse sarebbe stato meglio non sapere altro, date le attuali circostanze.
Gridai aiuto. Mi inginocchiai a terra. Non potevo fare altro che stare a vedere, impotente. Anche se avessi voluto morire tra le fiamme non ci sarei mai riuscito, perché ne sono immune. Sarei rimasto con quel peso sulla coscienza per sempre.
E poi accadde l'impensabile.
Una figura avvolta in un mantello nero e incappucciata apparve dal nulla, come se niente fosse. Impugnava un martello, ed si librava a mezz'aria. Strinse forte l'arnese e alzò il braccio all'aria, deciso. Incredibile ma vero, sprigionò un'energia tale da spegnere tutte le fiamme, tanto che nel giro di qualche secondo la città tornò quasi del tutto intatta.
Ormai era normale. Insomma, cosa c'era di strano? Io sapevo controllare il fuoco e c'era una pazza sclerata che voleva uccidermi, e quindi? Ci mancava solo un tizio incappucciato con un martello dotato di poteri speciali.
Eppure quell'essere aveva qualcosa di strano. Riuscii ad intravedere un bagliore nei suoi occhi, perché si era talmente avvicinato che era dall'altra parte del ponte, lo stesso punto in cui si trovava Era.
Disse qualcosa, ma non capii perfettamente. Ricordo solo che alla fine del discorso pronunciò gridando il mio nome, per poi diventare una nube nera che si librò nel cielo verso orizzonti lontani.
Persi i sensi, per poi risvegliarmi a casa. Mia madre era preoccupatissima, ma era diventata molto più felice da quando mi vide riaprire gli occhi.
Era stato mio padre. Efesto. Mi aveva salvato. Adesso capisco che gli devo moltissimo, perché se sono qui è anche grazie a lui. O perlomeno, sarei qui ma non un enorme peso sulla coscienza che non avrei sicuramente potuto mai sopportare. Sarebbe terribile vivere con dei morti che ti appaiono in continuazione davanti. Ne ho già uno, ed è mia madre, e mi sembra un incubo.
Adesso ti lascio. Credo di aver scritto abbastanza. Buonanotte."

Leo attaccò il foglio alla cornice solo dal lato sinistro. Aveva lasciato una striscetta bianca verticale di spazio che avrebbe usato per incollarli mano a mano. Era felice del lavoro svolto, e adesso si sentiva molto più libero. Quantomeno era riuscito a sfogarsi con qualcosa, anche se era un semplice foglio bianco. Mise il tutto sotto il letto e tornò a dormire. Una lacrima gli rigò il viso.
Da quel giorno, Leo Valdez prese l'abitudine di scrivere tutti i suoi pensieri nel suo personalissimo diario, che chiamò ben presto 'Il Diario di Leo'. E sentiva di aver trovato un vero amico. Non gli importava se tutti lo guardavano in maniera strana, o erano sempre increduli. Lui aveva quel diario che ogni notte lo aspettava per ascoltare ciò che lui aveva da dire. E a Leo andava bene così.
  
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