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Autore: moni93    14/01/2014    4 recensioni
Piccola one-shot dedicata ad un personaggio che adoro e che è nata durante la visione al cinema di “Thor – The Dark World”.
I pensieri di Loki durante la sua prigionia ad Asgard, ciò che ha provato quando ha scoperto di non essere il figlio di Odino, e di non aver nulla in comune con il fratello Thor, nemmeno il sangue; l’amore per la madre ed il ricordo di un'infanzia felice che, però, non era altro che un’illusione...
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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RIMPIANTO
 
When my time comes
Forget the wrong that I’ve done
Keep me in your memories
Leave out all the rest
 
(Linkin Park – Leave Out All The Rest)
 
Pensavo di essere rimasto solo, ormai.
Pensavo di aver fatto tutto il possibile, perchè ciò accadesse.
Quando avevo scoperto di non essere Asgardiano, di non essere il figlio di Odino e Frigg, il vostro bambino, che nemmeno Thor era in realtà mio fratello, mi sono sentito così ferito e tradito che ho desiderato con tutto me stesso di restare solo per sempre.
Così non avrei più rischiato di ferirvi o deludervi. L’unico che si sarebbe fatto male, alla fine, sarei stato soltanto io.
Thor già mi odiava, così come mio padre. Sapevo che non sarebbe stato difficile, sono sempre stati uomini sciocchi e diretti, che agivano piuttosto che dar retta al buon senso. Ero il loro opposto, come una brutta copia di quella perfezione che, invece, loro incarnavano con naturalezza. Mi ha sempre ferito questo, ma m’illudevo che, nonostante tutte le mie debolezze, almeno potessi essere fiero di condividere con loro un legame forte, indissolubile, dettato dal sangue. Che sciocco sono stato, era talmente ovvio che non poteva essere altro che un’illusione.
Non gliene feci una colpa, comunque, anche se a parole dissi il contrario. Quello sbagliato ero io. Era questo che il cuore mi gridava, tra uno spasmo di dolore e un pianto irrefrenabile, eppure io riuscii a isolarlo, a non sentirlo più. E a scambiare la sofferenza con l’odio.
Sarei stato punito con la prigionia eterna?
Mi sembrava ridicolo.
Per quanto mio padre si impegnasse, non riusciva a pensare a nulla di abbastanza adeguato a me.
Così pensai di aiutarlo io, suggerendogli con sfrontata ed irrispettosa insolenza, le peggiori pene fisiche e psicologiche. Non avevo paura. Nulla sarebbe riuscito a ferirmi più dello squarcio che portavo celato nel petto, all’interno della mia anima nera.
Ma quando ti ho vista a Palazzo, madre, quando ti ho sentita chiamare il mio nome e pregarmi di non peggiorare oltre la mia situazione, mi sono sentito smarrito. Tu eri ancora con me, mi volevi con te o, quantomeno, mi volevi vivo. Eppure, io non lo volevo, non sarei riuscito ad esaudire quel tuo materno desiderio. Ma tu non demordesti, e tentasti di raggiungermi tramite il tuo amore, quell’amore di cui non ero più degno, non essendo più tuo figlio.
Così ho tentato di allontanarti nuovamente da me quando sei giunta in prigione a farmi visita, perchè tu sei venuta per davvero. Ti sei premurata di offrirmi tutte le comodità possibili, mi hai perfino donato dei libri, ricordandoti quanto amassi leggere quando mi sentivo triste. Perchè tu lo sapevi, madre, che io ero triste, non arrabbiato, forse folle, ma non diverso da come lo ero sempre stato.
E poi ho detto quelle sciocche parole.
Ho replicato con stizza al tuo disperato desiderio di raggiungermi.
Ho urlato, quasi graffiandomi la gola, che Odino non era mio padre.
E così, tu me l’hai chiesto.
“Allora, io non sono tua madre?”
Per quanto apparisse come un’affermazione, la tua era una domanda. Speravi che io smentissi i tuoi pensieri, bastava così poco, una mia parola, un mio sguardo. Invece, come un vigliacco, ho annuito.
“Sì, è così.”
Fu in quel mentre che il mio cuore sussultò, facendosi nuovamente udire dopo tanto tempo che taceva, inerme, nel mio petto, ormai provato dalla troppa solitudine.
Ho tentato, allora, ti afferrarti, di rimediare con un gesto, folle e flebile, di cancellare tutto quello che ti avevo detto, di rivelarti che erano inutili menzogne.
Tu eri mia madre, la mia tenera, premurosa e forte madre, che mi sgridava per la mia insensata paura dei tuoni, ma che al tempo stesso mi cullava tra le sue braccia, dicendomi che non dovevo temere, perchè tu ci saresti sempre stata. Eri stata tu a insistere, sapendo che non amavo combattere, affinché mi facessi da insegnante privata, al posto del mio finto padre. Mi ricordo che litigasti molto, per questo, con Odino, e me ne dispiacqui, tutt’ora mi sento in colpa per questo, perchè so che ti ha fatto soffrire. Tuttavia, tu ne uscisti vincitrice e, con il tuo sorriso più radioso, venisti ad annunciarmi che, da quel giorno, non sarei mai più stato da meno di mio fratello, in quanto a forza, anche se la mia sarebbe stata di altro tipo. Non ti smentivi mai, e anche durante i lunghi allenamenti sapevi calibrare pratica a teoria, battaglia con allenamento e dialettica.
Io ero il tuo prediletto, lo sapevo, mi ero sempre illuso di ciò, che io fossi speciale per te, almeno la metà di quanto tu eri preziosa per me. Mi portavi libri a me sconosciuto, sempre più antichi e rari, quando ero malato, perchè sapevi quanto mi piacesse studiare e avventurarmi tra quelle pagine ingiallite. E poi te ne stavi lì, a osservarmi per ore, stringendomi la mano o carezzandomi la fronte, ogni tanto, come a volerti assicurare che io fossi reale, e sorridevi, felice che il tuo bambino fosse lì con te.
Perchè, mamma, io ero ancora il tuo bambino, vero?
Tuttavia, quando allungai la mano, in quella splendente prigione che divenne la tomba del mio cuore, la tua svanì.
Era un’illusione.
Mi guardasti come non avevi mai fatto, come se mi avessi perduto per sempre e questo, purtroppo, fu il mio ultimo ricordo di te.
E l’ultimo ricordo che lasciai a te di me fu quello di un pazzo ingrato, che ti aveva rinnegato nella sua cella d’oro.
Poi, giunse quella guardia.
Non disse nulla, il suo sguardo bastò a comunicarmi l’accaduto.
Eri morta, non c’eri più.
Chiusi il libro che mi avevi donato, il tuo ultimo regalo, e lo poggiai con cura a terra, dopo averne carezzato la copertina come fosse la tua mano.
Ripensai al mostro che si era liberato, poco tempo prima, e al quale avevo suggerito di prendere le scale a sinistra.
Non riuscii più a pensare a niente, se non al tuo sorriso... e al tuo sguardo di rammarico, così simile ad un addio.
Liberai una sfera d’energia. Nemmeno urlai. Non versai nemmeno una lacrima. Non sarebbe servito, nessun pianto o grido disperato sarebbe bastato a liberarmi dall’opprimente peso che avvertivo al petto, negli occhi, in ogni fibra del mio corpo.
Chinai il capo, sconfitto.
Non potevo credere di averti persa... senza averti mai detto quello che tu rappresentavi per me. Soprattutto, non potevo credere di averti deluso, di non aver trovato la forza per essere come te.
Urlai, finalmente, e distrussi tutto quello che mi capitò a tiro. Il tutto, però, celandomi dietro un’illusione. Nessuno avrebbe dovuto vedermi, il mio lutto apparteneva unicamente a me, non volevo essere consolato, né deriso. Non desideravo nulla, se non una cosa che, ormai, non avrei più potuto avere.
Pensai che, a breve, si sarebbe svolto il tuo funerale e la cerimonia tipica di commiato Asgardiano. Il tuo corpo sarebbe stato adagiato in una nobile barca nordica, con una polena a forma di cigno, simbolo di bellezza e forza, il tuo simbolo; il tuo viso, così come il corpo, sarebbe stato immerso tra i fiori, prima che il fuoco, scoccato da una freccia imbevuta di fiamme, ti avesse lambito con le sue carezze e trascinata in volo verso una cascata fatta d’acqua, cordiglio e polvere di stelle.
E io, tuo figlio, non sarei stato presente.
Sarei marcito in carcere, divorato dai rimpianti e dall’odio.
No, non sarebbe finita così.
Ti avrei vendicata, quel mostro l’avrebbe pagata... Odino sarebbe morto, per non averti difesa.
Nemmeno Thor sarebbe stato in grado di fermarmi.
La tua morte sarebbe stata vendicata, madre.
 
***
 
“Mamma, a chi vuoi più bene, a me o a Thor?”
“Ahah, Loki, una madre non può voler più bene a un figlio rispetto ad un altro.”
“Però... io ti voglio molto più bene, che a papà. Perchè papà mi odia...”
“Lui non ti odia.”
“Allora perchè passa più tempo con Thor che con me?”
“Beh, diciamo perchè loro due sono... anime affini. Hanno un legame speciale.”
“Io e te siamo anime affini, mamma?”
“Sì, penso proprio di sì. E ti confiderò un segreto: la mamma è tanto orgogliosa del suo Loki e lo sarà sempre.”
“Allora, m’impegnerò tanto per diventare re, così sarai ancor più orgogliosa di me!”
“Non serve, piccolo mio. Tu per me, rappresenti già il mondo. Mi basta saperti vicino e felice.”
“A me basta vederti sorridere, per essere felice, mamma. Quindi, non lasciarmi mai... per favore.”
“Mai, Loki, mai.”
 
FINE
 
ANGOLO DELL’AUTRICE:
 
Salve! =)
Questo è il risultato di quando mi si porta al cinema e uno dei personaggi (quello più pazzo e incasinato, mi pare ovvio) cattura la mia attenzione. Se poi inizio a pensare che, tutto sommato, comprendo il motivo della sua pazzia e, anzi, forse nei suoi panni mi sarei comportata uguale se non peggio, allora è il principio della fine!
Loki non è sfuggito al mio cinema mentale (in stile JD di “Scrubs”), e così, mentre seguivo il resto della pellicola, questa fic era già bella che pronta nella mia mente. Ho aspettato un po’ a postarla, perchè non trovavo mai tempo di ricontrollarla, ma ieri sera l’ho fatto e così... tadaaa!!
Spero che questo viaggio nella mente di Loki vi sia piaciuto, è la prima volta che scrivo in questo fandom e mi auguro di non avervi deluso troppo; ho fatto del mio meglio, pensando a qualcosa di semplice, rapido ed incisivo, per cambiare un po’ (dato che, di solito, scrivo one-shot kilometriche). Il dettaglio della polena della barca me la sono inventata, dato che non rammento bene com’era fatta nel film, ma penso che il cigno rappresenti alla perfezione quella che è stata la regina di Asgard.
Un grazie infinite a chiunque leggerà e, ancor più grazie a chi si prenderà la briga di lasciarmi un parere.
Un bacione a tutti!
 
Moni =)
   
 
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