“Si chiamava Sakura. Di lei c'era poco da dire. Viaggiava su un Intercity che partiva da Dresden e che avrebbe dovuto fare altri due cambi prima di arrivare a Milano. Un totale di sedici ore di treno su un vagone che puzzava di sudore, plastica e panini ai cetrioli infarciti di senape. [...]
Aveva un sorriso grande e non c'era parola che lo potesse spegnere. Una mezza luna orizzontale brillava sulle sue labbra, splendente, illuminata da piccoli denti bianchi, allineati in fila e regolari, se non per i canini dell'arcata superiore. Pungenti, adatti a mordere in una sfida di baci.”